ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 Un modo di esserci L'efficacia dell'approccio rogersiano nei corsi Gordon Giovanni Pulvirenti Se il risultato di questo approccio alla terapia è una persona che non soltanto conosce meglio se stessa, ma è anche più capace di affrontare in modo intelligente nuove situazioni, non si potrebbe auspicare di ottenere un risultato simile anche nell'istruzione? Carl R. Rogers È impossibile per me sapere aprioristicamente quali possono essere le soluzioni migliori per i vostri problemi e ritengo che nessun altro, a parte voi stessi, possa conoscerle. Penso di potere, tuttavia, fornire un insieme di competenze, indicare un modus operandi per escogitare autonomamente le soluzioni più idonee. Thomas Gordon Il lavoro di Thomas Gordon, sotto il profilo teorico, è contiguo, se non interamente assimilabile, alla filosofia delle relazioni interpersonali di Carl Rogers, nei confronti della quale si costituisce come prassi formativa. Muovo da questo assunto e, al contempo, dal problema che esso, primariamente, comporta: se, cioè, dichiarata la matrice originaria di ciò che viene anche definito metodo o modello, questa, esprimendone l'essenza, non ne presupponga il fine. Si tratta, in altri termini, di porre la questione della sua contingenza - o del suo grado di necessità -rispetto a una visione del mondo e dell'uomo che, per la costante e non codificabile apertura all'esperienza, sembrerebbe esaurire ogni indicazione pedagogica nei suoi stessi postulati e, quindi, negli esiti particolari cui danno luogo i concetti abbinati di fiducia e di organismo1. La giustificazione del percorso ideato da Gordon, così, sembrerebbe dover attendere alla cernita e al verso delle differenze nei confronti del suo ambito d'ispirazione, con un'indagine che proceda in relazione alla descrizione del suo stato e alla definizione dei suoi obiettivi. In tal senso, una enunciazione che volesse mantenersi prossima alla forma delle affermazioni gordoniane, potrebbe notare come il metodo si dichiari nella successione di brevi momenti cognitivi, prevalentemente, mutuati dalla speculazione rogersiana, e spazi esperenziali, sicuramente, più ampi, che si avvalgono di tecniche funzionali alla trasmissione o all'accrescimento di abilità comunicative intese 1 In breve, questo è il senso che restituisco alla lettura di C. Rogers, Freedom to learn, Charles E. Merril Publishing Company, Columbus, Ohio, 1969 (trad. it Libertà nell'apprendimento, Giunti, Firenze, 1973). 1 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 a stabilire relazioni proficue e significative. Se non sbaglio, questa preposizione esprime un'opinione invalsa e, nondimeno, si rivela attaccabile da più fronti e con diverse obiezioni. È lecito, per esempio, osservare che essa restituisce al metodo un senso nei termini di un'interpretazione del pensiero rogersiano o di una sua applicazione operativa; le due cose, del resto, non si escludono a vicenda, ma resta il problema se sia realizzabile o, per altri versi, accettabile la riduzione di un'ottica sistemica e, perciò, complessa nei limiti e nella linearità di una struttura chiusa, organizzata intorno a certezze presunte. E, ancora, così formulato, il processo formativo sembra promuovere una tecné dell'azione che presenta una frattura insanabile con l'arte, non banausica, di essere se stessi. "Un modo di agire"2, insomma, in alternativa a "un modo di essere". Ci troviamo, qui, di fronte e alle prese con una sorta di limes aporetico, perché solo illusoriamente potremmo ricomprendere i due momenti così divisi - del fare e dell'essere - all'interno della visione rogersiana, se è vero che questa guarda all'azione come al movimento naturale della saggezza dell'essere, che, in quanto vive e significa l'esperienza, sa di sé e apprende sugli e dagli altri, ritornando dialetticamente sui suoi risultati per nuove integrazioni di senso. Al contrario, come agire per ..., come fare qualcosa in vista di... presuppone una concezione parcellizzante la relazione e l'uomo, la quale, dunque, può considerare solo alcuni dei loro aspetti, costringendoli, per usare un fraseggio panikkariano, a una non libertà di comportamento che risulterebbe, per così dire, forzato e propedeutico alle attese. L'orizzonte di questa convinzione è, con tutta evidenza, riduzionistico. Se accettassimo questa impostazione, ci impegneremmo non tanto a stabilire la coerenza del metodo gordoniano con quella che abbiamo definito matrice originaria, ma la sua possibilità all'interno di questa. L'idea, inoltre, che una relazione possa ottenere efficacia o significatività - qualunque cosa, per il momento, siamo disposti a intendere con questi termini - dipendentemente dal modo di esprimerci o dall'osservazione e dalla riproduzione di uno schema situazionale3 soggiace alla credenza di un principio infallibile di causalità che, solo, autorizza a un certo grado di predittività. Meccanicismo a parte, niente di male. Ma Rogers è altrove. Esprimendoci, insomma, in termini di differenze, il tentativo di illustrare il rapporto tra Rogers e Gordon evidenzia la difficoltà di forzare il passaggio fra i due autori: a insistere su questa strada, c'è il rischio di dover ammettere un intento manipolativo nel trattamento e nell'utilizzo di taluni aspetti della speculazione rogersiana e, dunque, nel modo di instaurare le relazioni. Possiamo, invece, tornare sui nostri passi e provare a considerare nulla la loro distanza, cercando di risolvere, con quello della tempestività del metodo, il problema di una sua riformulazione coerente con le 2 Così si esprime V. Graziani nell'introduzione alla versione italiana di Thomas Gordon, T.E.T. Teacher Effectiveness Training, 1974 (trad. it. Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze, 1991, p.16). Vedi, per esempio, i "Messaggi in prima persona" e il "Rettangolo del comportamento", che costituiscono, ognuno, l'argomento di un modulo e che saranno presi in considerazione più avanti. 3 Vedi, per esempio, i "Messaggi in prima persona" e il "Rettangolo del comportamento", che costituiscono, ognuno, l'argomento di un modulo e che saranno presi in considerazione più avanti. 2 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 argomentazioni sin qui condotte. L'iniziale ammissione della non rilevanza delle novità teoriche del modello -una premessa che dovrà, comunque, ricevere conferma dall'indagine coincide con un'ortodossia rogersiana che può, a mio parere, consentirci di assegnargli, sin da adesso e in attesa di dimostrazione, una valenza formativa giusto nel riconoscimento di un'intenzionalità verso una comunicazione a livello dei sentimenti4, la quale, perché facilitata, sia funzionale a un apprendimento sul modo di essere di ogni membro del gruppo. Meno che per le situazioni riprodotte e, per questo, potenzialmente afflitte da un tasso più o meno alto di improbabilità, quanto per la costituzione stessa di un setting formativo, il senso del Gordon riguarda un modo di essere dei singoli partecipanti, a partire dal fatto di vivere quella esperienza: un modo di esserci, quindi, emblematico del proprio modo possibile di essere; che rimanda a ciò che si è in occasione del trovarsi in quella circostanza. La costituzione del contesto formativo come abbrivo di una possibile riflessione su di sé non può che implicare la costruzione di un clima di fiducia, all'interno del quale poter sperimentare le condizioni rogersiane fondanti la relazione. Sotto questo aspetto e in accordo con il senso proprio della sua denominazione, il modello assume, in tal modo, anche una funzione euristica, ponendosi come una struttura concreta in grado di riprodurre e verificare alcuni tratti peculiari della teoria relazionale rogersiana. Quanto all'attenzione per le modalità espressive, nonché al riferimento a tecniche comunicative, queste in nulla alludono alla possibilità di orientare la relazione verso un utile estraneo al contatto con i propri sentimenti del momento e, se il caso, alla loro trasmissione: perché l'intenzione all'autenticità significa la relazione - e per tanto la rende efficace -, esse si sbarazzano della pretesa di porsi come metro o strumento di successo nei rapporti interpersonali, per divenire il luogo di un indugio sul modo individuale di dare un nome alle proprie emozioni5. Il rimando alla rilevanza della forma, cioè, non ne contempla una accezione cristallizzante i sentimenti e la maniera di esprimerli, bensì allude a un processo dialettico passibile di continui aggiustamenti compensativi. Tutto il metodo, allora, si risolve nell'invito a considerare, con l'importanza del contatto, le ragioni che possono, a volte, inibirlo. L'essere nell'evento, Tesserci, appunto, riguarda le risorse dell'individuo e il modo più o meno produttivo di senso in cui le impiega nella sua quotidiana interazione con l'ambiente; con Buber e con Rogers, Gordon condivide la tesi che il significato dell'esistenza riposa interamente nel fatto relazionale, dove il linguaggio, non necessariamente, seppure prevalentemente, verbale svolge un ruolo fondamentale nel rilevamento e, quindi, nella costruzione di un sapere, da una lato, comune e, perciò, condiviso, stabilizzato nei significati quanto occorre per consentire la trasmissione di un parte dell'universo privato di ciascuno e, dall'altro, in divenire, perché aggiornato dal censimento e dal succedersi dei bisogni e orientato dall'impiego o dall'evolversi della sfera valoriale. Ora, seppure il punto d'osservazione sul linguaggio sia, eminentemente, 4 Cfr. Carl Rogers, A Way of being, Houghton Mifflin Company, Boston, 1980 (trad. it. Un modo di essere, Martinelli, Firenze, 1993, p. 16). 5 "Tutti i messaggi verbali sono codici, equivalenti linguìstici dei nostri sentimenti, non i sentimenti in se stessi". T.E.T.". cit., p.41 dell'edizione italiana. 3 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 psicologico, lo studio logico e formale della costruzione del messaggio assume un'utile rilevanza didattica, nell'intero edificio gordoniano, la cui pietra d'angolo considera, in una qualsiasi evenienza comunicativa, la possibilità schleiermacheriana del fraintendimento come quella che ha la maggiore probabilità di accadere. Se, infatti, informati da quello che sappiamo o crediamo di sapere su qualcuno, operiamo una sintesi, un accomodamento di senso delle sue parole a misura della nostra capacità di accoglierle in più o meno statiche categorie precomprensive, l'equivoco è non solo il risultato probabile, ma anche l'ostacolo più ingombrante a una possibile, successiva correzione. Uno schema tipico di fraintendimento è quello che fa riferimento a premesse certe, o così considerate. Mettiamo il caso di trovarci in presenza di un mendicante: è possibile che la ricezione di una sua proposizione del tipo "Non mangio da due giorni" sia corrotta da ciò che immaginiamo essere la sua reale esigenza, in virtù del nome - mendicante con il quale lo significhiamo. Una nostra risposta del tipo "Ecco, prenda queste monete" anticiperebbe la sua richiesta in un senso probabile, ma non certo. Egli, infatti, potrebbe voler informarci di altro, "Non sto bene fisicamente e ho bisogno di aiuto", oppure "Questo caldo mi toglie l'appetito" o altro ancora. La premessa assunta per vera - un pregiudizio -, in questo caso, sarebbe: "ogni barbone che ti ferma per strada vuole denaro". Possiamo immaginare la stessa situazione in cui l'assunto iniziale sia relativo, poniamo il caso, al fatto che "chi ci parla di cibo allude alla nostra linea". All'affermazione "Non mangio da due giorni", risposte del genere "Ammiro la sua forza di volontà!" o "Vorrei tanto riuscirci anch'io" sarebbero difficilmente rimediabili e, a secondo dei punti di vista, comiche o oltraggiosamente indifferenti al nostro interlocutore. Questo esempio, ancora, può essere utilizzato per indicare quanto la comunicazione manchi, a volte, la sua direzione, se espressa in modo ambiguo. Supponiamo che la richiesta del mendicante verta con la sua esigenza di denaro: l'intento manipolativo e, ovviamente, non diretto della frase "Non mangio da due giorni" presenta incerte possibilità di ottenere la soddisfazione del bisogno implicito - sfamarsi. Impiegando una terminologia rogersiana, la nostra risposta anticipatrice potrebbe rappresentare il frutto, acerbo, di una mancata attenzione - centratura - al nostro interlocutore o di un contatto difettoso con noi stessi. O entrambi i casi. Così come la richiesta del mendicante potrebbe essere indicativa di una sua incapacità assertiva. Naturalmente, che la verità di queste supposizioni possa trovare più riscontro in altre ipotesi, qui, non contemplate è irrilevante; piuttosto, la loro ovvietà poco toglie al fatto che la comprensione di qualcosa non comporti, necessariamente, la capacità di viverla. È su questa strada, infatti, che la pertinenza del modello gordoniano inerisce con la sua valenza formativa e legittima l'altra sua denominazione di metodo: l'evidenza dell'impronta rogersiana negli input teorici proposti è propedeutica all'esperienza dei partecipanti, a un loro precipitarsi nella situazione formativa per considerare se stessi da quella prospettiva. Prendiamo, per esempio, in esame il rettangolo del comportamento, "un modo di concepire i rapporti"6 creato da Gordon. L'idea di fondo è che 6 Op. cit., p.41 dell'edizione italiana. 4 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 ciascun individuo apra una finestra percettiva su ogni persona con la quale entra in relazione e l'invito è quello di operare una sorta di epoche, limitandosi a cogliere giusto il comportamento che gli è dato osservare e, dunque, dargli o rifiutargli l'assenso. La sospensione del giudizio ammette l'espressione del nostro livello di gradimento, ma limitatamente alla sensazione, positiva o negativa, suscitata in noi da un determinato comportamento7. Essa non si pronuncia sull'essenza della persona che lo mette in atto e, pertanto, non la designa in alcun modo. Questa procedura oppone il principio del rispetto profondo agli esiti di un processo metonimico perverso, per il quale un ruolo, un atteggiamento, una condizione - la parte - autorizza all'uso di un'etichetta intesa a classificare l'altro all'interno di precostituite tipologie: la finestra, di volta in volta, si apre su un solo individuo, considerandone l'irripetibilità, l'unicità e, al contempo, esigendone l'accettazione, rogersianamente, positiva; incondizionata. Che qualcuno possa piacerci o meno è una faccenda che attiene al nostro gusto o, sia pure, al nostro utile, ma l'indugio nel considerare il comportamento dell'altro è Io spunto che possiamo decidere di cogliere per risalire a noi e alle nostre motivazioni all'incontro. Col patrocinio della teoria della personalità di Carl Rogers, la finestra propone un deciso digradare della sfera impersonale del si dice verso quella organismica dell'Io sento. Di tanto ne è spia un particolare uso del linguaggio. Confessare a qualcuno il nostro sconcerto per il fatto che non abbia mai ascoltato un pezzo dei Pink Floyd è diverso dal dargli del somaro. La differenza è quella che passa tra l'adozione di ciò che Gordon chiama messaggio in prima persona e la pratica del tu messaggio. Con il primo comunichiamo al nostro interlocutore i sentimenti che ci agitano e che ci scappa di fargli sapere, magari, a partire da un suo comportamento; con il secondo protendiamo verso un'attribuzione di valore. Se la costruzione del messaggio rivelerà la nostra consapevolezza sul sentimento - stupore - che una particolare e circoscritta condotta o affermazione ha generato in noi - il mai avvenuto ascolto dei Pink Floyd -, allora il messaggio sarà autentico. In più, se non condurrà a una sentenza da passare in giudicato - somaro -, allora sarà rispettoso dell'altro. Il senso di questa analisi è puramente esplicativo dei principi che ispirano lo schema congruenza, considerazione - e della ragione che lo governa - la messa al bando di una sommaria classificazione -, ma l'assunzione indiscriminata della sua pratica può, a mio parere, condurre a un radicalismo di segno opposto a quello che combatte - l'ossessione del non giudizio. D'altronde, può essere che dare del somaro a un nostro amico per il fatto che non abbia mai ascoltato i Pink Floyd sia il modo più naturale per manifestargli la nostra meraviglia o per recuperarlo a un'importante, per noi, esperienza estetica. È appena il caso di sottolineare che, in questo caso, la relazione, in virtù del fatto che esiste, nonché della sua natura, potrebbe non correre seri pericoli solo il nostro amico, dopo tutto, ha il diritto di avere percezioni sull'intento della nostra ironia ed è molto probabile che gli convenga affidarsi al suo 7 Una lezione efficace, sebbene non originale: "Ciò che è utile esprimere non sono le opinioni o i giudizi sull'altro, ma i propri sentimenti e le proprie disposizioni" C. Rogers, Carl Rogers on personal power, Delacorte press, New York, 1977 (trad. it. Potere personale, Astrolabio Roma, 1978, p. 16). 5 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 naso che non allo schema di uno psicologo. Per questo verso, l'Io messaggio è emblematico del limite di tutte le tecniche ospitate dal metodo, se concepite come tali: per la cornice in cui si iscrivono e che accorda nessuna possibilità alla standardizzazione di persone, situazioni e circostanze e, neppure, al ravvisamento di caratteristiche o somiglianze relazionali di fondo, esse non sono responsabili dell'effetto di mete diverse dal puro incontro. In breve, non hanno alcun valore predittivo. Come tecniche, anzi, rappresentano un paradosso: la loro semplice applicazione contraddice il principio che le motiva. Il loro potere, altresì, è allusivo e relativo alla nostra capacità di trascenderle e dar voce alla sfera della volizione. Il valore simbolico dell'Io messaggio e della finestra percettiva è nella rinuncia a intendere la relazione come già data e certamente scrutabile. L'io si affaccia sul mondo - delle relazioni - e lo costruisce dicendolo, con la consapevolezza che l'esercizio della parola è un lavoro sempre in corso. Ciò che dice non riguarda un oggetto osservato ma il senso, provvisorio e privato, che restituisce alla osservazione di qualcosa; riguarda l'espressione di una visuale parziale e unica, che non ri produce - crea - ciò che vede, ma che ri dice - crea - ciò che sente dopo aver visto; riguarda la trasmissione del proprio punto di vista sull'effetto che una porzione di mondo, in un determinato momento, gli ha suscitato - cioè, di una parte del proprio mondo, così come lo rappresenta in un preciso momento, "lo vedo e io sento" equivale a "lo posso dire ciò che provo, ora, vedendo e sentendo". L'indicazione di Gordon insiste sulla constatazione che l'aspetto più certo del sapere su di sé, sugli altri, sul mondo è racchiuso nel riconoscimento del carattere provvisorio e aleatorio di ogni conoscenza, segnalando come la possibilità della relazione non possa adagiarsi su alcun precedente o su alcuna garanzia d'immutabilità. Fino a queste evoluzioni, il metodo fornisce l'occasione per porre correttamente le domande su cosa comunichiamo e sul perché. Il passo successivo interessa il destinatario della nostra comunicazione. La finestra si apre, nel qui e ora, su un'azione che, insieme al modo in cui è condotta, rifiutiamo o accettiamo. Qualche volta, la faccenda finisce qui. Decido di ignorare la richiesta di un uomo che mendica per strada; o gli porgo del denaro. Quello che mi succede dipende da una mia risoluzione. Decido, altresì, d'informarmi sulla sua salute, ottenendo una risposta e avviando, magari, una conversazione. Questo tipo di relazione è il prodotto di una scelta, che, non importa quanto diversamente motivata, viene effettuata da entrambe le parti. Il rettangolo traduce, così, la prima delle sei condizioni rogersiane sotto forma di intenzionalità. Se e solo se entrambe le parti vorranno incontrarsi, allora si incontreranno. Il passo volontario e reciproco a essere con - qualcuno - precede e prepara Tesserci, finendo per coincidervi. L'intenzione, in questa accezione, non collima necessariamente con la motivazione o l'occorrenza o la casualità dell'incontro, ma, semplicemente, lo avvera. La tesi è che l'efficacia dei rapporti umani concerne la realizzazione di un incontro autentico e non giudicante, che avviene quando ognuna delle parti in causa sente e sceglie di volersi incontrare. Tanto sembrerebbe corrispondere più propriamente alla realtà di una originaria inclinazione verso l'altro, salvo dover considerare le necessità imposte dalla natura occasionale di alcune relazioni. Si tratta, cioè, di vedere 6 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 come l'aspetto intenzionale ci impegni sul piano dell'autenticità e del non giudizio in circostanze che si mostrano indifferenti nei suoi confronti e, comunque, non sempre ospitali verso ragioni estranee ai compiti, agli scopi o agli interessi specifici che determinano alcuni rapporti o loro particolari momenti. Il legame tra un insegnante e i suoi allievi, per esempio, ha di mira processi educativi, come quello tra un dirigente e i suoi impiegati è inteso al profitto dell'azienda; il vincolo di un padre con un figlio, isolandone solo due aspetti, è sancito da sentimenti d'affetto, ma, pure, gravato da responsabilità e finalità pedagogiche - nel primo caso, l'essere genitore sembrerebbe designare una condizione che non patisce i limiti di alcuna indicazione, in qualche modo, normativa del comportamento; nel secondo, il riferimento del termine "genitore" parrebbe indicarne giusto il compito. La questione, in effetti, nonché al modello relazionale di un sistema sociale dove già "le istituzioni educative primarie ... sono orientale prevalentemente al controllo"8, demanda allo studio delle sue costanti, da Gordon individuate nell'assunzione rigida del ruolo e nell'esercizio del potere. Credo che la dignità del primo, in genere, autorizzi alla pratica e imponga l'accoglienza dell'altro. La loro funzione è di convalida della condotta di qualcuno in virtù del suo ufficio, in un ambito che prevede la presenza di altri individui, a loro volta, definibili sulla scorta delle loro mansioni. "Sono un insegnante che si trova di fronte ai suoi alunni" è un buon esempio di come può accadere d'interpretare il senso che, per noi, assume la presenza di qualcun altro, in modo coerente e confermante il nostro stesso senso: un'argomentazione chiusa che ha un potere retroattivo per il quale il giustificato giustifica il giustificante. Il ruolo, allora, rappresenta il perché del rapporto - del quale il potere si prefigura come garante -, indirizzandolo verso un essere su o per qualcuno. Così è per l'insegnante che si rivolge ai suoi allievi: la parte che interpreta isola un suo aspetto e lo determina per intero, usandogli contro lo stesso potere del quale lo investe; allo stesso modo, gli allievi solo in quanto tali possono trovarsi nelle condizioni di subire l'autorità di qualcun altro. Entrambi gli schieramenti accusano l'alienazione di ciò che più in loro sussiste - se stessi -, perché il ruolo contiene lo scopo della relazione senza rappresentarne il valore. Nondimeno, decidere che sia bene o male imporre qualcosa a qualcuno in vista di un risultato postula una stabilita concezione del mondo. Controllare e dirigere corrisponde a uno stato di necessità relativo alla funzionalità dell'individuo e allo scopo della relazione: qui, la visione dell'uomo come strumento non può che risolverne il significato nelle sue azioni; il suo fine, allora, gli è esterno, è altro da lui. All'opposto, l'indirizzo etico della filosofia rogersiana conferisce all'uomo un valore intrinseco, considerandolo come fine. Al riguardo, la valutazione e lo specifico di Gordon non oltrepassano le riflessioni e le proposte del maestro circa il pieno e rivoluzionario rovesciamento dei concetti di ruolo e di potere nei loro opposti9. Mettere la 8 Peter M. Senge, Il nuovo lavoro del leader, in AA.VV. Leadership (a cura di Gian Piero Quaglino), Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, p. 31. Cito quest'autore, fra i tanti che, al riguardo, sostengono una tesi simile alla sua, per l'alto tasso di rogersianità delle sue idee sulla leadership e, di conseguenza, sui sistemi organizzativi, seguendo i parametri di un'ottica sistemica e collettiva. 9 La posizione di Gordon, di fatto, è identica alle idee di Rogers esposte, per esempio, nel capitolo sull'educazione di Client centered therapy, Houghton Mifflin Company, Boston, 7 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 relazione per il verso rogersiano equivarrebbe a dire "Sono una persona che, in questo momento, si trova a insegnare a persone che, nello stesso momento, sono qui per imparare." Nella sua relativizzazione il ruolo è ancora la giustificazione per una presenza che, tuttavia, non finisce il suo significato nel fare - essendo quest'ultimo l'effetto o la manifestazione dell'essere -; e perché l'incontro s'invera con l'intenzione reciproca - con la scelta -, la sua collocazione riguarda la sfera della libertà. La realizzazione dello scopo, pertanto, è affidata alla capacità di trasmetterlo, senza imperlo, e alla responsabilità di chi collabora ad essa. Democrazia è il termine, non originale10, adoperato da Gordon per definire le relazioni significative. La maniera di illustrarlo è, come sempre, estremamente schematica: attraverso i metodi "uno", "due" e "tre" vengono considerati gli effetti della coercizione imposta, subita e abolita; il succo è che "più usi il potere per cercare di tenere sotto controllo gli altri, meno influenza reale avrai sulle loro vite11; il merito è quello ascrivibile all'intero modello, la costruzione, vale a dire, di un sapere comune, perché condiviso, che rinuncia alla passività di una acritica adesione alla teoria, procedendo attraverso essa problematicamente e assimilandola, infine, con le differenze dei percorsi e delle conclusioni individuali. Qui, come dappertutto, nella proposta formativa, il momento dell'esperienza si configura come indispensabile per la rielaborazione e l'auto restituzione del proprio modo di essere nell'evento formativo. Anche su questo argomento, infatti, vengono proposte esercitazioni che invitano i partecipanti a rappresentare una parte: ciò che si accorda a un significativo apprendimento è il superamento della simulazione a favore dell'esperienza reale di quel momento, tramite la possibile volontà - la scelta - di essere in quell'evento che, abbandonando il pretesto per cui nasce, diventa un incontro: autentico, non giudicante, paritario12. Sotto la determinazione dell'esserci, qualsiasi rapporto, comunque sia occasionato, non è più passibile di differenziazioni. La portata di questa acquisizione investe e rimodella il senso anche di quelle relazioni definite di aiuto. Per certi versi e in accordo con il punto di vista rogersiano, molti 1951 (trad. It. La terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia, Firenze, 1997). 10 " ... per molti anni mi sono affannato a trovare la parola giusta, una che descriva al meglio le qualità inerenti le relazioni sane. Probabilmente la parola più idonea è proprio democrazia" Così scrive Gordon in Good relationships. What makes them, what breaks them, 2002 (trad. it. Relazioni efficaci, Edizioni La Meridiana, Molfetta, 2005, p. 55), ma, già nel '51, in Client centered therapy,cit. trad. it. p. 220, Rogers, saldando il debito di citazione con Hutchins, si riferiva al metodo educativo affermando che: "... esso è pertinente a quel tipo di obiettivo che si può approssimativamente definire democratico". 11 T. Cordon, 1989, (trad. it. Né con le buone né con le cattive, Edizioni La Meridiana, Molfetta, 2001, p. 22). 12 Questa conclusione fa in fretta giustizia di un'eccezione concernente l'inverosimilità del contesto formativo, la sua inadeguatezza nel corrispondere a ciò che avviene o può avvenire nella vita ordinaria, come se l'ambiente, le circostanze o chissà che altro potessero rendere irreale ciò che non può non essere reale, in virtù del fatto che accade. L'aver notato questa obiezione non ha il senso di riconoscerla e contrastarla, ma di porre una linea di confine a osservazioni affliggenti un discorso sensato sui training Gordon. 8 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 incontri o loro momenti denunciano la qualità dell'aiuto13, ma pur volendo trattenere l'attenzione su quelli, esclusivamente o prevalentemente, connotati dalla presenza di un problema di una delle parti, è necessaria nessuna avvertenza speciale: la relazione, significando il senso dell'esistenza, è, di per sé, terapeutica; se essa, infatti, mostra di essere congruente, trasparente, accettante e reciprocamente intenzionata è il luogo possibile nel quale qualcuno può scegliere di assistere il processo di empowerment di qualcun altro. Nella felice opinione che nessun specialista è indispensabile, Gordon si limita a riversare nel suo modello le condizioni e le convinzioni di Rogers, perché "ciò che è vero nella relazione tra terapista e cliente può essere altrettanto vero per un matrimonio, una famiglia, una scuola, un'amministrazione, nel rapporto fra culture o nazioni diverse"14. Il setting formativo è, invero, molto distante dal somigliare a quello di un counselling o, tanto meno, di una psicoterapia, ma, favorendo e accogliendo il confronto e la comprensione fra individui, assume tutti i presupposti rogersiani, il cui peso non reclama la loro meccanica applicazione, considera, bensì, la nostra responsabilità sul modo in cui siamo presenti nell'evento, modo del quale, ancora, il linguaggio può rivelarsi un importante indicatore. Gordon chiama "barriere della comunicazione"15 quelle abitudini linguistiche non facilitanti l'espressione dei sentimenti dell'altro e ostacolanti un atteggiamento empatico da parte di chi ascolta. A prescindere dalle buone ragioni che possono spingerci a pronunciarla, una frase, per esempio, del tipo "Non è il caso di angustiarsi per simili sciocchezze", rivolta, supponiamo, a un amico accorato, ha alte probabilità di essere recepita come un ordine - un essere su - e, al contempo, come una sminuizione del suo motivo di sofferenza, come, cioè, un messaggio che giudica inadeguato, con il comportamento, l'individuo stesso rispetto a un evento che ci pigliamo la briga di pesare al suo posto - un essere per. In questo caso, la nostra disponibilità a restare con lui è, paradossalmente, condizionata, esigendo la sua sollecitudine a modellare l'espressione dei suoi sentimenti sulle nostre pretese. Possiamo, senza troppo indugi, definire un simile messaggio come di non accettazione; una barriera. Nel metodo ne sono elencate ben dodici che, a una prima scorsa, sembrerebbero comporre una sorta di enoio, rappresentando, in effetti, la denuncia ferma di un condizionamento culturale che considera meno la persona quanto la modificabilità del suo comportamento. Questo conformismo linguistico e sociale investe nel ruolo e rimanda, per conseguenza, a un codice del rifiuto dell'essere, dove il tu messaggio palesa il suo potere e la sua valenza giudicante assegnando un valore sulla base dell'osservazione di ciò che mostra di deragliare o di uniformarsi al senso e alla condotta comune. 13 La filosofia delle relazioni interpersonali rivela " ... un modo di essere che si addice in ogni situazione in cui la crescita - di una persona, di un gruppo, di una comunità - è compresa nelle finalità" A way of being, cit. trad. it. p. 6. 14 Op. cit. p. 6 dell'edizione italiana. Le barriere individuate da Gordon sono dodici: 1) Ordinare, comandare, esigere; 2) avvertire, minacciare; 3) Fare la predica, rimproverare; 4) consigliare, offrire soluzioni; 5) ammonire, argomentare logicamente; 6) giudicare, biasimare; criticare; 7) apprezzare, concordare; 8) ridicolizzare, ironizzare; 9) interpretare, analizzare; 10) consolare, rassicurare; 11) indagare, fare domande; 12) eludere, cambiare argomento, fare del sarcasmo. 15 9 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 Questa analisi, tuttavia, trae la sua ragione d'essere solo quando la relazione è motivata dalla trasmissione e dalla ricezione di un evento critico o percepito come tale; solo in questo frangente e se accolte come frustranti la manifestazione dei sentimenti le barriere sono tali: "Le barriere inibiscono la comunicazione quando qualcuno nella relazione sta vivendo un problema. Se non ci sono problemi, le barriere hanno solitamente una natura benigna, non causano cioè alcun problema"16. La chiarezza di questa precisazione rende, a mio parere, superflua la maniera edulcorata, di forgia non gordoniana, di descrivere questi esempi di incomunicabilità come "metodi tradizionali di aiuto", nel timore, forse, di ferire chi li mette in atto o di chiamare le cose col loro nome. L'ingenuità di una siffatta cautela linguistica sembrerebbe stimare l'influenza culturale che determina l'uso delle barriere - la sua spiegazione alla stregua di una giustificazione. Il punto è che la valutazione, seppure benevola e non giudicante, del nostro vissuto non può esentarci dalla responsabilità, dalla possibilità reale, cioè, di porre rimedio a una consuetudine, là dove questa ha effetti dannosi per la relazione. Quali che, allora, siano le radici di questa paura o prudenza, esse non possono che risultare intempestive, considerando che l'intento di Gordon al riguardo è relativo non a una prescrizione - sia pure in forma negativa - e a ciò che questa avrebbe d'implicito - una riprovazione -, ma all'invito ad essere presenti nell'incontro in assenza di pregiudizi e compiti. Tutta la teoria delle barriere, in fondo, si rivela essere niente di troppo distante dalle posizioni rogersiane: Quello che offriamo è un altro tipo di comprensione ... del tipo: «capisco che cos'è che non va in te», oppure «capisco cos'è che ti fa agire così». Il tipo di comprensione che in genere offriamo o riceviamo è una comprensione che valuta dall'esterno. Non c'è da meravigliarsi che in tal modo si resti lontano dalla vera comprensione. ... così tendiamo a vedere il modo dell'altra persona dal nostro punto di vista non dal suo. Lo analizziamo e lo valutiamo; non lo capiamo. Ma quando qualcuno capisce come sento e come penso di essere, senza volermi analizzare o giudicare, allora sento di potere, in una tale atmosfera, aprirmi a crescere17 L'esserci, insomma, non contempla soluzioni, non giudica o analizza, non salva; semplicemente, c'è. E, con lo stesso atto del porsi, agisce. Questa, peraltro, a me pare un convincente illustrazione dell'ascolto. La finestra ne scandisce, nella sua prima diramazione- l'area in cui l'altro ha un problema, quella, appunto, delle relazioni di aiuto -, i vari momenti, fornendo un'elementare teoria della comunicazione e un'abbondanza di mie play ed esercitazioni sull'applicazione del modello empatico, il cui fine, come al solito, è trascenderli e verificare, di volta in volta, la propria disposizione verso l'altro: "Se si è veramente intenzionati a capire ciò che le persone ci dicono, si può prescindere dai tecnicismi"18. L'empatia, cioè, è una qualità dell'essere, non una specie di traduttore emotivo delle esperienze o affermazioni dell'altro. Prepotente, seppure non ingombrante, la presenza di Rogers. Curioso, a questo riguardo, il fatto che solo raramente19 Gordon, nei 16 Good relationships, cit. p. 83 dell'edizione italiana. C. Rogers, The Interpersonal relationship, Harvard Educat. Review, 1962 in Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970 p. 93). 17 18 Good relationships, cit. p. 78 dell'edizione italiana. 19 Per esempio, senza spostarci di testo, in op. cit. a p. 22 dell'edizione italiana, Gordon ve ne fa un velocissimo accenno: "Rogers mi fornì la formazione necessaria per diventare psicoterapeuta, inizialmente presso l'Università statale dell'Ohio e in seguito presso 10 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 suoi scritti, lo citi esplicitamente, mettendosi nella camusiana condizione del censore che proclama ciò che proscrive. Possiamo, infatti e paradigmaticamente, riportare un brano di Good relationships, a tal proposito, illuminante: tre (i) fattori, che secondo quanto scoperto dai ricercatori David Aspy e Flora Roebuck, migliorano l'apprendimento, il Ql e la frequenza scolastica degli studenti. Questi tre fattori sono: l'empatia, la congruenza e il riconoscimento positivo incondizionato, fattori critici anche per le relazioni interpersonali20. Questo passo indica, indubitabilmente, la discendenza del metodo dalla filosofia rogersiana, facendo riferimento ad alcune ricerche per testimoniare l'efficacia delle condizioni esposte. La coda della proposizione è, forse, il punto di maggiore rilievo, ribadendo il concetto che la relazione, se è tale, lo è in qualunque circostanza - perché la filosofia che la ispira prescinde dall'ambito specialistico; lo riguarda, senza esserne contenuta. Quello che, invece, viene rivendicato come originale è la presentazione dei comportamenti tramite i quali questi tre fattori possono tradursi in esperienze concrete. L'empatia, per esempio, viene dimostrata tramite l'ascolto attivo non giudicante ... il linguaggio in prima persona è il linguaggio della congruenza perché fa coincidere l'esperienza interiore con la sua estrinsecazione esteriore, infine, l'ascolto attivo, il linguaggio in prima persona e il metodo di risoluzione dei conflitti senza perdenti dimostrano il proprio riconoscimento positivo incondizionato degli altri e di se stessi21. Questo passaggio è l'esempio impreciso di qualcosa che, fondamentalmente, è vero. Sono dell'opinione che l'empatia non possa soggiacere ad alcuna dimostrazione, rappresentando un modo di essere con il quale l'azione coincide - è una manifestazione dell'esserci; supporre una distinzione tra essere empatico e agire empaticamente richiama un nesso causale incomprensibile, nella filosofia di Rogers. Posso, d'altra parte, essere empatico con un sorriso o con la sola presenza, con un "non fare" o, in ogni caso, con un fare assolutamente diverso dall'ascolto attivo non giudicante. La confusione, probabilmente, nasce dall'uso sinonimico dei termini atteggiamento e comportamento: se, nel secondo, c'è l'evidenza dell'essere, il primo, nel disporsi a sembrare o a dimostrare, marca l'insufficienza del semplice fare rispetto al vivere la situazione - con queste precisazioni, possiamo, certo, concordare sul fatto che l'ascolto attivo e non giudicante sia un comportamento empatico. Che, poi, il messaggio in prima persona sia quello della congruenza è un'affermazione non necessariamente vera: "Tu sei molto importante, per me" ne è un esempio, fra i tanti, che potrebbe indurci a stimare efficace non la struttura della trovata gordoniana, ma la ragione che la sostanzia, descritta da Gordon e, di fatto, già esaurientemente illustrata da Rogers22. Anche per il riconoscimento positivo incondizionato, sarebbe preferibile parlare di manifestazione, al posto di dimostrazione. Il principio che gli sta alle spalle è filosofico, il rispetto, e in quanto tale è testimoniabile. Per il resto, il brano in questione sembra comporsi giusto in una sintesi del metodo, contenendo, nello spirito, se non nella forma, nessuna novità l'università di Chicago". 20 21 22 Op. cit. p. 81 dell'edizione italiana. Op. cit. p. 81 dell'edizione italiana. Per esempio, in Carl Rogers on personal power, cit. p. 16 dell'edizione italiana. 11 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 rispetto alle posizioni del maestro23. Ma la lezione più controversa, credo, è individuabile nella chiosa di queste affermazioni: L'empatia, la congruenza e il riconoscimento positivo incondizionato - senza le competenze di comunicazione e di problem solving qui esposte - sono soltanto concetti effimeri e astratti24 Il senso letterale di questa asserzione si scontra con l'esempio, evidente, della pratica psicoterapeutica centrata sulla persona e, ancora, di altre esperienze formative attuate da Rogers: Utili ... si sono dimostrati dei periodi di training predisposti non solo per preparare dei terapeuti, ma anche per migliorare la "sensibilità" del personale direttivo dell'industria. Tali esperienze rendono le persone capaci di ascoltare con maggiore sensibilità, di cogliere in misura maggiore la complessità dei significati espressi dal partner, con le parole, con i gesti, con gli atteggiamenti e di elaborare più profondamente e liberamente in se stessi il significato di tali espressioni25. Questa pagina di The Interpersonal relationship - un articolo del 1962 toglie, fra l'altro e definitivamente, al metodo alcuna originalità, sebbene non ne intacca il merito. Per quello che interessa il nostro discorso, l'impostazione del passo gordoniano in oggetto, apparentemente, conferisce ad alcune tecniche il potere di dare corpo a puri concetti, mentre la tesi che abbiamo abbracciato è che il valore delle tecniche non appartiene a esse, ma a ciò a cui è possibile rimandino. Le due posizioni si corrono incontro nella specificazione del carattere, ovviamente, induttivo del metodo, che, in quanto tale, non può che procedere dal caso particolare per ricondurlo, in termini di probabilità, a una regola, non rigida, generale- nel nostro caso alla teoria di riferimento. È, forse, il caso di ribadire che l'apprendimento si riferisce a quest'ultima nei termini di una possibile acquisizione di consapevolezza sul modo individuale di essere. Il problem solving, infatti, e le competenze di comunicazione in esso comprese nascono dalla convinzione, di marca deweyana, del valore educativo dell'esperienza come fattore che consente la crescita dell'individuo tramite la sua interazione con l'ambiente; Gordon applica le fasi analizzate e individuate del filosofo statunitense per riflettere sulle modalità della risoluzione dei conflitti di bisogni. Ora, se è utile, ai fini pedagogici, esaminare il comportamento di due o più individui alle prese con la singolarità delle esigenze personali, il senso inverso - la riproduzione volontaria di uno schema risolutivo i contrasti - è d'improbabile applicazione. Il modo più opportuno per intendere il processo di problem solving è identificarne l'essenza nella volontà dell'incontro. Il primo, decisivo, momento, difatti, osserva come indispensabile la reciproca intenzionalità - ciò che fonda ogni incontro. La tecnica, così, smentisce la sua natura nella restituzione della libertà di scelta al nostro interlocutore; tutt'al più, questa e le altre tecniche, se interrogate sull'esito che il modo di essere a cui rimandano può produrre, parlano in termini di probabilità. È, cioè, probabile che, se sono intenzionato a essere onesto nei propositi, pronto a rispettare la volontà - ad essere nell'incontro - dell'altro, nonché le sue esigenze - verso le quali non intendo pormi come prevaricante 23 È imbarazzante l'abbondanza dei riferimenti in tal senso. Mi limiterò, per pigrizia, a rimandare ai già citati Freedom lo learn e al capitolo sull'educazione di Client centered therapy. 24 Good relationships, cit. p. 81 dell'edizione italiana. 25 C. Rogers, The Interpersonal relationship, cit. in La terapia centrata sul cliente, cit. p. 94. 12 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 -, la ragione che motiva quella relazione possa trovare soddisfazione. Che tanto debba avvenire col mezzo dell'esplicitazione o di una dichiarazione d'intenti è un'idea che deve misurarsi con il rischio dell'assunzione di un atteggiamento26. Provando a invertire il punto di osservazione su questa tecnica, facendone un mezzo per studiare ciò che avviene in una relazione, durante un conflitto di bisogni, possiamo distinguere e articolare diverse fasi, che vanno dall'identificazione del bisogno alla verifica dei risultato. Oltre che alla reciproca volontà, è un fatto, per Gordon, difficilmente controvertibile, che l'individuazione dei bisogni rappresenti un passo indispensabile, ma reso non semplice dal salto, che, a volte, è possibile compiere, verso la loro soluzione: "Ho bisogno di una vacanza" è la risposta alla necessità, mettiamo il caso, di riposarsi o distrarsi. Questa indicazione è resa vaga dalla elementare constatazione dell'impossibilità, in un paradigma olistico, di giungere a una norma generale prescrittiva o, sia pure, descrittiva il comportamento e dalla naturale complessità del linguaggio, che muta il senso delle sue proposizioni al variare, per esempio, dei destinatari della comunicazione e del contesto: "Ho bisogno di te", per restare nel campo dell'ovvio, può essere l'espressione di uno stato di necessità, se rivolto a un amico, mentre ci troviamo in panne; o una dichiarazione di sentimenti - non motivata da alcuna emergenza -, se dedicata alla persona che amiamo, davanti al caminetto - un'interpretazione psicologica dei termini adoperati per la comunicazione dei sentimenti, al di fuori di un clima problematico, sarebbe, a mio avviso, niente di più di un ubbia da specialisti. Senza allontanarci, allora, di un solo passo dalle riflessioni precedentemente esposte, il senso dell'individuazione dei bisogni è da riportarsi alla convenienza del contatto con se stessi - sento ciò che voglio o che mi serve e con l'altro - capisco ciò che prova e che cosa gli serve. Allo stesso modo, il rilievo da concedere alle successive fasi del problem solving è, puramente didattico: il brainstorming, citandone una per tutte, trova una sua plausibile spiegazione nel suggerimento a restare aperti all'esperienza, superando la trappola della schematizzazione dei dati del problema - è divertente, in tal senso, notare come uno schema sia funzionale a smentire ogni schema, se stesso compreso. Gordon non è un teorico, gli basta trovare una teoria che spieghi il comportamento, in modo semplice e approssimativamente vicino ai presupposti rogersiani, e per la sua spiegazione dei bisogni cerca riparo all'ombra di Maslow - ciò che, per altri versi, considerando la già dimostrata filosofia di riferimento del modello, offre una pleonastica visione positiva della natura umana. Se siamo in grado di leggere le azioni dell'altro senza interpretarle come l'effetto di una volontà che è avversa o soverchiante le nostre esigenze, è più attuabile l'incontro e probabile la realizzazione della 26 Così, per esempio, Gordon propone di iniziare un confronto sui bisogni: "Ci sono tre modi in cui potremmo risolvere il problema che ci sta affliggendo in questo momento. O io propongo una soluzione e poi cerco di importela, che a te piaccia o meno, oppure tu imponi a me la tua soluzione. In entrambi i casi, viene esercitata un'imposizione. Un terzo modo potrebbe essere quello di non rovinarsi l'esistenza e di limitarsi a sperare che il problema svanisca da sé. Tuttavia è impossibile farti veramente accettare le mie idee più di quanto non possa farlo tu e non credo che il problema possa dissolversi soltanto ignorandolo. Vorrei provare qualcosa di diverso, qualcosa che consenta a entrambi di vincere. Posso parlatene?" Good relationships, cit. p. 5657 dell'edizione italiana. 13 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 ragione che lo rappresenta. Questo il tema di fondo, ma frastornato dal carattere citazionale di una spiegazione che, debordando, occasionalmente, la sua coerenza, prova a integrare una visione umanistica parallela a quella rogersiana: necessariamente, senza coglierne le sfumature e la specialità. Poco male, potremmo dire, o, meglio, meno male che Maslow non è Rollo May. Tuttavia, questo prestito teorico, così utilizzato, lascia inesplorate altre regioni della relazione - il campo, per esempio, della morale -, verso le quali Gordon si addentra con lo scopo puramente allusivo della complessità: dell'uomo, delle sue azioni e dei suoi rapporti interpersonali. Il mondo dei valori è, in tal senso, emblematico di ciò che, nel metodo, resta al di là di ogni analisi, l'orizzonte più facilmente scrutabile e il meno accessibile. Saggiamente, infatti, Gordon si accontenta, nel presentarlo, di una soluzione vagamente definitoria: "un valore è ciò che è di per se meritevole di stima o desiderabile"27, salvo glissare la dimensione etica del "di per sé" a favore di una - supposta ragionevole e condivisibile - base di partenza per una disamina che non evade la corrività di un buon senso andante su ciò che ognuno di noi giudica come opportuno e vantaggioso prezioso - per se stesso: "Si tratta di ... opinioni, valori, concezioni, ideali, credenze, gusti personali e modi di vivere"28. Quello che gli interessa è riflettere sulla pretesa di rendere universali giudizi di questo tipo: "... quanto più i genitori sono certi della giustezza dei propri valori e delle proprie convinzioni tanto più tendono a imperli ai loro figli (e normalmente anche agli altri)"29, affrontando, così, il tema dell'incontro tra orientamenti distanti fra loro, incompatibili o così ritenuti da coloro che li nutrono. Per aiutare a riconoscere le collisioni di valori, viene proposta la loro identificazione per contrasto con i conflitti di bisogni, presupponendone una diversa natura, presentata, però, come una semplice differenza di grado: solo ai secondi, infatti, spetterebbe il potere di avere effetti definiti "concreti e tangibili"30. È una tesi impegnativa. Supponiamo che il valore - della purezza della razza di un nazista non abbia effetti concreti e tangibili su un ebreo, perché questi derivano, in verità, dal suo uso del potere e, quindi, dalle sue azioni: resta da chiedersi da dove o da che cosa procederebbero queste ultime. Il punto di osservazione gordoniano inverte i termini e aggira la questione: che effetti concreti e tangibili può sortire il valore di un uomo ebreo, in un nazista? Le azioni violente di quest'ultimo sarebbero, semplicemente, non legittimamente motivate e, perciò, pretestuose. Non potremmo, in questo esempio, riferirci alle azioni come all'effetto di un bisogno, ottenendo un risultato del genere: la necessità di qualcuno di essere nazista confligge con il bisogno di un qualcun altro di essere ebreo, restando incomprensibile perché un nazista debba agire la sua forza contro un ebreo. In realtà, Gordon è ben consapevole del valore pratico dei valori, quando riconosce che sono questi a " ... far allontanare le famiglie, a sciogliere le amicizie e a indurre le persone a separarsi"31 e l'equivoco, presumibilmente, è 27 Op. cit. p. 61 dell'edizione italiana. T.E.T. cit., p.237 dell'edizione italiana. 29 T. Gordon, P.E.T. Parente Effectiveness training, 1972 (trad. it. Genitori efficaci, Edizioni La Meridiana, Molfetta, 2005, p 155). 30 "Quando sono i bisogni a configgere, esistono effetti concreti e tangibili del comportamento che genera conflitto; al contrario, quando a collidere sono i valori, non c'è alcun effetto reale" Op. cit. p. 62 dell'edizione italiana. 31 Op. cit. p. 61 dell'edizione italiana. 28 14 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 da ricercarsi nell'intento di volere, sia pure a fini esemplificativi, descrivere, distinguendoli nettamente, l'ambito delle idee e quello dei bisogni. Che questi ultimi posseggano un'oggettività che mancherebbe alle prime è una faccenda che, salendo la piramide di Maslow o scendendo per la scala dei valori individuali, risulta opinabile. Il punto è che la risoluzione delle collisioni di valori, come avvisa lo stesso Gordon32, esula dalle possibilità di un metodo e non può essere affrontata da alcuna tecnica - solo per inciso e in termini generali, potremmo notare, in questa sede, come la possibilità morale dipenda, necessariamente, dalla capacità empatica: solo se comprendiamo ciò che sente e prova un altro la nostra condotta ha possibilità di connotarsi in senso etico. Tuttavia, aver creato uno spazio specifico per questo argomento è per nulla una ridondanza quanto una conferma della coerenza interna del modello, perché, come la nostra lettura ha cercato di mostrare, ciò che lo motiva e che ispira la relazione è la filosofia del rispetto profondo, dell'accettazione. Anche le opzioni33 proposte, allora, sono un'ennesima occasione per ripercorrere il tragitto che da noi - immersi nella situazione dell'incontro - conduce a un'ulteriore esame di noi stessi - al nostro modo di essere. Dal "diventare un valido consulente" a "insegnare i valori mediante l'esempio", l'invito è quello di lasciare all'altro la responsabilità del suo cambiamento e di mantenere uno stato di congruenza che ci renda credibili nella trasparenza. Il senso di questa incursione nel mondo delle opinioni conduce a un'altra maniera per definire - e, con questo, dotarlo di una fisionomia più netta - il modello in rapporto ai suoi confini, intendendolo, cioè, alla stregua di varie e ripetute ricognizioni sul luogo dei rapporti umani, effettuate con mezzi, ogni volta diversi. La somma delle informazioni, nonché la diversità delle prospettive così ottenute, non riproducono o rappresentano alcuna verità, facendo affiorare, come elementi stabili, l'impossibilità di tracciare una mappa dei comportamenti umani e l'opportunità di vivere l'incontro nella pienezza dell'essere in esso. Per altri aspetti, quest'area della finestra che - e nella definizione e nella proposta d'intervento - si mostra come la più incerta, riassume, a mio modo di vedere, una lezione interessante: c'è di buono, nel limite, il fatto che rinvia ad altro, rispetto a ciò che contiene; come un abito troppo succinto che mostra più di quanto riesca a coprire. Una delle forze di un percorso formativo di Thomas Gordon risiede, proprio, nella fragilità della sua struttura, più evidente dove maggiore è la sua rigidità, e la scelta di infrangerla coincide con la rinuncia a "fare", a interpretare una parte, a rinchiudersi in un alveo protettivo, ma isolante; perché - e questo è il motivo dominante del modello - l'essere si realizza con gli altri e nell'intenzione di aprirsi al loro mondo. Il teorema che, finalmente, viene dimostrato è quello rogersiano, della fiducia nella saggezza dell'essere!, nella sua volontà di dar un verso al proprio cambiamento, se posto o capace di porsi in un clima che ne favorisca la crescita. 32 "i valori e le concezioni sono difficilmente modificabili ed è anche difficile in caso di conflitto riuscire a trovare una soluzione accettabile" T.E.T. cit., p.237 dell'edizione italiana. " "Diventare un valido consulente"; "insegnare i valori mediante l'esempio"; "adeguarsi in modo da diventare più tolleranti"; "trovare la forza di accettare serenamente", in T.E.T. cit. pp. 245 - 251 dell'edizione italiana. 15 ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007 Bibliografìa J. Dewey (1929). The Quest Por Certainty: A Study of The Relation of Knowledge and Action, (trad. It. La ricerca della certezza: studio del rapporto tra conoscenza e azione,La Nuova Italia, Firenze, 1968. C. Rogers (1951). Client centered therapy, Houghton Mifflin Company, Boston, (trad. 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