Il Foro Economico di Davos: speranze e timori, di Roberto Vacca, 23/1/2016 La tecnologia è uno dei temi centrali del World Economic Forum quest’anno. Come gestire i cambiamenti della quarta rivoluzione industriale? Taluno nega che la si possa definire. A posteriori definimmo la prima come meccanica e macchine a vapore; la seconda come: elettricità, motori a scoppio e poi nel secolo scorso: aeroplani, aria condizionata e televisione; la terza come: computer, aerospaziale, nucleare, Internet. La quarta è: robot, nanotecnologie, duplicatori in 3D, biotecnologie e genomica, ma, più drammaticamente, invenzioni e innovazioni continue e non più per cicli pluridecennali. Già questo costituirebbe un fattore di crescita. Lo nega l’economista Robert J. Gordon [1]; sostiene che lo sviluppo economico degli ultimi due secoli e mezzo è uno spettacolo senza repliche. Non ne vedremo un altro. La sua tesi è che le 3 rivoluzioni industriali hanno dato più di quel che potevamo desiderare. Non ce ne sarà un’altra. Disoccupazione tecnologica e speculazione finanziaria incontrollata hanno già prodotto 200 milioni di disoccupati. Metà della forza lavoro mondiale sopravvive con un paio di dollari al giorno ed è occupata nell’economia informale. Le invenzioni epocali (irripetibili) hanno portato benefici - e raggiunto limiti invalicabili: velocità dei trasporti, durata raddoppiata della vita, temperatura controllata nelle case, urbanizzazione, ubiquità e velocità delle comunicazioni, lavoro meno stressante. Non ci saranno invenzioni che apriranno settori nuovi. La produttività cresce meno della metà che all’inizio del secolo. La crescita è frenata anche da aumento del numero degli anziani, diminuzione dei livelli di istruzione superiore, ineguaglianza dei redditi, outsourcing, stringenti regole per la protezione ambientale, aumento del debito pubblico. Gordon vaticina: non ci sarà più crescita economica in USA, né altrove, tranne Canada e Svezia (più inventive e meglio gestite), India e Cina inarrestabili, malgrado i loro errori e incertezze. Non sono anticipazioni convincenti. Le rivoluzioni industriali sono state alimentate da scoperte scientifiche e ora la scienza si sta sviluppando con vigore e cooperazione internazionale a livelli mai visti prima. Gordon esprime in cifre il suo pessimismo. Usa come parametro il PIL pro capite USA. Nota che raddoppiò in 28 anni, da 8 k$ nel 1929 a 16 k$ nel 1957 e in 31 anni fino ai 32 k$ del 1988. Visto il rallentamento attuale, conclude che un nuovo raddoppio si avrà solo fra un secolo arrivando a 87 k$ nel 2100. Io ho extrapolato i dati, calcolandone l’equazione di Volterra, e ritengo che fra 100 anni il PIL pro capite USA si fermerà a 83 k$ [v. grafico]. Sono cifre incerte. Questo rallentamento non sarebbe certo una tragedia, anzi segnerebbe ancora un aumento di prosperità. _______________________________________________________. [1] Robert J. Gordon, The Rise and Fall of American Growth: The US Standard of Living since the Civil War, Princeton University Press, 2016. PIL pro capite USA – proiezione fino al 2015 effettuata con equazione di Volterra. L’asintoto di 83.000 $/anno si raggiungerebbe al 2100 La tecnologia moderna offre progetti e produzione di risorse avanzate. Costi e tempi di produzione si riducono. L’economia se ne gioverà, ma con il progresso si creano complessità estreme. Occorrono sistemi di monitoraggio e controllo di vastità enorme. Oggi i sistemi computerizzati governano impianti chimici, centrali termoelettriche ed elettronucleari, reti di energia, sistemi militari finanziari. La gestione non è sempre ottima, nè trasparente. Sarebbero necessari progressi decisivi nell’affidabilità e nella tempestività delle comunicazioni fra macchine e uomo. L’intelligenza artificiale non ce li ha ancora dati.