ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007
Un modo di esserci
L'efficacia dell'approccio rogersiano nei corsi
Gordon
Giovanni Pulvirenti
Se il risultato di questo approccio alla terapia è una persona che non soltanto
conosce meglio se stessa, ma è anche più capace di affrontare in modo
intelligente nuove situazioni, non si potrebbe auspicare di ottenere un risultato
simile anche nell'istruzione? Carl R. Rogers
È impossibile per me sapere aprioristicamente quali possono essere le soluzioni
migliori per i vostri problemi e ritengo che nessun altro, a parte voi stessi,
possa conoscerle. Penso di potere, tuttavia, fornire un insieme di competenze,
indicare un modus operandi per escogitare autonomamente le soluzioni più
idonee. Thomas Gordon
Il lavoro di Thomas Gordon, sotto il profilo teorico, è contiguo, se non
interamente assimilabile, alla filosofia delle relazioni interpersonali di Carl
Rogers, nei confronti della quale si costituisce come prassi formativa. Muovo
da questo assunto e, al contempo, dal problema che esso, primariamente,
comporta: se, cioè, dichiarata la matrice originaria di ciò che viene anche
definito metodo o modello, questa, esprimendone l'essenza, non ne
presupponga il fine. Si tratta, in altri termini, di porre la questione della sua
contingenza - o del suo grado di necessità -rispetto a una visione del mondo
e dell'uomo che, per la costante e non codificabile apertura all'esperienza,
sembrerebbe esaurire ogni indicazione pedagogica nei suoi stessi postulati e,
quindi, negli esiti particolari cui danno luogo i concetti abbinati di fiducia e
di organismo1.
La giustificazione del percorso ideato da Gordon, così, sembrerebbe dover
attendere alla cernita e al verso delle differenze nei confronti del suo ambito
d'ispirazione, con un'indagine che proceda in relazione alla descrizione del
suo stato e alla definizione dei suoi obiettivi. In tal senso, una enunciazione
che volesse mantenersi prossima alla forma delle affermazioni gordoniane,
potrebbe notare come il metodo si dichiari nella successione di brevi
momenti cognitivi, prevalentemente, mutuati dalla speculazione rogersiana,
e spazi esperenziali, sicuramente, più ampi, che si avvalgono di tecniche
funzionali alla trasmissione o all'accrescimento di abilità comunicative intese
1
In breve, questo è il senso che restituisco alla lettura di C. Rogers, Freedom to learn,
Charles E. Merril Publishing Company, Columbus, Ohio, 1969 (trad. it Libertà
nell'apprendimento, Giunti, Firenze, 1973).
1
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a stabilire relazioni proficue e significative. Se non sbaglio, questa
preposizione esprime un'opinione invalsa e, nondimeno, si rivela attaccabile
da più fronti e con diverse obiezioni.
È lecito, per esempio, osservare che essa restituisce al metodo un senso nei
termini di un'interpretazione del pensiero rogersiano o di una sua
applicazione operativa; le due cose, del resto, non si escludono a vicenda, ma
resta il problema se sia realizzabile o, per altri versi, accettabile la riduzione
di un'ottica sistemica e, perciò, complessa nei limiti e nella linearità di una
struttura chiusa, organizzata intorno a certezze presunte. E, ancora, così
formulato, il processo formativo sembra promuovere una tecné dell'azione
che presenta una frattura insanabile con l'arte, non banausica, di essere se
stessi. "Un modo di agire"2, insomma, in alternativa a "un modo di essere".
Ci troviamo, qui, di fronte e alle prese con una sorta di limes aporetico,
perché solo illusoriamente potremmo ricomprendere i due momenti così
divisi - del fare e dell'essere - all'interno della visione rogersiana, se è vero
che questa guarda all'azione come al movimento naturale della saggezza
dell'essere, che, in quanto vive e significa l'esperienza, sa di sé e apprende
sugli e dagli altri, ritornando dialetticamente sui suoi risultati per nuove
integrazioni di senso. Al contrario, come agire per ..., come fare qualcosa in
vista di... presuppone una concezione parcellizzante la relazione e l'uomo, la
quale, dunque, può considerare solo alcuni dei loro aspetti, costringendoli,
per usare un fraseggio panikkariano, a una non libertà di comportamento che risulterebbe, per così dire, forzato e propedeutico alle attese. L'orizzonte
di questa convinzione è, con tutta evidenza, riduzionistico. Se accettassimo
questa impostazione, ci impegneremmo non tanto a stabilire la coerenza del
metodo gordoniano con quella che abbiamo definito matrice originaria, ma la
sua possibilità all'interno di questa. L'idea, inoltre, che una relazione possa
ottenere efficacia o significatività - qualunque cosa, per il momento, siamo
disposti a intendere con questi termini - dipendentemente dal modo di
esprimerci o dall'osservazione e dalla riproduzione di uno schema
situazionale3 soggiace alla credenza di un principio infallibile di causalità
che, solo, autorizza a un certo grado di predittività. Meccanicismo a parte,
niente di male. Ma Rogers è altrove.
Esprimendoci, insomma, in termini di differenze, il tentativo di illustrare il
rapporto tra Rogers e Gordon evidenzia la difficoltà di forzare il passaggio
fra i due autori: a insistere su questa strada, c'è il rischio di dover ammettere
un intento manipolativo nel trattamento e nell'utilizzo di taluni aspetti della
speculazione rogersiana e, dunque, nel modo di instaurare le relazioni.
Possiamo, invece, tornare sui nostri passi e provare a considerare nulla la
loro distanza, cercando di risolvere, con quello della tempestività del
metodo, il problema di una sua riformulazione coerente con le
2
Così si esprime V. Graziani nell'introduzione alla versione italiana di Thomas Gordon, T.E.T.
Teacher Effectiveness Training, 1974 (trad. it. Insegnanti efficaci, Giunti, Firenze, 1991, p.16).
Vedi, per esempio, i "Messaggi in prima persona" e il "Rettangolo del comportamento", che
costituiscono, ognuno, l'argomento di un modulo e che saranno presi in considerazione più
avanti.
3
Vedi, per esempio, i "Messaggi in prima persona" e il "Rettangolo del comportamento", che
costituiscono, ognuno, l'argomento di un modulo e che saranno presi in considerazione più
avanti.
2
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argomentazioni sin qui condotte.
L'iniziale ammissione della non rilevanza delle novità teoriche del modello
-una premessa che dovrà, comunque, ricevere conferma dall'indagine coincide con un'ortodossia rogersiana che può, a mio parere, consentirci di
assegnargli, sin da adesso e in attesa di dimostrazione, una valenza
formativa giusto nel riconoscimento di un'intenzionalità verso una
comunicazione a livello dei sentimenti4, la quale, perché facilitata, sia
funzionale a un apprendimento sul modo di essere di ogni membro del
gruppo. Meno che per le situazioni riprodotte e, per questo, potenzialmente
afflitte da un tasso più o meno alto di improbabilità, quanto per la
costituzione stessa di un setting formativo, il senso del Gordon riguarda un
modo di essere dei singoli partecipanti, a partire dal fatto di vivere quella
esperienza: un modo di esserci, quindi, emblematico del proprio modo
possibile di essere; che rimanda a ciò che si è in occasione del trovarsi in
quella circostanza.
La costituzione del contesto formativo come abbrivo di una possibile
riflessione su di sé non può che implicare la costruzione di un clima di
fiducia, all'interno del quale poter sperimentare le condizioni rogersiane
fondanti la relazione. Sotto questo aspetto e in accordo con il senso proprio
della sua denominazione, il modello assume, in tal modo, anche una
funzione euristica, ponendosi come una struttura concreta in grado di
riprodurre e verificare alcuni tratti peculiari della teoria relazionale
rogersiana.
Quanto all'attenzione per le modalità espressive, nonché al riferimento a
tecniche comunicative, queste in nulla alludono alla possibilità di orientare la
relazione verso un utile estraneo al contatto con i propri sentimenti del
momento e, se il caso, alla loro trasmissione: perché l'intenzione
all'autenticità significa la relazione - e per tanto la rende efficace -, esse si
sbarazzano della pretesa di porsi come metro o strumento di successo nei
rapporti interpersonali, per divenire il luogo di un indugio sul modo
individuale di dare un nome alle proprie emozioni5. Il rimando alla rilevanza
della forma, cioè, non ne contempla una accezione cristallizzante i
sentimenti e la maniera di esprimerli, bensì allude a un processo dialettico
passibile di continui aggiustamenti compensativi. Tutto il metodo, allora, si
risolve nell'invito a considerare, con l'importanza del contatto, le ragioni che
possono, a volte, inibirlo. L'essere nell'evento, Tesserci, appunto, riguarda le
risorse dell'individuo e il modo più o meno produttivo di senso in cui le
impiega nella sua quotidiana interazione con l'ambiente; con Buber e con
Rogers, Gordon condivide la tesi che il significato dell'esistenza riposa
interamente nel fatto relazionale, dove il linguaggio, non necessariamente,
seppure prevalentemente, verbale svolge un ruolo fondamentale nel
rilevamento e, quindi, nella costruzione di un sapere, da una lato, comune e,
perciò, condiviso, stabilizzato nei significati quanto occorre per consentire la
trasmissione di un parte dell'universo privato di ciascuno e, dall'altro, in
divenire, perché aggiornato dal censimento e dal succedersi dei bisogni e
orientato dall'impiego o dall'evolversi della sfera valoriale.
Ora, seppure il punto d'osservazione sul linguaggio sia, eminentemente,
4
Cfr. Carl Rogers, A Way of being, Houghton Mifflin Company, Boston, 1980 (trad. it. Un
modo di essere, Martinelli, Firenze, 1993, p. 16).
5
"Tutti i messaggi verbali sono codici, equivalenti linguìstici dei nostri sentimenti, non i
sentimenti in se stessi". T.E.T.". cit., p.41 dell'edizione italiana.
3
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psicologico, lo studio logico e formale della costruzione del messaggio
assume un'utile rilevanza didattica, nell'intero edificio gordoniano, la cui
pietra d'angolo considera, in una qualsiasi evenienza comunicativa, la
possibilità schleiermacheriana del fraintendimento come quella che ha la
maggiore probabilità di accadere. Se, infatti, informati da quello che
sappiamo o crediamo di sapere su qualcuno, operiamo una sintesi, un
accomodamento di senso delle sue parole a misura della nostra capacità di
accoglierle in più o meno statiche categorie precomprensive, l'equivoco è non
solo il risultato probabile, ma anche l'ostacolo più ingombrante a una possibile, successiva correzione. Uno schema tipico di fraintendimento è quello
che fa riferimento a premesse certe, o così considerate. Mettiamo il caso di
trovarci in presenza di un mendicante: è possibile che la ricezione di una sua
proposizione del tipo "Non mangio da due giorni" sia corrotta da ciò che
immaginiamo essere la sua reale esigenza, in virtù del nome - mendicante con il quale lo significhiamo. Una nostra risposta del tipo "Ecco, prenda
queste monete" anticiperebbe la sua richiesta in un senso probabile, ma non
certo. Egli, infatti, potrebbe voler informarci di altro, "Non sto bene
fisicamente e ho bisogno di aiuto", oppure "Questo caldo mi toglie l'appetito"
o altro ancora. La premessa assunta per vera - un pregiudizio -, in questo
caso, sarebbe: "ogni barbone che ti ferma per strada vuole denaro". Possiamo
immaginare la stessa situazione in cui l'assunto iniziale sia relativo, poniamo
il caso, al fatto che "chi ci parla di cibo allude alla nostra linea".
All'affermazione "Non mangio da due giorni", risposte del genere "Ammiro la
sua forza di volontà!" o "Vorrei tanto riuscirci anch'io" sarebbero
difficilmente rimediabili e, a secondo dei punti di vista, comiche o
oltraggiosamente indifferenti al nostro interlocutore.
Questo esempio, ancora, può essere utilizzato per indicare quanto la
comunicazione manchi, a volte, la sua direzione, se espressa in modo
ambiguo. Supponiamo che la richiesta del mendicante verta con la sua
esigenza di denaro: l'intento manipolativo e, ovviamente, non diretto della
frase "Non mangio da due giorni" presenta incerte possibilità di ottenere la
soddisfazione del bisogno implicito - sfamarsi. Impiegando una terminologia
rogersiana, la nostra risposta anticipatrice potrebbe rappresentare il frutto,
acerbo, di una mancata attenzione - centratura - al nostro interlocutore o di
un contatto difettoso con noi stessi. O entrambi i casi. Così come la richiesta
del mendicante potrebbe essere indicativa di una sua incapacità assertiva.
Naturalmente, che la verità di queste supposizioni possa trovare più
riscontro in altre ipotesi, qui, non contemplate è irrilevante; piuttosto, la loro
ovvietà poco toglie al fatto che la comprensione di qualcosa non comporti,
necessariamente, la capacità di viverla. È su questa strada, infatti, che la
pertinenza del modello gordoniano inerisce con la sua valenza formativa e
legittima l'altra sua denominazione di metodo: l'evidenza dell'impronta
rogersiana negli input teorici proposti è propedeutica all'esperienza dei
partecipanti, a un loro precipitarsi nella situazione formativa per considerare
se stessi da quella prospettiva.
Prendiamo, per esempio, in esame il rettangolo del comportamento, "un
modo di concepire i rapporti"6 creato da Gordon. L'idea di fondo è che
6
Op. cit., p.41 dell'edizione italiana.
4
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ciascun individuo apra una finestra percettiva su ogni persona con la quale
entra in relazione e l'invito è quello di operare una sorta di epoche,
limitandosi a cogliere giusto il comportamento che gli è dato osservare e,
dunque, dargli o rifiutargli l'assenso. La sospensione del giudizio ammette
l'espressione del nostro livello di gradimento, ma limitatamente alla
sensazione, positiva o negativa, suscitata in noi da un determinato
comportamento7. Essa non si pronuncia sull'essenza della persona che lo
mette in atto e, pertanto, non la designa in alcun modo. Questa procedura
oppone il principio del rispetto profondo agli esiti di un processo
metonimico perverso, per il quale un ruolo, un atteggiamento, una
condizione - la parte - autorizza all'uso di un'etichetta intesa a classificare
l'altro all'interno di precostituite tipologie: la finestra, di volta in volta, si
apre su un solo individuo, considerandone l'irripetibilità, l'unicità e, al
contempo,
esigendone
l'accettazione,
rogersianamente,
positiva;
incondizionata. Che qualcuno possa piacerci o meno è una faccenda che
attiene al nostro gusto o, sia pure, al nostro utile, ma l'indugio nel
considerare il comportamento dell'altro è Io spunto che possiamo decidere di
cogliere per risalire a noi e alle nostre motivazioni all'incontro. Col patrocinio
della teoria della personalità di Carl Rogers, la finestra propone un deciso
digradare della sfera impersonale del si dice verso quella organismica dell'Io
sento.
Di tanto ne è spia un particolare uso del linguaggio. Confessare a qualcuno
il nostro sconcerto per il fatto che non abbia mai ascoltato un pezzo dei Pink
Floyd è diverso dal dargli del somaro. La differenza è quella che passa tra
l'adozione di ciò che Gordon chiama messaggio in prima persona e la pratica
del tu messaggio. Con il primo comunichiamo al nostro interlocutore i
sentimenti che ci agitano e che ci scappa di fargli sapere, magari, a partire da
un suo comportamento; con il secondo protendiamo verso un'attribuzione di
valore. Se la costruzione del messaggio rivelerà la nostra consapevolezza sul
sentimento - stupore - che una particolare e circoscritta condotta o
affermazione ha generato in noi - il mai avvenuto ascolto dei Pink Floyd -,
allora il messaggio sarà autentico. In più, se non condurrà a una sentenza da
passare in giudicato - somaro -, allora sarà rispettoso dell'altro. Il senso di
questa analisi è puramente esplicativo dei principi che ispirano lo schema congruenza, considerazione - e della ragione che lo governa - la messa al
bando di una sommaria classificazione -, ma l'assunzione indiscriminata
della sua pratica può, a mio parere, condurre a un radicalismo di segno
opposto a quello che combatte - l'ossessione del non giudizio. D'altronde,
può essere che dare del somaro a un nostro amico per il fatto che non abbia
mai ascoltato i Pink Floyd sia il modo più naturale per manifestargli la nostra
meraviglia o per recuperarlo a un'importante, per noi, esperienza estetica. È
appena il caso di sottolineare che, in questo caso, la relazione, in virtù del
fatto che esiste, nonché della sua natura, potrebbe non correre seri pericoli solo il nostro amico, dopo tutto, ha il diritto di avere percezioni sull'intento
della nostra ironia ed è molto probabile che gli convenga affidarsi al suo
7
Una lezione efficace, sebbene non originale: "Ciò che è utile esprimere non sono le opinioni
o i giudizi sull'altro, ma i propri sentimenti e le proprie disposizioni" C. Rogers, Carl Rogers
on personal power, Delacorte press, New York, 1977 (trad. it. Potere personale, Astrolabio
Roma, 1978, p. 16).
5
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naso che non allo schema di uno psicologo.
Per questo verso, l'Io messaggio è emblematico del limite di tutte le
tecniche ospitate dal metodo, se concepite come tali: per la cornice in cui si
iscrivono e che accorda nessuna possibilità alla standardizzazione di
persone, situazioni e circostanze e, neppure, al ravvisamento di
caratteristiche o somiglianze relazionali di fondo, esse non sono responsabili
dell'effetto di mete diverse dal puro incontro. In breve, non hanno alcun
valore predittivo. Come tecniche, anzi, rappresentano un paradosso: la loro
semplice applicazione contraddice il principio che le motiva. Il loro potere,
altresì, è allusivo e relativo alla nostra capacità di trascenderle e dar voce alla
sfera della volizione.
Il valore simbolico dell'Io messaggio e della finestra percettiva è nella
rinuncia a intendere la relazione come già data e certamente scrutabile. L'io
si affaccia sul mondo - delle relazioni - e lo costruisce dicendolo, con la
consapevolezza che l'esercizio della parola è un lavoro sempre in corso. Ciò
che dice non riguarda un oggetto osservato ma il senso, provvisorio e
privato, che restituisce alla osservazione di qualcosa; riguarda l'espressione
di una visuale parziale e unica, che non ri produce - crea - ciò che vede, ma
che ri dice - crea - ciò che sente dopo aver visto; riguarda la trasmissione del
proprio punto di vista sull'effetto che una porzione di mondo, in un
determinato momento, gli ha suscitato - cioè, di una parte del proprio
mondo, così come lo rappresenta in un preciso momento, "lo vedo e io sento"
equivale a "lo posso dire ciò che provo, ora, vedendo e sentendo".
L'indicazione di Gordon insiste sulla constatazione che l'aspetto più certo del
sapere su di sé, sugli altri, sul mondo è racchiuso nel riconoscimento del
carattere provvisorio e aleatorio di ogni conoscenza, segnalando come la
possibilità della relazione non possa adagiarsi su alcun precedente o su
alcuna garanzia d'immutabilità.
Fino a queste evoluzioni, il metodo fornisce l'occasione per porre
correttamente le domande su cosa comunichiamo e sul perché. Il passo
successivo interessa il destinatario della nostra comunicazione.
La finestra si apre, nel qui e ora, su un'azione che, insieme al modo in cui è
condotta, rifiutiamo o accettiamo. Qualche volta, la faccenda finisce qui.
Decido di ignorare la richiesta di un uomo che mendica per strada; o gli
porgo del denaro. Quello che mi succede dipende da una mia risoluzione.
Decido, altresì, d'informarmi sulla sua salute, ottenendo una risposta e
avviando, magari, una conversazione. Questo tipo di relazione è il prodotto
di una scelta, che, non importa quanto diversamente motivata, viene
effettuata da entrambe le parti. Il rettangolo traduce, così, la prima delle sei
condizioni rogersiane sotto forma di intenzionalità. Se e solo se entrambe le
parti vorranno incontrarsi, allora si incontreranno. Il passo volontario e
reciproco a essere con - qualcuno - precede e prepara Tesserci, finendo per
coincidervi. L'intenzione, in questa accezione, non collima necessariamente
con la motivazione o l'occorrenza o la casualità dell'incontro, ma,
semplicemente, lo avvera. La tesi è che l'efficacia dei rapporti umani
concerne la realizzazione di un incontro autentico e non giudicante, che
avviene quando ognuna delle parti in causa sente e sceglie di volersi
incontrare.
Tanto sembrerebbe corrispondere più propriamente alla realtà di una
originaria inclinazione verso l'altro, salvo dover considerare le necessità
imposte dalla natura occasionale di alcune relazioni. Si tratta, cioè, di vedere
6
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come l'aspetto intenzionale ci impegni sul piano dell'autenticità e del non
giudizio in circostanze che si mostrano indifferenti nei suoi confronti e,
comunque, non sempre ospitali verso ragioni estranee ai compiti, agli scopi o
agli interessi specifici che determinano alcuni rapporti o loro particolari
momenti. Il legame tra un insegnante e i suoi allievi, per esempio, ha di mira
processi educativi, come quello tra un dirigente e i suoi impiegati è inteso al
profitto dell'azienda; il vincolo di un padre con un figlio, isolandone solo due
aspetti, è sancito da sentimenti d'affetto, ma, pure, gravato da responsabilità
e finalità pedagogiche - nel primo caso, l'essere genitore sembrerebbe
designare una condizione che non patisce i limiti di alcuna indicazione, in
qualche modo, normativa del comportamento; nel secondo, il riferimento del
termine "genitore" parrebbe indicarne giusto il compito.
La questione, in effetti, nonché al modello relazionale di un sistema sociale
dove già "le istituzioni educative primarie ... sono orientale prevalentemente
al controllo"8, demanda allo studio delle sue costanti, da Gordon individuate
nell'assunzione rigida del ruolo e nell'esercizio del potere. Credo che la
dignità del primo, in genere, autorizzi alla pratica e imponga l'accoglienza
dell'altro. La loro funzione è di convalida della condotta di qualcuno in virtù
del suo ufficio, in un ambito che prevede la presenza di altri individui, a loro
volta, definibili sulla scorta delle loro mansioni. "Sono un insegnante che si
trova di fronte ai suoi alunni" è un buon esempio di come può accadere
d'interpretare il senso che, per noi, assume la presenza di qualcun altro, in
modo coerente e confermante il nostro stesso senso: un'argomentazione
chiusa che ha un potere retroattivo per il quale il giustificato giustifica il giustificante. Il ruolo, allora, rappresenta il perché del rapporto - del quale il
potere si prefigura come garante -, indirizzandolo verso un essere su o per qualcuno. Così è per l'insegnante che si rivolge ai suoi allievi: la parte che
interpreta isola un suo aspetto e lo determina per intero, usandogli contro lo
stesso potere del quale lo investe; allo stesso modo, gli allievi solo in quanto
tali possono trovarsi nelle condizioni di subire l'autorità di qualcun altro.
Entrambi gli schieramenti accusano l'alienazione di ciò che più in loro
sussiste - se stessi -, perché il ruolo contiene lo scopo della relazione senza
rappresentarne il valore. Nondimeno, decidere che sia bene o male imporre
qualcosa a qualcuno in vista di un risultato postula una stabilita concezione
del mondo. Controllare e dirigere corrisponde a uno stato di necessità
relativo alla funzionalità dell'individuo e allo scopo della relazione: qui, la
visione dell'uomo come strumento non può che risolverne il significato nelle
sue azioni; il suo fine, allora, gli è esterno, è altro da lui. All'opposto,
l'indirizzo etico della filosofia rogersiana conferisce all'uomo un valore
intrinseco, considerandolo come fine.
Al riguardo, la valutazione e lo specifico di Gordon non oltrepassano le
riflessioni e le proposte del maestro circa il pieno e rivoluzionario
rovesciamento dei concetti di ruolo e di potere nei loro opposti9. Mettere la
8
Peter M. Senge, Il nuovo lavoro del leader, in AA.VV. Leadership (a cura di Gian Piero
Quaglino), Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, p. 31. Cito quest'autore, fra i tanti che, al
riguardo, sostengono una tesi simile alla sua, per l'alto tasso di rogersianità delle sue idee
sulla leadership e, di conseguenza, sui sistemi organizzativi, seguendo i parametri di
un'ottica sistemica e collettiva.
9
La posizione di Gordon, di fatto, è identica alle idee di Rogers esposte, per esempio, nel
capitolo sull'educazione di Client centered therapy, Houghton Mifflin Company, Boston,
7
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relazione per il verso rogersiano equivarrebbe a dire "Sono una persona che,
in questo momento, si trova a insegnare a persone che, nello stesso
momento, sono qui per imparare." Nella sua relativizzazione il ruolo è ancora
la giustificazione per una presenza che, tuttavia, non finisce il suo significato
nel fare - essendo quest'ultimo l'effetto o la manifestazione dell'essere -; e
perché l'incontro s'invera con l'intenzione reciproca - con la scelta -, la sua
collocazione riguarda la sfera della libertà. La realizzazione dello scopo,
pertanto, è affidata alla capacità di trasmetterlo, senza imperlo, e alla
responsabilità di chi collabora ad essa. Democrazia è il termine, non
originale10, adoperato da Gordon per definire le relazioni significative. La
maniera di illustrarlo è, come sempre, estremamente schematica: attraverso i
metodi "uno", "due" e "tre" vengono considerati gli effetti della coercizione
imposta, subita e abolita; il succo è che "più usi il potere per cercare di tenere
sotto controllo gli altri, meno influenza reale avrai sulle loro vite11; il merito è
quello ascrivibile all'intero modello, la costruzione, vale a dire, di un sapere
comune, perché condiviso, che rinuncia alla passività di una acritica adesione
alla teoria, procedendo attraverso essa problematicamente e assimilandola,
infine, con le differenze dei percorsi e delle conclusioni individuali. Qui,
come dappertutto, nella proposta formativa, il momento dell'esperienza si
configura come indispensabile per la rielaborazione e l'auto restituzione del
proprio modo di essere nell'evento formativo. Anche su questo argomento,
infatti, vengono proposte esercitazioni che invitano i partecipanti a
rappresentare una parte: ciò che si accorda a un significativo apprendimento
è il superamento della simulazione a favore dell'esperienza reale di quel
momento, tramite la possibile volontà - la scelta - di essere in quell'evento
che, abbandonando il pretesto per cui nasce, diventa un incontro: autentico,
non giudicante, paritario12.
Sotto la determinazione dell'esserci, qualsiasi rapporto, comunque sia
occasionato, non è più passibile di differenziazioni. La portata di questa
acquisizione investe e rimodella il senso anche di quelle relazioni definite di
aiuto. Per certi versi e in accordo con il punto di vista rogersiano, molti
1951 (trad. It. La terapia centrata sul cliente, La Nuova Italia, Firenze, 1997).
10
" ... per molti anni mi sono affannato a trovare la parola giusta, una che descriva al meglio
le qualità inerenti le relazioni sane. Probabilmente la parola più idonea è proprio
democrazia" Così scrive Gordon in Good relationships. What makes them, what breaks them,
2002 (trad. it. Relazioni efficaci, Edizioni La Meridiana, Molfetta, 2005, p. 55), ma, già nel '51,
in Client centered therapy,cit. trad. it. p. 220, Rogers, saldando il debito di citazione con
Hutchins, si riferiva al metodo educativo affermando che: "... esso è pertinente a quel tipo di
obiettivo che si può approssimativamente definire democratico".
11
T. Cordon, 1989, (trad. it. Né con le buone né con le cattive, Edizioni La Meridiana, Molfetta,
2001, p. 22).
12
Questa conclusione fa in fretta giustizia di un'eccezione concernente l'inverosimilità del
contesto formativo, la sua inadeguatezza nel corrispondere a ciò che avviene o può avvenire
nella vita ordinaria, come se l'ambiente, le circostanze o chissà che altro potessero rendere
irreale ciò che non può non essere reale, in virtù del fatto che accade. L'aver notato questa
obiezione non ha il senso di riconoscerla e contrastarla, ma di porre una linea di confine a
osservazioni affliggenti un discorso sensato sui training Gordon.
8
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007
incontri o loro momenti denunciano la qualità dell'aiuto13, ma pur volendo
trattenere l'attenzione su quelli, esclusivamente o prevalentemente,
connotati dalla presenza di un problema di una delle parti, è necessaria
nessuna avvertenza speciale: la relazione, significando il senso dell'esistenza,
è, di per sé, terapeutica; se essa, infatti, mostra di essere congruente,
trasparente, accettante e reciprocamente intenzionata è il luogo possibile nel
quale qualcuno può scegliere di assistere il processo di empowerment di
qualcun altro. Nella felice opinione che nessun specialista è indispensabile,
Gordon si limita a riversare nel suo modello le condizioni e le convinzioni di
Rogers, perché "ciò che è vero nella relazione tra terapista e cliente può
essere altrettanto vero per un matrimonio, una famiglia, una scuola,
un'amministrazione, nel rapporto fra culture o nazioni diverse"14. Il setting
formativo è, invero, molto distante dal somigliare a quello di un counselling
o, tanto meno, di una psicoterapia, ma, favorendo e accogliendo il confronto
e la comprensione fra individui, assume tutti i presupposti rogersiani, il cui
peso non reclama la loro meccanica applicazione, considera, bensì, la nostra
responsabilità sul modo in cui siamo presenti nell'evento, modo del quale,
ancora, il linguaggio può rivelarsi un importante indicatore.
Gordon chiama "barriere della comunicazione"15 quelle abitudini
linguistiche non facilitanti l'espressione dei sentimenti dell'altro e ostacolanti
un atteggiamento empatico da parte di chi ascolta. A prescindere dalle buone
ragioni che possono spingerci a pronunciarla, una frase, per esempio, del
tipo "Non è il caso di angustiarsi per simili sciocchezze", rivolta,
supponiamo, a un amico accorato, ha alte probabilità di essere recepita come
un ordine - un essere su - e, al contempo, come una sminuizione del suo
motivo di sofferenza, come, cioè, un messaggio che giudica inadeguato, con il
comportamento, l'individuo stesso rispetto a un evento che ci pigliamo la
briga di pesare al suo posto - un essere per. In questo caso, la nostra
disponibilità a restare con lui è, paradossalmente, condizionata, esigendo la
sua sollecitudine a modellare l'espressione dei suoi sentimenti sulle nostre
pretese. Possiamo, senza troppo indugi, definire un simile messaggio come di
non accettazione; una barriera. Nel metodo ne sono elencate ben dodici che,
a una prima scorsa, sembrerebbero comporre una sorta di enoio,
rappresentando, in effetti, la denuncia ferma di un condizionamento
culturale che considera meno la persona quanto la modificabilità del suo
comportamento. Questo conformismo linguistico e sociale investe nel ruolo e
rimanda, per conseguenza, a un codice del rifiuto dell'essere, dove il tu
messaggio palesa il suo potere e la sua valenza giudicante assegnando un
valore sulla base dell'osservazione di ciò che mostra di deragliare o di
uniformarsi al senso e alla condotta comune.
13
La filosofia delle relazioni interpersonali rivela " ... un modo di essere che si addice in ogni
situazione in cui la crescita - di una persona, di un gruppo, di una comunità - è compresa
nelle finalità" A way of being, cit. trad. it. p. 6.
14
Op. cit. p. 6 dell'edizione italiana.
Le barriere individuate da Gordon sono dodici: 1) Ordinare, comandare, esigere; 2)
avvertire, minacciare; 3) Fare la predica, rimproverare; 4) consigliare, offrire soluzioni; 5)
ammonire, argomentare logicamente; 6) giudicare, biasimare; criticare; 7) apprezzare,
concordare; 8) ridicolizzare, ironizzare; 9) interpretare, analizzare; 10) consolare,
rassicurare; 11) indagare, fare domande; 12) eludere, cambiare argomento, fare del
sarcasmo.
15
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007
Questa analisi, tuttavia, trae la sua ragione d'essere solo quando la
relazione è motivata dalla trasmissione e dalla ricezione di un evento critico
o percepito come tale; solo in questo frangente e se accolte come frustranti la
manifestazione dei sentimenti le barriere sono tali: "Le barriere inibiscono la
comunicazione quando qualcuno nella relazione sta vivendo un problema. Se
non ci sono problemi, le barriere hanno solitamente una natura benigna, non
causano cioè alcun problema"16. La chiarezza di questa precisazione rende, a
mio parere, superflua la maniera edulcorata, di forgia non gordoniana, di
descrivere questi esempi di incomunicabilità come "metodi tradizionali di
aiuto", nel timore, forse, di ferire chi li mette in atto o di chiamare le cose col
loro nome. L'ingenuità di una siffatta cautela linguistica sembrerebbe stimare
l'influenza culturale che determina l'uso delle barriere - la sua spiegazione alla stregua di una giustificazione. Il punto è che la valutazione, seppure
benevola e non giudicante, del nostro vissuto non può esentarci dalla
responsabilità, dalla possibilità reale, cioè, di porre rimedio a una
consuetudine, là dove questa ha effetti dannosi per la relazione. Quali che,
allora, siano le radici di questa paura o prudenza, esse non possono che
risultare intempestive, considerando che l'intento di Gordon al riguardo è
relativo non a una prescrizione - sia pure in forma negativa - e a ciò che
questa avrebbe d'implicito - una riprovazione -, ma all'invito ad essere
presenti nell'incontro in assenza di pregiudizi e compiti.
Tutta la teoria delle barriere, in fondo, si rivela essere niente di troppo
distante dalle posizioni rogersiane:
Quello che offriamo è un altro tipo di comprensione ... del tipo: «capisco che cos'è che non va
in te», oppure «capisco cos'è che ti fa agire così». Il tipo di comprensione che in genere
offriamo o riceviamo è una comprensione che valuta dall'esterno. Non c'è da meravigliarsi
che in tal modo si resti lontano dalla vera comprensione. ... così tendiamo a vedere il modo
dell'altra persona dal nostro punto di vista non dal suo. Lo analizziamo e lo valutiamo; non
lo capiamo. Ma quando qualcuno capisce come sento e come penso di essere, senza volermi
analizzare o giudicare, allora sento di potere, in una tale atmosfera, aprirmi a crescere17
L'esserci, insomma, non contempla soluzioni, non giudica o analizza, non
salva; semplicemente, c'è. E, con lo stesso atto del porsi, agisce. Questa,
peraltro, a me pare un convincente illustrazione dell'ascolto. La finestra ne
scandisce, nella sua prima diramazione- l'area in cui l'altro ha un problema,
quella, appunto, delle relazioni di aiuto -, i vari momenti, fornendo
un'elementare teoria della comunicazione e un'abbondanza di mie play ed
esercitazioni sull'applicazione del modello empatico, il cui fine, come al
solito, è trascenderli e verificare, di volta in volta, la propria disposizione
verso l'altro: "Se si è veramente intenzionati a capire ciò che le persone ci
dicono, si può prescindere dai tecnicismi"18. L'empatia, cioè, è una qualità
dell'essere, non una specie di traduttore emotivo delle esperienze o
affermazioni dell'altro. Prepotente, seppure non ingombrante, la presenza di
Rogers. Curioso, a questo riguardo, il fatto che solo raramente19 Gordon, nei
16
Good relationships, cit. p. 83 dell'edizione italiana.
C. Rogers, The Interpersonal relationship, Harvard Educat. Review, 1962 in Carl Rogers, La
terapia centrata sul cliente, Martinelli, Firenze, 1970 p. 93).
17
18
Good relationships, cit. p. 78 dell'edizione italiana.
19
Per esempio, senza spostarci di testo, in op. cit. a p. 22 dell'edizione italiana, Gordon ve ne
fa un velocissimo accenno: "Rogers mi fornì la formazione necessaria per diventare
psicoterapeuta, inizialmente presso l'Università statale dell'Ohio e in seguito presso
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007
suoi scritti, lo citi esplicitamente, mettendosi nella camusiana condizione del
censore che proclama ciò che proscrive. Possiamo, infatti e
paradigmaticamente, riportare un brano di Good relationships, a tal
proposito, illuminante:
tre (i) fattori, che secondo quanto scoperto dai ricercatori David Aspy e Flora Roebuck,
migliorano l'apprendimento, il Ql e la frequenza scolastica degli studenti. Questi tre fattori
sono: l'empatia, la congruenza e il riconoscimento positivo incondizionato, fattori critici
anche per le relazioni interpersonali20.
Questo passo indica, indubitabilmente, la discendenza del metodo dalla
filosofia rogersiana, facendo riferimento ad alcune ricerche per testimoniare
l'efficacia delle condizioni esposte. La coda della proposizione è, forse, il
punto di maggiore rilievo, ribadendo il concetto che la relazione, se è tale, lo
è in qualunque circostanza - perché la filosofia che la ispira prescinde
dall'ambito specialistico; lo riguarda, senza esserne contenuta. Quello che,
invece, viene rivendicato come originale è la presentazione dei
comportamenti tramite i quali questi tre fattori possono tradursi in esperienze concrete.
L'empatia, per esempio, viene dimostrata tramite l'ascolto attivo non giudicante ... il
linguaggio in prima persona è il linguaggio della congruenza perché fa coincidere
l'esperienza interiore con la sua estrinsecazione esteriore, infine, l'ascolto attivo, il
linguaggio in prima persona e il metodo di risoluzione dei conflitti senza perdenti
dimostrano il proprio riconoscimento positivo incondizionato degli altri e di se stessi21.
Questo
passaggio
è
l'esempio
impreciso
di
qualcosa
che,
fondamentalmente, è vero. Sono dell'opinione che l'empatia non possa
soggiacere ad alcuna dimostrazione, rappresentando un modo di essere con
il quale l'azione coincide - è una manifestazione dell'esserci; supporre una
distinzione tra essere empatico e agire empaticamente richiama un nesso
causale incomprensibile, nella filosofia di Rogers. Posso, d'altra parte, essere
empatico con un sorriso o con la sola presenza, con un "non fare" o, in ogni
caso, con un fare assolutamente diverso dall'ascolto attivo non giudicante. La
confusione, probabilmente, nasce dall'uso sinonimico dei termini
atteggiamento e comportamento: se, nel secondo, c'è l'evidenza dell'essere, il
primo, nel disporsi a sembrare o a dimostrare, marca l'insufficienza del
semplice fare rispetto al vivere la situazione - con queste precisazioni,
possiamo, certo, concordare sul fatto che l'ascolto attivo e non giudicante sia
un comportamento empatico. Che, poi, il messaggio in prima persona sia
quello della congruenza è un'affermazione non necessariamente vera: "Tu sei
molto importante, per me" ne è un esempio, fra i tanti, che potrebbe indurci
a stimare efficace non la struttura della trovata gordoniana, ma la ragione
che la sostanzia, descritta da Gordon e, di fatto, già esaurientemente
illustrata da Rogers22. Anche per il riconoscimento positivo incondizionato,
sarebbe preferibile parlare di manifestazione, al posto di dimostrazione. Il
principio che gli sta alle spalle è filosofico, il rispetto, e in quanto tale è
testimoniabile.
Per il resto, il brano in questione sembra comporsi giusto in una sintesi del
metodo, contenendo, nello spirito, se non nella forma, nessuna novità
l'università di Chicago".
20
21
22
Op. cit. p. 81 dell'edizione italiana.
Op. cit. p. 81 dell'edizione italiana.
Per esempio, in Carl Rogers on personal power, cit. p. 16 dell'edizione italiana.
11
ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007
rispetto alle posizioni del maestro23. Ma la lezione più controversa, credo, è
individuabile nella chiosa di queste affermazioni:
L'empatia, la congruenza e il riconoscimento positivo incondizionato - senza le competenze
di comunicazione e di problem solving qui esposte - sono soltanto concetti effimeri e
astratti24
Il senso letterale di questa asserzione si scontra con l'esempio, evidente,
della pratica psicoterapeutica centrata sulla persona e, ancora, di altre
esperienze formative attuate da Rogers:
Utili ... si sono dimostrati dei periodi di training predisposti non solo per preparare dei
terapeuti, ma anche per migliorare la "sensibilità" del personale direttivo dell'industria. Tali
esperienze rendono le persone capaci di ascoltare con maggiore sensibilità, di cogliere in
misura maggiore la complessità dei significati espressi dal partner, con le parole, con i gesti,
con gli atteggiamenti e di elaborare più profondamente e liberamente in se stessi il
significato di tali espressioni25.
Questa pagina di The Interpersonal relationship - un articolo del 1962 toglie, fra l'altro e definitivamente, al metodo alcuna originalità, sebbene non
ne intacca il merito.
Per quello che interessa il nostro discorso, l'impostazione del passo
gordoniano in oggetto, apparentemente, conferisce ad alcune tecniche il
potere di dare corpo a puri concetti, mentre la tesi che abbiamo abbracciato è
che il valore delle tecniche non appartiene a esse, ma a ciò a cui è possibile
rimandino. Le due posizioni si corrono incontro nella specificazione del
carattere, ovviamente, induttivo del metodo, che, in quanto tale, non può che
procedere dal caso particolare per ricondurlo, in termini di probabilità, a una
regola, non rigida, generale- nel nostro caso alla teoria di riferimento. È,
forse, il caso di ribadire che l'apprendimento si riferisce a quest'ultima nei
termini di una possibile acquisizione di consapevolezza sul modo individuale
di essere. Il problem solving, infatti, e le competenze di comunicazione in
esso comprese nascono dalla convinzione, di marca deweyana, del valore
educativo dell'esperienza come fattore che consente la crescita dell'individuo
tramite la sua interazione con l'ambiente; Gordon applica le fasi analizzate e
individuate del filosofo statunitense per riflettere sulle modalità della
risoluzione dei conflitti di bisogni. Ora, se è utile, ai fini pedagogici,
esaminare il comportamento di due o più individui alle prese con la
singolarità delle esigenze personali, il senso inverso - la riproduzione
volontaria di uno schema risolutivo i contrasti - è d'improbabile applicazione.
Il modo più opportuno per intendere il processo di problem solving è
identificarne l'essenza nella volontà dell'incontro.
Il primo, decisivo, momento, difatti, osserva come indispensabile la
reciproca intenzionalità - ciò che fonda ogni incontro. La tecnica, così,
smentisce la sua natura nella restituzione della libertà di scelta al nostro
interlocutore; tutt'al più, questa e le altre tecniche, se interrogate sull'esito
che il modo di essere a cui rimandano può produrre, parlano in termini di
probabilità. È, cioè, probabile che, se sono intenzionato a essere onesto nei
propositi, pronto a rispettare la volontà - ad essere nell'incontro - dell'altro,
nonché le sue esigenze - verso le quali non intendo pormi come prevaricante
23
È imbarazzante l'abbondanza dei riferimenti in tal senso. Mi limiterò, per pigrizia, a
rimandare ai già citati Freedom lo learn e al capitolo sull'educazione di Client centered
therapy.
24
Good relationships, cit. p. 81 dell'edizione italiana.
25
C. Rogers, The Interpersonal relationship, cit. in La terapia centrata sul cliente, cit. p. 94.
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007
-, la ragione che motiva quella relazione possa trovare soddisfazione. Che
tanto debba avvenire col mezzo dell'esplicitazione o di una dichiarazione
d'intenti è un'idea che deve misurarsi con il rischio dell'assunzione di un
atteggiamento26.
Provando a invertire il punto di osservazione su questa tecnica, facendone
un mezzo per studiare ciò che avviene in una relazione, durante un conflitto
di bisogni, possiamo distinguere e articolare diverse fasi, che vanno
dall'identificazione del bisogno alla verifica dei risultato. Oltre che alla
reciproca volontà, è un fatto, per Gordon, difficilmente controvertibile, che
l'individuazione dei bisogni rappresenti un passo indispensabile, ma reso
non semplice dal salto, che, a volte, è possibile compiere, verso la loro
soluzione: "Ho bisogno di una vacanza" è la risposta alla necessità, mettiamo
il caso, di riposarsi o distrarsi. Questa indicazione è resa vaga dalla
elementare constatazione dell'impossibilità, in un paradigma olistico, di
giungere a una norma generale prescrittiva o, sia pure, descrittiva il
comportamento e dalla naturale complessità del linguaggio, che muta il
senso delle sue proposizioni al variare, per esempio, dei destinatari della
comunicazione e del contesto: "Ho bisogno di te", per restare nel campo
dell'ovvio, può essere l'espressione di uno stato di necessità, se rivolto a un
amico, mentre ci troviamo in panne; o una dichiarazione di sentimenti - non
motivata da alcuna emergenza -, se dedicata alla persona che amiamo,
davanti al caminetto - un'interpretazione psicologica dei termini adoperati
per la comunicazione dei sentimenti, al di fuori di un clima problematico,
sarebbe, a mio avviso, niente di più di un ubbia da specialisti. Senza
allontanarci, allora, di un solo passo dalle riflessioni precedentemente
esposte, il senso dell'individuazione dei bisogni è da riportarsi alla
convenienza del contatto con se stessi - sento ciò che voglio o che mi serve e con l'altro - capisco ciò che prova e che cosa gli serve. Allo stesso modo, il
rilievo da concedere alle successive fasi del problem solving è, puramente
didattico: il brainstorming, citandone una per tutte, trova una sua plausibile
spiegazione nel suggerimento a restare aperti all'esperienza, superando la
trappola della schematizzazione dei dati del problema - è divertente, in tal
senso, notare come uno schema sia funzionale a smentire ogni schema, se
stesso compreso.
Gordon non è un teorico, gli basta trovare una teoria che spieghi il
comportamento, in modo semplice e approssimativamente vicino ai
presupposti rogersiani, e per la sua spiegazione dei bisogni cerca riparo
all'ombra di Maslow - ciò che, per altri versi, considerando la già dimostrata
filosofia di riferimento del modello, offre una pleonastica visione positiva
della natura umana. Se siamo in grado di leggere le azioni dell'altro senza
interpretarle come l'effetto di una volontà che è avversa o soverchiante le
nostre esigenze, è più attuabile l'incontro e probabile la realizzazione della
26
Così, per esempio, Gordon propone di iniziare un confronto sui bisogni: "Ci sono tre modi
in cui potremmo risolvere il problema che ci sta affliggendo in questo momento. O io
propongo una soluzione e poi cerco di importela, che a te piaccia o meno, oppure tu imponi
a me la tua soluzione. In entrambi i casi, viene esercitata un'imposizione. Un terzo modo
potrebbe essere quello di non rovinarsi l'esistenza e di limitarsi a sperare che il problema
svanisca da sé. Tuttavia è impossibile farti veramente accettare le mie idee più di quanto non
possa farlo tu e non credo che il problema possa dissolversi soltanto ignorandolo. Vorrei
provare qualcosa di diverso, qualcosa che consenta a entrambi di vincere. Posso parlatene?"
Good relationships, cit. p. 5657 dell'edizione italiana.
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ragione che lo rappresenta. Questo il tema di fondo, ma frastornato dal
carattere citazionale di una spiegazione che, debordando, occasionalmente,
la sua coerenza, prova a integrare una visione umanistica parallela a quella
rogersiana: necessariamente, senza coglierne le sfumature e la specialità.
Poco male, potremmo dire, o, meglio, meno male che Maslow non è Rollo
May. Tuttavia, questo prestito teorico, così utilizzato, lascia inesplorate altre
regioni della relazione - il campo, per esempio, della morale -, verso le quali
Gordon si addentra con lo scopo puramente allusivo della complessità:
dell'uomo, delle sue azioni e dei suoi rapporti interpersonali.
Il mondo dei valori è, in tal senso, emblematico di ciò che, nel metodo,
resta al di là di ogni analisi, l'orizzonte più facilmente scrutabile e il meno
accessibile. Saggiamente, infatti, Gordon si accontenta, nel presentarlo, di
una soluzione vagamente definitoria: "un valore è ciò che è di per se
meritevole di stima o desiderabile"27, salvo glissare la dimensione etica del "di
per sé" a favore di una - supposta ragionevole e condivisibile - base di
partenza per una disamina che non evade la corrività di un buon senso
andante su ciò che ognuno di noi giudica come opportuno e vantaggioso prezioso - per se stesso: "Si tratta di ... opinioni, valori, concezioni, ideali,
credenze, gusti personali e modi di vivere"28. Quello che gli interessa è
riflettere sulla pretesa di rendere universali giudizi di questo tipo: "... quanto
più i genitori sono certi della giustezza dei propri valori e delle proprie
convinzioni tanto più tendono a imperli ai loro figli (e normalmente anche
agli altri)"29, affrontando, così, il tema dell'incontro tra orientamenti distanti
fra loro, incompatibili o così ritenuti da coloro che li nutrono. Per aiutare a
riconoscere le collisioni di valori, viene proposta la loro identificazione per
contrasto con i conflitti di bisogni, presupponendone una diversa natura,
presentata, però, come una semplice differenza di grado: solo ai secondi,
infatti, spetterebbe il potere di avere effetti definiti "concreti e tangibili"30. È
una tesi impegnativa. Supponiamo che il valore - della purezza della razza di un nazista non abbia effetti concreti e tangibili su un ebreo, perché questi
derivano, in verità, dal suo uso del potere e, quindi, dalle sue azioni: resta da
chiedersi da dove o da che cosa procederebbero queste ultime. Il punto di
osservazione gordoniano inverte i termini e aggira la questione: che effetti
concreti e tangibili può sortire il valore di un uomo ebreo, in un nazista? Le
azioni
violente
di
quest'ultimo
sarebbero,
semplicemente,
non
legittimamente motivate e, perciò, pretestuose. Non potremmo, in questo
esempio, riferirci alle azioni come all'effetto di un bisogno, ottenendo un
risultato del genere: la necessità di qualcuno di essere nazista confligge con
il bisogno di un qualcun altro di essere ebreo, restando incomprensibile
perché un nazista debba agire la sua forza contro un ebreo.
In realtà, Gordon è ben consapevole del valore pratico dei valori, quando
riconosce che sono questi a " ... far allontanare le famiglie, a sciogliere le
amicizie e a indurre le persone a separarsi"31 e l'equivoco, presumibilmente, è
27
Op. cit. p. 61 dell'edizione italiana.
T.E.T. cit., p.237 dell'edizione italiana.
29
T. Gordon, P.E.T. Parente Effectiveness training, 1972 (trad. it. Genitori efficaci, Edizioni La
Meridiana, Molfetta, 2005, p 155).
30
"Quando sono i bisogni a configgere, esistono effetti concreti e tangibili del
comportamento che genera conflitto; al contrario, quando a collidere sono i valori, non c'è
alcun effetto reale" Op. cit. p. 62 dell'edizione italiana.
31
Op. cit. p. 61 dell'edizione italiana.
28
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da ricercarsi nell'intento di volere, sia pure a fini esemplificativi, descrivere,
distinguendoli nettamente, l'ambito delle idee e quello dei bisogni. Che
questi ultimi posseggano un'oggettività che mancherebbe alle prime è una
faccenda che, salendo la piramide di Maslow o scendendo per la scala dei
valori individuali, risulta opinabile.
Il punto è che la risoluzione delle collisioni di valori, come avvisa lo stesso
Gordon32, esula dalle possibilità di un metodo e non può essere affrontata da
alcuna tecnica - solo per inciso e in termini generali, potremmo notare, in
questa sede, come la possibilità morale dipenda, necessariamente, dalla
capacità empatica: solo se comprendiamo ciò che sente e prova un altro la
nostra condotta ha possibilità di connotarsi in senso etico. Tuttavia, aver
creato uno spazio specifico per questo argomento è per nulla una
ridondanza quanto una conferma della coerenza interna del modello, perché,
come la nostra lettura ha cercato di mostrare, ciò che lo motiva e che ispira
la relazione è la filosofia del rispetto profondo, dell'accettazione. Anche le
opzioni33 proposte, allora, sono un'ennesima occasione per ripercorrere il
tragitto che da noi - immersi nella situazione dell'incontro - conduce a
un'ulteriore esame di noi stessi - al nostro modo di essere. Dal "diventare un
valido consulente" a "insegnare i valori mediante l'esempio", l'invito è quello
di lasciare all'altro la responsabilità del suo cambiamento e di mantenere uno
stato di congruenza che ci renda credibili nella trasparenza.
Il senso di questa incursione nel mondo delle opinioni conduce a un'altra
maniera per definire - e, con questo, dotarlo di una fisionomia più netta - il
modello in rapporto ai suoi confini, intendendolo, cioè, alla stregua di varie e
ripetute ricognizioni sul luogo dei rapporti umani, effettuate con mezzi, ogni
volta diversi. La somma delle informazioni, nonché la diversità delle
prospettive così ottenute, non riproducono o rappresentano alcuna verità,
facendo affiorare, come elementi stabili, l'impossibilità di tracciare una
mappa dei comportamenti umani e l'opportunità di vivere l'incontro nella
pienezza dell'essere in esso.
Per altri aspetti, quest'area della finestra che - e nella definizione e nella
proposta d'intervento - si mostra come la più incerta, riassume, a mio modo
di vedere, una lezione interessante: c'è di buono, nel limite, il fatto che rinvia
ad altro, rispetto a ciò che contiene; come un abito troppo succinto che
mostra più di quanto riesca a coprire. Una delle forze di un percorso
formativo di Thomas Gordon risiede, proprio, nella fragilità della sua
struttura, più evidente dove maggiore è la sua rigidità, e la scelta di
infrangerla coincide con la rinuncia a "fare", a interpretare una parte, a
rinchiudersi in un alveo protettivo, ma isolante; perché - e questo è il motivo
dominante del modello - l'essere si realizza con gli altri e nell'intenzione di
aprirsi al loro mondo.
Il teorema che, finalmente, viene dimostrato è quello rogersiano, della
fiducia nella saggezza dell'essere!, nella sua volontà di dar un verso al
proprio cambiamento, se posto o capace di porsi in un clima che ne favorisca
la crescita.
32
"i valori e le concezioni sono difficilmente modificabili ed è anche difficile in caso di
conflitto riuscire a trovare una soluzione accettabile" T.E.T. cit., p.237 dell'edizione italiana.
" "Diventare un valido consulente"; "insegnare i valori mediante l'esempio"; "adeguarsi in
modo da diventare più tolleranti"; "trovare la forza di accettare serenamente", in T.E.T. cit.
pp. 245 - 251 dell'edizione italiana.
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ACP – Rivista di Studi Rogersiani - 2007
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