Capitolo Nono I rapporti etico-sociali Sommario: 1. Introduzione. - 2. La famiglia. - 3. Il diritto alla salute. - 4. La libertà artistica, scientifica e di insegnamento. 1. Introduzione La Costituzione italiana sancisce una serie di diritti sociali (ignorati dallo Statuto Albertino) che si concretano nell’interesse del cittadino ad ottenere determinate prestazioni dall’amministrazione statale in grado di soddisfare i bisogni minimi vitali della collettività e che consentono un progressivo miglioramento della qualità della vita, al fine di garantire a tutti un’esistenza libera e dignitosa. Pertanto, nell’ambito dei diritti e rapporti etico-sociali, tutelati in ambito costituzionale, rientrano: a) i rapporti familiari e tutti quelli relativi allo status giuridico del nucleo familiare, inteso come «società naturale fondata sul matrimonio»; b) il diritto allo studio, alla libertà della cultura ed, in genere, i rapporti relativi al mondo della scuola che si affianca alla famiglia nella formazione della personalità dell’individuo; c) il diritto alla salute che assurge a interesse preminente della collettività per assicurare la salute fisico-psichica dei suoi membri. 2. La famiglia A) Principi costituzionali La Carta costituzionale garantisce ampiamente le formazioni sociali nel cui ambito la personalità individuale può trovare piena esplicazione. La principale e basilare formazione sociale intermedia è senza dubbio la famiglia, che costituisce la prima cellula della società. I diritti della famiglia, come quelli dell’uomo, sono intangibili e di essi la Costituzione tratta negli artt. 29-31, dal cui esame si possono evincere i seguenti principi generali: — il riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ossia come formazione sociale non derivata dallo Stato e dotata, conseguentemente, di ampia autonomia di scelta in ordine alla propria organizzazione interna, pur sempre nei limiti dei principi costituzionali e della conseguente disciplina attuativa; — la libertà di scelta del proprio coniuge; — l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi; 80 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato — la tutela e la garanzia dell’unità familiare; — il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30, comma 1). La Costituzione individua i seguenti obiettivi: — la legge deve provvedere ad assicurare i compiti dei genitori in caso di incapacità degli stessi, perché ignoti, incapaci o defunti (art. 30, comma 2); — la legge deve dettare norme e limiti per la ricerca della paternità (art. 30, comma 4); — la Repubblica deve agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose (art. 31, comma 1); — la Repubblica deve proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti (come, ad esempio, i consultori familiari, istituiti dalla L. 405/1975) necessari a tale scopo (art. 31, comma 2). B) Evoluzione storico-legislativa diritto di famiglia La L. 19 maggio 1975, n. 151 ha radicalmente modificato la disciplina dei rapporti familiari. È caduta ogni discriminazione tra marito e moglie per garantire la completa uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, pur con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare, con riferimento sia ai rapporti morali e patrimoniali fra i coniugi stessi, sia ai rapporti tra genitori e figli. In particolare, con riferimento ai rapporti tra i coniugi, attraverso la L. 151/75: — è scomparsa ogni forma di predominio giuridico del marito sulla moglie. Questa conserva il proprio cognome e vi aggiunge quello del marito; conserva la cittadinanza italiana, salvo espressa rinuncia, anche se per effetto del matrimonio assume una cittadinanza straniera. — è stata abolita la potestà maritale: spetta infatti ad entrambi i coniugi, in egual misura, la determinazione dell’indirizzo della vita familiare e la fissazione della residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa (art. 144 c.c.). Qualora sorga disaccordo, la legge prevede la possibilità di intervento del giudice, il quale, ove sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi, può adottare la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze della famiglia; — entrambi i coniugi, in egual misura, sono tenuti al rispetto dell’obbligo (morale e giuridico) di reciproca fedeltà (art. 143 c.c.); — entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.); — è venuto meno l’istituto della dote; — è stata istituita la comunione legale volontaria dei beni fra i coniugi, i quali godono in comune dei beni acquistati durante il matrimonio e possono anche porre in comunione i beni di cui essi disponevano prima del matrimonio o che ognuno di essi ha acquistato personalmente durante il matrimonio; Per quanto riguarda il rapporto genitori-figli, la citata riforma del diritto di famiglia ha apportato notevoli e significative innovazioni in base alle quali: — incombe ad entrambi i coniugi, in egual misura, l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (art. 147 c.c.); — la potestà patria è stata sostituita dalla potestà parentale sui figli, che spetta in egual misura al padre e alla madre. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza relative all’educazione della prole, ciascuno dei genitori può ricorrere al giudice, che stabilisce i provvedimenti che ritiene utili nell’interesse del figlio a garanzia dell’unità familiare; — è scomparsa la denominazione di «figlio illegittimo», che costituiva un marchio infamante, e si è adottata la denominazione di «figli naturali», per indicare i figli nati al di fuori di un rapporto matrimoniale giuridico. Capitolo Nono - I rapporti etico-sociali 81 Un passo ulteriore sulla strada del riconoscimento della piena parità fra i coniugi nel rapporto con i figli è stato compiuto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, che ha disciplinato l’affidamento condiviso dei figli in caso di separazione dei coniugi, in base al principio per cui, in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti affettivi con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Va, infine, segnalato che con L. 10 dicembre 2012, n. 219 il Parlamento ha modificato le disposizioni del codice civile relative alla filiazione, superando ogni distinzione tra figli legittimi e figli naturali. La legge ha modificato alcuni articoli del codice civile e delle disposizioni di attuazione, delegando inoltre il Governo a operare una complessiva revisione della legislazione vigente, al fine di eliminare ogni residua discriminazione tra figli legittimi, naturali e adottivi, in attuazione di un’articolata serie di principi e criteri direttivi. La legge ha introdotto disposizioni ispirate al principio secondo cui «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico» ed è stata poi attuata con D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 che ha, tra l’altro, introdotto la nuova nazione di «responsabilità genitoriale» in sostituzione di «potestà parentale». C) Il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e il problema dell’aborto La L. 22 maggio 1978, n. 194 ha riconosciuto come oggetto di tutela statale un diritto alla procreazione cosciente e responsabile nonché il valore sociale della maternità, pur tutelando altresì la vita umana dal suo inizio. Poiché, tuttavia, la tutela del concepito può scontrarsi con le esigenze connesse alla tutela della salute della madre, la legge introduce una disciplina di bilanciamento degli interessi in gioco, offrendo il massimo grado possibile di sicurezza sul piano sanitario per le pratiche legate all’interruzione della gravidanza decisa dalla madre o dalla coppia genitoriale. La legge consente alla donna, nei primi 90 giorni della gestazione, di interrompere la gravidanza laddove sussista un serio pericolo per la sua salute fisica e psicologica in relazione alle sue condizioni economiche, sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento. Anche la minorenne può interrompere la gravidanza, prescindendo, con autorizzazione del giudice tutelare, dall’assenso delle persone che esercitano la potestà parentale. La valutazione delle circostanze spetta al consultorio e alla struttura socio-sanitaria competente, che esamina con la donna e, ove questa consenta, con il padre del concepito, nel rispetto della dignità di questi ultimi, le possibili soluzioni dei problemi proposti, rimuovendo per quanto possibile le cause del prospettato aborto. Al termine di questa fase i medici rilasciano una documentazione attestante la richiesta della donna, che può recarsi presso le sedi autorizzate per ottenere l’interruzione della gravidanza. È introdotto, altresì, il diritto alla «obiezione di coscienza» per il personale sanitario contrario all’interruzione della gravidanza. D) La procreazione medicalmente assistita Nell’intento di fornire una soluzione legislativa a questioni che il progresso scientifico aveva da tempo reso attuali, e facendo registrare un netto ritardo rispetto al panorama normativo internazionale e comunitario, la L. 19 febbraio 2004, n. 40 è intervenuta a disciplinare il fenomeno della procreazione medicalmente assistita. Con tale espressione si indicano le tecniche mediche che permettono il concepimento di un essere umano senza la congiunzione fisica di un uomo e di una donna. Ordinamento costituzionale 82 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato La L. 40/2004 consente il ricorso alla sola procreazione di tipo omologo (realizzata cioè utilizzando gameti appartenenti alla stessa coppia che si sottopone al trattamento) e la subordina alla presenza di determinati presupposti: in particolare, può farsi luogo a tale tecnica in caso di accertata sterilità o infertilità della coppia, e qualora non esistano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le relative cause. Quanto alle modalità di svolgimento, la formulazione originaria della legge dispone che le tecniche di produzione degli embrioni non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre (art. 14, comma 2). La descritta disciplina è stata recentemente sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, che ne ha indicato alcuni specifici motivi di incostituzionalità nella sent. 151/2009 sotto un duplice profilo. Per un verso, il divieto di produrre più di tre embrioni per ogni ciclo di fecondazione rende in molti casi necessaria la moltiplicazione dei cicli stessi, poiché non sempre i tre embrioni eventualmente prodotti sono in grado di dar luogo ad una gravidanza. Per altro verso, la salute dell’aspirante madre è messa a rischio anche dall’obbligo di effettuare un unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti. La disciplina si pone dunque, nelle conclusioni della Consulta, in netto contrasto con l’art. 32 Cost., in ragione del serio pregiudizio da essa arrecato alle esigenze di salute della donna; nonché con l’art. 3 Cost. (riguardato sotto il duplice aspetto del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza), nella misura in cui, prescindendo da ogni valutazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone al trattamento, predispone una regolamentazione identica di situazioni tra loro dissimili. Da ultimo, con sent. 162/2014, la Consulta ha bocciato nuovamente la L. 40/2004 in relazione all’art. 4, comma 3, nella parte in cui vieta la fecondazione mediante donatori esterni di ovuli o spermatozoi (cd. fecondazione assistita eterologa) adottata nei casi di infertilità assoluta. La preclusione assoluta di accesso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, secondo la Consulta, introduce un evidente elemento di irrazionalità, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla formazione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute, è stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la ratio legis. In definitiva, viene lesa la libertà fondamentale della coppia di formare una famiglia con dei figli, non potendosi neppure invocare le esigenze di tutela del nato le quali, in virtù delle norme vigenti, devono ritenersi già ampiamente garantite. Conseguentemente, anche l’art. 12, comma 1, recante provvedimenti sanzionatori per chi pratichi la cd. eterologa, è dichiarato incostituzionale. 3. Il diritto alla salute L’art. 32, comma 1, della Costituzione stabilisce che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Capitolo Nono - I rapporti etico-sociali 83 La salute costituisce lo stato di benessere fisico, mentale e sociale, oggetto di specifica tutela da parte dell’ordinamento, che consente all’individuo di integrarsi nel suo ambiente naturale e sociale. Essendo l’indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti costituzionali, la salute costituisce un diritto fondamentale la cui lesione impone il risarcimento del danno a prescindere dalla capacità del danneggiato di produrre reddito (danno biologico). Che la salute costituisca un diritto fondamentale lo si ricava dal fatto che sono garantite cure anche a coloro che non sono in grado di far fronte economicamente ai trattamenti indispensabili. D’altra parte, la salute rappresenta un interesse della collettività, nel senso che trascende il singolo individuo e rientra, invece, nel patrimonio sociale comune. Il dettato costituzionale prevede, in ogni caso, che qualsiasi intervento sanitario, anche a tutela di un interesse fondamentale e collettivo, non può essere imposto se non nei casi eccezionali e tassativi previsti dalla legge né tanto meno degenerare in violenza fisica o, più in generale, nella lesione della dignità della persona (art. 32, comma 2, Cost.). Sul punto, la Corte costituzionale ha affermato che «la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale» (Corte cost. 22-06-1990, n. 307). Quando non si debba tutelare l’interesse alla salute della collettività, dunque, un trattamento sanitario non può essere oggetto di imposizione. La Costituzione sancisce in altri termini il diritto a rifiutare le terapie quale risvolto negativo del diritto alla salute: il difficile bilanciamento tra tutela della vita e autodeterminazione individuale è quindi risolto in favore di quest’ultima. Ciò che viene in rilevo, dunque, è il cd. consenso informato, esito di una scelta spettante al solo paziente ma compiuta con l’indispensabile apporto delle conoscenze mediche, secondo quella che viene definita l’alleanza terapeutica tra medico e paziente. In quest’ambito delicato si inserisce il problema del cd. testamento biologico, cioè la dichiarazione con cui una persona, pienamente capace di intendere e volere, dà disposizioni in merito alle eventuali terapie che desidera ricevere e a quelle che intende rifiutare, nel caso in cui si trovi successivamente in uno stato di incoscienza cerebrale irreversibile in cui non sia in grado di manifestare la sua volontà. Le norme del nostro ordinamento cui fare riferimento sono di sicuro rilievo, ma non molte, vista la difficoltà di un paese di chiara ispirazione cattolica come l’Italia a riconoscere giuridicamente un principio che, nell’opinione di molti, costituirebbe l’anticamera dell’eutanasia. 4. La libertà artistica, scientifica e di insegnamento A) Introduzione L’art. 33, comma 1, Cost. sancisce che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». I termini «arte» e «scienza» devono essere intesi nell’accezione più lata possibile, in modo da abbracciare qualunque manifestazione dello spirito compatibile con l’insegnamento (DE SIMONE). Ordinamento costituzionale 84 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato Secondo la comune accezione, riconosciuta dalla dottrina prevalente, la libertà di insegnamento si specifica nelle ulteriori: — libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo possibile di diffusione; — libertà di professare qualunque tesi o teoria si ritenga degna di accettazione; — libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che appaia opportuno adottare. B) La libertà dell’istruzione e il diritto allo studio Lo Stato garantisce non solo la libertà di insegnamento inteso come attività culturale didattica, ma anche la libera gestione dell’istruzione. Conseguentemente si può affermare (ex art. 33, comma 3, Cost.) che: — lo Stato non ha il monopolio della istituzione di scuole e corsi di istruzione, sia di cultura generale che tecnico-professionale; — chiunque, ente o privato, può istituire scuole, di qualsiasi tipo, per impartire qualunque tipo di istruzione, purché ciò avvenga senza oneri per lo Stato. Ciò significa che lo Stato, come qualsiasi altra autorità pubblica, deve rispettare la libertà di insegnamento e il pluralismo culturale e ideologico della formazione, dell’informazione e, quindi, degli stessi docenti. Tale libertà si esprime sostanzialmente sul piano della didattica, dal momento che le libertà dell’arte e della scienza sono affermate dal Costituente e disciplinate congiuntamente. Invece non è libera, ma legata a precise valutazioni tecniche, la possibilità di parificare le scuole istituite da enti o privati alle scuole gestite dallo Stato (art. 33, comma 4, Cost.). In tal senso, la L. 10 marzo 2000, n. 62 recante norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione afferma che il sistema nazionale di istruzione è costituito da scuole statali e da scuole paritarie private e degli enti locali. Sono scuole paritarie le istituzioni scolastiche non statali, che si uniformano agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da particolari requisiti di qualità ed efficacia individuati dall’art. 1, commi 4, 5 e 6. Tra di essi, ricordiamo: la stipula di un progetto educativo in armonia con la Costituzione e rispettoso degli obiettivi fissati dal Ministero; la pubblicità dei bilanci; l’obbligo di avvalersi di docenti con titolo di abilitazione; l’apertura a tutti gli studenti senza discriminazioni. La Repubblica promuove l’apprendimento in tutto l’arco della vita e assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro. A tal fine, la Repubblica assicura il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni e comunque sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, costituite Capitolo Nono - I rapporti etico-sociali 85 dalle istituzioni scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle Regioni, ivi comprese le scuole paritarie riconosciute (art. 1 D.Lgs. 15 aprile 2005, n. 76). C) L’istruzione scolastica Ulteriore e specifica applicazione della promozione della cultura è sancita negli artt. 33-34 Cost., che disciplinano la materia dell’istruzione scolastica secondo i seguenti principi: — la libertà di insegnamento (art. 33, comma 1), che consiste nella libertà per il docente di esercitare le sue funzioni didattiche, senza vincoli di ordine politico, religioso o ideologico; — l’istituzione di scuole statali per tutti gli ordini e gradi (art. 33, comma 2); — il diritto di istituire, per enti e privati, scuole e istituti di educazione (art. 33 comma 3), senza oneri per lo Stato; — la parificazione delle scuole private con quelle statali per quanto concerne il trattamento scolastico degli alunni (art. 33, comma 4); — l’ammissione per esami ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale (art. 33, comma 5); — il libero accesso all’istruzione scolastica (art. 34, comma 1); — l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore (art. 34, comma 2), che garantisce il raggiungimento di un grado minimo d’istruzione al di sotto del quale si ritiene che l’individuo non sia in grado di partecipare all’organizzazione politica ed economica e sociale del Paese (BARTOLE-BIN); — il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi per i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi (art. 34, comma 3), mediante borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. D) L’istruzione universitaria L’Università, quale centro istituzionale di formazione culturale e di attività di ricerca scientifica, trova il suo fondamento principale nell’art. 9 della Costituzione. D’altra parte, l’art. 33 della Costituzione proclama l’assoluta libertà della cultura in tutte le forme in cui si esprime e l’autonomia delle strutture che alla promozione della stessa e della ricerca scientifica e tecnologica si dedicano. Pertanto, le Università rappresentano il luogo per eccellenza dove si esercita la formazione culturale e dove è consentita la ricerca scientifica in un’autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria che trova riscontro nel dettato costituzionale. L’art. 33 Cost., comma 6, infatti, contiene una previsione che espressamente disciplina le istituzioni di alta cultura, individuandole nelle Università e nelle Accademie, alle quali viene riconosciuto il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti della legge. In particolare, l’inciso del comma 6, «nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato», indica il fatto che le Università, pur costituendo enti autonomi, sono sottoposte a un controllo sistematico da parte dello Stato (RESCIGNO), soprattutto dal punto di vista economico, in ragione di fondi che vengono destinati per il funzionamento e lo sviluppo della ricerca. Ordinamento costituzionale Capitolo Decimo I rapporti economici Sommario: 1. La costituzione economica. - 2. I diritti sociali dei lavoratori. - 3. Tutela legislativa e giudiziaria del lavoro. - 4. Il principio della sicurezza sociale. - 5. Sindacato e diritto di sciopero. - 6. La libertà di iniziativa economica. - 7. Il regime giuridico della proprietà. - 8. Le collettivizzazioni. - 9. La tutela della cooperazione e dell’artigianato. - 10. La tutela del risparmio e la sua effettiva attuazione. 1. La Costituzione economica Le disposizioni riguardanti i rapporti economici (35-47) sono tra quelle più innovative previste dalla nostra Carta fondamentale e che hanno risentito maggiormente dello scontro ideologico e del successivo compromesso tra partiti di sinistra e forze cattolico-liberali presenti nell’Assemblea Costituente. Il Costituente ha delineato un modello di economia mista in cui la libera iniziativa economica va inquadrata nella programmazione predisposta dallo Stato, che partecipa direttamente alla vita economica in veste imprenditoriale (Stato-imprenditore). Tale sistema è fortemente caratterizzato dai principi della solidarietà sociale e dall’idea che la disciplina di ogni libera attività economica debba sempre salvaguardare la persona umana, primario ed inalienabile valore costituzionale. Nella Carta costituzionale si delinea, pertanto, l’ambizioso progetto di una società di uomini non oppressi dal bisogno economico e con uguali possibilità di accesso e di partecipazione alla vita economica e sociale. 2. I diritti sociali dei lavoratori A) Principi costituzionali in materia di lavoro Oltre agli artt. 1 e 4 Cost., che trattano del lavoro come fenomeno sociale caratterizzante la struttura dello Stato, vigono numerose altre norme costituzionali che si occupano della materia. Tra i principi riguardanti in maniera specifica il rapporto di lavoro vanno ricordati: — il principio della tutela del lavoro, che la Repubblica assume come suo compito fondamentale (art. 35, comma 1); — il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36, comma 1); — il diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite (art. 36, comma 3); — l’eguaglianza di diritti fra lavoratori e lavoratrici (art. 37, comma 1); — il principio del contemperamento fra il diritto della maternità, proprio della donna, ed il diritto al lavoro spettante ad essa a parità dell’uomo (art. 37, comma 1, seconda parte); — il principio della parità di retribuzione per il lavoro dei minori, rispetto al lavoro ordinario, e l’esigenza di una tutela legislativa appropriata del lavoro minorile (art. 37, comma 3); — la riserva di legge per determinare la durata della giornata lavorativa e l’età minima per poter svolgere il lavoro salariato (art. 36, comma 2 e 37, comma 2); Capitolo Decimo - I rapporti economici 87 — il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale, riconosciuto a tutti coloro che sono inabili al lavoro (art. 38, comma 1); — il diritto ad ogni forma di previdenza sociale da parte dei lavoratori (art. 38, comma 2); — il diritto all’educazione e avviamento professionale anche per coloro che sono inabili o minorati (art. 38, comma 3). Tra i principi costituzionali riguardanti in maniera specifica la contrattazione collettiva vanno ricordati: — il principio della libertà dell’organizzazione sindacale, (art. 39, comma 1); — il principio della capacità dei sindacati registrati di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alle categorie che essi rappresentano, anche se non iscritti (art. 39, comma 3); — il riconoscimento del diritto di sciopero, anche se non illimitato ma circoscritto nell’ambito delle leggi che lo regolano (art. 40 Cost.). Cosa si intende per giusta retribuzione? Per quanto riguarda, in particolare, il principio della giusta retribuzione, l’art. 36, comma 1 Cost. afferma: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un esistenza libera e dignitosa». Questa norma, nel fissare il concetto di giusta retribuzione, accoglie due principi fondamentali: a) il principio della proporzione fra retribuzione e quantità e qualità del lavoro svolto (principio della retribuzione proporzionata); b) il principio secondo cui la retribuzione deve essere in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa (principio della retribuzione sufficiente o della retribuzione familiare). Per quantificare concretamente il minimo di salario ritenuto «sufficiente» ai sensi della previsione costituzionale, la magistratura, facendo leva sul combinato disposto dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2099 cod. civ., ha conferito efficacia ultrattiva ai contratti collettivi di categoria stipulati dalle organizzazione sindacali, affermando che essi sanciscono il minimo salariale per tutti i lavoratori della categoria, anche se non appartenenti alle organizzazioni sindacali stipulanti. B) Il divieto di discriminazioni in materia di lavoro La parità in materia di lavoro (cioè l’abolizione di ogni forma di discriminazione) è stata prevista dal Costituente espressamente in relazione al sesso. La Costituzione, infatti, all’art. 37 afferma che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. In attuazione di tale disposizione sono stati emanati nel corso degli anni diversi provvedimenti, tutti confluiti nel D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 con il quale è stato approvato il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna il cui art. 27, così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. r), n. 1, D.Lgs. 25-1-2010, n. 5, vieta «qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale». Con D.Lgs. 9-7-2003, n. 216, è stata data attuazione alla direttiva CE 2000/78 in materia di non discriminazione sul luogo di lavoro. L’art. 4, comma 1, del decreto allarga l’insieme degli elementi in base ai quali il lavoratore non può subire disparità, aggiungendo ai motivi politici, religiosi, razziali, di lingua o di sesso, previsti dall’art. 15, comma 2, L. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), quelli di handicap, di età, di orientamento sessuale e di convinzioni personali. Il nostro ordinamento ha, poi, recepito il principio europeo della libera circolazione dei lavoratori dei paesi membri dell’Unione europea e, di conseguenza, la non-discriminazione tra i lavoratori dei paesi aderenti ai trattati. Per quanto riguarda, infine, i cittadini lavoratori di Stati non appartenenti all’Unione europea legalmente residenti nel territorio italiano la legge (art. 2, comma 3, D.Lgs. 286/1998) assicura loro parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai cittadini-lavoratori di Stati appartenenti all’Unione europea. Ordinamento costituzionale 88 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato 3. Tutela legislativa e giudiziaria del lavoro A) Lo Statuto dei lavoratori In materia di tutela del lavoratore ruolo fondamentale riveste la legge 20 maggio 1970 n. 300, cd. «Statuto dei lavoratori», che ha introdotto un pacchetto di norme dirette a garantire il rispetto, da parte del datore di lavoro, del contratto di lavoro e della personalità del lavoratore. I principi più importanti sanciti da tale legge sono i seguenti: — la libertà di opinione del lavoratore, che può essere manifestata liberamente anche nel luogo di lavoro (art. 1); — il divieto per il datore di lavoro di sorvegliare con mezzi occulti (ad es. telecamere) o con personale estraneo alla fabbrica il lavoro dei dipendenti (artt. 2, 3 e 4); — il divieto di condurre accertamenti unilateralmente da parte del datore di lavoro, sulla idoneità e sull’infermità, per malattia o infortunio, del lavoratore dipendente (art. 5); — l’obbligo del datore di contestare preventivamente al lavoratore l’infrazione commessa, prima di comminargli una sanzione disciplinare (art. 7); — il diritto dei lavoratori di svolgere solo le mansioni per cui sono stati assunti, o altre superiori (ma con adeguamento della qualifica e della retribuzione), e il divieto assoluto per il datore di adibirli a funzioni inferiori (art. 13); — il diritto di libera associazione in sindacati e il diritto di svolgere attività sindacale libera, anche all’interno dei luoghi di lavoro (art. 14); — il divieto per il datore di lavoro di sottoporre i lavoratori a trattamenti discriminatori per motivi sindacali etc. (artt. 15 e ss.). B) Il processo del lavoro Con L. 11 agosto 1973, n. 533 (più volte modificata), è stato riformato il processo del lavoro rendendolo più snello e veloce grazie alla concentrazione di tutte le attività processuali di primo grado davanti al Tribunale in composizione monocratica (artt. 409 e ss. cod. civ.). Caratteristiche fondamentali del rito del lavoro sono l’oralità, la provvisoria esecutività delle sentenze e l’esenzione dalla imposta di bollo di registro e da ogni altra spesa da parte del prestatore. Queste regole procedurali tendono a favorire il prestatore di lavoro che, essendo il contraente economicamente più debole del rapporto di lavoro, risente maggiormente della lentezza del nostro apparato giurisdizionale. C) Il Jobs Act e la nuova riforma del mercato del lavoro La disciplina del lavoro è stata negli ultimi decenni toccata da continui interventi di modifica. Nonostante le diverse riforme, tuttavia, anche a causa della grave fase di recessione in atto nel Paese, alla fine del 2013 la disoccupazione ha raggiunto livelli elevatissimi. L’ultimo intervento in ordine di tempo è rappresentato dal cd. Jobs Act, varato dal Governo presieduto da Matteo Renzi. Il Jobs Act consta di due distinti provvedimenti, il D.L. 20-3-2014, n. 34, cd. decreto Poletti, conv. in L. 16-5-2014, n. 78, e la legge delega approvata il 4-12-2014, con cui si intende attuare una pluralità di misure che complessivamente persegue ulteriormente il modello europeo della flexicurity (TREU, ICHINO). In particolare, il Governo è stato delegato a predisporre, attraverso uno o più decreti legislativi, una riforma organica dell’ordinamento del mercato del lavoro, intervenendo su diversi istituti, alcuni peraltro già recentemente modificati e innovati (ammortizzatori sociali, servizi per il lavoro e le politiche attive, procedure di costituzione e gestione dei Capitolo Decimo - I rapporti economici 89 rapporti di lavoro, istituti a tutela della genitorialità per favorire migliori opportunità di conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari). La delega più importante concerne, comunque, la revisione delle tipologie contrattuali di lavoro allo scopo di renderle maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo. Verrà introdotto il contratto a tutele crescenti, in cui sono destinati a confluire, in massima parte, i rapporti di lavoro a tempo indeterninato che si costituiranno in futuro. Tale nuova tipologia contrattuale segna il definitivo abbandono della tradizionale forma di protezione dei lavoratori subordinati, costituita dalla tutela prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (in caso di licenziamento ingiustificato si applica la reintegrazione nel posto di lavoro) ed il passaggio ad un sistema di protezione sul mercato, con una prevista maggiore efficienza dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro. 4. Il principio della sicurezza sociale L’art. 38, coerentemente con i fini dello Stato sociale, prevede l’attuazione concreta del «principio della sicurezza sociale», in base al quale l’autorità statale deve tutelare la dignità dell’uomo nelle situazioni di bisogno: — garantendo a tutti i cittadini i mezzi per l’esistenza in vita; — tutelando la salute mediante servizi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie; — rimuovendo tutti quegli ostacoli, economici e sociali, che impediscano lo sviluppo della persona e la sua effettiva partecipazione alla vita pubblica. Il canale principale di tutela è costituito dall’assistenza sociale, ossia il sistema normativo e organizzativo finalizzato a prevenire o eliminare, tramite aiuti materiali e spirituali, le situazioni di carenza e di bisogno che affliggono l’esistenza sia di singoli che della comunità. Ulteriore forma assistenziale è costituita dalla previdenza sociale, ossia quel complesso di norme e attività che hanno quale fine la tutela della persona da quegli eventi che possano colpire negativamente la sua capacità di prestare lavoro. La Repubblica, pertanto, non si limita a svolgere un’attività di mediazione a favore di tali categorie per il principio di solidarietà collettiva, ma si impegna in prima persona nelle funzioni di assistenza e previdenza; ciò spiega l’obbligatorietà degli istituti di legislazione sociale e dell’imputazione, a carico dei datori di lavoro e dello Stato, di una parte dei costi previdenziali, precedentemente sostenuti unicamente dai lavoratori. Si delinea così, un articolato sistema di sicurezza sociale in grado di offrire assistenza ai cittadini inabili al lavoro e agli indigenti, la cui dignità sociale va così salvaguardata. La sicurezza sociale, dunque, costituisce anche il mezzo per realizzare la libertà dallo stato di bisogno per la cui soddisfazione occorrono iniziative specifiche preordinate a prevenire e rimuovere le situazioni di bisogno (CINELLI). Tra gli aspetti del sistema di sicurezza sociale ciò che incide sulla sostenibilità del debito pubblico è sicuramente il problema pensionistico che consente a chi presenta i requisiti legali di godere di un trattamento adeguato alle sue esigenze di vita (Corte cost. 502/2002). A partire dagli anni Novanta, sono stati introdotti nel sistema previdenziale italiano elementi più marcatamente contributivi, relazionati all’ammontare delle contribuzioni versate, al fine di limitare al minimo la spesa pubblica sia innalzando l’età pensionabile che l’anzianità contributiva. Tali scelte si sono rese Ordinamento costituzionale 90 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato necessarie a causa del crescente invecchiamento della popolazione italiana, per cui, mentre il numero dei pensionati aumenta costantemente, si assiste alla diminuzione di coloro che, invece, versando i contributi, lavorano e mantengono l’intero sistema. 5. SIndacato e diritto di sciopero A) Il sindacato Il sindacato è una associazione, libera e spontanea, di lavoratori, o anche di datori di lavoro, costituita al fine di tutelare gli interessi professionali dei propri appartenenti. L’art. 39 della Costituzione sancisce al 1˚ comma il principio della libertà di organizzazione sindacale che comprende: — la libertà di costituire anche più sindacati per una medesima categoria, salvo alcuni divieti stabiliti per categorie particolari (magistrati, Forze armate etc.); — la libertà per i singoli di scegliere fra i vari sindacati esistenti, oppure di non aderire ad alcuno di essi; — la libertà dall’ingerenza statale per quanto attiene all’organizzazione ed all’attività dei sindacati; — la libertà di esercitare i diritti sindacali e di fare propaganda sindacale anche all’interno dei luoghi di lavoro (purché non si arrechi danno al datore di lavoro). L’art. 39 Cost. dispone, inoltre, che ai sindacati non può essere imposto altro obbligo oltre a quello della registrazione presso uffici centrali o periferici. A seguito di tale registrazione, ad essi è attribuita personalità giuridica e capacità di stipulare, attraverso rappresentanze unitarie, contratti collettivi con efficacia erga omnes. Unica condizione per la registrazione è che i sindacati adottino un ordinamento interno a base democratica. Poiché il legislatore ordinario non ha ancora provveduto ad attuare la norma costituzionale, il sistema previsto dall’art. 39 non ha sino ad oggi trovato applicazione. Attualmente, quindi, i sindacati non sono registrati e non hanno personalità giuridica; conseguentemente al pari dei partiti politici essi agiscono come associazioni non riconosciute (enti di fatto), secondo le norme previste al riguardo dal codice civile (artt. 36 ss). Tra le molteplici funzioni svolte dai sindacati sicuramente una delle più importanti è quella relativa alla contrattazione collettiva. I contratti collettivi di lavoro sono quei contratti destinati a regolare il rapporto di lavoro per una generalità di soggetti, stipulati da associazioni di categoria dei lavoratori (CIGL, CISL, UIL ecc.) e dei datori di lavoro (Confindustria etc.). I contratti collettivi attualmente in vigore sono i cd. contratti collettivi «di diritto comune» (così detti per distinguerli da quelli previsti dalla Costituzione), i quali, come tutti i contratti, hanno efficacia soltanto fra le parti che li stipulano; quindi, se stipulati da un sindacato, vincolano solo i lavoratori ad esso iscritti, e non gli altri. Comunque, al fine di evitare disparità di trattamento, si è estesa l’efficacia dei contratti di diritto comune, almeno per quanto riguarda la determinazione della retribuzione, a tutti i lavoratori della categoria interessata, attraverso il dettato del combinato disposto dell’art. 36 Cost. con l’art. 2099 cod. civ. B) Il diritto di sciopero Il principale strumento di lotta sindacale, volto al soddisfacimento delle rivendicazioni dei lavoratori, è lo sciopero. Lo sciopero si concreta nell’astensione concertata dal lavoro per la tutela di un interesse professionale collettivo e rappresenta una forma di autotutela, riconosciuta e Capitolo Decimo - I rapporti economici 91 garantita dalla Costituzione. Tale riconoscimento non implica, però, che il suo esercizio sia illimitato. Infatti, la stessa Costituzione stabilisce che «lo sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano» (art. 40 Cost.). L’abuso di tale strumento di lotta ed il suo uso spregiudicato con grave pregiudizio dei cittadini (spesso privati senza alcun preavviso di servizi pubblici essenziali) hanno determinato l’emanazione della L. 12 giugno 1990, n. 146 recante norme per garantire il funzionamento dei servizi pubblici essenziali (modificata ed integrata dalla L. 11 aprile 2000, n. 83). 6. La libertà di iniziativa economica A) Il significato dell’art. 41 Cost. L’art. 41 Cost. consacra la libertà di iniziativa economica privata (e pubblica) e cioè la libertà di intraprendere un’attività economica e di organizzare le risorse umane e materiali necessarie per svolgere tale attività. La libertà d’iniziativa economica privata, così come ­quella pubblica, non è né illimitata, né incontrollata in quanto: — il comma 2 dell’art. 41 dispone che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla libertà, sicurezza e dignità umana; — il comma 3, a sua volta, dispone che il legislatore debba fissare i programmi ed i controlli opportuni affinché l’attività economica pubblica e privata possa essere utilizzata e coordinata a fini sociali. Si ritiene che i programmi ed i controlli non debbano sopprimere l’iniziativa individuale, ma solo tendere ad indirizzarla e condizionarla (Corte cost. sent. n. 78/1970). B) La libera concorrenza e l’autorità garante La libertà di iniziativa economica deve essere riconosciuta ad ogni individuo, nel senso di negare ogni pretesa di esclusiva a vantaggio dell’imprenditore che per primo abbia assunto una nuova iniziativa economica. La libertà di iniziativa economica è, cioè, tutelata solo se esercitata in forma di leale concorrenza, con esclusione di tutte quelle pratiche che possano creare distorsioni del mercato e pregiudizio per i consumatori (intese e pratiche concordate fra imprese, abusi di posizione dominante, operazioni di concentrazione). Perché ciò possa realizzarsi, tuttavia, lo Stato deve garantire una struttura concorrenziale del mercato mediante interventi regolativi che correggano le disfunzioni del mercato: la tutela della concorrenza è, infatti, oggi espressamente ricompresa nelle competenze esclusive del legislatore statale ai sensi dell’art. 117 Cost. In Italia la disciplina antitrust (con notevole ritardo rispetto agli altri Stati membri della Comunità europea) è entrata in vigore con L. 10 ottobre 1990, n. 287, che vieta tutte le pratiche che abbiano per effetto od oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune. È stata, inoltre, istituita un’Autorità garante della concorrenza e del mercato cui è demandato di vigilare sul rispetto della normativa antitrust, con ampi poteri di istruttoria e decisionali per il mantenimento ed il ripristino di condizioni di concorrenza effettiva. Essa ha, altresì, poteri consultivi in ordine alle iniziative Ordinamento costituzionale 92 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato legislative o regolamentari nonché ai problemi riguardanti la concorrenza ed il mercato e deve segnalare al Parlamento ed al Governo ogni eventuale distorsione determinata da norme di legge o di regolamento, o da provvedimenti amministrativi di carattere generale. 7. Il regime giuridico della proprietà L’art. 42 Cost. dispone che la proprietà è pubblica o privata e indica i soggetti che possono essere titolari del diritto di proprietà, cioè Stato, enti e privati. L’art. 42, al comma 2 afferma che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi d’acquisto, di godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. L’art. 42, comma 3, prevede l’istituto dell’espropriazione che si ha in tutte quelle ipotesi in cui il godimento del bene sia in tutto o in parte sottratto, per finalità di pubblico interesse, al titolare del diritto. Quanto ai presupposti, l’espropriazione può essere decretata nei soli casi previsti dalla legge per motivi di interesse generale, cioè per importanti ragioni di pubblica utilità. Gli interessi in questione devono avere un minimo di concretezza attuale (Corte cost. sent. n. 90/1966). Infine, l’art. 42 dispone che la proprietà può essere espropriata solo dietro indennizzo, la cui entità è stata a lungo oggetto di vivaci discussioni in dottrina e in giurisprudenza. 8. Le collettivizzazioni La legge, ai sensi dell’art. 43 Cost., può, per fini di utilità generale, riservare originariamente o trasferire, tramite espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, a enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, imprese attive nel campo dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia, ovvero operanti in situazioni di ­monopolio e che abbiano carattere di preminente interesse generale. Queste operazioni si definiscono collettivizzazioni. L’affermarsi del primato della concorrenza a livello europeo e l’inefficienza dimostrata negli anni dalla gestione dei servizi pubblici da parte di imprese pubbliche, hanno portato, negli ultimi venti anni del secolo scorso, ad una privatizzazione delle imprese pubbliche. 9. La tutela della cooperazione e dell’artigianato L’art. 45 Cost. disciplina l’impresa cooperativa e l’impresa artigiana, che sono forme peculiari dell’organizzazione produttiva. La norma tutela, in particolare, «la cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata». La tutela sancita dall’art. 45 è rivolta solo alle cooperative caratterizzate da mutualità e assenza di fini di speculazione privata, cioè alle società cooperative nelle quali sia consentito a chiunque l’accesso (cd. principio della porta aperta) e sia garantita la pariteticità della partecipazione degli aderenti (cd. principio dell’una testa un voto), salvo il generale limite dell’economicità della gestione (NIGRO). Quanto alla tutela dell’impresa artigiana, ne è discussa in dottrina la ratio: per taluni, si tratterebbe di un’ipotesi di tutela di una forma di produzione debole (BERTOLINO - SPAGNUOLO - VIGORITA); per altri, invece, la tutela avrebbe per fondamento l’esigenza di proteggere una particolare ipotesi di piccola impresa, momento di articolazione del tessuto produttivo ed elemento anch’essa di democrazia economica (NIGRO). 10. La tutela del risparmio e la sua effettiva attuazione A) Il risparmio e l’azionariato popolare L’art. 47 Cost. incoraggia il singolo e le famiglie al risparmio e incentiva il risparmio popolare, includendo fra i compiti della Repubblica quello di favorire il suo accesso alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e Capitolo Decimo - I rapporti economici 93 indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese, ciò al fine di rallentare o combattere (in un’ottica democratica) la formazione del grande capitale. Per consentire l’accesso anche alla proprietà delle grandi imprese (società per azioni), la Repubblica incoraggia l’investimento dei piccoli azionisti (azionariato popolare). A tal fine: — ha istituito un organo indipendente di garanzia e controllo, la Consob, cui sono affidati rilevanti poteri pubblicistici a tutela della trasparenza delle informazioni fornite dalle società aperte al pubblico risparmio (quotate in borsa o diffuse), di corretta gestione dei mercati e di disciplina delle attività degli intermediari finanziari; — ha introdotto una specifica disciplina che regola gli appelli al pubblico risparmio, prevedendo per le operazioni di investimento (offerte pubbliche di sottoscrizione e/o vendita) un regime di maggior protezione del risparmiatore rispetto alle operazioni di disinvestimento (cd. O.P.A., offerte pubbliche di acquisto e/o scambio); — ha vietato le pratiche speculative (insider trading) tese a favorire gli investitori istituzionali o quelli più forti a scapito del singolo che accede a questo difficile e pericoloso mercato. B) La tutela del credito L’art. 47 Cost., a tutela del piccolo risparmiatore e/o imprenditore, detta una serie di principi connessi all’esercizio del credito ed all’intermediazione bancaria. La rilevanza assunta dall’attività bancaria — ossia l’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e di erogazione del credito — anche se non giustifica la sua qualificazione come funzione pubblica o pubblico servizio, comporta che essa sia oggetto di una particolare attenzione da parte dello Stato. Ciò determina il necessario assoggettamento del settore bancario ad una serie di controlli politico-amministrativi, destinati ad assicurare il rispetto dei principi di cui all’art. 47. Gli organi cui sono affidati tali controlli sono: a) il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR); b) il Ministro dell’Economia e delle Finanze; c) la Banca d’Italia. In particolare, la Banca d’Italia esercita la vigilanza sull’attività bancaria al fine di perseguire gli obiettivi di sana e prudente gestione degli intermediari, della stabilità complessiva, dell’efficienza e della competitività del sistema, dell’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Alla Banca d’Italia spetta anche il compito di promuovere e tutelare la concorrenza, pur tenendo sempre conto dell’esigenza di garantire la solidità del sistema bancario e finanziario. Ordinamento costituzionale Capitolo Undicesimo I rapporti politici Sommario: 1. Premessa. - 2. Il diritto di voto. - 3. I partiti politici. - 4. Le primarie. - 5. I sistemi e le formule elettorali. - 6. La legge elettorale. - 7. La riforma elettorale in discussione: il cd. Italicum. - 8. Il diritto di petizione popolare. - 9. La parità di accesso alle cariche elettive. - 10. I doveri inderogabili. 1. Premessa L’articolo 1 della Costituzione italiana stabilisce che l’Italia è una Repubblica democratica. La democrazia è quella forma di governo che consente un’attiva partecipazione del popolo alla vita politica del Paese. Secondo lo stesso articolo 1, la sovranità spetta al popolo, che la esercita nei modi e nei limiti della Costituzione. Il popolo, per quanto ne sia l’unico titolare, non esercita di regola la sovranità in modo diretto, esprimendo cioè la propria opinione su ogni questione (democrazia diretta), ma in modo indiretto, eleggendo dei propri rappresentanti con il compito di fare gli interessi proprio partito. L’Italia è, quindi, prevalentemente una democrazia rappresentativa, anche se, soprattutto attraverso i referendum, il popolo è chiamato a decidere in prima persona questioni di grande impatto sociale. Nel nostro ordinamento, così come in tutti gli altri sistemi democratici, per scegliere i propri rappresentanti si ricorre all’intermediazione dei partiti, formazioni sociali in grado di orientare le attività e le scelte politiche dei cittadini. 2. Il diritto di voto A) Il corpo elettorale Il corpo elettorale costituisce l’insieme degli individui dotati della cittadinanza e del diritto di elettorato attivo (MAZZIOTTI DI CELSO, SALERNO). Conseguentemente dal corpo elettorale vanno distinti i concetti di popolo, cioè l’insieme dei cittadini italiani, indipendentemente dall’essere o meno titolari del diritto di voto, e di popolazione, cioè l’insieme indifferenziato degli individui presenti sul territorio italiano. In questo senso, rientrano nel concetto di corpo elettorale anche i cittadini italiani residenti all’estero cui la L. cost. n. 1/2000 ha riconosciuto il diritto di partecipazione politica. B) L’elettorato attivo La capacità di votare, vale a dire di esprimere la propria volontà politica attraverso il voto, si definisce elettorato attivo. Data l’importanza del voto nelle moderne democrazie, la Costituzione italiana ne disciplina la titolarità e le modalità d’esercizio all’art. 48. Capitolo Undicesimo - I rapporti politici 95 In particolare, al comma 1 si prevede che possono essere elettori coloro che sono in possesso dei seguenti requisiti positivi: 1. la cittadinanza italiana; 2. la maggiore età, vale a dire il 18° anno di età (per il Senato tale requisito è elevato a 25 anni). Il comma 4, invece, stabilisce che il diritto di voto può essere limitato solo in presenza dei seguenti requisiti negativi: 1. incapacità civile; 2. effetto di sentenza penale irrevocabile; 3. casi di indegnità morale indicati dalla legge. In particolare, in base all’art. 2 D.P.R. n. 223/1967 (da ultimo modificato con D.Lgs. n. 5/2006) non sono elettori: — coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all’art. 3 L. n. 1423/1956, come da ultimo modificato dall’art. 4 della L. n. 327/1988, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi; — coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o alla libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell’art. 215 c.p., finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi; — i condannati all’interdizione perpetua dai pubblici uffici; — coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata. C) Caratteri del voto L’art. 48 prevede che tutti i cittadini, uomini e donne, sono elettori e che il voto è personale ed eguale, libero e segreto: il suo esercizio costituisce un diritto politico, ma anche un dovere civico. Da tale disposizione si ricavano i seguenti principi: — suffragio universale («tutti i cittadini»): per cui l’ammissione al voto non può essere subordinata a condizioni di carattere economico o culturale come si verificava, invece, fino alla riforma elettorale del 1912; né possono sussistere discriminazioni di sesso: in Italia il voto alle donne è stato concesso soltanto nel 1946, e poi riaffermato come diritto inviolabile, in seguito al riconoscimento dell’eguaglianza tra i sessi affermata nella Costituzione; — personalità del voto: unico modo per votare nel nostro ordinamento è quello di recarsi personalmente alla sezione elettorale e di segnare di proprio pugno e segretamente la scheda. Tale caratteristica conosce un’eccezione in seguito all’approvazione della legge sul voto degli italiani all’estero (L. 27-12-2001, n. 459, di attuazione dell’art. 48 Cost. come modificato dalla L. cost. 1/2000). L’art. 1, comma 2, di tale legge, infatti, stabilisce che gli elettori appartenenti alla circoscrizione estero (vale a dire i cittadini italiani residenti all’estero) possono esercitare il loro diritto di voto anche per corrispondenza. La legge elettorale, inoltre, consente agli elettori fisicamente impediti di farsi assistere nella cabina elettorale da altro elettore, volontariamente scelto come accompagnatore ed iscritto nelle liste elettorali Ordinamento costituzionale 96 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato di qualsiasi Comune della Repubblica. Particolari facilitazioni sono previste per i degenti in luoghi di cura e per i marittimi imbarcati o in navigazione. Inoltre, il D.L. n. 1/06, conv. con modif. dalla L. 27 gennaio 2006, n. 22, modificata dalla L. 7 maggio 2009, n. 46, ha previsto che l’elettore affetto da gravissime infermità, tali da impedire l’allontanamento dall’abitazione in cui dimora anche con l’ausilio dei servizi di cui all’art. 29 della L. n. 104/92 (accompagnamento al seggio con trasporto pubblico dell’Amministrazione) e l’elettore che si trovi in condizioni di dipendenza continuativa e vitale da apparecchiature elettromedicali, deve far pervenire tra il quarantesimo ed il ventesimo giorno antecedente la data della votazione, al Sindaco del Comune nelle cui liste elettorali è iscritto, una dichiarazione in carta libera attestante la volontà di esprimere il voto presso l’abitazione in cui dimora indicandone il completo indirizzo. Alla dichiarazione deve essere allegato un certificato medico rilasciato dal funzionario medico, designato dalla competente ASL con data non anteriore al quarantacinquesimo giorno antecedente la data della votazione, da cui risulti l’esistenza di infermità fisica; — eguaglianza del voto: sono esclusi i voti plurimi riservati a determinate categorie di persone (es.: elettori laureati che possono votare due volte) ed i voti multipli (consentire ad alcuni elettori di votare in più circoscrizioni); — segretezza del voto: stabilita a tutela della libertà del voto, per garantire l’elettore da possibili pressioni esterne. A tale proposito, l’art. 1 del D.L. 1° aprile 2008, n. 49, conv. dalla L. 30 maggio 2008, n. 96, prevede che nelle consultazioni elettorali o referendarie è vietato introdurre all’interno delle cabine elettorali telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini; — libertà del voto: per il principio di libera manifestazione delle proprie idee, deve essere concesso ad ogni elettore la facoltà di attribuire il proprio voto a chi ritenga più opportuno, senza coazioni di sorta; — non obbligatorietà del voto: l’art. 48, comma 2, Cost. stabilisce che l’esercizio del diritto di voto costituisce «dovere civico». L’infelice e fuorviante espressione costituzionale rappresenta una delle più oscure formule di compromesso raggiunte in sede costituente, dettata forse dalla necessità di accontentare in qualche modo coloro che sostenevano l’obbligatorietà morale del voto. Con il D.Lgs. 534/1993 è stato abrogato l’art. 115 del D.P.R. n. 361/1957 che sanciva l’iscrizione in un elenco esposto per 30 giorni nell’albo comunale e la menzione «non ha votato» nel certificato di buona condotta, in quanto giudicato una grave e illegittima interferenza con la libertà di opinione politica. D) L’elettorato passivo L’elettorato passivo consiste nella capacità di ricoprire cariche elettive. Possono, tuttavia, sussistere situazioni, previste dalla legge, che impediscono l’eleggibilità, per cui, qualora il candidato venga eletto, l’elezione è invalida e inefficace. Si parla in tal caso di ineleggibilità. Si parla, invece, di incompatibilità quando l’eletto si trova in una situazione per la quale, se vuole conservare la carica validamente assunta, deve rinunziare ad altra carica incompatibile con la prima. Per il principio di coincidenza tra elettorato attivo e passivo, di regola chiunque è elettore è, a sua volta, anche eleggibile. Per l’appartenenza alla Camera dei deputati, tuttavia, l’età non può essere inferiore a 25 anni, per il Senato a 40. Capitolo Undicesimo - I rapporti politici 97 E) Ineleggibilità Le ipotesi di ineleggibilità alla Camera dei deputati sono individuate dal D.P.R. 361/1957 (T.U. delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati) e successive modifiche, cui l’art. 5 del D.Lgs. 533/1993 fa rinvio per l’elezione del Senato. In base all’art. 7 del suddetto T.U., sono ineleggibili: — i Presidenti delle Giunte provinciali; — i Sindaci dei Comuni con più di 20.000 abitanti; — il capo e il vice capo di polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza; — i capi di Gabinetto dei Ministeri; — i Prefetti, i vice Prefetti e i funzionari di pubblica sicurezza; — gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello Stato nella circoscrizione del loro comando territoriale. Secondo la modifica introdotta dall’art. 9 della L. 459/2001 tali cause di ineleggibilità sono riferite anche alla titolarità di analoghe cariche, ove esistenti, rivestite presso corrispondenti organi in Stati esteri. In base agli artt. 8 e 9 sono, invece, ineleggibili: — i magistrati, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori, nelle circoscrizioni sottoposte totalmente o parzialmente alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura; — i diplomatici, i consoli, i vice-consoli, gli ufficiali, retribuiti o no, addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri, tanto residenti in Italia quanto all’estero, e tutti coloro che abbiano impiego da Governi esteri. In base all’art. 10 sono ineleggibili coloro che hanno determinati rapporti di natura economica con lo Stato. Infine, in base all’art. 7 della L. 11 marzo 1953, n. 87, anche i giudici della Corte costituzionale non possono essere candidati nelle elezioni politiche. F) Incompatibilità L’incompatibilità designa quella situazione per cui una medesima persona non può ricoprire contemporaneamente due cariche. Chi si trova in tale condizione deve optare per l’una o l’altra, altrimenti è lo stesso ordinamento che lo fa automaticamente decadere da una delle due cariche. Pertanto l’incompatibilità, a differenza della ineleggibilità, non impedisce la regolare elezione ad una carica: impone solo una scelta fra la nuova carica e quella già ricoperta. Così, ad esempio, la Costituzione stabilisce che sono incompatibili la carica di deputato e quella di senatore (art. 65). È inoltre incompatibile con lo status di parlamentare l’assunzione delle seguenti cariche: Presidente della Repubblica (art. 84 Cost.), membro del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104 Cost.), membro di un Consiglio o di una Giunta regionale (art. 122 Cost.), membro della Corte costituzionale (art. 135 Cost.), membro del Parlamento europeo (art. 5bis, L. 18/1979 aggiunto dalla L. 78/2004), membro del CNEL (art. 8, L. 936/86), membro di assemblea legislativa o di organo esecutivo, nazionali o regionali, in Stati esteri (art. Ordinamento costituzionale 98 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato 1bis, L. 60/53 aggiunto dalla L. 459/2001 sul voto degli italiani all’estero), qualsiasi altra carica pubblica elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi alla data di indizione delle elezioni o della nomina popolazione superiore a 5.000 abitanti (art. 13, D.L. 138/2011 conv. con modif. in L. 148/2011). Da ultimo, va segnalato il D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 che prevede, fra l’altro, le seguenti incompatibilità con la funzione di parlamentare: — gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali, se la funzione di parlamentare è stata esercitata nell’anno precedente (art. 8, comma 3); — gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali e gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello nazionale, regionale e locale, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo (art. 11, comma 1); — gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale, unitamente con l’assunzione, nel corso dell’incarico, della carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo (art. 12, comma 2); — gli incarichi di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e di commissario straordinario del Governo (art. 13, comma 1); — gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo, di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale (art. 14, comma 1). G)Incandidabilità Differenti dall’ineleggibilità e incompatibilità sono le ipotesi di incandidabilità recentemente approvate dal D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 che ha dettato un riordino della disciplina per quanto concerne le fattispecie inerenti le Regioni e gli enti locali e ha previsto (finalmente) i casi riguardanti i parlamenti e coloro che ricoprono incarichi di governo. In particolare, non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a: — pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’art. 51, commi 3bis e 3quater, c.p.p.; — pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, commessi dai pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione; Capitolo Undicesimo - I rapporti politici 99 — pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, ex art. 278 c.p.p. Allo stesso modo, coloro che si trovano in tali condizioni non possono ricoprire incarichi di governo. L’accertamento dell’incandidabilità comporta la cancellazione dalla lista dei candidati. L’incandidabilità derivante da sentenza definitiva di condanna per tali delitti decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso non è inferiore a sei anni. Qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata successivamente e prima della proclamazione degli eletti si procede alla dichiarazione di mancata proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile. Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione. Nel caso in cui il delitto che determina l’incandidabilità o il divieto di assumere incarichi di governo è stato commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al man dato elettivo, di parlamentare nazionale o europeo, o all’incarico di Governo, la durata dell’incandidabilità o del divieto é aumentata di un terzo. H)Il voto degli italiani residenti all’estero L’art. 48 Cost. è stato modificato dalla L. cost. 17-1-2000, n. 1, che ha inserito un nuovo comma dopo il secondo, riconoscendo ai cittadini italiani residenti all’estero l’esercizio del diritto di voto. La norma dispone che la «legge stabilisce i requisiti e le modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero e ne assicura l’effettività». A questo scopo istituisce una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere. Il secondo tassello della procedura volta a consentire il voto agli italiani all’estero è stato aggiunto con la L. cost. 23-1-2001, n. 1, con la quale si è provveduto all’effettiva individuazione del numero dei deputati e dei senatori che appartengono alla neo istituita circoscrizione Estero. Attraverso una modifica degli artt. 56 e 57 della Costituzione, alla nuova circoscrizione della Camera sono stati attribuiti 12 deputati mentre a quella del Senato 6 senatori. Tuttavia affinché gli italiani all’estero potessero effettivamente esercitare il loro diritto di voto mancava ancora un altro passaggio. L’istituzione della circoscrizione estero comportava, infatti, l’approvazione di una legge che stabilisse sia le concrete modalità di svolgimento di tali consultazioni, sia una nuova suddivisione delle circoscrizioni nazionali per tener conto del diminuito numero di parlamentari eletti in Italia. Tale legge è stata approvata soltanto sul finire del 2001 (L. 27 dicembre 2001, n. 459, recante norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero) e ha stabilito, insieme con il suo regolamento di attuazione, il D.P.R. Ordinamento costituzionale 100 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato 104/2003, le disposizioni di applicazione per consentire un effettivo esercizio del diritto di voto agli italiani residenti fuori dal nostro Paese. 3. I partiti politici A) Nozione Sono associazioni di persone con comuni ideologie e interessi che, attraverso una stabile organizzazione, mirano ad esercitare un’influenza sulla determinazione dell’indirizzo politico del paese. Il loro fondamento costituzionale si rinviene nell’art. 18, secondo cui «i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». L’art. 49 dispone, inoltre, che «tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». B) Divieti I partiti politici non possono: — assumere la forma di «associazione segreta», né presentare carattere di organizzazione militare, per l’espresso divieto dell’art. 18 Cost.; — assumere simboli o contrassegni che possano confondersi con simboli altrui o che riproducano immagini religiose; — riorganizzare, sotto qualsiasi forma, il disciolto partito fascista (disp. trans. XII Cost.); — annoverare tra i loro iscritti (ex art. 98 Cost.) le seguenti categorie di cittadini: 1. i militari di carriera in servizio permanente effettivo; 2. gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria; 3. i magistrati; 4. i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero. C) Il finanziamento pubblico dei partiti I partiti politici per svolgere la loro attività necessitano di una certa disponibilità economica, che copra le spese di organizzazione, propaganda ecc. I finanziamenti provengono dalla quota di iscrizione al partito e da finanziamenti privati. Il sistema del finanziamento pubblico è stato rivisto ad opera della L. 3-6-1999, n. 157. Rispetto al passato, almeno formalmente, i partiti italiani non sono più finanziati dallo Stato, ma ricevono un rimborso per le spese sostenute durante le campagne elettorali. A tale scopo sono stati istituiti quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare: Senato, Camera, Consiglio regionale e Parlamento europeo. Tale legge è stata più volte modificata soprattutto al fine di ridurre l’importo del finanziamento ritenuto eccessivo e mal gestito. Capitolo Undicesimo - I rapporti politici 101 In particolare, attraverso la L. 6-7-2012, n. 96 è stato previsto il dimezzamento dei finanziamenti. La L. 96/2012 prevede, inoltre, la decurtazione del 5% dei finanziamenti a quei partiti che non garantiscano un’adeguata rappresentanza di donne in lista, il che accade se il numero dei candidati del medesimo genere sia superiore ai due terzi del totale (art, 1, comma 7). Per concorrere al contributo i partiti e i movimenti politici devono aver conseguito almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati o almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo alle elezioni per il rinnovo del Parlamento, dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, dei consigli regionali o dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano. Tale importo è suddiviso in misura eguale in quattro fondi, uno per ciascuna elezione. Per ogni fondo, a ciascun partito o movimento politico spetta un rimborso massimo proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione. Di non poco conto è l’introduzione della norma che prevede per l’accesso ai contributi l’obbligo per i partiti e movimenti politici di dotarsi di un atto costitutivo o di uno statuto pubblici, da trasmettere in copia ai Presidenti delle due Camere entro 45 giorni dalla data di svolgimento delle elezioni. Tale statuto deve essere conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti (art. 5, comma 1). È stata, infine, istituita la Commissione per la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti e dei movimenti politici, composta da 5 magistrati (1 designato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, 1 dal Presidente del Consiglio di Stato, 3 dal Presidente della Corte dei conti), cui è affidato il compito di controllare i rendiconti dei partiti. Da ultimo, con D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. con modif. in L. 21 febbraio 2014, n. 13, il Governo ha dettato una nuova e importante riforma. In particolare, l’art. 12 prevede la possibilità per i cittadini di destinare ai partiti il 2 per mille delle proprie dichiarazioni dei redditi. Tuttavia, le quote non espressamente indicate restano allo Stato e non vengono ridistribuite. L’art. 10 del decreto fissa anche in 100 mila euro l’anno la somma che può essere destinata alle formazioni politiche, con una detrazione fiscale del 26% per importi compresi tra 30 euro e 30 mila euro annuo. È consentito, infine, ai partiti di finanziarsi anche con sms o iniziative simili (art. 13). 4. Le primarie Il dibattito sulla democraticità interna dei partiti e sulla possibilità di un più saldo raccordo tra eletti ed elettori si è ulteriormente sviluppato negli ultimi anni, concentrandosi soprattutto sulla scelta dei candidati da presentare agli elettori. Con l’introduzione della formula delle elezioni primarie, si consente ai cittadini di incidere direttamente sulla scelta del leader e, conseguentemente, dei candidati da presentare alle consultazioni elettorali e sottrae, seppur parzialmente, tale scelta alle segreterie di partito. Ordinamento costituzionale 102 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato Le primarie sono tipiche del sistema statunitense, dove si ricorse ad esse già ai primi del Novecento per scegliere i candidati che i partiti presentano alle consultazioni per il Parlamento. Le primarie hanno così facilitato un più intenso raccordo tra la gente ed i candidati, limitando la possibilità dei partiti di imporre i propri uomini. Negli Stati Uniti, però, i partiti sono delle semplici compagini elettorali, istituzionalmente privi di ideologie radicali, che riconoscono nel modello americano il migliore possibile. In Italia, invece, sono presenti partiti con radicate tradizioni storiche e precisi riferimenti ideologici, capaci di sottoporre i propri candidati ed eletti ad una rigida disciplina e di operare capillarmente su tutto il territorio nazionale. Per quanto la diversità strutturale italiana costituisca una potenziale incognita circa la capacità delle primarie di conferire maggiore legittimità democratica ai candidati che si presentano alle elezioni il loro utilizzo si è diffuso anche in Italia, sebbene quasi esclusivamente nelle forze politiche di centro-sinistra (da ultimo va ricordata l’elezione del 15 dicembre 2013 di Matteo Renzi a Segretario del Partito Democratico). 5. I sistemi e le formule elettorali I sistemi elettorali possono definirsi come quel complesso di regole e di procedure che: — determinano le modalità con cui gli elettori esprimono il loro voto; — concedono ai partiti presentatisi alle elezioni la rappresentanza parlamentare; — dettano le modalità con cui i voti vengono tradotti in seggi. È comunque importante distinguere tra formula elettorale e sistema elettorale. La prima riguarda solo il meccanismo di traduzione dei voti in seggi; il secondo concerne anche la ripartizione delle circoscrizioni, la disciplina dell’informazione politica, della propaganda elettorale etc. Tre sono le formule elettorali che possono evidenziarsi: 1. a maggioranza assoluta (majority): richiedono la maggioranza assoluta (50% + 1) dei suffragi espressi per l’attribuzione del seggio. Esse operano in circoscrizioni cosiddette uninominali, nelle quali cioè viene eletto un solo candidato. Difficilmente si ricorre a tali formule allo stato puro, perché esse possono produrre situazioni di stallo, nelle quali nessun partito o candidato riesce a raggiungere il quorum necessario per aggiudicarsi il seggio in palio; 2. a maggioranza relativa (plurality): anch’esse operano in circoscrizioni uninominali e richiedono la maggioranza relativa per l’assegnazione del seggio; 3. proporzionali: si propongono di assicurare a ciascun partito un numero di seggi rapportato alla sua forza politica e alla distribuzione effettiva degli elettori su tutto il territorio nazionale. Consentono, inoltre, un’adeguata rappresentanza delle forze politiche minoritarie che, invece, i sistemi maggioritari tendono a penalizzare. 6. La legge elettorale Il sistema elettorale adottato in Italia per l’elezione del Parlamento non è indicato nella Carta costituzionale, che demanda alla legislazione ordinaria il compito di disciplinare tale materia. Il sistema elettorale italiano è disciplinato dalla L. 21-12-2005, n. 270 (anche definita Porcellum dal politologo Giovanni Sartori dopo che il suo principale relatore Roberto Calderoli l’aveva giudicata «una porcata») i cui punti qualificanti sono: Capitolo Undicesimo - I rapporti politici 103 — la suddivisione del territorio nazionale in 27 circoscrizioni per l’elezione della Camera e 20 per il Senato. L’attribuzione dei seggi si realizza su base proporzionale in ragione delle percentuali di consensi ottenute da partiti e coalizioni su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato; — il premio di maggioranza, che assicura alla coalizione vincente 340 seggi alla Camera, qualora non li abbia già ottenuti. Al Senato opera, invece, un premio di coalizione regionale, in virtù del quale la coalizione che ottiene più voti in una Regione potrà disporre di almeno il 55% dei seggi attribuiti a quella Regione; — le soglie di sbarramento. Alla Camera partecipano alla ripartizione dei seggi le coalizioni con almeno il 10% dei consensi, i partiti non collegati con almeno il 4% ed i partiti che, nell’ambito di una coalizione, ottengono almeno il 2%. È, inoltre, previsto che partecipi al riparto dei seggi anche la lista che, nell’ambito di una coalizione, ha ottenuto il miglior risultato pur non superando il 2%. Al Senato le soglie di sbarramento sono il 20% per le coalizioni, l’8% per i partiti non coalizzati e il 3% per i partiti facenti parte di una coalizione (o dell’8% se la coalizione non ha raggiunto il 20% dei consensi); — le liste bloccate. Sulla scheda elettorale è consentito apporre un solo segno, sul simbolo della lista prescelta: in tal modo entrano in Parlamento i candidati in ordine di lista; — il deposito da parte dei partiti che si candidano a governare, contestualmente al deposito del contrassegno, del programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica; — la sottoscrizione delle liste presentate. Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi, né per i partiti o gruppi politici collegati con almeno due altri partiti o gruppi politici e che abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo; — la tutela delle minoranze linguistiche, le cui liste nelle Regioni a statuto speciale possono accedere al riparto dei seggi qualora superino la soglia del 20% dei voti validi. Ai partiti ed ai gruppi politici rappresentativi delle minoranze linguistiche, inoltre, nel caso abbiano ottenuto almeno un seggio alla Camera o al Senato alle precedenti elezioni, non è richiesta alcuna sottoscrizione all’atto della presentazione delle liste. Da ultimo, va segnalato come la Corte costituzionale con sent. 1/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza (sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione. La Consulta ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali «bloccate», nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza. 7. La riforma elettorale in discussione: il cd. Italicum All’indomani della sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la L. 270/2005, il Parlamento ha proceduto all’esame del disegno di legge, scaturente dall’accordo dei leaders dei due maggiori partiti italiani PD e Froza Italia, riguardante l’approvazione di una nuova legge elettorale. La nuova legge elettorale (cd. Italicum), ancora all’esame del Parlamento, non prevede norme per l’elezione del Senato, in considerazione della sua annunciata abrogazione. In particolare, i punti qualificanti l’Italicum, che costituisce un sistema elettorale proporzionale, sono: — un premio di maggioranza per chi supera il 37%: al fine di garantire una governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente, bisogna superare la soglia del 37% dei voti; Ordinamento costituzionale 104 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato — il doppio turno se nessuno supera la soglia del 37%: in particolare, i primi due partiti o coalizioni si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (non sono calcolati i deputati eletti all’estero); — una soglia di sbarramento: 4,5% per i partiti in coalizione, l’8% al di fuori, 12% per le coalizioni; — l’impossibilità di esprimere preferenze: resta il cd. sistema delle liste bloccate, non potendo gli elettori esprimere preferenze; è questo uno dei nodi che dovrà essere sciolto alla luce della sentenza 1/2014 che dichiara l’incostituzionalità delle liste bloccate; — la presentazione di liste paritarie: le liste dei candidati dovranno garantire la presenza di uomini e donne al 50% ma senza alternanza obbligatoria. Le liste potranno avere fino a due uomini di seguito. 8. Il diritto di petizione popolare Con l’esercizio di tale diritto i cittadini portano a conoscenza del Parlamento determinate situazioni o necessità, chiedendo alle Camere di esaminarle e di provvedervi attraverso lo strumento legislativo (art. 50 Cost.). Ciascuna Camera, ricevuta una petizione, può tenerne conto, archiviarla o abbinarla ad un eventuale progetto di legge sulla stessa materia o invitare il Governo a presentare un disegno di legge sul medesimo oggetto. Il diritto di petizione può essere esercitato più facilmente dell’iniziativa legislativa popolare, perché: — spetta a tutti i cittadini, anche se non iscritti nelle liste elettorali; — non richiede particolari formalità, eccettuata l’autenticazione della firma del proponente; — può essere esercitato da una singola persona o da gruppi di persone; — non richiede la formulazione di un disegno di legge vero e proprio, come invece è previsto per l’esercizio dell’iniziativa legislativa popolare. 9. La parità di accesso alle cariche elettive In base all’art. 51 Cost. tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere alle cariche elettive. Nonostante il principio solennemente affermato dall’art. 51 della Carta costituzionale sulla parità tra i sessi nell’accesso alle cariche elettive, la realtà dimostra che tale uguaglianza è ben lontana dall’essersi realizzata: ancora oggi, nel Parlamento eletto nel 2008, la percentuale della rappresentanza femminile risulta inferiore al 20%. Il lungo iter del principio di pari opportunità ha trovato completa attuazione con la L. cost. 30 maggio 2003, n. 1 che introduce un nuovo periodo al primo comma dell’articolo 51 Cost. Riprendendo quanto affermato nella prima parte del comma («Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e Capitolo Undicesimo - I rapporti politici 105 alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge»), il periodo aggiunto recita: «A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Con tale modifica si è fornita la copertura costituzionale per l’adozione di provvedimenti legislativi ad hoc che possano incentivare la partecipazione femminile alla vita pubblica, superando le obiezioni mosse in precedenza dalla Corte costituzionale. 10. I doveri inderogabili Per «doveri inderogabili» si devono intendere quei doveri dal cui adempimento nessun soggetto può essere esentato in quanto espressione del principio di solidarietà. Il richiamo a tali doveri contenuto nell’art. 2, comma 2, Cost. si collega al principio dell’uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3, comma 2, Cost. Entrambe le norme impongono ai singoli di contribuire alla crescita democratica della società, soprattutto attraverso attività che abbiano un’utilità sociale nelle quali possa concretizzarsi il valore della solidarietà. Tra i doveri inderogabili di solidarietà politica menzionati nell’art. 2 della Costituzione si inserisce: a) il dovere di difesa della Patria. In particolare, il comma 1 dell’art. 52 definisce tale dovere come «sacro» non connotandolo però di alcun significato religioso, dovendosi invece intendere laicamente quale condivisione del nucleo fondante dei principi intangibili da parte dei cittadini. In questo senso la difesa della Patria può essere adempiuta anche con forme di solidarietà nei confronti della comunità diverse dal servizio militare armato. Il dovere di difesa della Patria si traduce, ex art. 52, comma 2, nell’obbligo di prestare il servizio militare nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge (D.P.R. 237/1964). Con la L. 15-12-1972, n. 772 (abrogata e sostituita dalla L. 8 luglio 1998, n. 230), introducendo un servizio civile sostitutivo, ha riconosciuto l’obiezione di coscienza quale diritto dell’individuo che, contrario all’uso delle armi, non accetta l’arruolamento delle Forze armate, preferendo impegnarsi in attività socialmente utili, così come riconosciuto in un primo momento dalla Corte costituzionale con sent. 164/1985. Con L. 14-11-2000, n. 331 è stato, quindi, introdotto il servizio militare professionale e sospeso il servizio di leva obbligatoria (attuato con L. 23-8-2004, n. 226), per cui il servizio civile sostitutivo si è trasformato nel servizio civile nazionale (istituito dalla L. 6-3-2001, n. 64 e attuato con il D.Lgs. 5-4-2002, n. 77) che offre la possibilità ai giovani di ambo i sessi, di età compresa fra i 18 e i 28 anni, di dedicare un anno della propria vita ad attività sociali. La normativa richiamata ha subito un’importante riorganizzazione ad opera del D.Lgs. 15-3-2010, n. 66, recante il Codice dell’ordinamento militare. In particolare, si è proceduto all’abrogazione delle citate leggi 230/1998 (ad esclusione degli artt. 8, 10, 19 e 20), 331/2000 e 226/2004 e la disciplina da queste dettata è in parte confluita nel nuovo Codice dell’ordinamento militare. Pertanto, la nuova normativa in materia di servizio militare e servizio degli obiettori di coscienza, stante l’abolizione del servizio militare obbligatorio e la creazione del servizio militare professionale, riguarda ormai le sole ipotesi di «guerra» o «gravi crisi internazionali»; Ordinamento costituzionale 106 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato b) la partecipazione alle spese dello Stato. L’art. 53 della Costituzione obbliga i cittadini e gli stranieri (che hanno interessi economici in Italia) a concorrere alle spese pubbliche attraverso prelievi fiscali in ragione della capacità contributiva di ciascuno e secondo il criterio di progressività. L’esigenza di imporre tributi ai sudditi costituisce una necessità insopprimibile dello Stato sociale diretto ad acquisire le risorse finanziarie fondamentali per garantire lo sviluppo della collettività; c) il dovere di fedeltà alla Repubblica. L’art. 54 della Costituzione impone a tutti i cittadini il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. Tuttavia, il dovere di fedeltà non comporta «obbedienza incondizionata» ai governanti che, abusando del loro ufficio, violino o sovvertano i principi fondamentali consacrati dalla Costituzione. Tale assunto rimanda al cd. «diritto di resistenza» dei cittadini che la Costituzione italiana non prevede ma che secondo parte della dottrina (DE VERGOTTINI) sarebbe implicito e riconducibile al dovere in difesa delle istituzioni: la legge, infatti, non deve essere l’espressione del libero arbitrio di un sovrano ma la traduzione positiva dei precetti specifici e inviolabili consacrati dalla Costituzione. Capitolo Dodicesimo Il Parlamento Sommario: 1. Concetto e struttura. - 2. Prerogative delle Camere. - 3. Organi interni delle Camere: organi strumentali. - 4. Organi operativi e rappresentativi. - 5. I lavori e lo scioglimento delle Camere. - 6. Lo status di parlamentare. - 7. L’attività del Parlamento. - 8. Il procedimento legislativo. - 9. Procedimento «aggravato» per le leggi costituzionali. - 10. Altre attribuzioni del Parlamento. - 11. Gli atti di indirizzo politico e gli atti ispettivi. - 12. La messa in stato d’accusa del Capo dello Stato. - 13. Il Parlamento in seduta comune. 1. Concetto e struttura Il Parlamento nel sistema costituzionale italiano è un organo: — costituzionale (cioè rientra nella organizzazione costituzionale dello Stato); — complesso (perché costituito da più organi interni); — collegiale (perché composto da più componenti e membri che agiscono collegialmente); — rappresentativo (in quanto rispecchia la volontà politica degli elettori, essendo eletto dal popolo a suffragio universale); — con funzioni: politiche, legislative, di controllo politico, giurisdizionali e di connotazione del sistema. Secondo la Costituzione (art. 55), il Parlamento è bicamerale, cioè composto da due Camere (Camera dei Deputati e Senato); si tratta di un bicameralismo perfetto o «pieno», perché entrambe le Camere hanno gli stessi poteri e sono, tra di loro, su un piano di parità. La Camera dei Deputati ed il Senato si differenziano tra loro in base a questi elementi: — — — — elettorato attivo: gli elettori per la Camera dei Deputati devono avere 18 anni, per il Senato 25 anni; elettorato passivo: i candidati al Senato devono avere 40 anni, i candidati alla Camera 25 anni; numero dei componenti: la Camera è composta di 630 deputati, i senatori sono 315; membri non elettivi: i deputati sono tutti elettivi; del Senato, invece, oltre ai membri elettivi, possono far parte i senatori a vita nominati dal Capo dello Stato (scelti tra cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti in campo sociale, artistico e letterario) e i senatori a vita di diritto poiché ex Presidenti della Repubblica. Prospettive di riforma La revisione della Costituzione italina prevista dal disegno di legge costituzionale S. 1429, presentato in Senato l’8 aprile 2014 e da questo approvato in prima lettura l’8 agosto 2014, prevede quale punto cardine la trasformazione del bicameralismo perfetto dell’attuale sistema parlamentare italiano in un bicameralismo imperfetto. In particolare, il Parlamento sarebbe composto da: — una Camera dei deputati, i cui membri rappresentano la Nazione; — un Senato della Repubblica, i cui membri rappresentano le istituzioni territoriali. 108 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato Il nuovo Senato dovrebbe essere composto da 95 senatori, in luogo degli attuali 315, e da 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica. In particolare, i 95 senatori verrebbero eletti: — dai Consigli regionali tra i propri componenti mediante sistema proporzionale. A ciascuna Regione i seggi sono assegnati in proporzione alla popolazione e, in ogni caso, nella misura minima di 2 per ciascuna; — dai Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano tra i propri componenti mediante sistema proporzionale nella misura di 2 per ciascuno; — tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori nella misura di uno per ciascuno. La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti, per cui si verificheranno continui turn-over in considerazione dei mutevoli cambi di colore politico all’interno delle differenti autonomie territoriali. Si eviterebbe così quella stagnazione che fa scadere la vivacità del dibattito per gli effetti di un «tranquillo» modus vivendi dei poteri che per lungo tempo coesistono e si consolidano, favorendo al contrario eventuali nuove istanze dei «neo-eletti» o «nominati». Differenti sarebbero a questo punto le funzioni esercitate da ciascuno dei due rami del Parlamento. La Camera sarebbe titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed eserciterebbe la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo. Il Senato, invece, al di là della partecipazione alla funzione legislativa con la Camera secondo le modalità stabilite dalla Costituzione: — si occuperebbe del raccordo fra lo Stato, l’Unione europea e gli altri enti costitutivi della Repubblica (Regioni, Città metropolitane, Comuni etc.); — parteciperebbe alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea, valutandone altresì l’impatto; — verificherebbe l’attuazione delle leggi dello Stato e valuterebbe l’impatto delle politiche pubbliche sul territorio; — esprimerebbe pareri sulle nomine governative. La novità introdotta dal testo approvato dall’Assemblea l’8 agosto 2014 rispetto al disegno di legge originario del Governo è costituita dall’introduzione all’art. 55, comma 2, dell’esplicito richiamo alle cd. quote rosa, ossia la garanzia che nella rappresentanza parlamentare venga garantito un equilibrio paritario fra donne e uomini. Inoltre, sono specificate, rispetto al testo approvato dalla Commissione il 6 maggio 2014, le materie nelle quali il Senato concorre paritariamente con la Camera, ossia famiglia e matrimonio (art. 29) e trattamenti sanitari obbligatori e diritti del malato (art. 32, comma 2). Da quanto detto emerge come alla Camera spettano le decisioni fondamentali, su tutte la funzione legislativa, al fine di garantire uno snellimento dell’iter legislativo che attualmente si dipana in continue «navette» tra le due Assemblee. In tal modo si cerca di arginare anche il Governo che, per aggirare l’estrema lentezza del procedimento legislativo ordinario, ricorre troppo spesso all’adozione di atti aventi forza di legge (decreti-legge e decreti legislativi) accompagnata dalla richiesta in modo pressoché costante della questione di fiducia, determinando così la trasformazione della legge «ordinaria» in uno strumento «eccezionale». 2. Prerogative delle camere Le Camere godono, nel loro complesso, delle seguenti prerogative: — autonomia regolamentare: ciascuna Camera ha il potere di adottare il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti (art. 64, comma 1, Cost.). Il regolamento disciplina l’organizzazione interna e il funzionamento della Camera; — autonomia finanziaria: ciascuna Camera delibera il proprio bilancio ed il proprio conto consuntivo; le spese di funzionamento delle Camere gravano su un fondo speciale autonomo gestito dalle Camere e somministrato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Non sono ammessi controlli di altri organi sui bilanci delle Camere; — autonomia amministrativa: ciascuna Camera provvede all’organizzazione dei propri uffici amministrativi, ha personalità giuridica di diritto privato, può stare in giudizio da solo, senza l’assistenza dell’Avvocatura Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento 109 dello Stato, e assume i propri dipendenti (funzionari, commessi etc.) stipulando direttamente con loro i contratti di lavoro; — inviolabilità degli edifici delle Camere: in base ad una norma consuetudinaria, gli ufficiali e agenti della forza pubblica non possono entrare negli edifici delle Camere per compiere atti del loro ufficio (immunità della sede); — verifica dei poteri: ciascuna Camera giudica da sé dei titoli di ammissione dei suoi componenti, cioè delle cause di ineleggibilità, incompatibilità, nonché della regolarità delle elezioni; — tutela penale: sono puniti come reati il tentativo di impedire alle Camere l’esercizio delle loro funzioni (art. 289 c.p.) ed il vilipendio alle Camere (art. 290 c.p.). 3. Organi interni delle Camere: organi strumentali La Camera ed il Senato si compongono di vari organi interni che possono classificarsi in strumentali, operativi, e rappresentativi. Gli organi strumentali sono: a) l’Ufficio di presidenza. Tale organo, che al Senato assume la denominazione di Consiglio di Presidenza, è composto da: — Presidente dell’assemblea: è l’organo che presiede ciascuna Camera ed ha il potere di convocazione straordinaria della medesima (62 Cost.), nonché il diritto ad essere consultato dal Presidente della Repubblica prima dello scioglimento della Camera (88 Cost.). È inoltre l’oratore ufficiale, dirige i dibattiti e le sedute; fissa il calendario dei lavori; nomina i componenti della Giunta per il regolamento e per le elezioni; ha poteri disciplinari e di polizia; — 4 Vicepresidenti: fanno le veci del Presidente e lo coadiuvano; — 11 Segretari alla Camera e 8 al Senato: compilano i processi verbali delle adunanze, accertano l’esistenza del numero legale, procedono agli appelli, etc.; — 3 Questori: sovraintendono al cerimoniale ed ai servizi di polizia; b) le Giunte permanenti, che possono distinguersi in Giunte: — per il regolamento: organi collegiali costituiti da membri della Camera, incaricati di promuovere ed elaborare aggiornamenti e modifiche dei regolamenti parlamentari, e di dare pareri sulle procedure e sull’interpretazione degli stessi; — per le elezioni: hanno il compito di esaminare in primo grado le controversie in materia elettorale, ed eventualmente sottoporle poi all’attenzione della Camera a cui appartengono; c) le Conferenze dei capi gruppo. Sono organismi collegiali (uno per ciascuna Camera) presieduti dal Presidente dell’Assemblea e costituiti da tutti i presidenti dei gruppi parlamentari. Hanno il compito di deliberare il programma di attività e il calendario dei lavori, nonché di organizzare la discussione in aula. 4. Organi operativi e rappresentativi Gli organi rappresentativi vengono di volta in volta costituiti per rappresentare le Camere a cerimonie ufficiali o presso autorità straniere: in tali casi si parla di deputazioni o rappresentanze parlamentari. Gli organi operativi, invece, sono uffici che esercitano le funzioni proprie del Parlamento. Essi sono: — Commissioni parlamentari, che possono essere: 1. speciali (o straordinarie), se costituite occasionalmente da ciascuna Camera, per risolvere particolari questioni (ad es. Commissioni di inchiesta); svolgono Ordinamento costituzionale 110 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato indagini e accertamenti su situazioni di fatto, comportamenti di persone o di enti e possono essere anche miste (cioè formate insieme da senatori e deputati); 2. permanenti, se costituite permanentemente in seno a ciascuna Camera, il cui regolamento ne determina la competenza per materia. Ne esistono 14 sia presso il Senato che presso la Camera dei deputati; Per espressa previsione della Costituzione, le Commissioni permanenti: Le Commissioni parlamentari sono costituite in modo da rispecchiare i rapporti tra le forze politiche presenti in Parlamento ed esistono presso entrambe le Camere; a) devono esaminare preventivamente i disegni di legge, per farne relazione all’Assemblea che deve approvarli (cd. Commissioni in sede referente); b) nei casi previsti dai regolamenti, possono anche procedere all’approvazione dei progetti di legge, in luogo dell’Assemblea plenaria (cd. Commissioni in sede deliberante). — Giunte parlamentari. Sono anch’esse formate in proporzione alle forze politiche presenti in Parlamento. Hanno funzioni consultive ed extralegislative; — Gruppi parlamentari. Sono associazioni di deputati o di senatori politicamente affini, volte a promuovere una più incisiva ed efficace azione nell’ambito delle istituzioni parlamentari. I senatori e i deputati devono dichiarare entro due giorni dalla 1a seduta dopo l’elezione (se deputati) o entro tre giorni (se senatori) a quale gruppo intendono iscriversi; infatti l’elezione di un parlamentare nella lista di un partito non comporta l’automatica iscrizione nel suo gruppo parlamentare. Per costituire un gruppo parlamentare occorrono un minimo di 10 senatori o di 20 deputati. 5. I lavori e lo scioglimento delle Camere a) Periodi di lavoro: — la legislatura è il periodo di durata delle Camere (5 anni) salvo scioglimento anticipato o proroga in caso di guerra, e si articola in più sedute; — la sessione è il periodo continuativo di lavoro delle Camere compreso fra una convocazione e l’aggiornamento dei lavori; — le sedute sono le singole riunioni delle Camere. b) Convocazione delle Camere: — la convocazione iniziale, per le Camere appena elette, è fissata dal Presidente della Repubblica nel medesimo decreto con cui convoca i comizi elettorali, e deve avvenire entro venti giorni dall’elezione; — la convocazione su mozione di aggiornamento dei lavori, con cui si sospendono temporaneamente i lavori per rinviarli ad altra sessione, è decisa dalle stesse Camere; — la convocazione di diritto, così detta perché si effettua il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre a prescindere da qualunque richiesta formale (art. 62 Cost.); — la convocazione straordinaria di ciascuna Camera avviene per iniziativa del suo Presidente, o del Presidente della Repubblica, o di un terzo dei suoi componenti. c) Svolgimento dei lavori: — le sedute sono pubbliche, salvo casi eccezionali di adunanze segrete deliberate dalle Camere; — l’ordine del giorno è prefissato dal Presidente, in base ad un calendario dei lavori, d’accordo con i vari gruppi parlamentari: ciò, per evitare decisioni a sorpresa su argomenti su cui la maggioranza dei parlamentari non sia stata prima preavvisata; Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento 111 — le deliberazioni sono valide se è presente la maggioranza dei componenti, e sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione non prescriva una maggioranza speciale. Per evitare, tuttavia, che siano invalidabili eventuali deliberazioni adottate per motivi contingenti e temporanei con un quorum inferiore, che rispecchia però l’equilibrio fra i gruppi, vige sempre la regola della «presunzione del numero legale». Si presume cioè che in aula sia presente sempre il numero minimo di parlamentari (cioè il 50% + 1 dei componenti l’assemblea) anche se in qualsiasi momento i presenti possono chiedere la verifica del numero legale al Presidente dell’Assemblea e questi è obbligato ad eseguirla. Se viene accertata la mancanza del quorum richiesto, la seduta viene subito sciolta e rinviata; — i membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, possono sempre presenziare alle sedute (se richiesti, ne hanno addirittura l’obbligo) e devono essere ascoltati ogni volta che lo richiedano; — le votazioni sono effettuate, di regola, a scrutinio palese, ad esclusione dei casi in cui sia espressamente previsto il voto a scrutinio segreto; — il Presidente ha il compito di mantenere l’ordine nelle sedute, applicando, se necessario, le sanzioni previste dai regolamenti (come ad esempio il richiamo all’ordine); — l’ostruzionismo è il comportamento di un gruppo di parlamentari che, giovandosi di tutti gli appigli consentiti dal regolamento, cerca di ostacolare il lavoro della Camera, per protesta o contrasto di opinioni, ritardando l’iter legislativo di una legge o mantenendo la stessa all’ordine del giorno. Le Camere possono essere sciolte singolarmente o congiuntamente dal Presidente della Repubblica (art. 88 Cost.) quando non appaiono più rappresentative delle forze politiche esistenti nel Paese; quando sia impossibile il formarsi di una maggioranza politica stabile in Parlamento; quando si determini un insanabile contrasto politico tra le due Camere. La legge cost. 4-11-1991, n. 1, di modifica dell’art. 88 Cost., ha stabilito che il Presidente della Repubblica non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato (semestre bianco), salvo che essi coincidono in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi dalla legislatura: scopo del divieto è impedire che il Capo dello Stato possa artatamente prorogare la durata della propria carica (essendo evidente che le Camere sciolte non possono eleggere un nuovo Presidente) nonché scongiurare il cd. ingorgo istituzionale ossia le elezioni politiche vicine, in ordine di tempo, a quelle per la nomina del Capo dello Stato. In ogni caso, finché non siano riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti (art. 61 Cost.), configurando in tal modo la cosiddetta prorogatio. 6. Lo status di parlamentare I parlamentari sono rappresentanti politici del popolo che li ha eletti, nei cui confronti sono responsabili politicamente dell’azione svolta. Tale responsabilità trova la sua sanzione nella non rielezione del parlamentare. I parlamentari rappresentano la Nazione (cd. principio della rappresentanza nazionale: art. 67 Cost.) e devono esercitare le loro funzioni senza alcuna costrizione: è nullo qualsiasi patto con il quale si obblighino a seguire una data politica o a favorire dati interessi (cd. divieto di mandato imperativo: art. 67 Cost.). Requisiti per ricoprire la carica di Parlamentare sono: — — — — godere dell’elettorato attivo; avere compiuto l’età richiesta; assenza di cause di ineleggibilità (vedi cap. 11, par. 2); assenza di cause di incompatibilità (vedi cap. 11, par. 2). I parlamentari godono di particolari prerogative irrinunciabili (da non confondersi con le prerogative delle Camere), dirette ad assicurarne l’indipendenza da pressioni esterne. Tali prerogative sono: Ordinamento costituzionale 112 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato — l’immunità penale: secondo il testo dell’art. 68 Cost. (così come modificato con L. cost. 3/1993), non si può arrestare un parlamentare, ovvero sottoporlo a perquisizione personale o domiciliare o intercettare le sue comunicazioni, senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza; può, invece, essere sottoposto ad indagini preliminari senza la necessità di richiedere una preventiva autorizzazione a procedere da parte della Camera di appartenenza nonché arrestato in due soli casi: a) quando una sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile; b) quando commette un reato per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; — l’insindacabilità: i parlamentari non possono essere perseguiti per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Tale prerogativa ha lo scopo di evitare che i parlamentari siano condizionati, nel loro operato, dal timore di essere chiamati a rispondere civilmente o penalmente delle attività svolte in esecuzione del mandato loro conferito dagli elettori. Per quanto riguarda invece le dichiarazioni rese extramoenia (ovvero opinioni espresse al di fuori della sede legislativa) va detto che affinché siano coperte da immunità deve sussistere un nesso funzionale con l’esercizio delle attività parlamentari, che ricorre, secondo Corte cost., sent. 12-03-2007, n. 65, in presenza di due elementi: a) il legame temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna, di modo che questa assume finalità divulgativa della prima; b) la sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e atti esterni, non essendo sufficienti né una mera comunanza di argomenti né un mero contesto politico cui esse possono riferirsi. — l’indennità: mira a garantire l’indipendenza economica e il decoro del parlamentare. La cessazione dall’ufficio di Parlamentare può avvenire: — — — — per fine legislatura o scioglimento anticipato delle Camere; per morte; per dimissioni volontarie; per decadenza, in presenza di una causa di incompatibilità, o venir meno della capacità o dei requisiti di eleggibilità; — per annullamento dell’elezione. 7. L’attività del Parlamento A) Funzione legislativa La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (70 Cost.; cfr. par. 8 e ss.). B) Funzioni non legislative Sono esercitate singolarmente da ciascuna Camera e si distinguono in: a) funzione di indirizzo e controllo politico, attraverso la quale si determinano i fini della politica nazionale, si scelgono i mezzi per conseguirli e si esercita un controllo sull’attività del Governo. Rientrano in tale funzione le seguenti attività: — — — le leggi di approvazione e di autorizzazione; le attività ispettive, che possono essere attuate sia in Assemblea che in Commissione. Rientrano nel novero di tali attività le interrogazioni, le interpellanze, le inchieste. le attività conoscitive, alcune delle quali costituiscono il presupposto per l’espletamento di attività ispettive, altre conservano una loro autonomia, garantendo uno stretto rapporto fra Parlamento e società civile. Rientrano in tali categorie le richieste all’ISTAT e al CNEL, le indagini conoscitive, le audizioni, le richieste al Governo di riferire, l’esame di relazioni, il parere sulle nomine governative; — atti di direzione politica, tra i quali rientrano mozioni, risoluzioni, ordini del giorno; Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento 113 — procedure particolari, fra le quali rientrano l’esame delle sentenze della Corte costituzionale, il collegamento con le Comunità europee e gli altri organismi internazionali, la risoluzione della questione di merito sollevata dal Governo relativamente a una legge regionale, l’esame delle petizioni; b) funzioni elettorali (in senso lato) (LAVAGNA): vi rientrano le attività di elezione di membri di altri organi: — — — — — — elezione del Presidente della Repubblica; elezione di 5 giudici della Corte costituzionale; elezione di 8 componenti del Consiglio superiore della magistratura; scelta dei cittadini fra cui vanno sorteggiati i giudici aggregati della Corte costituzionale; elezione di 4 componenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa; elezione dei 4 componenti del Garante per la protezione dei dati personali. c) funzioni materialmente giurisdizionali (BISCARETTI DI RUFFIA) o di accusa (LAVAGNA): vi si comprendono le attività dirette a porre in stato d’accusa il Presidente della Repubblica e a rinviarlo a giudizio dinanzi alla Corte costituzionale; d) attività strumentali delle Camere (LAVAGNA) fra cui può menzionarsi l’attività di autoorganizzazione; attività relative alla determinazione della posizione giuridica dei singoli parlamentari; attività normative, procedurali e amministrative interne. 8. Il procedimento legislativo Il procedimento legislativo si articola in diverse fasi fondamentali. Analizziamole nei paragrafi seguenti. A) Fase preparatoria In essa rientrano l’atto di iniziativa legislativa, cioè la presentazione del disegno di legge al Parlamento, e l’attività istruttoria diretta a conoscere e valutare il contenuto della legge da approvare. L’iniziativa legislativa spetta: — al Governo; — a ciascun parlamentare; — al C.N.E.L.; — al popolo, che può esercitarla mediante presentazione di un progetto di legge proveniente da almeno 50.000 elettori; — ai Consigli regionali. La fase istruttoria si svolge in Commissione; la Commissione di ciascuna Camera, competente per materia, esamina la legge e prepara una relazione di maggioranza, approvata dalla maggioranza dei suoi membri, e una o più relazioni di minoranza a seconda degli eventuali contrasti manifestatisi, all’attenzione dell’Assemblea, sul contenuto, sui pregi e sui difetti della legge (Commissione in sede referente). B) Fase costitutiva È quella in cui la legge viene definitivamente approvata dalla Camera. L’approvazione viene data prima articolo per articolo, e poi sulla legge nel suo complesso. Ciò perché dall’insieme degli articoli potrebbe derivare un significato Ordinamento costituzionale 114 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato diverso da quello che si voleva attribuire ad essi, singolarmente considerati e quindi la volontà di approvare la legge deve essere verificata sia sulle parti di essa, che sul tutto. La fase costitutiva può svolgersi con procedimento: a) ordinario (in sede referente): sia la discussione che la votazione avvengono nell’aula, dinanzi all’assemblea plenaria della Camera. Tale procedimento è obbligatorio per: Vi sono, inoltre, altre ipotesi disciplinate dai regolamenti di Camera e Senato che prevedono la necessità del procedimento ordinario per: — — — — leggi in materia costituzionale ed elettorale; leggi di delegazione legislativa; leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali; leggi di approvazione del bilancio dello Stato. — i disegni di legge di conversione dei decreti legge; — le leggi rinviate dal Presidente della Repubblica per un riesame del Parlamento. Per i disegni di legge dichiarati urgenti viene adottato un procedimento abbreviato (art. 72 Cost.). In tale procedimento tutti i termini previsti dai regolamenti parlamentari per il compimento dei vari atti sono ridotti alla metà. Non esistono altre differenze rispetto al procedimento ordinario; b) decentrato (o in Commissione): è la Commissione competente per materia che procede alla discussione del progetto e approva direttamente la legge (Commissione in sede deliberante). È il Presidente della Camera che attribuisce discrezionalmente i disegni di legge alle Commissioni in sede referente o deliberante. Sono previsti accorgimenti per evitare abusi (es. redazione e distribuzione obbligatoria a tutti i membri della Camera di resoconti sommari delle sedute delle Commissioni in sede deliberante, per consentire un controllo da parte dell’Assemblea); c) misto, non previsto dalla Costituzione ma introdotto dai regolamenti parlamentari; procedimento intermedio fra quello ordinario e quello deliberante, comporta una collaborazione dell’Assemblea e delle Commissioni. La legge è un atto complesso: per essere perfetta, occorre che sia approvata da tutte e due le Camere nel medesimo testo. Quindi, mentre l’iniziativa resta unica e, una volta presentato, il disegno di legge a una Camera vale anche per l’altra Camera, l’istruttoria e l’approvazione devono compiersi presso ognuna delle Camere distintamente. Quando entrambe le Camere hanno approvato la legge, nello stesso testo, questa è perfetta, e deve diventare efficace. C) Fase di integrazione dell’efficacia Affinché la legge approvata dalle due Camere diventi efficace ed obbligatoria per coloro a cui si dirige occorre: — la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, che con tale atto esercita anche un controllo di costituzionalità formale e sostanziale; — la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale; — il decorso di un periodo di tempo (cd. vacatio legis) stabilito per consentire a tutti di conoscere la nuova legge prima dell’entrata in vigore: di solito è di quindici giorni, ma può essere stabilito con la stessa legge un termine diverso (più breve o più lungo). Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento 115 Dal momento dell’entrata in vigore, la legge si presume conosciuta da tutti i destinatari e non è possibile invocarne l’ignoranza per giustificare la sua inosservanza. 9. Procedimento «aggravato» per le leggi costituzionali Il procedimento previsto per la discussione e l’approvazione delle leggi di revisione della Costituzione e delle altre leggi costituzionali è comune, per la massima parte, al procedimento previsto per le leggi ordinarie; se ne differenzia, però, nei seguenti punti: — l’esame del disegno di legge deve avvenire sempre e soltanto con la procedura ordinaria; — le leggi sono approvate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni, poste in essere con almeno tre mesi di intervallo l’una dall’altra; — in seconda deliberazione, la legge deve essere approvata in ciascuna Camera a «maggioranza qualificata» dei due terzi dei componenti la Camera; — se la seconda deliberazione è approvata solamente a maggioranza assoluta da una delle Camere, il Presidente della Repubblica si limita ad ordinare la pubblicazione del progetto. Entro tre mesi dalla pubblicazione, 500 mila elettori, oppure 5 Consigli regionali, oppure un quinto dei componenti una Camera, possono chiedere al Presidente della Repubblica che il progetto sia sottoposto a «referendum popolare» (art. 138 Cost.). 10. Altre attribuzioni del parlamento Il Parlamento svolge inoltre le seguenti funzioni: — delibera lo stato di guerra, quando ne sussistano i presupposti. Discussa è la natura di quest’atto, che per alcuni sarebbe una legge (MartineS), per altri, invece, un atto bicamerale non legislativo di indirizzo politico (Elia); — delibera la legge (a maggioranza dei due terzi dei componenti ciascuna Camera) per la concessione dell’amnistia o dell’indulto. L’amnistia pone nel nulla il reato commesso, facendo venir meno tutte le conseguenze penali; cioè, estingue il reato. L’indulto, invece, non fa venir meno il reato, ma estingue solo la pena; — concede l’autorizzazione al Presidente della Repubblica a ratificare i trattati internazionali di natura politica, o che riguardino variazioni del territorio, aggravi della finanza dello Stato, o regolino la soluzione delle controversie internazionali; — approva il bilancio dello Stato; — converte in legge ordinaria dello Stato i decreti-legge emanati dal Governo. 11. Gli atti di indirizzo politico e gli atti ispettivi Una volta ottenuta la fiducia, il Governo attua il suo programma sotto la direzione e il controllo del Parlamento. Nell’ambito degli atti di indirizzo politico rientrano: — la mozione, che consiste nella richiesta, fatta dai singoli membri del Parlamento alla Camera cui appartengono, di procedere alla discussione e votazione su un determinato oggetto su cui una precedente interpellanza li aveva lasciati insoddisfatti. Può, inoltre, essere posta, indipendentemente da precedenti interpellanze, qualora la promuovano almeno dieci deputati o un presidente di gruppo oppure otto senatori; Ordinamento costituzionale 116 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato — la risoluzione, che chiude un dibattito provocato da una mozione oppure da una comunicazione del Governo, può essere votata in aula o in commissione; — l’ordine del giorno di istruzione al Governo, che si inserisce in un procedimento legislativo, impegnando il Governo a dare un certo significato alle norme che vengono approvate oppure ad adottare un certo provvedimento connesso al testo di legge in discussione. Nell’ambito degli atti ispettivi rientrano: — l’interrogazione, che consiste nella domanda rivolta per iscritto da un parlamentare al Governo o ad un Ministro circa la conoscenza di una determinata situazione. Di regola il Governo risponde oralmente in aula o in commissione (nella sede, cioè, in cui l’interrogante lo richiede) e l’interrogante può replicare brevemente per dichiararsi soddisfatto o meno. Sono previste anche interrogazioni a risposta immediata, in cui il dialogo è esteso ad altri parlamentari oltre all’interrogante, e interrogazioni a risposta scritta, in cui la risposta viene comunicata per iscritto senza possibilità di replica; — l’interpellanza, che consiste nella domanda rivolta per iscritto da un parlamentare al Governo o ad un Ministro circa i motivi o gli intendimenti della condotta politica tenuta rispetto ad una data questione. L’interpellanza è discussa in aula, alla presenza del rappresentante del Governo: ove l’interpellante non si ritenga soddisfatto delle spiegazioni fornite può trasformare l’interpellanza in mozione; — l’inchiesta parlamentare, che rappresenta un’indagine disposta da ciascuna Camera al fine di acquisire elementi necessari di conoscenza in ordine ad una materia di pubblico interesse. Sebbene il potere d’inchiesta sia attribuito alle Camere separatamente, le commissioni possono essere anche bicamerali. Per procedere alle inchieste, ciascuna Camera provvede alla nomina di una commissione formata con criteri proporzionalistici, che rispecchi, cioè, la composizione delle forze politiche presenti in essa. Terminati i lavori, la commissione presenta all’Assemblea plenaria una relazione che viene discussa e votata. — l’esame dei decreti registrati con riserva dalla Corte dei Conti. Tutti i decreti governativi e ministeriali, di natura amministrativa, sono soggetti al visto e alla registrazione da parte della Corte dei Conti. Qualora quest’ultima ritenga un decreto illegittimo, ne rifiuta la registrazione e lo rimanda al Governo il quale, però, può chiedere, con deliberazione motivata del Consiglio dei Ministri, la registrazione con riserva del decreto stesso (art. 25 R.D. 1214/1934 come modificato dalla L. 340/2000). In tale ipotesi la Corte informa contemporaneamente il Parlamento, al fine di consentirgli l’opportuno controllo politico sull’operato del Governo; — le commissioni bicamerali di vigilanza. Secondo parte della dottrina, tali commissioni rappresenterebbero, più che un controllo, quasi una forma di assunzione di funzioni amministrative da parte di organi parlamentari (PIZZORUSSO); esse però possono essere ricondotte alla funzione di controllo per il fatto che svolgono una vera e propria attività ispettiva dall’interno sull’esercizio di attività amministrative. 12. La messa in stato d’accusa del Capo dello Stato La deliberazione sulla messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione è adottata dal Parlamento in seduta comune. La legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 ha disposto, modificando il testo dell’art. 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, che tale deliberazione è adottata dal Parlamento su relazione di un Comitato (e non più dunque di una Commissione per i procedimenti d’accusa) formato dai componenti delle Giunte di Camera e Senato competenti per le autorizzazioni a procedere. Quando sia stata deliberata la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale può disporne la sospensione dalla carica. Tale disciplina è estesa alle ipotesi di concorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei Ministri, nonché di altri soggetti nei reati previsti dall’art. 90 della Costituzione. In relazione ai reati previsti dall’art. 90 Cost. commessi dal Presidente della Repubblica (alto tradimento ed attentato alla Costituzione), la legge 5 giugno 1989, n. 219 ha esplicitamente previsto che, nel Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento 117 relativo procedimento, non è richiesta alcuna autorizzazione, né possono essere opposti il segreto di Stato e il segreto d’ufficio. All’esito della propria attività di indagine, che, di regola, non può eccedere la durata di cinque mesi, il Comitato, ove ritenga che il reato sia diverso da quelli previsti dall’art. 90 Cost., dichiara la propria incompetenza; può altresì disporre l’archiviazione degli atti qualora ravvisi la manifesta infondatezza della notizia di reato, altrimenti presenta al Parlamento una relazione. Il Parlamento in seduta comune si pronuncia sulla relazione suddetta e a maggioranza assoluta e con voto segreto può deliberare la messa in accusa (1) e successivamente trasmette gli atti alla Corte costituzionale, la quale integrata con altri 16 giudici (estratti a sorte da una lista di 45 tenuta dal Parlamento), svolge le indagini fino alla sentenza che può portare all’assoluzione o alla condanna. In tal caso la Corte gode di un ampio potere discrezionale nell’irrogazione della sanzione (che può, dunque, consistere anche nell’ergastolo). Tale sentenza non può essere impugnata, ma può eventualmente essere sottoposta a revisione in caso emergano successivamente nuovi elementi di prova (così VIGNUDELLI). Si noti che tale procedimento fino ad oggi non è stato mai attivato nei confronti di nessun Presidente della Repubblica. 13. Il Parlamento in seduta comune Le Camere, in particolari casi tassativamente indicati, devono riunirsi e deliberare in seduta comune, sotto la presidenza del Presidente della Camere dei deputati. Ciò avviene: — per l’elezione del Presidente della Repubblica (con la partecipazione anche dei delegati delle Regioni) e per il suo giuramento; — per la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla Costituzione; — per l’elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura; — per l’elezione di un terzo dei giudici costituzionali; — per la compilazione dell’elenco di cittadini tra cui vanno sorteggiati i giudici aggregati che devono intervenire nei giudizi d’accusa contro il P.d.R., innanzi alla Corte costituzionale. Le Camere quando si riuniscono in seduta comune costituiscono un organo diverso ed autonomo rispetto alle singole Camere. (1) In tal caso elegge — anche tra i suoi componenti — uno o più commissari chiamati, alla stregua del P.M., a sostenere l’accusa dinnanzi alla Corte costituzionale. Ordinamento costituzionale Capitolo Sesto Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche Sommario: 1. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.: principi costituzionali e caratteri. - 2. Ambito di applicazione della normativa in tema di impiego pubblico. - 3. Profili evolutivi della disciplina del pubblico impiego. - 4. Accesso al pubblico impiego. - 5. Il sistema delle fonti del pubblico impiego e la contrattazione collettiva. - 6. L’organizzazione degli uffici pubblici tra macro e micro-organizzazione. - 7. Lavoro flessibile e pubblico impiego. - 8. La dirigenza pubblica. - 9. Doveri e diritti del pubblico dipendente. - 10. Il ciclo di gestione della performance e la valorizzazione del merito: le novità della riforma Brunetta. - 11. La responsabilità dell’impiegato. In particolare, la responsabilità disciplinare. 12. La disciplina della mobilità nel lavoro pubblico e le novità alla luce della riforma della P.A. 2014. - 13. L’estinzione del rapporto di impiego. - 14. Profili giurisdizionali in tema di impiego pubblico. 1. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.: principi costituzionali e caratteri A) Nozione Il rapporto di impiego pubblico è quel rapporto di lavoro per cui una persona fisica pone, volontariamente e dietro corrispettivo, la propria attività, in via continuativa, alle dipendenze di una pubblica amministrazione, assumendo uno specifico status con particolari diritti e doveri. Per effetto della instaurazione di tale rapporto, il dipendente risulta stabilmente inserito nell’organizzazione della P.A. datrice di lavoro, rispetto alla quale, pertanto, è gerarchicamente subordinato; inoltre, la sua prestazione concorre alla realizzazione dei fini istituzionali dell’ente. Il rapporto di impiego pubblico si configura come: — volontario: sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto, è richiesta non solo la volontà della P.A., ma altresì la volontà del dipendente; — strettamente personale: la specifica capacità intellettuale e tecnica necessaria per ogni singolo ufficio e la fiducia che l’ente deve avere nella persona cui affida la cura dei propri interessi comportano che il rapporto sia costituito intuitu personae; — bilaterale: da esso, infatti, derivano diritti ed obblighi reciproci per ciascuna delle parti; — di subordinazione: in quanto la prestazione lavorativa è svolta alle dipendenze della pubblica amministrazione da un soggetto in rapporto di istituzionale subordinazione con la stessa. B) Pubblico impiego e principi costituzionali La Carta costituzionale non disciplina direttamente ed organicamente la materia del pubblico impiego, anche se contiene alcune disposizioni e principi di particolare rilevanza in tale ambito: — il principio dell’accesso ai pubblici uffici (art. 51 Cost.); — il dovere del pubblico impiegato di adempiere con onore alle pubbliche funzioni e di porsi al servizio esclusivo della Nazione (artt. 54 e 98); — la riserva di legge inerente all’organizzazione dei pubblici uffici e il principio di buon andamento dell’amministrazione (art. 97); 222 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato — la formazione professionale dei lavoratori, il profilo retributivo e la tutela dei minori e delle donne nel rapporto di lavoro (artt. 35, 36 e 37); — la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici e il diritto di sciopero e organizzazione sindacale (artt. 28, 29 e 40). 2. Ambito di applicazione della normativa in tema di impiego pubblico Per «amministrazioni pubbliche», destinatarie della normativa sul pubblico impiego, si intendono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende autonome, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali e le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie di cui al D.Lgs. 300/1999. Anche il CONI (Comitato Olimpico) rientra in questo elenco. L’art. 3 D.Lgs. 165/2001 individua le categorie di dipendenti esentate dall’applicazione della normativa di diritto comune e dal processo di contrattualizzazione (per tali categorie non opera neanche il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario). Esso, infatti, dispone che rimangono assoggettate alla previgente disciplina i rapporti concernenti: a) magistrati ordinari, amministrativi e contabili; b) avvocati e procuratori dello Stato; c) personale militare e delle Forze di Polizia di Stato; d) personale delle carriere diplomatica e prefettizia, quest’ultima a partire dalla qualifica di vice-consigliere di prefettura; e) dipendenti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del D.Lgs. C.p.S. 691/1947 (risparmio, funzione creditizia e valutaria), e dalle leggi 281/1985 (tutela del risparmio, valori mobiliari) e 287/1990 (tutela della concorrenza e del mercato). Escluso dalla privatizzazione anche il personale (salvo quello volontario) del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, disciplinato da autonome disposizioni (art. 3, co. 1bis, D.Lgs. 165/2001). 3. Profili evolutivi della disciplina del pubblico impiego La disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. nel corso degli anni è stata assoggettata ad un complesso iter di riforme che arriva ai giorni nostri. Il primo provvedimento normativo da prendere in considerazione è il decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, che ha suggellato quel faticoso processo di privatizzazione dell’impiego pubblico, equiparando (fatte salve eccezioni soggettive ed oggettive) la disciplina dei pubblici impiegati a quella del lavoro privato nonché assoggettandola alla contrattazione collettiva. Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 223 Con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (cd. seconda privatizzazione) è stata ulteriormente rafforzata la valenza del contratto, sia individuale che collettivo, di lavoro. Successivamente, al fine di riordinare le molteplicità di fonti normative esistenti in materia, è stato emanato il D.Lgs. 30-3-2001, n. 165, contenente norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cd. Testo Unico sul pubblico impiego. Importante corollario della privatizzazione è il definitivo passaggio della giurisdizione sulle controversie di lavoro al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro a partire dal 1° luglio 1998. La fisionomia del lavoro pubblico è stata ridisegnata, successivamente, dalla cd. riforma Brunetta: la L. 4 marzo 2009, n. 15 e il D.Lgs. 27-10-2009, n. 150 hanno dato vita ad una riforma destinata a rivoluzionare il funzionamento dell’amministrazione italiana, soprattutto nell’ottica dell’aumento di produttività del lavoro pubblico e di una migliore organizzazione del lavoro sulla base dei principi di efficienza e trasparenza. Le parole chive di tale riforma sono: — il principio di trasparenza e la valutazione della performance lavorativa. La trasparenza è intesa quale accessibilità totale delle informazioni sull’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni. L’altro profilo portante della riforma riguarda l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, al fine di premiare i dipendenti capaci e meritevoli; — la valorizzazione del merito e gli strumenti di premialità. Sono stati introdotti strumenti di valutazione del merito e metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa, sulla base dei principi di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera nonché nel riconoscimento degli incentivi (sul cd. ciclo di gestione della performance si fa rinvio amplius al §10); — le innovazioni in materia di dirigenza e di contrattazione collettiva; in particolare, il dirigente viene designato quale datore di lavoro nelle PP.AA. e vengono ridefinite le materie attribuite alla contrattazione collettiva; — le sanzioni disciplinari e le responsabilità dei pubblici dipendenti. Viene completamente rinnovata la disciplina delle sanzioni disciplinari e del sistema di responsabilità dei dipendenti pubblici, soprattutto in vista della lotta all’assenteismo e alla scarsa produttività. Sull’impianto normativo sopra delineato, infine, hanno profondamente inciso, da un lato, le manovre economiche che hanno riguardato l’apparato pubblico nel suo complesso con il fine comune di ridurre i costi del lavoro pubblico (tra queste si ricorda, in particolare, il D.L. 95/2012, conv. in L. 135/2012, cd. spending review, che ha predisposto una serie di tagli strutturali rivolti a migliorare la produttività delle diverse articolazioni della pubblica amminstrazione), dall’altro le normative recanti risposizioni dirette alla lotta contro la corruzione e il malaffare tra gli uffici pubblici (tra queste ultime occorre citare la L. 190/2012, cd. legge anticorruzione, e il D.P.R. 62/2013, recante il nuovo Codice di comportamento dei dipendenti pubblici). Ordinamento amministrativo 224 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato La riforma della P.A. varata dal governo Renzi Esattamente a metà strada tra le citate esigenze di semplificazione e risparmio e quelle di contrasto alla corruzione si pone la nuova riforma della pubblica amministrazione predisposta dal cd. decreto P.A. (riforma Renzi-Madia), D.L. 24-6-2014, n. 90 («Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari»), conv. in L. 11-8-2014, n. 114. Per quanto in tal sede di interesse, e riservandoci di esaminare nel prosieguo della trattazione i punti salienti, la nuova riforma della pubblica amministrazione contiene, tra l’altro: — nuove norme su turn over e ricambio generazionale nei pubblici uffici. In particolare, viene revocato l’istituto del trattenimento in servizio (che consentiva di lavorare oltre l’età pensionabile) per i dipendenti pubblici che hanno superato i limiti di età per il collocamento a riposo e i prolungamenti la chiusura è programmata entro il 31 ottobre 2014, con l’obiettivo di permettere alle nuove generazioni l’ingresso al lavoro alle dipendenze della P.A.; — una nuova disciplina della mobilità volontaria e obbligatoria (v. infra); — una nuova disciplina sull’assegnazione di mansioni nell’ambito della gestione del personale in disponibilità (mediante la novella dell’art. 34 D.Lgs. 165/2001); — il divieto di incarichi dirigenziali a personale in quiescenza e la significativa stretta sulle prerogative sindacali del personale pubblico; — nuove disposizioni sul personale di Regioni ed enti locali; — il passaggio all’A.N.AC. (Autorità Nazionale Anticorruzione, istituita, con la denominazione di CIVIT, dalla riforma Brunetta) delle funzioni dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che viene soppressa; — la stretta sulle strutture formative dei dipendenti pubblici: resta infatti una scuola unica, la Scuola Nazionale dell’Amministrazione; — una nuova disciplina circa l’attribuzione di incarichi di responsabili degli uffici o dei servizi, dirigenziali o di alta specializzazione, nelle Regioni e nelle autonomie locali. 4. Accesso al pubblico impiego L’art. 97 Cost. prevede che agli impieghi pubblici si accede mediante concorso, salvi i casi stabiliti dalla legge per consentire a tutti di aspirare alle cariche pubbliche nel rispetto del principio di eguali opportunità. Al fine di assicurare l’imparzialità e l’efficienza dell’azione amministrativa, dunque, è stato delegato al meccanismo concorsuale (che prevede apposite prove di idoneità) l’obiettivo di garantire la selezione di personale più capace e idoneo all’operato che sarà chiamato a svolgere nella P.A. In particolare, il T.U. pubblico impiego prevede che l’assunzione nelle pubbliche amministrazioni avviene attraverso procedure selettive volte all’accertamento dei requisiti di professionalità richiesti per le specifiche attività. Per le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, l’assunzione avviene mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente, facendo salvi eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità (art. 35, D.Lgs. 165/2001). I datori di lavoro pubblici, inoltre, devono impiegare soggetti appartenenti alle cd. categorie protette. In tema di collocamento obbligatorio dei lavoratori, la normativa di riferimento è la L. 12 marzo 1999, n. 68, che ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Le assunzioni dei soggetti appartenenti alle categorie protette sono effettuate mediante avviamento per mezzo dei servizi di collocamento, o mediante convenzioni con appositi organismi. I lavoratori disabili hanno diritto ad una riserva dei posti messi a concorso. Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 225 Requisiti per l’ammissione all’impiego Una volta assunto, il dipendente è sottoposto ad un periodo di prova. Se tale periodo termina senza che nessuna delle parti receda, il dipendente si intende confermato in servizio con il riconoscimento dell’anzianità dal giorno dell’assunzione. 5. Il sistema delle fonti del pubblico impiego e la contrattazione collettiva A) La contrattazione collettiva nazionale e integrativa I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel D.Lgs. 165/2001: in ciò consiste, essenzialmente, la contrattualizzazione del lavoro pubblico (art. 2, comma 2, D.Lgs. 165/2001). Nel quadro complessivo delle relazioni sindacali, la contrattazione nel pubblico impiego ha, ormai, acquisito una importanza pari a quella del lavoro privato. La contrattazione collettiva nazionale, infatti, determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali (art. 40 D.Lgs. 165/2001). In particolare, sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali, nonché quelle ex art. 2 L. 421/1992. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento economico accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalla legge. La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali ed integrativi. Le pubbliche amministrazioni attivano poi autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa. Questa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno (1) Si noti che la Costituzione parifica spesso ai cittadini anche gli stranieri di origine italiana che denomina «italiani non appartenenti alla Repubblica» (art. 51 Cost.). Ordinamento amministrativo Ai sensi del D.P.R. 487/1994, i requisiti generali sono: a) cittadinanza italiana (1) o europea (a meno che la legge non disponga diversamente); b) età non inferiore a 18 anni e senza limiti di età, salvo le deroghe dettate dai regolamenti delle singole amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione; c) idoneità fisica all’impiego: l’amministrazione ha facoltà di sottoporre a visita medica di controllo i vincitori di concorsi; d) godimento dei diritti politici: non possono accedere agli impieghi coloro che sono esclusi dall’elettorato politico attivo o coloro che siano stati destituiti dall’impiego presso una P.A.; e) titolo di studio: varia a seconda del contenuto della prestazione lavorativa richiesta; A partire dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso prevedono l’accertamento della conoscenza dell’uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e di almeno una lingua straniera (art. 37 D.Lgs. 165/2001). 226 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato e la qualità della performance dei pubblici dipendenti. A tal fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato. Essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere àmbito territoriale e riguardare più amministrazioni. I contratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata e alla scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione. B) I soggetti della contrattazione L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) ha la rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni, esercita a livello nazionale ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e all’assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme applicazione dei contratti collettivi. I rappresentanti dei lavoratori, invece, relativamente alla stipula dei contratti collettivi nazionali, sono le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando, a tal fine, la media tra il dato associativo ed il dato elettorale. Alla contrattazione collettiva nazionale partecipano, inoltre, le confederazioni alle quali siano affiliate le organizzazioni sindacali come sopra individuate. ➤➤ I comitati di settore emanano gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale prima di ogni rinnovo contrattuale ➤➤ L’ipotesi di accordo è trasmessa all’ARAN ai comitati di settore ed al Governo e entro 10 giorni dalla sottoscrizione ➤➤ Acquisto il parere favorevole sull’ipotesi di accordo (nonché la verifica da parte delle PP.AA. interessate sulla copertura degli oneri contrattuali) il giorno successivo l’ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio ➤➤ La Corte dei conti certifica l’attendibilità dei costi quantificati e la compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio entro 15 giorni dalla trasmissione Formazione del della stessa, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente contratto colletti➤➤ Se la certificazione è positiva, il Presidente dell’ARAN sottoscrive definitivamente vo (art. 47 D.Lgs. il contratto collettivo 165/2001) ➤➤ In caso di certificazione non positiva, il Presidente dell’ARAN provvede alla riapertura delle trattative e alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo, adeguando i costi contrattuali ai fini della certificazione ➤➤ Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a singole clausole contrattuali, l’ipotesi può comunque essere sottoscritta definitivamente, ferma restando l’inefficacia delle clausole contrattuali non positivamente certificate ➤➤ I contratti e accordi collettivi nazionali nonché le eventuali interpretazioni autentiche sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana oltre che sul sito dell’ARAN e delle amministrazioni interessate ➤➤ Una volta sottoscritto, il contratto collettivo acquista efficacia erga omnes, cioè sia per le amministrazioni che per tutti i lavoratori Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 227 6. L’organizzazione degli uffici pubblici tra macro e micro-organizzazione Il D.Lgs. 165/2001 precisa, in ossequio alla riserva di legge di cui all’art. 97 Cost., che le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, mediante atti organizzativi, ed in base ai rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità degli stessi; determinano le dotazioni organiche complessive (art. 2, comma 1; cd. macro-organizzazione). Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro (cd. microorganizzazione) sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero l’esame congiunto — limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro — ove previste nei contratti di cui all’art. 9 D.Lgs. 165/2001, concernenti la partecipazione sindacale. Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità nonché la direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici (art. 5, comma 2, D.Lgs. 165/2001). Piante organiche, dotazioni e ruoli Il personale che dipende da una pubblica amministrazione è inserito nel relativo ruolo organico, che indica il numero complessivo dei posti caratterizzati da stabilità di cui essa dispone. L’insieme dei posti assegnati a ciascun ruolo è definito come dotazione organica, mentre si parla di pianta organica per indicare il numero dei dipendenti che, visti nella loro articolata suddivisione gerarchica, effettivamente ricoprono, stabilmente e a tempo indeterminato, i posti previsti in dotazione. Il personale che non è titolare di un posto nella pianta organica è definito non di ruolo, ed è in genere assunto per esigenze temporanee o per compiti contingenti. 7. Lavoro flessibile e pubblico impiego In genere, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, mediante i meccanismi di reclutamento concorsuale. Tuttavia, per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali, le stesse possono avvalersi delle medesime forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa (art. 36 D.Lgs. 165/2001, come novellato dal D.L. 101/2013, conv. in L. 125/2013). Ordinamento amministrativo La consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità della privatizzazione medesima, previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali rappresentative. L’obiettivo dell’aggiornamento delle dotazioni organiche all’effettiva realtà organizzativa dell’ente è garantito dal vincolo di revisione periodica e comunque triennale delle dotazioni organiche. 228 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato Le tipologie utilizzabili sono: — — — — — i contratti di lavoro a tempo determinato; i contratti di formazione e lavoro; gli altri rapporti formativi; la somministrazione di lavoro; il lavoro accessorio. Specifiche discipline per i pubblici dipendenti riguardano, poi, anche part-time e telelavoro, ammissibili nei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni. Anche l’apprendistato, infine, è entrato a far parte dei contratti estensibili al pubblico impiego, con il D.Lgs. 14-9-2011, n. 167 (nelle forme dell’apprendistato professionalizzante nonché di alta formazione e ricerca). Accanto alle citate tipologie di lavoro flessibile, il legislatore contempla la possibilità, per le amministrazioni, di conferire incarichi individuali esterni a soggetti non facenti parte del personale in servizio ma dotati di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, per fronteggiare esigenze per le quali non è possibile fare ricorso al personale interno (art. 7, comma 6, D.Lgs. 165/2001). 8. La dirigenza pubblica A) Evoluzione normativa La disciplina della dirigenza pubblica ha, nel corso degli anni, subìto notevoli mutamenti. Essa, nell’ambito del pubblico impiego, è stata istituita con un’organica regolamentazione mediante il D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, con cui la carriera dirigenziale è stata scorporata da quella direttiva, in cui era fino a quel momento inglobata. Sebbene lo scopo del citato D.P.R. fosse stato il riconoscimento di attribuzioni specifiche in capo ai dirigenti pubblici, l’affrancamento di questi ultimi rispetto ai vertici politici era ancora lontano. Fu proprio questo a portare ai successivi interventi normativi. Le riforme dagli anni Novanta in poi, infatti, hanno progressivamente delineato il ruolo della figura dirigenziale come soggetto dotato di una propria autonomia decisionale e, di conseguenza, di precise forme di responsabilità. Il decreto di riforma 29/1993 ha introdotto, anche sulla scorta della L. 142/1990 con riferimento all’ordinamento degli enti locali, il principio della netta separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione, per accrescere l’autonomia ed i poteri gestionali di pertinenza del ceto dirigenziale. Punti qualificanti di detto riassetto sono stati, anzitutto, la sostituzione della precedente tripartizione (dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente) con una bipartizione: dirigente generale-dirigente; l’affermazione dell’autonomia gestionale e operativa dei dirigenti, attraverso il passaggio da un rapporto di gerarchia ad uno di direzione con gli organi di direzione politica; la piena responsabilizzazione del ceto dirigente; infine, la modifica dei criteri di reclutamento e formazione. La L. 15-3-1997, n. 59 ha, poi, inteso superare un’incongruenza presente nella riforma del 1993, vale a dire la distinzione tra dirigenti, soggetti alla privatizzazione, e dirigenti generali, ancora disciplinati da norme di diritto pubblico. In attuazione della delega di cui alla L. 59/1997 è stato emanato il D.Lgs. 80/1998. Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 229 Esso ha operato: innanzitutto, una più precisa distinzione fra politica e amministrazione; in secondo luogo, ha istituito un ruolo unico della dirigenza, articolato in due fasce ai fini economici e per l’attribuzione degli incarichi di dirigenza generale ed ha ridefinito il trattamento economico dei dirigenti tramite contratti collettivi delle aree dirigenziali ed introdotto una nuova disciplina della responsabilità dirigenziale. In materia è intervenuta, successivamente, anche la L. 15-7-2002, n. 145, contenente «Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato». Con tale provvedimento sono stati introdotti meccanismi atti ad incentivare la mobilità tra pubblico e privato, sono state apportate modifiche nella disciplina degli incarichi dirigenziali ed è stata prevista un’area della vicedirigenza (oggi però abrogata dalla normativa in tema di spending review, D.L. 95/2012, conv. in L. 135/2012). B) Segue: Dalla riforma Brunetta ad oggi: l’attuale configurazione della dirigenza pubblica (attribuzioni e responsabilità) Il D.Lgs. 150/2009, sulla scia della L. 15/2009, ha accentuato notevolmente il ruolo e la posizione dei dirigenti. La riforma Brunetta, in primo luogo, delinea il dirigente quale vero e proprio datore di lavoro pubblico; tale figura diventa, infatti, responsabile della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità delle prestazioni poste in essere dai dipendenti. Ai dirigenti compete, pertanto, individuare le risorse e i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti; ciò anche al fine della compilazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale. A tale ultimo proposito, è previsto che detto documento, nonché i suoi aggiornamenti, sono elaborati su proposta dei competenti dirigenti che individuano i profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti (art. 6 D.Lgs. 165/2001, comma 4bis, aggiunto dal D.Lgs. 150/2009). I dirigenti di uffici dirigenziali generali, ancora, hanno il compito di combattere i fenomeni di corruzione e di definire e far rispettare le misure idonee al contrasto di quest’ultima (profilo reso ancora più incisivo dal D.L. 95/2012, conv. in L. 135/2012, cd. spending review, nel contesto della trasparenza delle procedure di spesa per l’acquisto di beni e servizi). In proposito, si ricordi che la L. 190/2012, cd. «pacchetto anticorruzione», istituisce proprio la figura del «dirigente anticorruzione». Egli ha il compito di predisporre un piano di prevenzione della corruzione che fornisca una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di illegalità e indichi gli interventi opportuni a fini preventivi (di solito si tratta di un dirigente di prima fascia; negli enti locali sarà il segretario). Ordinamento amministrativo Il D.Lgs. 165/2001, Testo Unico pubblico impiego, ha sancito e valorizzato quei criteri privatistici di managerialità ed efficienza in conseguenza dei quali la dirigenza assume il monopolio delle decisioni gestionali. L’art. 4 D.Lgs. 165/2001 ha un ruolo strategico, in quanto il dirigente viene dotato di una propria autonomia decisionale e, di conseguenza, assume la responsabilità in relazione all’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché alla gestione finanziaria, tecnica e amministrativa (mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo). 230 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato I dirigenti sono tenuti ad effettuare anche la valutazione del personale assegnato ai loro uffici, ai fini non solo della progressione economica tra le aree, ma anche della corresponsione di indennità e premi incentivanti. A tali maggiori poteri corrisponde anche una responsabilità più accentuata: i dirigenti rispondono del mancato esercizio dei poteri datoriali, se le loro omissioni cagionino lo scarso rendimento dei propri dipendenti (art. 21 D.Lgs. 165/2001). Infatti, il mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al ciclo di gestione della performance (previsto dal Titolo II del D.Lgs. 150/2009), ovvero l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’impossibilità di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l’incarico, collocando il dirigente a disposizione dei ruoli unici dei dirigenti, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo. Al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall’amministrazione, conformemente agli indirizzi deliberati dalla Civit (su cui amplius infra), la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione di una quota fino all’ottanta per cento. C) Accesso alla dirigenza In ogni amministrazione è istituito un ruolo dei dirigenti (articolato nella prima e seconda fascia dirigenziale), organizzato e gestito secondo le disposizioni del D.P.R. 108/2004. L’accesso alla dirigenza è disciplinato negli artt. 28 e 28bis D.Lgs. 165/2001, ma detto profilo va ad oggi coordinato con quanto disposto dal D.P.R. 70/2013, che da un lato ha novellato l’art. 28bis, dall’altro ha introdotto nuove regole in ordine al reclutamento di dirigenti e funzionari. L’accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (oggi Scuola Nazionale dell’amministrazione) (art. 28, comma 1, D.Lgs. 165/2001, come novellato dal D.P.R. 70/2013). L’elencazione dei soggetti ammessi al reclutamento e la relativa disciplina si rinviene nell’art. 7, commi 1-4, del D.P.R. 70/2013. L’accesso alla prima fascia dirigenziale, invece, avviene, per il cinquanta per cento dei posti, calcolati con riferimento a quelli che si rendono disponibili ogni anno per la cessazione dal servizio dei soggetti incaricati, per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere della Scuola superiore della pubblica amministrazione (oggi Scuola Nazionale dell’amministrazione) (art. 28bis D.Lgs. 165 cit.). D) Segue: Gli incarichi dirigenziali (art. 19 D.Lgs. 165/2001) Accanto alle prescritte modalità di accesso alla dirigenza, occorre menzionare anche un ulteriore canale, rappresentato dal conferimento di incarichi diretti, senza espletamento di previo concorso. Tali incarichi sono conferiti secondo le disposizioni dell’art. 19 D.Lgs. 165/2001. Il conferimento avviene tenendo conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 231 I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali. Lo “spoil system” L’istituto dello spoils system — di derivazione statunitense — caratterizza una parte del personale burocratico come di stretta estrazione fiduciaria, legandone ingresso e uscita dall’amministrazione all’avvicendamento dei diversi esecutivi. Quanti conseguono un ufficio in virtù dell’esercizio della prerogativa governativa di assunzione/nomina discrezionale restano, infatti, legati all’amministrazione da un rapporto di lavoro segnato, geneticamente, dalla previsione della sua cessazione al mutare dell’esecutivo. Di una forma di spoils system «all’italiana» si è parlato in relazione al comma 8 dell’art. 19 D.Lgs. 165/2001, con specifico riguardo agli incarichi dirigenziali apicali delle amministrazioni statali (Segretario generale; Capo di dipartimento, preposto a strutture complesse articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali; altri incarichi di livello equivalente), le cui funzioni risultano strettamente contigue con gli indirizzi politico-amministrativi espressi dagli organi politici (i ministri). Tali incarichi apicali cessano automaticamente, decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia ottenuto dal Governo subentrante. Non risulta affatto inciso, però, il sottostante rapporto di lavoro del dirigente di ruolo, scaturente dal contratto a tempo indeterminato stipulato al momento dell’immissione in ruolo. In sostanza, diversamente da quanto succede negli Stati Uniti, il meccanismo coinvolge, di regola, dirigenti professionali di ruolo e non comporta la perdita del rapporto di lavoro ma solo quella del temporaneo incarico in corso (per essere destinati ad altro incarico, laddove non confermati). A tale previsione deve aggiungersi il disposto dell’art. 14, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, secondo cui, all’atto del giuramento del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine, conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione «decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro». Il legislatore ha, peraltro, mostrato una accentuata tendenza ad ampliare le ipotesi di decadenza automatica dagli incarichi ben al di fuori delle ristretta fascia di dirigenti apicali previsti dallo spoils system «ordinario». L’esperienza italiana ha registrato varie vicende definite di spoils system una tantum (risoluzione ante tempus di incarichi dirigenziali dovuta a decisione unilaterale — una tantum — del legislatore), ben oltre la cerchia degli incarichi apicali e in momenti temporali non coincidenti con quello dell’insediamento di un nuovo governo. La dilatazione dell’area di dirigenti sottoposti a spoils system (a regime o una tantum) ha finito per provocare la reazione della Corte costituzionale (cfr. le sentenze n. 103 e 104 del 1007 e la n. 161/2008). Ordinamento amministrativo delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza nell’amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche, purché attinenti al conferimento dell’incarico. Con il provvedimento di conferimento sono individuati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell’incarico, che deve essere correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni. Al provvedimento di conferimento dell’incarico, poi, accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico. 232 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato 9. Doveri e diritti del pubblico dipendente A) Codice di comportamento e doveri-obblighi degli impiegati I doveri del dipendente, in genere, possono essere raggruppati in due ampie tipologie: l’una di stampo prettamente pubblicistico, riconducibile al dovere di fedeltà alla Repubblica, sancito dall’art. 51 Cost., ai principi di imparzialità e buon andamento, affermati dall’art. 97 Cost., e al carattere democratico della Repubblica (art. 1 Cost.), che impone di favorire rapporti di fiducia fra amministrazione e cittadino. L’altra tipologia si richiama, invece, ai doveri di diligenza, obbedienza e fedeltà sanciti, anche per il rapporto di lavoro privato, dagli artt. 2104 e 2105 c.c. L’art. 54 D.Lgs. 165/2001, sostituito dalla L. 190/2012, attribuisce all’esecutivo il compito di definire un nuovo codice di comportamento dei pubblici dipendenti per assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione della corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico. Tale codice contiene una apposita sezione dedicata ai doveri della dirigenza e comunque prevede per tutti i dipendenti il divieto di chiedere o accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con lo svolgimento delle proprie funzioni; ammessi solo i regali di modico valore. La violazione dei doveri recati dal codice è fonte di responsabilità disciplinare nonché rilevante ai fini della responsabilità civile, amministrativa e contabile nel caso essa sia collegata alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti. Con D.P.R. 16-4-2013, n. 62 è stato, dunque, introdotto il nuovo Codice di comportamento dei pubblici dipendenti — che soppianta il previgente, recato dal D.M. 28-11-2000. Detto codice dovrà, poi, essere a sua volta integrato con un codice di comportamento a livello di ogni singola amministrazione. B) I diritti del lavoratore pubblico Ai doveri-obblighi dell’impiegato fa riscontro una serie di diritti, di diverso contenuto e consistenza giuridica; ciò conferma il carattere bilaterale del rapporto d’impiego. I diritti dell’impiegato si possono distinguere a seconda che abbiano un contenuto patrimoniale o non patrimoniale. 1. I diritti patrimoniali Fra i diritti patrimoniali degli impiegati dello Stato, il più importante è quello alla retribuzione. Si tratta una prestazione periodica in denaro cui la P.A. è tenuta verso i propri dipendenti, come corrispettivo del servizio prestato e, quindi, va commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dall’impiegato. La retribuzione si articola, in genere, in un trattamento fondamentale, comprensivo delle voci a carattere fisso e continuativo, e in un trattamento accessorio, costituito da emolumenti eventuali ed occasionali. A tal proposito, il D.Lgs. 150/2009 dispone che i contratti collettivi dovranno definire trattamenti economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 233 riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l’amministrazione; c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute. Il Titolo III del D.Lgs. 150/2009 reca un innovativo sistema di valorizzazione del merito. L’art. 19, in tema di trattamento accessorio collegato alla performance individuale, articola una graduatoria su tre fasce di merito, alle quali l’OIV di ogni amministrazione deve poi assegnare i valutati, inseriti in diversi livelli di performance: — il venticinque per cento è collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale; — il cinquanta per cento è collocato nella fascia di merito intermedia, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale; — il restante venticinque per cento è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde l’attribuzione di alcun trattamento accessorio collegato alla performance individuale. Il cd. correttivo Brunetta, D.Lgs. 141/2011, ha previsto che la differenziazione retributiva in fasce predisposte dal D.Lgs. 150 cit. si applica dalla tornata contrattuale successiva a quella in corso, relativa al quadriennio 2006-2009. 2. I diritti non patrimoniali Tra i diritti non patrimoniali occorre citare: — il diritto all’ufficio, inteso come diritto alla permanenza nel rapporto di lavoro; — il diritto allo svolgimento delle mansioni (cd. diritto alla funzione), in base al quale il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all’art. 35; — il cd. diritto alla progressione, che concerne la disciplina relativa ai passaggi interni dei dipendenti pubblici sia fra nuove aree funzionali che all’interno della stessa area. Si ricordi che le progressioni si distinguono, a loro volta, in: economiche, laddove esse si concretizzino in scatti da una posizione economica all’altra nell’ambito della medesima area funzionale; e di carriera, nel caso siano scatti di posizione economica da un’area contrattuale a quella superiore; — il diritto al riposo, in base al quale il lavoratore ha diritto a godere delle ferie e ad assentarsi per motivi particolari (mediante permessi) o in caso di malattia. Infatti, il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi. Inoltre, a domanda del dipendente sono concessi permessi retribuiti in casi determinati. Per quanto concerne le assenze, esse possono essere concesse per malattia, per infortuni sul lavoro o per malattia dovuta a causa di servizio, ovvero per maternità; — il diritto alla riservatezza, per cui alle pubbliche amministrazioni è imposto il rispetto di particolari condizioni per il trattamento da parte di soggetti pubblici di dati sensibili, tra cui un posto di preminenza spetta ai dati idonei a rivelare lo stato di salute; Ordinamento amministrativo Come si articola il rapporto tra fasce di merito e valutazione della performance? 234 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato — il diritto alle pari opportunità, che prevede che le amministrazioni pubbliche svolgano un ruolo propositivo e propulsivo ai fini della promozione ed attuazione concreta del principio delle pari opportunità, attraverso la rimozione di forme esplicite ed implicite di discriminazione tra uomini e donne sui luoghi di lavoro (cfr. al riguardo l’art. 57 D.Lgs. 165/2001. 10. Il ciclo di gestione della performance e la valorizzazione del merito: le novità della riforma Brunetta La L. 15/2009 pone obiettivi di trasparenza, di rendimento ed efficienza per l’azione amministrativa. L’attuazione di tali fondamentali obiettivi rappresenta uno dei fini primari del decreto Brunetta, il quale, al Titolo II, si occupa della disciplina della gestione della performance nonché degli organismi preposti al monitoraggio di quest’ultima. Per quanto riguarda, innanzitutto, la misurazione e la valutazione della performance, è previsto un apposito ciclo di gestione della medesima, destinato all’attuazione di specifici obiettivi, tra cui ricordiamo il miglioramento dello standard dei servizi offerti dalle amministrazioni nonché la crescita delle competenze professionali dei lavoratori pubblici, attraverso la valorizzazione del merito e la predisposizione di premi per il raggiungimento dei risultati stabiliti. Inoltre, le amministrazioni, al fine di assicurare la qualità, comprensibilità ed attendibilità dei documenti di rappresentazione della performance, sono tenute annualmente a redigere: a) entro il 31 gennaio, un documento programmatico triennale, denominato Piano della performance, al quale spetta individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definire, con riferimento agli obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’amministrazione nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori; b) un documento, da adottare entro il 30 giugno, denominato Relazione sulla performance che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all’anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di genere realizzato. Le amministrazioni valutano la performance attraverso un apposito Sistema di misurazione, che si distingue a seconda che ponga in essere una valutazione di tipo organizzativo ovvero individuale. I soggetti coinvolti nel ciclo di gestione della performance sono: — la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit). Tale organo, a seguito della L. 190/2012 e del D.L. 101/2013, conv. in L. 125/2013, opera anche come Autorità Nazionale anticorruzione e per la valutazione e la trasparenza nelle pubbliche amministrazioni (A.N.AC.). Attualmente, si tenga presente che l’A.N.AC. prende le funzioni dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Lo prevede il D.L. 90/2014, cd. riforma P.A. targata Renzi-Madia, conv. in L. 114/2014, che procede alla soppressione dell’AVCP e il contestuale passaggio di funzioni all’A.N.AC., che a sua volta, viene ridenominata Autorità nazionale anticorruzione. Dalla data di conversione del decreto n. 90/2014 le attribuzioni dell’A.N.AC. in tema di misurazione e valutazione della performance dei pubblici dipendenti sono trasferite al Dipartimento della Funzione pubblica; — gli Organismi indipendenti di valutazione della performance (OIV); Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 235 — l’organo di indirizzo politico-amministrativo di ciascuna amministrazione; — i dirigenti di ciascuna amministrazione. La riforma, infine, crea un legame strettissimo tra rispetto del procedimento di valutazione della performance e attribuzione degli incentivi economici legati a quest’ultima: è, invero, previsto che le amministrazioni pubbliche promuovono il merito e il miglioramento della performance organizzativa e individuale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi, secondo logiche meritocratiche, nonché valorizzano i dipendenti che conseguono le migliori performance attraverso l’attribuzione selettiva di incentivi sia economici sia di carriera. 11. La responsabilità dell’impiegato. In particolare, la responsabilità disciplinare La responsabilità dell’impiegato per l’inosservanza di norme giuridiche può essere: — penale, quando la tragressione dei doveri di ufficio da parte dell’impiegato assume il carattere di violazione dell’ordine giuridico generale e si concreta nella figura del reato (es. abuso e omissione di atti d’ufficio, concussione, corruzione etc.); — civile, quando dalla trasgressione dei doveri d’ufficio derivi un danno per l’ente pubblico (cd. responsabilità patrimoniale). Essa discende dai principi generali della materia ed ha carattere contrattuale (SANDULLI). La relativa sanzione consiste nell’obbligo di risarcire il danno (sempre che vi sia dolo o colpa); — amministrativa, quando l’inosservanza dolosa o colposa degli obblighi di servizio comporti un danno patrimoniale all’amministrazione. In tale forma di responsabilità si inquadra anche la responsabilità contabile, che emerge in caso di violazioni di norme sui procedimenti di spesa e sulla custodia del danaro pubblico da parte di chi ne sia abilitato (e tenuto) al maneggio. I relativi giudizi di responsabilità sono affidati esclusivamente alle sezioni giurisdizionali (territorialmente competenti) della Corte dei conti. Data la diversa causa, le tre forme di responsabilità possono agire congiuntamente nei riguardi della stessa persona, ancorché unica sia la trasgressione da questa commessa. B) La responsabilità disciplinare La responsabilità disciplinare deriva dalla violazione dei doveri inerenti al rapporto d’impiego da parte del dipendente. Al fine di integrare un illecito disciplinare occorre un’azione od omissione, compiuta in violazione di legge, di regolamento o di contratto e, in particolare, dei doveri previsti da quest’ultimo. La materia è stata profondamente innovata a seguito della riforma Brunetta. La nuova disciplina, infatti, si caratterizza per: 1) la legificazione di alcune tipologie di infrazioni e sanzioni; quelle residuali restano definite dai contratti collettivi; 2) la semplificazione dei procedimenti disciplinari e l’incremento della loro funzionalità, soprattutto mediante l’estensione dei poteri del dirigente della struttura in Ordinamento amministrativo A) Profili generali 236 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato cui il dipendente lavora, competente ora fino all’applicazione della misura della sospensione dal servizio fino a dieci giorni; 3) la definizione di un catalogo di infrazioni particolarmente gravi assoggettate al licenziamento, elenco che potrà essere ampliato, ma non diminuito dalla contrattazione collettiva. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, infatti, si applica comunque la sanzione disciplinare del licenziamento in caso di (art. 55quater D.Lgs. 165/2001): a) falsa attestazione della presenza in servizio; b) giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia; c) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione; d) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di servizio; e) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera; f) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui; g) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro; h) scarso rendimento per almeno un biennio; 4) l’innovativa disciplina in tema di rapporto fra procedimento disciplinare e procedimento penale, limitando ai soli procedimenti disciplinari più complessi la possibilità di sospensione in attesa del giudizio penale e prevedendo, peraltro, che i procedimenti disciplinari non sospesi siano riaperti, se vi è incompatibilità con il sopravvenuto giudicato penale. 12. La disciplina della mobilità nel lavoro pubblico e le novità alla luce della riforma della P.A. 2014 Il termine «mobilità» fa riferimento ad una serie di cambiamenti suscettibili di verificarsi nel rapporto di impiego. Alcuni possono, infatti, avvenire all’interno di una medesima P.A. e portare al passaggio di un singolo lavoratore da un ente ad un altro. È possibile anche che una stessa procedura riguardi più lavoratori, nel caso, ad esempio, di eccedenze di personale. A) Mobilità individuale ed obbligatoria Il profilo della mobilità individuale rappresenta uno di quelli maggiormente incisi dalla riforma della P.A. targata Renzi-Madia, recata dal D.L. 90/2014, conv. in L. 114/2014: viene, difatti, dato notevole stimolo e maggiore flessibilità agli istituti della mobilità volontaria e di quella obbligatoria, ex art. 30 D.Lgs. 165/2001. Ai sensi del novellato art. 30 T.U. pubblico impiego, infatti, le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 237 facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell’amministrazione di appartenenza (la previgente versione dell’articolo in esame parlava di «cessione del contratto di lavoro»). Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo di almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. Innovazioni ci sono state, come anticipato, anche relativamente alla mobilità cd. obbligatoria: il comma 2 della novellata disposizione dispone che i dipendenti possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso Comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti. La norma deroga a quanto previsto dall’art. 2103, comma 1, terzo periodo, c.c., con la conseguenza che per attuare un trasferimento nel pubblico non è necessario che lo stesso sia motivato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (viene eliminato il previgente riferimento alla medesima unità produttiva). Nel caso di dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, aventi diritto al congedo parentale, e ai soggetti che assistono un familiare disabile, il trasferimento è sì possibile ma solo con il consenso degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa presso un’altra sede. La novellata disciplina, pertanto, trova la sua ratio nel favor per lo scambio e l’utilizzo delle diverse professionalità nell’ambito della medesima P.A. ovvero tra amministrazioni che sono situate nella medesima unità produttiva, previo accordo. Residua dalla previgente formulazione la previsione per cui le amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di nuove procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità, provvedendo in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, anche in posizione di comando e fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento. B) La mobilità collettiva La mobilità collettiva invece, riguarda i casi di eccedenza di personale (art. 33 D.Lgs. 165/2001, come sostituito dall’art. 16 L. 12-11-2011, n. 183, legge di stabilità 2012). Le amministrazioni, difatti, ogni anno devono verificare l’esistenza di eventuali situazioni di soprannumero o, comunque, di eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria. Se vi è esubero, il dirigente responsabile deve dare un’informativa preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto o area, decorsi dieci giorni dalla quale l’amministrazione o risolve unilateralmente i contratti del personale dipendente che ha raggiunto l’anzianità massima contributiva di 40 anni, oppure, in subordine, verifica la ricollocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell’ambito della medesima amministrazione, anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell’ambito della Regione. Ordinamento amministrativo Il Dipartimento della Funzione pubblica istituisce un portale per agevolare l’incontro tra domanda e offerta di mobilità. Inoltre, le amministrazioni di destinazione provvedono alla riqualificazione dei dipendenti la cui domanda di trasferimento è accolta, eventualmente avvalendosi, ove sia necessario predisporre percorsi specifici o settoriali di formazione, della Scuola nazionale dell’amministrazione. 238 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato Trascorsi novanta giorni dalla comunicazione ai sindacati, l’amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione e che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni nell’ambito regionale, ovvero che non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilità. La contrattazione collettiva nazionale può, tuttavia, stabilire criteri generali e procedure per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni al di fuori del territorio regionale che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali; in tale ipotesi si applica quanto sancito dall’art. 30 D.Lgs. 165/2001, sulla mobilità individuale. Ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. 165/2001, inoltre, è stabilito che il personale in disponibilità venga iscritto in appositi elenchi (che dovranno essere pubblicati sul sito istituzionale dell’ente) secondo l’ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto di lavoro ed abbia diritto ad un’indennità pari all’80% della retribuzione per la durata massima di 24 mesi. Il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto a tale data. Anche tale articolo viene innovato, in particolare mediante la previsione dell’assegnazione di nuove mansioni (anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore di un solo livello per ciascuna delle suddette fattispecie al personale collocato in disponibilità che ne faccia richiesta, al fine di ampliare le occasioni di ricollocazione medesima (cfr. l’art. 5 D.L. 90/2014, conv. in L. 114/2014). Il personale così ricollocato non avrà diritto all’indennità di disponibilità, pur mantenendo il diritto di essere ricollocato successivamente nella propria qualifica e categoria di inquadramento originari, anche mediante le procedure di mobilità volontaria ex art. 30 D.Lgs. 165/2001. 13. L’estinzione del rapporto di impiego Il rapporto di pubblico impiego è soggetto a vicende estintive di varia natura, che trovano la loro origine nella disciplina pattizia, pubblicistica e privatistica. A) La disciplina pattizia La cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha luogo per: — — — — — licenziamento (con o senza preavviso) disciplinare; compimento del limite di età, ai sensi delle norme di legge in vigore; dimissioni del dipendente (queste si perfezionano con l’accettazione delle stesse da parte della P.A.); decesso del dipendente; superamento del periodo di comporto in caso di malattia. Altra ipotesi di risoluzione prevista dal contratto collettivo è quella consequenziale all’annullamento della procedura di reclutamento. B) La disciplina pubblicistica Residuano dalle vecchie previsioni, contenute nel Testo Unico degli impiegati civili dello Stato, le seguenti ipotesi di decadenza dall’impiego: — per perdita della cittadinanza italiana (art. 127, comma 1, lett. a), D.P.R. 3/1957); — per avvenuta accettazione di una missione o altro incarico da un’autorità straniera senza autorizzazione del Ministro competente (art. 127, comma 1, lett. b), D.P.R. 3/1957); — per mancata cessazione della situazione di incompatibilità tra obblighi di servizio e attività svolte dal dipendente, nonostante la diffida ricevuta (art. 63 D.P.R. 3/1957, espressamente richiamato dall’art. 53 D.Lgs. 165/2001). Nell’ipotesi di accertata permanente inidoneità psicofisica al servizio del pubblico dipendente, la P.A. può risolvere il rapporto di lavoro (art. 55octies D.Lgs. 165/2001, introdotto dal D.Lgs. 150/2009). Il relativo regolamento di attuazione è recato dal D.P.R. 27-7-2011, n. 171. Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 239 C) La disciplina privatistica In base all’espresso richiamo all’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 sono estensibili ai rapporti di pubblico impiego le norme del codice civile e delle leggi speciali sul lavoro nell’impresa. In particolare, è ammissibile il licenziamento: per giusta causa (art. 2119 c.c.), per giustificato motivo soggettivo (art. 3, L. 604/1966), per giustificato motivo oggettivo (art. 3, L. 604/1966). L’inadempimento degli obblighi contrattuali può, invece, causare il licenziamento disciplinare del dipendente. L’attuale sistema della giurisdizione sui rapporti di lavoro pubblico costituisce il frutto del lungo iter di riforma avviato agli inizi degli anni Novanta. Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche era, in una prima fase, attratto nell’area del diritto pubblico, come pure pubblicistico era considerato lo stesso rapporto che legava P.A. e dipendente; ciò comportava l’attribuzione delle controversie in questo settore al giudice amministrativo. Con la privatizzazione la prospettiva viene completamente ribaltata: l’avere assoggettato la disciplina del lavoro pubblico al codice civile e alle leggi sul lavoro subordinato nell’impresa non ha potuto che comportare anche la necessità di spostare la giurisdizione dal giudice amministrativo a quello ordinario. Non aveva più senso, infatti, il permanere della giurisdizione amministrativa, laddove gli atti di gestione del rapporto lavorativo erano considerati alla stregua di atti di diritto privato e non più atti organizzativi di carattere pubblicistico. Il D.Lgs. 80/1998 è stato un passaggio cruciale in questo contesto, in quanto (assieme al coevo D.Lgs. 387/1998) ha rimaneggiato in maniera sostanziale la privatizzazione e determinato la devoluzione al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, delle controversie di lavoro alle dipendenze delle PP.AA., modificando all’uopo l’art. 68, D.Lgs. 29/1993, previsione poi recepita nell’art. 63, D.Lgs. 165/2001. Sono devolute, infatti, al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, dal 30 giugno 1998, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Vi sono incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. Sono devolute alla giurisdizione ordinaria, inoltre, anche le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni (ex art. 28 Statuto dei Lavoratori, L. 300/1970) nonché quelle promosse da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva. Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro. Restano devolute, invece, alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico (di cui all’art. 3, D.Lgs. 165/2001), ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi. Ordinamento amministrativo 14. Profili giurisdizionali in tema di impiego pubblico Capitolo Settimo Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi Sommario: Sezione Prima: Concetti generali sull’attività amministrativa: 1. L’attività amministrativa: Nozione. - 2. Principi costituzionali dell’attività amministrativa. - 3. Classificazioni inerenti l’attività amministrativa. - Sezione Seconda: Il procedimento amministrativo: 1. Il procedimento amministrativo: definizione e principi. - 2. Tempistica procedimentale e profili di responsabilità. - 3. Il responsabile del procedimento. - 4. La partecipazione al procedimento. - 5. La semplificazione dell’azione amministrativa. - Sezione Terza: L’informatizzazione della P.A.: 1. E-government ed informatizzazione. - 2. P.A. digitale e diritti dei cittadini e delle imprese. - Sezione Quarta: Il diritto di accesso ai documenti amministrativi: 1. La trasparenza dell’azione amministrativa: l’«accessibilità totale». - 2. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi. - 3. La tutela del diritto di accesso. Sezione Prima Concetti generali sull’attività amministrativa 1. L’attività amministrativa: Nozione L’attività amministrativa è quella mediante la quale gli organi statali, all’uopo preposti, provvedono alla cura degli interessi pubblici ad essi affidati. L’individuazione del fine da perseguire e la sua assegnazione alla P.A. rientrano nell’ambito dell’attività politica o di governo che perciò si distingue dall’attività amministrativa. 2. Principi costituzionali dell’attività amministrativa L’attività amministrativa deve svolgersi nel rispetto di alcuni fondamentali principi sanciti dalla Costituzione: a) legalità, secondo cui l’attività amministrativa deve corrispondere alle prescrizioni di legge; b) buona amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione, secondo il quale l’azione amministrativa deve essere esplicata in modo efficiente ed appropriato, per realizzare il pubblico interesse con la massima economicità e speditezza possibili; c) imparzialità, anch’esso sancito esplicitamente dall’art. 97 Cost., secondo il quale l’attività amministrativa deve essere svolta nel pieno rispetto della giustizia, ossia senza favoritismi né facilitazioni per alcuno, all’infuori dei casi previsti dalla legge; d) ragionevolezza, la quale costituisce, anche alla luce della L. 241/1990, un criterio in cui confluiscono i principi di eguaglianza, di imparzialità e di buon andamento. In virtù di questo principio, non espressamente contenuto nella Costituzione, l’azione amministrativa, al di là del rispetto delle prescrizioni normative, deve adeguarsi ad un canone di razionalità operativa, sì da evitare decisioni arbitrarie ed irrazionali (MORBIDELLI). Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 241 A) Discrezionalità e merito L’attività che la P.A. pone in essere per il perseguimento dei suoi fini trova una serie di limitazioni rispondenti a diverse esigenze (es. conservare l’attività amministrativa nell’ambito della liceità oppure nell’ambito dei fini pubblici che l’amministrazione deve perseguire). I limiti posti da norme giuridiche possono essere indicati in modo preciso e puntuale oppure in modo elastico: mentre nel primo caso l’attività amministrativa si dice vincolata, nel secondo caso, invece, si dice discrezionale. Gli atti vincolati sono quelli emanati in forza di una norma di legge che ne prevede come obbligatoria l’adozione e ne determina in maniera puntuale il contenuto, vincolando l’amministrazione che, all’avverarsi della situazione prevista dalla norma, è tenuta ad emanarli senza potere compiere alcuna valutazione di merito. La caratteristica dell’attività discrezionale consiste nella possibilità, che ha la P.A., di scegliere tra più soluzioni possibili, ma sempre perseguendo l’interesse primario fissato dalla legge e tenendo tuttavia conto degli interessi secondari (pubblici e privati) che interagiscono con esso. Il superamento dei limiti (sia precisi e puntuali che elastici), posti dalla legge, comporta l’illegittimità del relativo atto amministrativo (vincolato o discrezionale). Le scelte operate dalla P.A. nell’ambito dei limiti posti da norme non giuridiche di buona amministrazione attengono, invece, al merito dell’azione amministrativa. Il superamento di questi ultimi limiti non comporta l’illegittimità dell’atto amministrativo, ma solo l’inopportunità dello stesso. Ciò è molto importante perché il cittadino che si ritiene leso da un atto amministrativo illegittimo ha la possibilità di chiedere la tutela giurisdizionale; quest’ultima è invece esclusa, salvo casi eccezionali, laddove il cittadino si ritenga leso da un atto inopportuno. B) Discrezionalità tecnica, accertamenti tecnici e discrezionalità mista Nella cd. discrezionalità tecnica, a differenza di quanto avviene con la discrezionalità amministrativa propriamente detta, la scelta non è effettuata sulla base della valutazione degli interessi prioritari e di quelli secondari; e pertanto lo spazio entro il quale si può muovere la P.A. nella effettuazione della scelta stessa è notevolmente ridotto. L’accertamento tecnico ricorre, invece, quando la scelta della P.A. sia indicata dalle cd. scienze esatte, con la conseguenza di una assoluta mancanza di margini, valutativi o di opinabilità in capo alla stessa P.A. Si parla, infine, di discrezionalità mista in tutti quei casi in cui, in relazione ad una certa scelta, la P.A. disponga sia di discrezionalità amministrativa, sia di discrezionalità tecnica. L’importanza della predetta classificazione è connessa al fatto che la discrezionalità mista e quella tecnica sono ricondotte tradizionalmente nell’ambito concettuale del merito amministrativo; sulla base di tale impostazione viene affermata l’inammissibilità della tutela giurisdizionale. C) Amministrazione attiva, consultiva e di controllo L’esigenza di evitare l’accentramento di diverse competenze in un unico ufficio ha spinto la dottrina a distinguere l’attività amministrativa in tre tipi: a) amministrazione attiva: comprende tutte le attività con cui la P.A. agisce per realizzare i propri fini; vi rientrano sia le attività deliberative che esecutive; Ordinamento amministrativo 3. Classificazioni inerenti l’attività amministrativa 242 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato b) amministrazione consultiva: comprende le attività dirette a fornire — sotto forma di pareri — consigli, direttive, orientamenti e chiarimenti del caso alle autorità che devono provvedere su un determinato oggetto; c) amministrazione di controllo: comprende le attività dirette a sindacare secondo diritto (controllo di legittimità) o secondo le regole della buona amministrazione (controllo di merito) l’operato degli agenti a cui sono demandati i compiti di amministrazione attiva. La dottrina (QUARANTA), infine, affianca alle suddette tre attività una quarta attività, l’amministrazione contenziosa, che è l’attività preordinata, sempre a livello meramente amministrativo (e cioè mediante atti amministrativi posti in essere in base a procedimenti amministrativi), a risolvere conflitti di interesse tra destinatari della funzione amministrativa e titolari di essa (ricorsi amministrativi). Sezione Seconda Il procedimento amministrativo 1. Il procedimento amministrativo: definizione e principi A) Nozione Affinché un atto sia perfetto (ossia completo di tutti gli elementi necessari per la sua esistenza giuridica) ed efficace (cioè idoneo a produrre gli effetti giuridici propri del tipo al quale l’atto stesso appartiene) esso deve, di regola, essere emanato dopo aver seguito un particolare iter, comprendente più atti ed operazioni che, nel loro complesso, prendono il nome di procedimento amministrativo. La relativa disciplina è recata dalla L. 7-8-1990, n. 241, legge che, improntata a criteri come la trasparenza, la partecipazione e la semplificazion, ha sancito il passaggio da un’attività amministrativa «unilaterale» ad un’attività che, al contrario, tende ad essere sempre più il frutto di una concertazione con il destinatario del provvedimento amministrativo. Anche le successive novelle cui è stata sottoposta la L. 241 cit. (le principali sono state la L. 15/2005 e la L. 69/2009) hanno ulteriormente perseguito la strada dell’avvicinamento tra cittadino e ufficio pubblico. B) I principi di cui alla legge sul procedimento L’art. 1 della L. 241/1990, legge generale sul procedimento amministrativo, individua una serie di principi e criteri direttivi che, ricollegandosi alle previsioni costituzionali, devono improntare l’azione amministrativa: 1. il principio di legalità, per il quale l’attività amministrativa deve perseguire i fini dettati dalla legge. La dottrina ha sottolineato che il principio di legalità deve essere inteso in senso sostanziale, cioè non solo come «conformità estrinseca dell’atto amministrativo al dato normativo», ma, anche come «conformità di tutta l’azione amministrativa alle prescrizioni normative espresse, nonché ai valori di efficacia, efficienza ed adeguatezza che promanano dall’intero corpus normativo» (CARINGELLA-TORIELLO); Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 243 2. il principio del giusto procedimento che, garantendo il diritto di partecipazione degli interessati, consacra la dialettica tra interessi pubblici e privati, tendendo alla composizione di eventuali contrasti. In tale contesto, particolare rilevanza assumono gli artt. 7 e 10bis della L. 241/1990, che disciplinano, rispettivamente, la comunicazione di avvio del procedimento e il cd. preavviso di rigetto, ossia la comunicazione, al destinatario dell’atto, dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza presentata in un momento antecedente a quello dell’adozione del provvedimento definitivo; 3. il principio di semplificazione, in ragione del quale il legislatore ha introdotto taluni istituti diretti, in conformità all’art. 97 Cost., a snellire e rendere più celere l’azione amministrativa (silenzio assenso, segnalazione certificata di inizio attività, conferenze di servizi etc.). Ai suddetti principi sono informati, in particolare, i criteri fondamentali e le regole dettate dal Capo I della L. 241/1990 a cui l’amministrazione deve attenersi, ossia: — l’economicità riguarda l’obbligo per la P.A. di realizzare il miglior risultato possibile, in termini di produzione di beni e servizi ovvero di raggiungimento dell’interesse pubblico fissato legislativamente, in rapporto alla quantità di risorse a disposizione ovvero al minor sacrificio possibile degli interessi secondari coinvolti nella fattispecie; — l’efficacia è un concetto che implica il raffronto tra i risultati programmati e quelli raggiunti; — l’imparzialità implica una posizione di equidistanza dell’amministrazione rispetto a tutti gli interessi coinvolti in una determinata fattispecie. Più specificamente, essa assume una valenza negativa, laddove si traduce nel divieto per la P.A. di realizzare qualsiasi forma di favoritismo nei confronti di alcuni soggetti, ed una valenza positiva, legata alla corretta ed obiettiva valutazione degli interessi, pubblici o privati, sui quali la pubblica amministrazione andrà ad incidere. L’imparzialità è stata introdotta espressamente nella L. 241/1990, quale criterio direttivo dell’azione amministrativa solo dalla L. 69/2009 (art. 7, comma 1, lett. a)): prima di tale momento, un richiamo espresso a tale principio era rinvenibile solo nell’art. 97 Cost., in relazione all’organizzazione dei pubblici uffici; — la pubblicità rappresenta uno strumento di attuazione del principio della trasparenza ed impone alla P.A. di rendere accessibili agli interessati notizie e documenti concernenti l’operato dei pubblici poteri; — la trasparenza, infine, è da intendersi come immediata e facile controllabilità di tutti i momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica l’operato della pubblica amministrazione, onde garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale. A tale principio sono strettamente connessi il diritto di accesso e l’istituzione degli uffici per le relazioni con il pubblico. Diretta conseguenza dei criteri appena descritti, ed enunciati nell’art. 1, comma 1, L. 241/1990, è il principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, sancito all’art. 1, comma 2, della medesima legge. La previsione per cui «la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria», è la più chiara espressione della finalità propria del procedimento amministrativo: se, infatti, l’adozione del provvedimento finale deve avvenire in tempi celeri, ossia quelli prestabiliti dal legislatore all’art. 2 della legge de qua, esso deve comunque essere la risultante di un’istruttoria adeguata che consenta un’attenta valutazione degli interessi in gioco; — obbligo di conclusione esplicita del procedimento (art. 2). La P.A. ha il dovere di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento finale espresso, sia quando il procedimento consegua ad istanza, sia quando debba essere iniziato d’ufficio; — obbligo generale di motivazione del provvedimento amministrativo (art. 3). Tale obbligo «richiede l’esposizione esplicita del percorso argomentativo che ha portato alla decisione» (SORACE), evidenziando lo stretto collegamento esistente tra il procedimento ed il provvedimento, «di cui la motivazione è l’espressione formale» (GAROFOLI-FERRARI); Ordinamento amministrativo — economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. In particolare: 244 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato — l’uso della telematica nell’azione amministrativa. Con la L. 15/2005 il legislatore ha inserito nel Capo I della L. 241/1990 l’art. 3bis che, nel segno di una maggiore efficienza della P.A. introduce formalmente il principio dell’informatizzazione dell’attività amministrativa. Tale disposizione, infatti, dispone il dovere delle pubbliche amministrazioni di incentivare l’uso della telematica sia nei rapporti interni tra le diverse amministrazioni sia tra queste e i privati. C) I principi europei Accanto ai menzionati principi, frutto di scelte legislative interne al nostro ordinamento e di elaborazioni giurisprudenziali proprie della nostra cultura giuridica, vi sono quelli di derivazione europeistica che hanno avuto espresso riconoscimento, attraverso un richiamo diretto agli stessi, ex art. 1 L. 241/1990. Fra i principi europei rilevano in particolare: — principio di certezza del diritto: tale principio (cui sono strettamente connessi quello della tutela del legittimo affidamento e quello della irrevocabilità degli atti amministrativi) è diretto a garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici rientranti nella sfera del diritto comunitario (CHITI); — principio del legittimo affidamento: tale principio è volto alla protezione di situazioni consolidate a seguito di provvedimenti emanati (e illegittimamente revocati) che hanno ingenerato un ragionevole affidamento nei destinatari (Corte di giustizia, sez. VI, 24-1-2002, causa C-500/99); — principio di proporzionalità: non possono essere stabiliti da parte delle pubbliche autorità obblighi e restrizioni alla libertà degli interessati in misura diversa da quella necessaria per raggiungere lo scopo cui è preposta l’autorità responsabile (Corte di giustizia, 10-12-2002, causa C-491/01); — principio del giusto procedimento: il diritto ad essere ascoltati nel corso del procedimento amministrativo è un altro principio generale del diritto comunitario (CHITI). Il rispetto delle prerogative della difesa in qualsiasi procedimento instaurato a carico di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo, costituisce un principio fondamentale di diritto comunitario (Corte di giustizia, 23-10-1974, causa C-17/74); — principio di buona amministrazione: il principio impone di garantire la tempestività dell’azione amministrativa e, nella connessa accezione di imparzialità, di evitare, in casi analoghi, trattamenti difformi senza adeguata motivazione o di rispettare criteri di massima fissati in precedenza (CHITI). D) Le fasi del procedimento Il procedimento amministrativo, disciplinato dalla L. 7-8-1990, n. 241, si svolge in tre fasi principali: 1ª Fase preparatoria: è diretta a predisporre ed accertare i presupposti dell’atto da emanare. Essa si divide in due stadi: — stadio dell’iniziativa (momento propulsivo). Il procedimento è ad iniziativa di parte quando può essere instaurato solo con un atto propulsivo del soggetto interessato all’emanazione di un provvedimento (es. l’istanza per il rilascio di un’autorizzazione); in tal caso, l’istanza del privato fa sorgere in capo alla P.A. il dovere di emanare un determinato provvedimento espresso (art. 2 L. 241/1990). È, invece, ad iniziativa d’ufficio quando è instaurato da un organo amministrativo. In particolare si distingue tra: — iniziativa autonoma, quando l’organo è lo stesso competente all’emanazione del provvedimento finale; — iniziativa eteronoma, quando l’organo è diverso da quello competente all’emanazione del provvedimento finale; Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 245 — stadio istruttorio (esame dei dati rilevanti ai fini dell’emanazione dell’atto; in genere comprende attività materiali, come misurazioni, analisi, ispezioni etc.). 2ª Fase costitutiva: è la fase deliberativa del procedimento, in cui si determina il contenuto dell’atto. Al termine di questa seconda fase l’atto è perfetto, ma non ancora efficace. 3ª Fase d’integrazione dell’efficacia: l’atto già perfetto diviene efficace. Rientrano in tale terza ed ultima fase: E) Gli atti di controllo Il controllo degli atti consiste nel riesame degli atti di amministrazione attiva, al fine di accertarne la conformità a determinate norme giuridiche (cd. controllo di legittimità), ovvero la corrispondenza a quei criteri di opportunità e convenienza cui la P.A. deve sempre adeguarsi nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali (cd. controllo di merito). Gli atti di controllo si possono classificare: 1) in base alla funzione esercitata: — di legittimità: diretti a garantire che l’azione della P.A. si svolga entro i limiti, secondo il procedimento e con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge (cd. funzione di vigilanza); — di merito: diretti a garantire che l’azione della P.A. si svolga anche secondo i criteri di opportunità e convenienza sanciti dalle norme di buona amministrazione (cd. funzione di tutela); 2) in base al momento in cui intervengono: — preventivi: se intervengono prima che l’atto, già perfetto, e cioè formato, produca i suoi effetti e sono condizione di efficacia del provvedimento stesso; sono preventivi, fra i controlli di legittimità, il visto, fra quelli di merito, l’approvazione; — successivi: se intervengono dopo che l’atto già formato sia divenuto anche efficace: tale è l’annullamento in sede di controllo. I controlli sugli atti di amministrazione attiva non influiscono sulla perfezione degli atti né sulla loro validità, ma si configurano come requisiti di efficacia nel senso che operano, esclusivamente, sulla loro idoneità a produrre gli effetti giuridici propri. Tali atti operano, di regola ed entro determinati limiti, retroattivamente, ossia «ex tunc»; — sostitutivi: quando l’autorità gerarchicamente superiore, dotata del relativo potere (cd. potere di sostituzione), accertata l’inerzia dell’autorità inferiore, si sostituisce ad essa nell’emanazione del relativo provvedimento. In tali casi, l’autorità controllante emana il provvedimento in luogo dell’autorità controllata direttamente o a mezzo di commissari «ad acta»; 3) in base al rapporto tra organo controllante e controllato: — interorganico: quando organo controllante e organo controllato appartengono allo stesso ente; — intersoggettivo: quando l’autorità controllante e quella controllata appartengono invece ad enti diversi. 2. Tempistica procedimentale e profili di responsabilità A) I termini stabiliti dal legislatore: l’art. 2 L. 241/1990 La pubblica amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, sia nel caso in cui lo stesso consegua ad un’istanza del pri- Ordinamento amministrativo — gli atti di controllo (il controllo deve essere eseguito dagli organi competenti); — gli atti di comunicazione: gli atti possono essere recettizi o non recettizi, a seconda che la comunicazione agli interessati costituisca o meno presupposto indispensabile per la loro efficacia (es. notificazione; pubblicazione). 246 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato vato che nelle ipotesi in cui debba essere iniziato d’ufficio. È questo l’incipit dell’art. 2 L. 241/1990, dedicato alla conclusione del procedimento. La relativa disciplina prevede che: — salvo diverso termine, stabilito per legge o con diverso provvedimento, il termine generale per la conclusione dei procedimenti amministrativi è di 30 giorni (art. 2, comma 2); — per le amministrazioni statali, possono essere individuati termini non superiori a 90 giorni per la conclusione dei relativi procedimenti, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri; — in presenza di particolari presupposti — sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento — per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali il termine di 90 giorni può essere ampliato, fino ad un massimo di 180 giorni, mediante i D.P.C.M. di cui sopra. Tale previsione non si applica ai procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e a quelli riguardanti l’immigrazione; — salvo quanto stabilito da specifiche disposizioni normative, «le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza». Novità di rilievo, infine, è costituita dalla introduzione, al comma 1 dell’art. 2, di un ulteriore periodo ad opera della L. 6-11-2012, n. 190, cd. legge anticorruzione, laddove è precisato che le pubbliche amministrazioni, ove ravvisino la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, motivandolo attraverso un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo. B) La mancata conclusione del procedimento nei termini: la responsabilità dirigenziale e la tutela del cittadino L’art. 2 della legge sul procedimento amministrativo, nell’intento di porre rimedio agli effetti lesivi del silenzio procedimentale, prosegue statuendo, da un lato, che la tutela in materia di silenzio dell’amministrazione è disciplinata dal Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010) e che le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti (comma 8, sostituito dal D.L. 5/2012, semplifica Italia); dall’altro lato, precisa che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (nuovo comma 9, così sostituito dal citato decreto semplifica Italia). L’organo di governo, infatti, è tenuto ad individuare, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell’ipotesi di omessa individuazione, il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione. Per ciascun provvedimento, sul sito istituzionale della P.A. viene pubblicata, in formato Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 247 tabellare e con collegamento ben visibile nella homepage, l’indicazione del soggetto cui è attribuito il potere sostitutivo e a cui l’intervento può rivolgersi. Detto soggetto, in caso di ritardo, deve comunicare senza indugio il nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell’avvio del procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e in base ai CCNL di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza, assume la sua medesima responsabilità oltre quella propria (comma 9bis, introdotto dal decreto semplifica Italia e così novellato dal D.L. 83/2012, conv. in L. 134/2012, cd. decreto per la crescita del Paese). Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento, il privato può rivolgersi al responsabile del rispetto della tempistica affinché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario (comma 9ter, introdotto dal decreto semplifica Italia). Tale disposizione trova applicazione sia per le pubbliche amministrazioni che per i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa. Costoro sono tenuti a risarcire il «danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento». Si veda anche la disciplina recata dall’art. 30 Codice del processo amministrativo. D) Ulteriori garanzie per il cittadino danneggiato dalla lentezza della burocrazia alla luce del cd. «decreto-legge fare» Il sistema delle tutele articolato dalla legge sul procedimento amministrativo e successive modifiche e integrazioni si arricchisce di nuovi ed importanti tasselli grazie alle prescrizioni contenute a tale riguardo nel cd. «decreto fare», D.L. 21-6-2013, n. 69, conv. in L. 98/2013. Al diritto di risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, ex art. 2bis L. 241/1990 infatti, si aggiunge anche l’indennizzo che scatterà per il ritardo nella definizione della pratica. Scaduto il termine per l’adozione del provvedimento, per ogni giorno di ritardo i cittadini potranno ricevere 30 euro, fino a un massimo di 2.000 euro. Se tale somma non viene liquidata, essa potrà essere richiesta al G.A. mediante una procedura semplificata (art. 28 D.L. 69/2013, come convertito). Restano esclusi dalla disciplina de qua le ipotesi di silenzio qualificato (silenzio-assenso e silenziodiniego) e dei concorsi pubblici. 3. Il responsabile del procedimento Nell’ottica di incentivare il momento dialettico tra pubblica amministrazione e cittadino/utente, trasformando il provvedimento amministrativo da atto puramente autoritativo ad atto risultante da un raffronto collaborativo tra le parti interessate, l’art. 4 della L. 241/1990 sancisce l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di individuare, per ogni procedimento, l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale. Individuata tale unità, il dirigente della stessa provvede ad individuare, al suo interno, il soggetto responsabile del procedimento, che, ai sensi dell’art. 5 della detta Ordinamento amministrativo C) Il danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo L’art. 2bis L. 241/1990, introdotto dalla L. 69/2009, ha previsto in capo alla pubblica amministrazione una responsabilità per l’ipotesi di inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 248 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato legge, può essere sia il dirigente stesso che un altro dipendente; al responsabile, così individuato, il dirigente dell’unità assegna «la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale». Quanto ai compiti del responsabile, l’art. 6 L. 241/1990 espressamente prevede che il responsabile deve: a) valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento; b) accertare di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adottare ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; c) proporre l’indizione o, avendone la competenza, indire le conferenze di servizi di cui all’art.14 della legge sul procedimento amministrativo; d) curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti; e) adottare, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmettere gli atti all’organo competente per l’adozione. Responsabile del procedimento e dovere di astensione La L. 190/2012, cd. legge anticorruzione, ha introdotto l’art. 6bis nella L. 241/1990 che, al fine di garantire una più incisiva forma di trasparenza dell’operato della P.A. e di prevenire fenomeni di illegalità nell’ambito della stessa, impone al responsabile del procedimento e al titolare dell’ufficio, competenti ad emanare pareri, valutazioni tecniche, atti endoprocedimentali nonché il provvedimento finale, di astenersi in caso di conflitto di interessi dalle dette operazioni, segnalando, altresì, ogni situazione, anche solo potenziale, di conflitto. 4. La partecipazione al procedimento Il principio di partecipazione costituisce uno dei capisaldi del nostro ordinamento giuridico ed uno dei criteri principali dell’attuale sistema amministrativo. Lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione al procedimento è costituito dalla comunicazione di avvio del procedimento. La comunicazione, nella quale devono essere indicati l’oggetto del procedimento, l’amministrazione competente, il nominativo del responsabile del procedimento, la data entro cui deve concludersi lo stesso e i rimedi esperibili in caso di inerzia della P.A., va effettuata sia nei confronti dei destinatari del provvedimento finale, che dei soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento e dei terzi che possono ricevere un pregiudizio dal provvedimento finale. La comunicazione dell’avvio del procedimento viene effettuata per tutti i procedimenti amministrativi, salve le eccezioni stabilite dal legislatore o in presenza di eventuali ragioni di impedimento giustificate da esigenze di celerità. Gli altri istituti attraverso cui si realizza la partecipazione al procedimento sono: — il diritto di intervento nel procedimento, ex art. 9 L. 241/1990; — il diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti; — il cd. preavviso di rigetto, ex art. 10bis della L. 241/1990, come novellata dalla L. 15/2005, secondo cui, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 249 l’amministrazione è tenuta a comunicare tempestivamente agli interessati i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza; — la stipulazione di accordi procedimentali, cioè integrativi e sostitutivi del provvedimento. Inoltre, nell’ottica di ridurre il contenzioso tra cittadini e P.A. e di rafforzare il profilo della trasparenza dell’azione amministrativa, la L. 15/2005 ha aggiunto l’art. 10bis alla L. 241/1990, con il quale viene introdotto il principio per cui nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente agli interessati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda (cd. preavviso di rigetto). Gli interessati hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La suddetta comunicazione interrompe i termini di conclusione del procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni. Laddove le osservazioni non vengano accolte ne va data ragione nel provvedimento finale. 5. La semplificazione dell’azione amministrativa Il Capo IV (artt. 14-21) della L. 241/90 contiene una serie di disposizioni di notevole rilievo, dirette a snellire l’azione amministrativa e, di conseguenza, ad uniformare la stessa ai principi di economicità e di efficacia di cui all’art. 1. Al fine di snellire e semplificare l’azione amministrativa, la L. 241/1990 prevede: 1) conferenza di servizi (artt. 14 e ss.). Costituisce una forma di cooperazione tra le pubbliche amministrazioni che ha lo scopo di realizzare, attraverso l’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti, la semplificazione di taluni procedimenti amministrativi particolarmente complessi. La legge sul procedimento prevede due tipi di conferenze di servizi: istruttoria e decisoria. L’art. 14, ai commi 1 e 3, disciplina la conferenza di servizi istruttoria, prevedendo che, qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi. Questa può essere convocata anche per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall’amministrazione Ordinamento amministrativo Per quanto concerne, infine, le conseguenze della omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, il provvedimento, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, è illegittimo per violazione di legge. Tuttavia, è necessario rapportare la normativa sulla comunicazione di avvio alla previsione di cui all’art. 21octies della L. 241/1990, che, al comma 2, prevede discipline parzialmente diverse per il caso della violazione di norme procedimentali e per la ipotesi della omissione delle comunicazione. Infatti, la norma, dopo aver stabilito, al comma 1, che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza, dispone che «Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». 250 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l’interesse pubblico prevalente. L’indizione della conferenza spetta all’amministrazione procedente, attraverso il responsabile del procedimento, ovvero, su proposta di quest’ultimo, all’organo di vertice dell’amministrazione. L’amministrazione procedente resta libera in ordine alla determinazione del contenuto del provvedimento. L’art. 14, comma 2, disciplina, invece, la conferenza di servizi decisoria, che viene convocata quando bisogna assumere decisioni concordate tra varie amministrazioni, in sostituzione dei previsti atti di concerto, nulla osta, intese o atti di assenso comunque denominati. In casi del genere, l’amministrazione procedente è tenuta ad indire la conferenza decisoria decorsi inutilmente trenta giorni dalla ricezione della relativa richiesta da parte dell’amministrazione competente. La conferenza diventa facoltativa, invece, quando nello stesso termine sia intervenuto il dissenso di una delle amministrazioni interessate ovvero nei casi in cui è consentito all’amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza delle determinazioni delle amministrazioni competenti; 2) accordi fra amministrazioni pubbliche (art. 15) finalizzati a disciplinare lo svolgimento di attività di pubblico interesse in collaborazione; 3) la figura del silenzio devolutivo (art. 17) che comporta la possibilità di richiedere ad altri organi valutazioni tecniche di necessaria acquisizione che gli organi precedentemente aditi non abbiano effettuato; 4) l’attuazione dell’istituto dell’autocertificazione (art. 18) che consente al privato di poter provare, nei suoi rapporti con la P.A., determinati fatti, stati e qualità a prescindere dalla esibizione dei relativi certificati, semplicemente presentando una dichiarazione cd. sostitutiva. L’istituto, coniato dalla L. 15/1968, è attualmente disciplinato dal D.P.R. 28-122000, n. 445 (Testo Unico in materia di documentazione amministrativa); 5) la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) (ex dichiarazione di inizio attività; art. 19, come successivamente novellato). La Scia è un importante strumento di semplificazione nel contesto dei rapporti P.A. - cittadino. Infatti, l’art. 19 L. 241/1990 dispone che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato. Unica eccezione all’applicazione dell’istituto riguarda i casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e quelli imposti dalla normativa dell’Unione europea. La segnalazione deve essere accompagnata da una specifica documentazione (autocertificazioni di stati personali e, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, idonea documentazione tecnica) necessaria per consentire alla P.A. di effettuare le opportune verifiche in ordine alla sussistenza o meno dei requisiti per iniziare l’attività d’impresa. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione all’amministrazione competente. Quest’ultima, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui sopra, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della Scia (termine ridotto a trenta giorni in ipotesi di Scia in materia edilizia), adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 251 6) il silenzio assenso. Ai sensi dell’art. 20 L. 241/1990, nei procedimenti ad istanza di parte, per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento della detta domanda, senza necessità di ulteriori istanze, se la P.A. non comunica all’interessato, nel previsto termine di conclusione del procedimento, il provvedimento di rigetto ovvero non indice una conferenza di servizi. L’art. 20, comma 4, prevede che il meccanismo del silenzio assenso non si applica per gli atti e nei procedimenti concernenti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente e la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità; né si applica agli atti imposti dalla normativa comunitaria, o ai casi in cui la legge qualifica il silenzio come rigetto dell’istanza, e nemmeno agli atti e ai procedimenti che le stesse amministrazioni possono successivamente individuare. Ogni controversia relativa all’applicazione della disposizione in commento è devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A. Sezione Terza L’informatizzazione della P.A. 1. E-government ed informatizzazione A) Evoluzione storico-normativa. In particolare, il Codice dell’Amministrazione digitale Con l’obiettivo di conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche devono incentivare l’uso della telematica sia nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni, che tra queste e i privati (art. 3bis L. 241/1990). L’informatizzazione dell’azione amministrativa, in particolare, implica l’impiego di soluzioni informatiche nello svolgimento dell’attività amministrativa al fine di garantire, per effetto di una più agevole circolazione delle informazioni tra apparati pubblici, tempestive risposte ai cittadini. Si è parlato, al riguardo, di e-government: con tale espressione si intende fare riferimento a quella particolare modalità di miglioramento della circolazione interna ed esterna dei dati nonché dell’attività degli uffici e degli organi della P.A. Ordinamento amministrativo giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21quinquies e 21nonies della legge sul procedimento. Decorso il termine per l’adozione di tali provvedimenti (ovvero nel caso di segnalazione corredata dalla dichiarazione di conformità rilasciata dalla Agenzia per le imprese quale titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività), all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. Inoltre, il comma 6ter dell’articolo precisa che la Scia non costituisce provvedimento tacito direttamente impugnabile dal privato e che, pertanto, l’interessato che sia leso da un’attività o un intervento iniziato sulla base della segnalazione può solo sollecitare le verifiche spettanti alla pubblica amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, esperire l’azione avverso il silenzio ai sensi dell’art. 31, commi 1, 2 e 3 del Codice del processo amministrativo. Le controversie in materia di provvedimenti espressi adottati in sede di verifica della Scia, ai sensi del citato comma 6ter, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; 252 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato I primi approcci verso i sistemi informativi (S.I.) della P.A. si sono registrati, in realtà, alla fine degli anni ’70. Attraverso tali sistemi il ruolo della pubblica amministrazione si è pian piano trasformato, passando la stessa da produttrice di atti a erogatrice di servizi e centro per l’utenza pubblica. Per raggiungere tali obiettivi venne istituita, con il D.Lgs. 39/1993, l’Autorità informatica per la Pubblica Amministrazione (AIPA) con compiti di documentazione, monitoraggio, rilevazione, coordinamento e verifica dei risultati conseguenti all’impiego di soluzioni tecnologiche informatiche. Fra i progetti elaborati dall’Autorità figura la costituzione della Rete unitaria delle pubbliche amministrazioni (RUPA) al fine di realizzare un sistema unitario di amministrazioni interagenti per la produzione di servizi a cittadini e imprese, con l’ottimizzazione delle risorse telematiche. Nel 2003 l’Autorità viene sostituita dal CNIPA (Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione) istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la cui operatività apre le porte alla nuova era della digitalizzazione degli apparati pubblici, successivamente denominato, con il D.Lgs. 1-12-2009, n. 177, «DigitPA». Il fulcro normativo fondamentale per lo sviluppo informatico delle PP.AA. è attualmente rappresentato dal Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7-3-2005, n. 82). Esso, infatti: — introduce nuovi diritti per i cittadini e per le imprese, definendo il quadro giuridico che ne garantisce l’effettivo godimento; — predispone nuovi strumenti digitali e consolida la loro validità giuridica; — disegna le basi per la costruzione di un federalismo efficiente; — predispone gli strumenti opportuni per una pubblica amministrazione che funzioni meglio e costi meno ai contribuenti. Il Codice, entrato in vigore il 1° gennaio 2006, è stato, in seguito, oggetto di modifiche ed integrazioni ad opera del D.Lgs. 159/2006, del D.L. 185/2008, conv. in L. 2/2009 ma soprattutto del D.Lgs. 30-12-2010, n. 235. Con il D.L. 22-6-2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese, conv. in L. 134/2012, il DigitPA viene soppresso e al suo posto è istituita l’Agenzia per Italia Digitale, preposta alla realizzazione dell’Agenda digitale italiana, predisposta dal decreto semplifica Italia, n. 5/2012 nonché con funzioni di diffusione delle tecnologie informatiche, allo scopo di favorire l’innovazione e la crescita economica, mediante l’accelerazione della diffusione delle Reti di nuova generazione (NGN). Il decreto semplifica Italia ha previsto, poi, l’istituzione di una cabina di regia per l’attuazione dell’agenda digitale italiana (art. 47), mediante il coordinamento degli interventi pubblici volti alle medesime finalità da parte di Regioni, Province autonome ed enti locali. La ratio di tale previsione si ritrova nella esigenza di modernizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese, obiettivo prioritario che l’esecutivo è tenuto a perseguire attraverso azioni coordinate dirette a favorire lo sviluppo di domanda e offerta di servizi digitali innovativi, a potenziare l’offerta di connettività a larga banda, a incentivare cittadini e imprese all’utilizzo di servizi digitali e a promuovere la crescita di capacità industriali adeguate a sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi. B) Il D.Lgs. 33/2013 Un tassello fondamentale nella evoluzione della cd. trasparenza digitale è costitutito dal D.Lgs. 14-3-2013, n. 33, cd. T.U. trasparenza, che provvede alla individuazione dei documenti, delle informazioni e dei dati — concernenti l’organizzazione e il funzionamento degli uffici — che devono essere pubblicati nei siti istituzionali delle Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 253 pubbliche amministrazioni e rispetto ai quali vi è il diritto di chiunque di accedervi, direttamente ed immediatamente. Tra le diverse disposizioni introdotte dal decreto in materia di Informatizzazione rilevano in particolare: C) Dal cd. decreto del fare alla Riforma della P.A. Renzi – Madia Il cd. decreto del fare, D.L. 69/2013, conv. in L. 98/2013, ha da un lato riorganizzato e snellito la governance dell’Agenda digitale, ridefinendo i compiti della cabina di regia (v. retro); dall’altro ha introdotto ulteriori novità che, tra l’altro, riguardano: — il domicilio digitale; — la razionalizzazione dei Centri Elaborazione Dati (CED); — il fascicolo sanitario elettronico; — la liberalizzazione dell’accesso ad internet tramite la tecnologia del wi-fi. Il successivo decreto di riforma della P.A. Renzi-Madia, D.L. 90/2014, conv. in L. 114/2014, ha adottato misure atte a favorire l’accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi delle PP.AA. Tra queste, oltre alla Agenda per la semplificazione per il triennio 2015/2017 (art. 24 del decreto), si menzionano: — la previsione di una sanzione cui sono soggette le PP.AA. che non adempiono agli obblighi, posti a loro carico, inerenti la migliore organizzazione dei servizi in rete nonché relativi alla mancata pubblicazione nel proprio sito web, del catalogo dei dati e delle relative banche dati in loro possesso ed i regolamenti che ne disciplinano l’esercizio della facolta’ di accesso telematico; — la previsione di una più agevole comunicazione tra le pubbliche amministrazioni, attraverso la messa a disposizione a titolo gratuito degli accessi alle proprie banche di dati. Che cosa è il Sistema pubblico di connettività (SPC)? Il Sistema Pubblico di Connettività può essere definito come «l’insieme di infrastrutture tecnologiche e regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la diffusione del patrimonio informativo e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l’interoperabilità di base ed evoluta e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l’autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione». Le regole tecniche e di sicurezza per il funzionamento del Sistema Pubblico di Connettività sono state dettate con D.P.C.M. del 1° aprile 2008. 2. P.A. digitale e diritti dei cittadini e delle imprese Nella pubblica amministrazione digitale i cittadini e le imprese hanno diritti che il Codice dell’amministrazione digitale, precisa, definisce e rende, quindi, effettivamente esigibili: a) Diritto all’uso delle tecnologie (art. 3): i cittadini e imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso delle moderne tecnologie telematiche nelle comunicazioni con tutte le amministrazioni pubbliche, ivi Ordinamento amministrativo — la previsione che impone nella home page dei siti istituzionali della PP.AA. una apposita sezione denominata «Amministrazione Trasparente», contenente dati, informazioni e documenti pubblicati; — l’applicazione del regime degli open data (pubblicazione dei dati in formato di tipo aperto) a tutte le informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria, ossia attraverso un formato reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici più necessari per la fruizione dei dati stessi. 254 b) c) d) e) f) g) h) i) Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato comprese le società interamente partecipate da enti pubblici e con prevalente capitale pubblico, e con i gestori di pubblici servizi, ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. 82/2005; diritto al domicilio digitale (art. 3bis, inserito dal D.L. 179/2012, come convertito): ogni cittadino ha la facoltà di indicare alla P.A. un proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) quale domicilio digitale; ciò al fine di facilitare il più possibile le comunicazioni tra uffici e soggetti privati; diritto alla partecipazione al procedimento informatico e all’accesso (art. 4): cittadini e imprese hanno il diritto di accedere a tutti gli atti che li riguardano e di partecipare a tutti i procedimenti in cui sono coinvolti tramite le moderne tecnologie informatiche e telematiche; diritto di effettuare qualsiasi pagamento con modalità informatiche (art. 5, sostituito dal D.L. 179/2012, come convertito): le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi, nei rapporti con l’utenza, sono tenuti a, ad accettare i pagamenti ad esse spettanti, a qualsiasi titolo dovuti, anche con l’uso delle tecnologie informatiche; comunicazione tra imprese e amministrazioni pubbliche (art. 5bis): la presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici, tra imprese e amministrazioni, nonché l’adozione da parte di queste ultime di provvedimenti amministrativi, avviene esclusivamente utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione; diritto all’utilizzo della posta elettronica certificata (art. 6): le pubbliche amministrazioni utilizzano la posta elettronica certificata (PEC) per la trasmissione telematica di comunicazioni per le quali sia necessaria una ricevuta di consegna a quei soggetti che abbiano preventivamente dichiarato il proprio indirizzo (v. amplius infra); diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione (art. 7): le pubbliche amministrazioni provvedono alla riorganizzazione e aggiornamento dei servizi resi; a tal fine sviluppano l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei cittadini e delle imprese, anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di soddisfazione degli utenti. Tale disposizione deve essere necessariamente correlata a quanto previsto dall’art. 32 D.Lgs. 33/2013, che prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare, oltre alla carta dei servizi o il documento che contiene gli standard di qualità dei servizi pubblici, anche i costi sostenuti per i servizi resi agli utenti e il relativo andamento nel tempo, nonché i tempi medi di erogazione dei servizi; partecipazione democratica elettronica (art. 9): le pubbliche amministrazioni favoriscono ogni forma di uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia individuali che collettivi; diritto a trovare on line tutti i moduli e i formulari validi e aggiornati: ai sensi dell’art. 35 D.Lgs. 33/2013, le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare, per i procedimenti ad istanza di parte, gli atti e i documenti da allegare all’istanza e la modulistica necessaria, compresi i fac-simile per le autocertificazioni. Viene disposta, altresì, l’impossibilità per le PP.AA. di richiedere l’uso di moduli o formulari che non siano stati pubblicati. In caso di omessa pubblicazione, i relativi procedimenti possono essere avviati anche in assenza dei suddetti moduli o formulari, ma l’amministrazione non può respingere l‘istanza, dovendo invitare l’istante ad integrare la domanda entro un termine congruo. La posta elettronica certitificata La posta elettronica certificata (PEC) È il sistema di comunicazione in grado di attestare l’invio e l’avvenuta consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornire ricevute opponibili a terzi (art. 1, comma 1, lett. v-bis), D.Lgs. 82/2005, introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. i), D.Lgs. 235/2010). Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l’utilizzo della posta elettronica o in cooperazione applicativa; le stesse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza (art. 47 D.Lgs. 82/2005, novellato dal D.Lgs. 235/2010). Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 255 Sezione Quarta Il diritto di accesso ai documenti amministrativi Accanto ai principi tradizionali che regolano l’azione amministrativa (legalità, imparzialità, buon andamento), la dottrina amministrativa e la giurisprudenza ne hanno individuato uno nuovo e di notevole rilevanza, destinato a ridefinire in chiave democratica il rapporto tra amministrazioni ed amministrati: il cd. principio di trasparenza dell’azione amministrativa, da intendersi come immediata e facile controllabilità di tutti i momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica l’operato della P.A. onde garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale. Il D.Lgs. 14-3-2013, n. 33, nel raccogliere i molteplici obblighi di informazione, pubblicità e trasparenza gravanti in capo alle amministrazioni, definisce la trasparenza quale accessibilità totale delle informazioni concernenti l’attività e l’organizzazione delle amministrazioni. 2. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi A) Definizione e soggetti legittimati L’insieme delle pretese che il cittadino vanta, nei confronti della P.A., affinché la sua azione sia «trasparente» è indicato come diritto di accesso agli atti ed ai documenti della P.A. Il diritto di accesso è stato sancito quale principio generale dell’ordinamento giuridico ad opera della L. 241/1990, che, al Capo V, detta disposizioni applicabili a tutti i procedimenti amministrativi. L’art. 22 della L. 241/1990 stabilisce che l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Ai sensi dell’art. 22, il diritto di accedere ai documenti amministrativi compete esclusivamente ai soggetti che vi abbiano specifico interesse (l’interesse deve essere concreto e personale) in relazione alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante, ossia ai portatori di una situazione qualificata, differenziata e tutelata (diritto soggettivo, interesse legittimo ed interesse diffuso), con conseguente esclusione dei titolari di meri interessi di fatto. B) L’oggetto Quanto all’oggetto del diritto in esame, il legislatore italiano non ha ritenuto di addivenire ad una elencazione tipologica dei documenti accessibili, ma ha preferito darne una definizione generale: è considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non, relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da un pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse indipen- Ordinamento amministrativo 1. La trasparenza dell’azione amministrativa: l’«accessibilità totale» 256 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato dentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale (art. 22, comma 1, lett. d), L. 241/1990). C) L’esercizio dell’accesso Il D.P.R. 184/2006 disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nella legge sul procedimento. Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata, deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene stabilmente. La richiesta di ostensione dei documenti amministrativi può essere esercitata nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico; nei confronti di tutti i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l’accesso. La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, qualora individui soggetti controinteressati, invita l’interessato a presentare richiesta formale di accesso ed è tenuta a dare comunicazione agli stessi, inviando copia mediante raccomandata con avviso di ricevimento, oppure per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, una volta accertata l’avvenuta ricezione della comunicazione. Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati, il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente a formare l’atto conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente. In tal caso il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta, o gli elementi che ne consentano l’individuazione; specificare e, ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della richiesta; dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato. La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, o altra modalità idonea. Ove provenga da una pubblica amministrazione, la richiesta è presentata dal titolare dell’ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo. Le pubbliche amministrazioni assicurano che il diritto d’accesso possa essere esercitato anche in via telematica. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa s’intende respinta. L’art. 24 L. 241/1990 prevede che l’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. La possibilità di differire l’accesso ai documenti consente ai soggetti passivi dello stesso di evitarne l’ostensione sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa ovvero esporre a rischio gli interessi che le Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 257 disposizioni concernenti gli atti sottoposti a segreto mirano a salvaguardare. Il differimento è disposto specie nella fase preparatoria dei provvedimenti in relazione ai documenti la cui conoscenza possa compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa. L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica anche la durata. Si ricorda, infine, che il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso richiesto in via formale, devono essere motivati (art. 9 D.P.R. 184/2006). D) Soggetti obbligati a consentire l’accesso — le pubbliche amministrazioni. Vi rientrano tutti gli apparati organizzativi centrali e periferici dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle Comunità montane, delle Città metropolitane, degli enti pubblici in genere; — gli enti pubblici. Nel novero di tali enti vanno compresi anche gli enti pubblici economici relativamente allo svolgimento dell’attività di diritto pubblico, come rimarcato dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato con parere n. 7 del 17-2-1987; — i gestori di pubblici servizi. Sono i soggetti privati legittimati, in virtù di provvedimento concessorio, allo svolgimento di attività pubbliche (C.d.S., sez. VI, 12-3-2012, n. 1403); — le aziende autonome e speciali. Trattasi di organismi atipici, normalmente privi di personalità giuridica, ma dotati di una propria organizzazione amministrativa, incardinati nell’amministrazione statale, adibiti all’esercizio di attività ed alla gestione di servizi di carattere tecnico-economico e di enti di gestione di pubblici servizi locali, dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e statutaria; — l’autorità di garanzia e di vigilanza. La conclusione a cui sono pervenute la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie è nel senso dell’applicabilità generale dell’accesso alle autorità. Rispetto a tali organismi, il richiamo all’art. 24 L. 241/1990, contenuto nel novellato art. 23, vale ad individuare i casi nei quali l’accesso è escluso e gli atti ulteriori che vanno adottati perché il diritto di accesso possa diventare operativo; — l’amministrazione dell’Unione europea. Ai sensi dell’art. 15 TFUE (ex articolo 255 TCE), è previsto che «Al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile» e ancora che «Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, a prescindere dal loro supporto (…)»; — le imprese di assicurazione. Ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private), le imprese di assicurazione esercenti l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, sono tenute a consentire ai contraenti ed ai danneggiati il diritto di accesso agli atti a conclusione dei procedimenti di valutazione, constatazione e liquidazione dei danni che li riguardano. E) Limiti all’esercizio del diritto d’accesso L’art. 24 della L. 241/1990 prevede una serie di limiti all’esercizio del diritto d’accesso. Distinguiamo limiti tassativi e limiti facoltativi. I primi sono quelli sanciti direttamente dal legislatore, senza che residui in capo alla P.A. alcun margine discrezionale di apprezzamento in ordine alla possibilità di accogliere la richiesta ove ricorra uno di tali limiti, finalizzati alla salvaguardia di interessi pubblici fondamentali e prioritari rispetto all’interesse alla conoscenza degli atti amministrativi, la P.A. è obbligata a dare risposta negativa alla richiesta di accesso. Trattasi di limiti riguardanti: i documenti coperti da segreto di Stato (a norma dell’art. 39 L. 3-8-2007, n. 124); i procedimenti previsti dal D.L. 8/1991 recante norme in materia di sequestri di persona e di protezione dei testimoni di giustizia (conv. in L. 82/1991 e succ. modif.); i documenti coperti da segreto o divieto di divulgazione altrimenti previsto dall’ordinamento e i documenti esclusi dal diritto di accesso per mezzo di appositi regolamenti governativi, al fine di salvaguardare la sicurezza, la difesa nazionale e le Ordinamento amministrativo Sono obbligati (soggetti passivi) a consentire l’esercizio del diritto di accesso, in base all’art. 23 L. 241/1990: 258 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato relazioni internazionali, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione dei reati, la riservatezza dei terzi, persone, gruppi ed imprese. È prevista l’esclusione del diritto di accesso, altresì, nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. I limiti facoltativi sono, invece, finalizzati a differire l’accesso ai documenti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. Questi limiti sono stabiliti in via discrezionale dalla P.A. e producono un mero differimento dell’accesso. Il comma 6 dell’art. 24 L. 241/1990 attribuisce, poi, al Governo il potere di limitare ulteriormente il diritto di accesso emanando un apposito regolamento, ai sensi dell’art. 17, comma 2 L. 400/1988, che disponga casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi. L’accesso civico Istituto di nuova introduzione ad opera del D.Lgs. 33/2013, T.U. trasparenza, è rappresentato dal cd. accesso civico, che costituisce espressione dei principi di pubblicità e trasparenza (art. 5). Esso viene correlato all’obbligo previsto in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati e si sostanzia nel diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nel caso in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. Finalità di questa nuova forma di accesso è quella di alimentare il rapporto di fiducia che intercorre tra il cittadino e la P.A. nonché quella di promuovere la cultura della legalità e la prevenzione di fenomeni corruttivi all’interno delle amministrazioni pubbliche. Una sostanziale differenza rispetto al diritto di accesso ai documenti ex art. 22 L. 241/1990, e punto nodale della disciplina del nuovo istituto, va ravvisata nell’ampliamento dal punto di vista soggettivo del diritto stesso: la richiesta di accesso, infatti, non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. Contrariamente a quanto affermato nella legge sul procedimento, infatti, dove il diritto di accesso è riconosciuto ai portatori di un interesse giuridico diretto, concreto ed attuale, il decreto in esame riconosce a tutti il diritto di accesso civico, in perfetta adesione, dunque, alla conclamata finalità di estendere il potere di controllo dei cittadini sull’operato della P.A. La richiesta di accesso: — non deve essere motivata, a differenza di quanto affermato dalla L. 241/1990 (cfr. art. 25, comma 2); — va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione obbligata alla pubblicazione. Dal punto di vista operativo, una volta ricevuta la richiesta, l’amministrazione, entro 30 giorni, procede alla pubblicazione nel sito del documento, dell’informazione o del dato richiesto e lo trasmette contestualmente al richiedente, ovvero comunica al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il collegamento ipertestuale a quanto richiesto. Se questi, poi, già risultano pubblicati, l’amministrazione indica al richiedente il collegamento ipertestuale. Il T.U. Trasparenza, inoltre, in caso di inerzia dell’amministrazione procedente, attribuisce al richiedente la possibilità di ricorrere al titolare del potere sostitutivo ai sensi dell’art. 2, comma 9bis, L. 241/1990, che, verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, provvede entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto. Viene, infine, fatto rinvio, ai fini della tutela giurisdizionale, alle disposizioni del Codice del processo amministrativo, in caso di diniego, ritardo o inadempimento rispetto ad una richiesta di accesso civico. Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi 259 La tutela giurisdizionale del diritto di accesso risulta dal combinato disposto dagli artt. 25 L. 241/1990 e 116 del Codice del processo amministrativo, recato dal D.Lgs. 104/2010. Il relativo giudizio è affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133 c.p.a.). Sul presupposto che, decorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta, questa si intende respinta e che, in tal caso, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale (art. 25, comma 4, L. 241/1990), il citato comma 1 dell’art. 116 del Codice, come novellato, da ultimo, dal D.Lgs. 33/2013, dispone che «contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato». L’amministrazione, secondo quanto disposto dal successivo comma 3 dell’articolo in esame, può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente. Il giudizio incardinato ex art. 116, comma 1, che si svolge, ai sensi dell’art. 87 del Codice del processo amministrativo, con rito camerale, si conclude con una sentenza in forma semplificata che può, pertanto, essere di rigetto del ricorso o di accoglimento dello stesso. In tale ultimo caso, sussistendone i presupposti, il giudice ordina l’esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti, entro un termine non superiore, di norma, a 30 giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità (art. 116, comma 4, mod. dal D.Lgs. 33/2013). Per espressa previsione del comma 5 dell’art. 116, infine, le disposizioni sin qui esaminate si applicano anche al giudizio di impugnazione. La proposizione di un ricorso avverso determinazioni amministrative concernenti l’accesso nel caso in cui sia già pendente un giudizio amministrativo è disciplinata dal comma 2 dell’art. 116 del Codice. Anche in tal caso, il legislatore ha confermato la disciplina di cui all’art. 25, comma 5, L. 241/1990, senza apportarvi novità di rilievo. In particolare, dunque, il ricorso può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notifica all’amministrazione e agli eventuali controinteressati. L’istanza può essere decisa con un’ordinanza separatamente dal giudizio principale, oppure con la sentenza che definisce quest’ultimo. In alternativa al ricorso giurisprudenziale, è riconosciuta all’istante la possibilità di ricorrere nello stesso termine (in alternativa al ricorso al T.A.R.), al difensore civico competente per ottenere che venga riesaminata la determinazione. Se quest’ultimo ritiene illegittimo il diniego o il differimento, lo comunica all’autorità disponente che dovrà provvedere nel termine di 30 giorni dal ricevimento della richiesta. In mancanza l’accesso è consentito. Nello stesso art. 25 si precisa che la competenza del difensore civico è ristretta agli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, mentre nei confronti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato il ricorso per riesame è inoltrato presso la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi di cui all’art. 27 L. 241/1990 nonché presso l’amministrazione resistente. Ordinamento amministrativo 3. La tutela del diritto di accesso