Capitolo Nono
I rapporti etico-sociali
Sommario: 1. Introduzione. - 2. La famiglia. - 3. Il diritto alla salute. - 4. La libertà artistica, scientifica
e di insegnamento.
1. Introduzione
La Costituzione italiana sancisce una serie di diritti sociali (ignorati dallo Statuto
Albertino) che si concretano nell’interesse del cittadino ad ottenere determinate prestazioni dall’amministrazione statale in grado di soddisfare i bisogni minimi vitali della
collettività e che consentono un progressivo miglioramento della qualità della vita, al
fine di garantire a tutti un’esistenza libera e dignitosa.
Pertanto, nell’ambito dei diritti e rapporti etico-sociali, tutelati in ambito costituzionale, rientrano:
a) i rapporti familiari e tutti quelli relativi allo status giuridico del nucleo familiare,
inteso come «società naturale fondata sul matrimonio»;
b) il diritto allo studio, alla libertà della cultura ed, in genere, i rapporti relativi al
mondo della scuola che si affianca alla famiglia nella formazione della personalità
dell’individuo;
c) il diritto alla salute che assurge a interesse preminente della collettività per assicurare la salute fisico-psichica dei suoi membri.
2. La famiglia
A) Principi costituzionali
La Carta costituzionale garantisce ampiamente le formazioni sociali nel cui ambito
la personalità individuale può trovare piena esplicazione.
La principale e basilare formazione sociale intermedia è senza dubbio la famiglia,
che costituisce la prima cellula della società.
I diritti della famiglia, come quelli dell’uomo, sono intangibili e di essi la Costituzione tratta negli artt. 29-31, dal cui esame si possono evincere i seguenti principi
generali:
— il riconoscimento della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio,
ossia come formazione sociale non derivata dallo Stato e dotata, conseguentemente, di ampia autonomia di scelta in ordine alla propria organizzazione interna, pur
sempre nei limiti dei principi costituzionali e della conseguente disciplina attuativa;
— la libertà di scelta del proprio coniuge;
— l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi;
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Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
— la tutela e la garanzia dell’unità familiare;
— il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30,
comma 1).
La Costituzione individua i seguenti obiettivi:
— la legge deve provvedere ad assicurare i compiti dei genitori in caso di incapacità degli stessi, perché
ignoti, incapaci o defunti (art. 30, comma 2);
— la legge deve dettare norme e limiti per la ricerca della paternità (art. 30, comma 4);
— la Repubblica deve agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e
l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose (art. 31, comma 1);
— la Repubblica deve proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti (come, ad
esempio, i consultori familiari, istituiti dalla L. 405/1975) necessari a tale scopo (art. 31, comma 2).
B) Evoluzione storico-legislativa diritto di famiglia
La L. 19 maggio 1975, n. 151 ha radicalmente modificato la disciplina dei rapporti familiari.
È caduta ogni discriminazione tra marito e moglie per garantire la completa uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, pur con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia
dell’unità familiare, con riferimento sia ai rapporti morali e patrimoniali fra i coniugi
stessi, sia ai rapporti tra genitori e figli.
In particolare, con riferimento ai rapporti tra i coniugi, attraverso la L. 151/75:
— è scomparsa ogni forma di predominio giuridico del marito sulla moglie. Questa conserva il proprio
cognome e vi aggiunge quello del marito; conserva la cittadinanza italiana, salvo espressa rinuncia,
anche se per effetto del matrimonio assume una cittadinanza straniera.
— è stata abolita la potestà maritale: spetta infatti ad entrambi i coniugi, in egual misura, la determinazione
dell’indirizzo della vita familiare e la fissazione della residenza della famiglia secondo le esigenze di
entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa (art. 144 c.c.).
Qualora sorga disaccordo, la legge prevede la possibilità di intervento del giudice, il quale, ove sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi, può adottare la soluzione che ritiene più adeguata
alle esigenze della famiglia;
— entrambi i coniugi, in egual misura, sono tenuti al rispetto dell’obbligo (morale e giuridico) di reciproca
fedeltà (art. 143 c.c.);
— entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di
lavoro, professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia (art. 143 c.c.);
— è venuto meno l’istituto della dote;
— è stata istituita la comunione legale volontaria dei beni fra i coniugi, i quali godono in comune dei beni
acquistati durante il matrimonio e possono anche porre in comunione i beni di cui essi disponevano
prima del matrimonio o che ognuno di essi ha acquistato personalmente durante il matrimonio;
Per quanto riguarda il rapporto genitori-figli, la citata riforma del diritto di famiglia ha apportato
notevoli e significative innovazioni in base alle quali:
— incombe ad entrambi i coniugi, in egual misura, l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole
tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli (art. 147 c.c.);
— la potestà patria è stata sostituita dalla potestà parentale sui figli, che spetta in egual misura al padre
e alla madre. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza relative all’educazione della
prole, ciascuno dei genitori può ricorrere al giudice, che stabilisce i provvedimenti che ritiene utili
nell’interesse del figlio a garanzia dell’unità familiare;
— è scomparsa la denominazione di «figlio illegittimo», che costituiva un marchio infamante, e si è adottata la
denominazione di «figli naturali», per indicare i figli nati al di fuori di un rapporto matrimoniale giuridico.
Capitolo Nono - I rapporti etico-sociali
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Un passo ulteriore sulla strada del riconoscimento della piena parità fra i coniugi
nel rapporto con i figli è stato compiuto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, che ha disciplinato l’affidamento condiviso dei figli in caso di separazione dei coniugi, in base
al principio per cui, in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha
il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di
ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti affettivi
con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Va, infine, segnalato che con L. 10 dicembre 2012, n. 219 il Parlamento ha modificato
le disposizioni del codice civile relative alla filiazione, superando ogni distinzione
tra figli legittimi e figli naturali.
La legge ha modificato alcuni articoli del codice civile e delle disposizioni di
attuazione, delegando inoltre il Governo a operare una complessiva revisione della
legislazione vigente, al fine di eliminare ogni residua discriminazione tra figli legittimi, naturali e adottivi, in attuazione di un’articolata serie di principi e criteri direttivi.
La legge ha introdotto disposizioni ispirate al principio secondo cui «tutti i figli
hanno lo stesso stato giuridico» ed è stata poi attuata con D.Lgs. 28 dicembre 2013,
n. 154 che ha, tra l’altro, introdotto la nuova nazione di «responsabilità genitoriale»
in sostituzione di «potestà parentale».
C) Il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e il problema dell’aborto
La L. 22 maggio 1978, n. 194 ha riconosciuto come oggetto di tutela statale un diritto alla procreazione cosciente e responsabile nonché il valore sociale della maternità, pur tutelando altresì la vita umana
dal suo inizio.
Poiché, tuttavia, la tutela del concepito può scontrarsi con le esigenze connesse alla tutela della salute
della madre, la legge introduce una disciplina di bilanciamento degli interessi in gioco, offrendo il massimo
grado possibile di sicurezza sul piano sanitario per le pratiche legate all’interruzione della gravidanza
decisa dalla madre o dalla coppia genitoriale.
La legge consente alla donna, nei primi 90 giorni della gestazione, di interrompere la gravidanza
laddove sussista un serio pericolo per la sua salute fisica e psicologica in relazione alle sue condizioni
economiche, sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento. Anche la minorenne
può interrompere la gravidanza, prescindendo, con autorizzazione del giudice tutelare, dall’assenso delle
persone che esercitano la potestà parentale.
La valutazione delle circostanze spetta al consultorio e alla struttura socio-sanitaria competente, che
esamina con la donna e, ove questa consenta, con il padre del concepito, nel rispetto della dignità di questi
ultimi, le possibili soluzioni dei problemi proposti, rimuovendo per quanto possibile le cause del prospettato
aborto. Al termine di questa fase i medici rilasciano una documentazione attestante la richiesta della donna,
che può recarsi presso le sedi autorizzate per ottenere l’interruzione della gravidanza.
È introdotto, altresì, il diritto alla «obiezione di coscienza» per il personale sanitario contrario all’interruzione della gravidanza.
D) La procreazione medicalmente assistita
Nell’intento di fornire una soluzione legislativa a questioni che il progresso scientifico aveva da tempo reso attuali, e facendo registrare un netto ritardo rispetto al panorama
normativo internazionale e comunitario, la L. 19 febbraio 2004, n. 40 è intervenuta a
disciplinare il fenomeno della procreazione medicalmente assistita.
Con tale espressione si indicano le tecniche mediche che permettono il concepimento
di un essere umano senza la congiunzione fisica di un uomo e di una donna.
Ordinamento costituzionale
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Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
La L. 40/2004 consente il ricorso alla sola procreazione di tipo omologo (realizzata
cioè utilizzando gameti appartenenti alla stessa coppia che si sottopone al trattamento)
e la subordina alla presenza di determinati presupposti: in particolare, può farsi luogo
a tale tecnica in caso di accertata sterilità o infertilità della coppia, e qualora non
esistano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le relative cause.
Quanto alle modalità di svolgimento, la formulazione originaria della legge dispone che le tecniche di
produzione degli embrioni non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente
necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre (art. 14, comma 2).
La descritta disciplina è stata recentemente sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, che ne ha indicato alcuni specifici motivi di incostituzionalità nella sent.
151/2009 sotto un duplice profilo.
Per un verso, il divieto di produrre più di tre embrioni per ogni ciclo di fecondazione
rende in molti casi necessaria la moltiplicazione dei cicli stessi, poiché non sempre
i tre embrioni eventualmente prodotti sono in grado di dar luogo ad una gravidanza.
Per altro verso, la salute dell’aspirante madre è messa a rischio anche dall’obbligo
di effettuare un unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti.
La disciplina si pone dunque, nelle conclusioni della Consulta, in netto contrasto
con l’art. 32 Cost., in ragione del serio pregiudizio da essa arrecato alle esigenze di
salute della donna; nonché con l’art. 3 Cost. (riguardato sotto il duplice aspetto del
principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza), nella misura in cui, prescindendo da ogni valutazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta
si sottopone al trattamento, predispone una regolamentazione identica di situazioni
tra loro dissimili.
Da ultimo, con sent. 162/2014, la Consulta ha bocciato nuovamente la L. 40/2004 in
relazione all’art. 4, comma 3, nella parte in cui vieta la fecondazione mediante donatori
esterni di ovuli o spermatozoi (cd. fecondazione assistita eterologa) adottata nei casi di
infertilità assoluta. La preclusione assoluta di accesso alla procreazione medicalmente
assistita di tipo eterologo, secondo la Consulta, introduce un evidente elemento di
irrazionalità, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla
formazione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute, è stabilita in
danno delle coppie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la ratio legis. In
definitiva, viene lesa la libertà fondamentale della coppia di formare una famiglia con
dei figli, non potendosi neppure invocare le esigenze di tutela del nato le quali, in virtù
delle norme vigenti, devono ritenersi già ampiamente garantite.
Conseguentemente, anche l’art. 12, comma 1, recante provvedimenti sanzionatori
per chi pratichi la cd. eterologa, è dichiarato incostituzionale.
3. Il diritto alla salute
L’art. 32, comma 1, della Costituzione stabilisce che «La Repubblica tutela la salute
come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce
cure gratuite agli indigenti».
Capitolo Nono - I rapporti etico-sociali
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La salute costituisce lo stato di benessere fisico, mentale e sociale, oggetto di
specifica tutela da parte dell’ordinamento, che consente all’individuo di integrarsi nel
suo ambiente naturale e sociale.
Essendo l’indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti costituzionali, la salute costituisce un diritto fondamentale la cui lesione impone il risarcimento del danno a prescindere dalla capacità
del danneggiato di produrre reddito (danno biologico). Che la salute costituisca un diritto fondamentale lo si
ricava dal fatto che sono garantite cure anche a coloro che non sono in grado di far fronte economicamente
ai trattamenti indispensabili. D’altra parte, la salute rappresenta un interesse della collettività, nel senso che
trascende il singolo individuo e rientra, invece, nel patrimonio sociale comune.
Il dettato costituzionale prevede, in ogni caso, che qualsiasi intervento sanitario,
anche a tutela di un interesse fondamentale e collettivo, non può essere imposto se
non nei casi eccezionali e tassativi previsti dalla legge né tanto meno degenerare in
violenza fisica o, più in generale, nella lesione della dignità della persona (art. 32,
comma 2, Cost.).
Sul punto, la Corte costituzionale ha affermato che «la legge impositiva di un trattamento sanitario
non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o
a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri,
giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la
compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto
diritto fondamentale» (Corte cost. 22-06-1990, n. 307).
Quando non si debba tutelare l’interesse alla salute della collettività, dunque, un
trattamento sanitario non può essere oggetto di imposizione.
La Costituzione sancisce in altri termini il diritto a rifiutare le terapie quale
risvolto negativo del diritto alla salute: il difficile bilanciamento tra tutela della vita e
autodeterminazione individuale è quindi risolto in favore di quest’ultima.
Ciò che viene in rilevo, dunque, è il cd. consenso informato, esito di una scelta
spettante al solo paziente ma compiuta con l’indispensabile apporto delle conoscenze
mediche, secondo quella che viene definita l’alleanza terapeutica tra medico e paziente.
In quest’ambito delicato si inserisce il problema del cd. testamento biologico, cioè la dichiarazione con
cui una persona, pienamente capace di intendere e volere, dà disposizioni in merito alle eventuali terapie
che desidera ricevere e a quelle che intende rifiutare, nel caso in cui si trovi successivamente in uno stato di
incoscienza cerebrale irreversibile in cui non sia in grado di manifestare la sua volontà.
Le norme del nostro ordinamento cui fare riferimento sono di sicuro rilievo, ma non molte, vista la
difficoltà di un paese di chiara ispirazione cattolica come l’Italia a riconoscere giuridicamente un principio
che, nell’opinione di molti, costituirebbe l’anticamera dell’eutanasia.
4. La libertà artistica, scientifica e di insegnamento
A) Introduzione
L’art. 33, comma 1, Cost. sancisce che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne
è l’insegnamento».
I termini «arte» e «scienza» devono essere intesi nell’accezione più lata possibile,
in modo da abbracciare qualunque manifestazione dello spirito compatibile con l’insegnamento (DE SIMONE).
Ordinamento costituzionale
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Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
Secondo la comune accezione, riconosciuta dalla dottrina prevalente, la libertà di
insegnamento si specifica nelle ulteriori:
— libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo possibile di diffusione;
— libertà di professare qualunque tesi o teoria si ritenga degna di accettazione;
— libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che appaia opportuno
adottare.
B) La libertà dell’istruzione e il diritto allo studio
Lo Stato garantisce non solo la libertà di insegnamento inteso come attività culturale
didattica, ma anche la libera gestione dell’istruzione.
Conseguentemente si può affermare (ex art. 33, comma 3, Cost.) che:
— lo Stato non ha il monopolio della istituzione di scuole e corsi di istruzione, sia di
cultura generale che tecnico-professionale;
— chiunque, ente o privato, può istituire scuole, di qualsiasi tipo, per impartire qualunque
tipo di istruzione, purché ciò avvenga senza oneri per lo Stato.
Ciò significa che lo Stato, come qualsiasi altra autorità pubblica, deve rispettare
la libertà di insegnamento e il pluralismo culturale e ideologico della formazione,
dell’informazione e, quindi, degli stessi docenti.
Tale libertà si esprime sostanzialmente sul piano della didattica, dal momento
che le libertà dell’arte e della scienza sono affermate dal Costituente e disciplinate
congiuntamente.
Invece non è libera, ma legata a precise valutazioni tecniche, la possibilità di
parificare le scuole istituite da enti o privati alle scuole gestite dallo Stato (art. 33,
comma 4, Cost.).
In tal senso, la L. 10 marzo 2000, n. 62 recante norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto
allo studio e all’istruzione afferma che il sistema nazionale di istruzione è costituito da scuole statali e da
scuole paritarie private e degli enti locali.
Sono scuole paritarie le istituzioni scolastiche non statali, che si uniformano agli ordinamenti generali
dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da particolari
requisiti di qualità ed efficacia individuati dall’art. 1, commi 4, 5 e 6. Tra di essi, ricordiamo: la stipula di
un progetto educativo in armonia con la Costituzione e rispettoso degli obiettivi fissati dal Ministero; la
pubblicità dei bilanci; l’obbligo di avvalersi di docenti con titolo di abilitazione; l’apertura a tutti gli studenti
senza discriminazioni.
La Repubblica promuove l’apprendimento in tutto l’arco della vita e assicura a
tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità
e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le
attitudini e le scelte personali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo
del lavoro.
A tal fine, la Repubblica assicura il diritto all’istruzione e alla formazione per
almeno 12 anni e comunque sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno
triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto si realizza nelle istituzioni del
primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, costituite
Capitolo Nono - I rapporti etico-sociali
85
dalle istituzioni scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle Regioni, ivi
comprese le scuole paritarie riconosciute (art. 1 D.Lgs. 15 aprile 2005, n. 76).
C) L’istruzione scolastica
Ulteriore e specifica applicazione della promozione della cultura è sancita negli
artt. 33-34 Cost., che disciplinano la materia dell’istruzione scolastica secondo i
seguenti principi:
— la libertà di insegnamento (art. 33, comma 1), che consiste nella libertà per il
docente di esercitare le sue funzioni didattiche, senza vincoli di ordine politico,
religioso o ideologico;
— l’istituzione di scuole statali per tutti gli ordini e gradi (art. 33, comma 2);
— il diritto di istituire, per enti e privati, scuole e istituti di educazione (art. 33
comma 3), senza oneri per lo Stato;
— la parificazione delle scuole private con quelle statali per quanto concerne il
trattamento scolastico degli alunni (art. 33, comma 4);
— l’ammissione per esami ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi
e per l’abilitazione all’esercizio professionale (art. 33, comma 5);
— il libero accesso all’istruzione scolastica (art. 34, comma 1);
— l’obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore (art. 34, comma 2), che garantisce il raggiungimento di un grado minimo d’istruzione al di sotto del quale si
ritiene che l’individuo non sia in grado di partecipare all’organizzazione politica
ed economica e sociale del Paese (BARTOLE-BIN);
— il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi per i capaci e i meritevoli,
anche se privi di mezzi (art. 34, comma 3), mediante borse di studio, assegni alle
famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
D) L’istruzione universitaria
L’Università, quale centro istituzionale di formazione culturale e di attività di
ricerca scientifica, trova il suo fondamento principale nell’art. 9 della Costituzione.
D’altra parte, l’art. 33 della Costituzione proclama l’assoluta libertà della cultura
in tutte le forme in cui si esprime e l’autonomia delle strutture che alla promozione
della stessa e della ricerca scientifica e tecnologica si dedicano.
Pertanto, le Università rappresentano il luogo per eccellenza dove si esercita la
formazione culturale e dove è consentita la ricerca scientifica in un’autonomia didattica,
scientifica, organizzativa e finanziaria che trova riscontro nel dettato costituzionale.
L’art. 33 Cost., comma 6, infatti, contiene una previsione che espressamente disciplina le istituzioni di alta cultura, individuandole nelle Università e nelle Accademie, alle
quali viene riconosciuto il diritto di darsi ordinamenti autonomi, nei limiti della legge.
In particolare, l’inciso del comma 6, «nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato», indica il fatto che le
Università, pur costituendo enti autonomi, sono sottoposte a un controllo sistematico da parte dello Stato
(RESCIGNO), soprattutto dal punto di vista economico, in ragione di fondi che vengono destinati per il
funzionamento e lo sviluppo della ricerca.
Ordinamento costituzionale
Capitolo Decimo
I rapporti economici
Sommario: 1. La costituzione economica. - 2. I diritti sociali dei lavoratori. - 3. Tutela legislativa e giudiziaria del lavoro. - 4. Il principio della sicurezza sociale. - 5. Sindacato e diritto di sciopero. - 6. La libertà
di iniziativa economica. - 7. Il regime giuridico della proprietà. - 8. Le collettivizzazioni. - 9. La tutela della
cooperazione e dell’artigianato. - 10. La tutela del risparmio e la sua effettiva attuazione.
1. La Costituzione economica
Le disposizioni riguardanti i rapporti economici (35-47) sono tra quelle più innovative previste dalla nostra Carta fondamentale e che hanno risentito maggiormente
dello scontro ideologico e del successivo compromesso tra partiti di sinistra e forze
cattolico-liberali presenti nell’Assemblea Costituente.
Il Costituente ha delineato un modello di economia mista in cui la libera iniziativa
economica va inquadrata nella programmazione predisposta dallo Stato, che partecipa
direttamente alla vita economica in veste imprenditoriale (Stato-imprenditore).
Tale sistema è fortemente caratterizzato dai principi della solidarietà sociale e
dall’idea che la disciplina di ogni libera attività economica debba sempre salvaguardare
la persona umana, primario ed inalienabile valore costituzionale.
Nella Carta costituzionale si delinea, pertanto, l’ambizioso progetto di una società
di uomini non oppressi dal bisogno economico e con uguali possibilità di accesso e
di partecipazione alla vita economica e sociale.
2. I diritti sociali dei lavoratori
A) Principi costituzionali in materia di lavoro
Oltre agli artt. 1 e 4 Cost., che trattano del lavoro come fenomeno sociale caratterizzante la
struttura dello Stato, vigono numerose altre norme costituzionali che si occupano della materia.
Tra i principi riguardanti in maniera specifica il rapporto di lavoro vanno ricordati:
— il principio della tutela del lavoro, che la Repubblica assume come suo compito fondamentale (art. 35,
comma 1);
— il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente (art. 36, comma 1);
— il diritto irrinunciabile del lavoratore al riposo settimanale ed alle ferie annuali retribuite (art. 36, comma 3);
— l’eguaglianza di diritti fra lavoratori e lavoratrici (art. 37, comma 1);
— il principio del contemperamento fra il diritto della maternità, proprio della donna, ed il diritto al lavoro
spettante ad essa a parità dell’uomo (art. 37, comma 1, seconda parte);
— il principio della parità di retribuzione per il lavoro dei minori, rispetto al lavoro ordinario, e l’esigenza
di una tutela legislativa appropriata del lavoro minorile (art. 37, comma 3);
— la riserva di legge per determinare la durata della giornata lavorativa e l’età minima per poter svolgere
il lavoro salariato (art. 36, comma 2 e 37, comma 2);
Capitolo Decimo - I rapporti economici
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— il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale, riconosciuto a tutti coloro che sono inabili al lavoro
(art. 38, comma 1);
— il diritto ad ogni forma di previdenza sociale da parte dei lavoratori (art. 38, comma 2);
— il diritto all’educazione e avviamento professionale anche per coloro che sono inabili o minorati (art.
38, comma 3).
Tra i principi costituzionali riguardanti in maniera specifica la contrattazione collettiva vanno ricordati:
— il principio della libertà dell’organizzazione sindacale, (art. 39, comma 1);
— il principio della capacità dei sindacati registrati di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti
i lavoratori appartenenti alle categorie che essi rappresentano, anche se non iscritti (art. 39, comma 3);
— il riconoscimento del diritto di sciopero, anche se non illimitato ma circoscritto nell’ambito delle leggi
che lo regolano (art. 40 Cost.).
Cosa si intende per giusta retribuzione?
Per quanto riguarda, in particolare, il principio della giusta retribuzione, l’art. 36, comma 1 Cost. afferma:
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un esistenza libera e dignitosa».
Questa norma, nel fissare il concetto di giusta retribuzione, accoglie due principi fondamentali:
a) il principio della proporzione fra retribuzione e quantità e qualità del lavoro svolto (principio della
retribuzione proporzionata);
b) il principio secondo cui la retribuzione deve essere in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore
ed alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa (principio della retribuzione sufficiente o della
retribuzione familiare).
Per quantificare concretamente il minimo di salario ritenuto «sufficiente» ai sensi della previsione costituzionale, la magistratura, facendo leva sul combinato disposto dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2099 cod. civ.,
ha conferito efficacia ultrattiva ai contratti collettivi di categoria stipulati dalle organizzazione sindacali,
affermando che essi sanciscono il minimo salariale per tutti i lavoratori della categoria, anche se non appartenenti alle organizzazioni sindacali stipulanti.
B) Il divieto di discriminazioni in materia di lavoro
La parità in materia di lavoro (cioè l’abolizione di ogni forma di discriminazione) è stata prevista dal
Costituente espressamente in relazione al sesso. La Costituzione, infatti, all’art. 37 afferma che la donna
lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
In attuazione di tale disposizione sono stati emanati nel corso degli anni diversi provvedimenti, tutti confluiti
nel D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 con il quale è stato approvato il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna
il cui art. 27, così come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. r), n. 1, D.Lgs. 25-1-2010, n. 5, vieta «qualsiasi
discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra
forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle
modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale».
Con D.Lgs. 9-7-2003, n. 216, è stata data attuazione alla direttiva CE 2000/78 in materia di non discriminazione sul luogo di lavoro.
L’art. 4, comma 1, del decreto allarga l’insieme degli elementi in base ai quali il lavoratore non può subire
disparità, aggiungendo ai motivi politici, religiosi, razziali, di lingua o di sesso, previsti dall’art. 15, comma 2, L.
300/1970 (Statuto dei lavoratori), quelli di handicap, di età, di orientamento sessuale e di convinzioni personali.
Il nostro ordinamento ha, poi, recepito il principio europeo della libera circolazione dei lavoratori dei
paesi membri dell’Unione europea e, di conseguenza, la non-discriminazione tra i lavoratori dei paesi
aderenti ai trattati.
Per quanto riguarda, infine, i cittadini lavoratori di Stati non appartenenti all’Unione europea legalmente
residenti nel territorio italiano la legge (art. 2, comma 3, D.Lgs. 286/1998) assicura loro parità di trattamento
e piena eguaglianza di diritti rispetto ai cittadini-lavoratori di Stati appartenenti all’Unione europea.
Ordinamento costituzionale
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Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
3. Tutela legislativa e giudiziaria del lavoro
A) Lo Statuto dei lavoratori
In materia di tutela del lavoratore ruolo fondamentale riveste la legge 20 maggio
1970 n. 300, cd. «Statuto dei lavoratori», che ha introdotto un pacchetto di norme
dirette a garantire il rispetto, da parte del datore di lavoro, del contratto di lavoro e
della personalità del lavoratore.
I principi più importanti sanciti da tale legge sono i seguenti:
— la libertà di opinione del lavoratore, che può essere manifestata liberamente anche nel luogo di lavoro
(art. 1);
— il divieto per il datore di lavoro di sorvegliare con mezzi occulti (ad es. telecamere) o con personale
estraneo alla fabbrica il lavoro dei dipendenti (artt. 2, 3 e 4);
— il divieto di condurre accertamenti unilateralmente da parte del datore di lavoro, sulla idoneità e
sull’infermità, per malattia o infortunio, del lavoratore dipendente (art. 5);
— l’obbligo del datore di contestare preventivamente al lavoratore l’infrazione commessa, prima di
comminargli una sanzione disciplinare (art. 7);
— il diritto dei lavoratori di svolgere solo le mansioni per cui sono stati assunti, o altre superiori (ma con
adeguamento della qualifica e della retribuzione), e il divieto assoluto per il datore di adibirli a funzioni
inferiori (art. 13);
— il diritto di libera associazione in sindacati e il diritto di svolgere attività sindacale libera, anche
all’interno dei luoghi di lavoro (art. 14);
— il divieto per il datore di lavoro di sottoporre i lavoratori a trattamenti discriminatori per motivi
sindacali etc. (artt. 15 e ss.).
B) Il processo del lavoro
Con L. 11 agosto 1973, n. 533 (più volte modificata), è stato riformato il processo del lavoro rendendolo più snello e veloce grazie alla concentrazione di tutte le attività processuali di primo grado davanti al
Tribunale in composizione monocratica (artt. 409 e ss. cod. civ.).
Caratteristiche fondamentali del rito del lavoro sono l’oralità, la provvisoria esecutività delle sentenze
e l’esenzione dalla imposta di bollo di registro e da ogni altra spesa da parte del prestatore. Queste regole
procedurali tendono a favorire il prestatore di lavoro che, essendo il contraente economicamente più debole
del rapporto di lavoro, risente maggiormente della lentezza del nostro apparato giurisdizionale.
C) Il Jobs Act e la nuova riforma del mercato del lavoro
La disciplina del lavoro è stata negli ultimi decenni toccata da continui interventi di
modifica. Nonostante le diverse riforme, tuttavia, anche a causa della grave fase di recessione in atto nel Paese, alla fine del 2013 la disoccupazione ha raggiunto livelli elevatissimi.
L’ultimo intervento in ordine di tempo è rappresentato dal cd. Jobs Act, varato dal
Governo presieduto da Matteo Renzi.
Il Jobs Act consta di due distinti provvedimenti, il D.L. 20-3-2014, n. 34, cd. decreto
Poletti, conv. in L. 16-5-2014, n. 78, e la legge delega approvata il 4-12-2014, con cui
si intende attuare una pluralità di misure che complessivamente persegue ulteriormente
il modello europeo della flexicurity (TREU, ICHINO).
In particolare, il Governo è stato delegato a predisporre, attraverso uno o più decreti legislativi, una riforma organica dell’ordinamento del mercato del lavoro, intervenendo
su diversi istituti, alcuni peraltro già recentemente modificati e innovati (ammortizzatori
sociali, servizi per il lavoro e le politiche attive, procedure di costituzione e gestione dei
Capitolo Decimo - I rapporti economici
89
rapporti di lavoro, istituti a tutela della genitorialità per favorire migliori opportunità di
conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari). La delega più importante concerne,
comunque, la revisione delle tipologie contrattuali di lavoro allo scopo di renderle
maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo.
Verrà introdotto il contratto a tutele crescenti, in cui sono destinati a confluire, in
massima parte, i rapporti di lavoro a tempo indeterninato che si costituiranno in futuro.
Tale nuova tipologia contrattuale segna il definitivo abbandono della tradizionale forma
di protezione dei lavoratori subordinati, costituita dalla tutela prevista dall’art. 18 dello
Statuto dei lavoratori (in caso di licenziamento ingiustificato si applica la reintegrazione
nel posto di lavoro) ed il passaggio ad un sistema di protezione sul mercato, con una
prevista maggiore efficienza dei servizi per l’impiego e delle politiche attive del lavoro.
4. Il principio della sicurezza sociale
L’art. 38, coerentemente con i fini dello Stato sociale, prevede l’attuazione concreta
del «principio della sicurezza sociale», in base al quale l’autorità statale deve tutelare
la dignità dell’uomo nelle situazioni di bisogno:
— garantendo a tutti i cittadini i mezzi per l’esistenza in vita;
— tutelando la salute mediante servizi di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie;
— rimuovendo tutti quegli ostacoli, economici e sociali, che impediscano lo sviluppo
della persona e la sua effettiva partecipazione alla vita pubblica.
Il canale principale di tutela è costituito dall’assistenza sociale, ossia il sistema normativo e organizzativo finalizzato a prevenire o eliminare, tramite aiuti materiali e spirituali, le situazioni di carenza e di
bisogno che affliggono l’esistenza sia di singoli che della comunità.
Ulteriore forma assistenziale è costituita dalla previdenza sociale, ossia quel complesso di norme e
attività che hanno quale fine la tutela della persona da quegli eventi che possano colpire negativamente la
sua capacità di prestare lavoro.
La Repubblica, pertanto, non si limita a svolgere un’attività di mediazione a favore
di tali categorie per il principio di solidarietà collettiva, ma si impegna in prima persona
nelle funzioni di assistenza e previdenza; ciò spiega l’obbligatorietà degli istituti di
legislazione sociale e dell’imputazione, a carico dei datori di lavoro e dello Stato, di
una parte dei costi previdenziali, precedentemente sostenuti unicamente dai lavoratori.
Si delinea così, un articolato sistema di sicurezza sociale in grado di offrire assistenza
ai cittadini inabili al lavoro e agli indigenti, la cui dignità sociale va così salvaguardata.
La sicurezza sociale, dunque, costituisce anche il mezzo per realizzare la libertà
dallo stato di bisogno per la cui soddisfazione occorrono iniziative specifiche preordinate a prevenire e rimuovere le situazioni di bisogno (CINELLI).
Tra gli aspetti del sistema di sicurezza sociale ciò che incide sulla sostenibilità del debito
pubblico è sicuramente il problema pensionistico che consente a chi presenta i requisiti
legali di godere di un trattamento adeguato alle sue esigenze di vita (Corte cost. 502/2002).
A partire dagli anni Novanta, sono stati introdotti nel sistema previdenziale italiano elementi più marcatamente contributivi, relazionati all’ammontare delle contribuzioni versate, al fine di limitare al minimo
la spesa pubblica sia innalzando l’età pensionabile che l’anzianità contributiva. Tali scelte si sono rese
Ordinamento costituzionale
90
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
necessarie a causa del crescente invecchiamento della popolazione italiana, per cui, mentre il numero dei
pensionati aumenta costantemente, si assiste alla diminuzione di coloro che, invece, versando i contributi,
lavorano e mantengono l’intero sistema.
5. SIndacato e diritto di sciopero
A) Il sindacato
Il sindacato è una associazione, libera e spontanea, di lavoratori, o anche di datori
di lavoro, costituita al fine di tutelare gli interessi professionali dei propri appartenenti.
L’art. 39 della Costituzione sancisce al 1˚ comma il principio della libertà di organizzazione sindacale
che comprende:
— la libertà di costituire anche più sindacati per una medesima categoria, salvo alcuni divieti stabiliti
per categorie particolari (magistrati, Forze armate etc.);
— la libertà per i singoli di scegliere fra i vari sindacati esistenti, oppure di non aderire ad alcuno di essi;
— la libertà dall’ingerenza statale per quanto attiene all’organizzazione ed all’attività dei sindacati;
— la libertà di esercitare i diritti sindacali e di fare propaganda sindacale anche all’interno dei luoghi
di lavoro (purché non si arrechi danno al datore di lavoro).
L’art. 39 Cost. dispone, inoltre, che ai sindacati non può essere imposto altro obbligo
oltre a quello della registrazione presso uffici centrali o periferici. A seguito di tale
registrazione, ad essi è attribuita personalità giuridica e capacità di stipulare, attraverso
rappresentanze unitarie, contratti collettivi con efficacia erga omnes. Unica condizione
per la registrazione è che i sindacati adottino un ordinamento interno a base democratica.
Poiché il legislatore ordinario non ha ancora provveduto ad attuare la norma costituzionale, il sistema previsto dall’art. 39 non ha sino ad oggi trovato applicazione.
Attualmente, quindi, i sindacati non sono registrati e non hanno personalità giuridica;
conseguentemente al pari dei partiti politici essi agiscono come associazioni non riconosciute (enti di fatto), secondo le norme previste al riguardo dal codice civile (artt. 36 ss).
Tra le molteplici funzioni svolte dai sindacati sicuramente una delle più importanti
è quella relativa alla contrattazione collettiva.
I contratti collettivi di lavoro sono quei contratti destinati a regolare il rapporto di lavoro per una generalità di soggetti, stipulati da associazioni di categoria dei lavoratori (CIGL, CISL, UIL ecc.) e dei datori
di lavoro (Confindustria etc.).
I contratti collettivi attualmente in vigore sono i cd. contratti collettivi «di diritto comune» (così detti
per distinguerli da quelli previsti dalla Costituzione), i quali, come tutti i contratti, hanno efficacia soltanto
fra le parti che li stipulano; quindi, se stipulati da un sindacato, vincolano solo i lavoratori ad esso iscritti,
e non gli altri.
Comunque, al fine di evitare disparità di trattamento, si è estesa l’efficacia dei contratti di diritto comune, almeno per quanto riguarda la determinazione della retribuzione, a tutti i lavoratori della categoria
interessata, attraverso il dettato del combinato disposto dell’art. 36 Cost. con l’art. 2099 cod. civ.
B) Il diritto di sciopero
Il principale strumento di lotta sindacale, volto al soddisfacimento delle rivendicazioni dei lavoratori, è lo sciopero.
Lo sciopero si concreta nell’astensione concertata dal lavoro per la tutela di un
interesse professionale collettivo e rappresenta una forma di autotutela, riconosciuta e
Capitolo Decimo - I rapporti economici
91
garantita dalla Costituzione. Tale riconoscimento non implica, però, che il suo esercizio sia illimitato. Infatti, la stessa Costituzione stabilisce che «lo sciopero si esercita
nell’ambito delle leggi che lo regolano» (art. 40 Cost.).
L’abuso di tale strumento di lotta ed il suo uso spregiudicato con grave pregiudizio dei cittadini (spesso
privati senza alcun preavviso di servizi pubblici essenziali) hanno determinato l’emanazione della L. 12
giugno 1990, n. 146 recante norme per garantire il funzionamento dei servizi pubblici essenziali (modificata
ed integrata dalla L. 11 aprile 2000, n. 83).
6. La libertà di iniziativa economica
A) Il significato dell’art. 41 Cost.
L’art. 41 Cost. consacra la libertà di iniziativa economica privata (e pubblica) e
cioè la libertà di intraprendere un’attività economica e di organizzare le risorse umane
e materiali necessarie per svolgere tale attività.
La libertà d’iniziativa economica privata, così come ­quella pubblica, non è né
illimitata, né incontrollata in quanto:
— il comma 2 dell’art. 41 dispone che l’iniziativa economica privata non può svolgersi
in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla libertà, sicurezza
e dignità umana;
— il comma 3, a sua volta, dispone che il legislatore debba fissare i programmi ed i
controlli opportuni affinché l’attività economica pubblica e privata possa essere
utilizzata e coordinata a fini sociali.
Si ritiene che i programmi ed i controlli non debbano sopprimere l’iniziativa individuale, ma solo tendere ad indirizzarla e condizionarla (Corte cost. sent. n. 78/1970).
B) La libera concorrenza e l’autorità garante
La libertà di iniziativa economica deve essere riconosciuta ad ogni individuo, nel
senso di negare ogni pretesa di esclusiva a vantaggio dell’imprenditore che per primo
abbia assunto una nuova iniziativa economica. La libertà di iniziativa economica
è, cioè, tutelata solo se esercitata in forma di leale concorrenza, con esclusione
di tutte quelle pratiche che possano creare distorsioni del mercato e pregiudizio per i
consumatori (intese e pratiche concordate fra imprese, abusi di posizione dominante,
operazioni di concentrazione). Perché ciò possa realizzarsi, tuttavia, lo Stato deve
garantire una struttura concorrenziale del mercato mediante interventi regolativi che
correggano le disfunzioni del mercato: la tutela della concorrenza è, infatti, oggi
espressamente ricompresa nelle competenze esclusive del legislatore statale ai sensi
dell’art. 117 Cost.
In Italia la disciplina antitrust (con notevole ritardo rispetto agli altri Stati membri della Comunità europea) è entrata in vigore con L. 10 ottobre 1990, n. 287, che vieta tutte le pratiche che abbiano per effetto
od oggetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune.
È stata, inoltre, istituita un’Autorità garante della concorrenza e del mercato cui è demandato di
vigilare sul rispetto della normativa antitrust, con ampi poteri di istruttoria e decisionali per il mantenimento
ed il ripristino di condizioni di concorrenza effettiva. Essa ha, altresì, poteri consultivi in ordine alle iniziative
Ordinamento costituzionale
92
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
legislative o regolamentari nonché ai problemi riguardanti la concorrenza ed il mercato e deve segnalare al
Parlamento ed al Governo ogni eventuale distorsione determinata da norme di legge o di regolamento, o da
provvedimenti amministrativi di carattere generale.
7. Il regime giuridico della proprietà
L’art. 42 Cost. dispone che la proprietà è pubblica o privata e indica i soggetti che possono essere
titolari del diritto di proprietà, cioè Stato, enti e privati.
L’art. 42, al comma 2 afferma che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne
determina i modi d’acquisto, di godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di
renderla accessibile a tutti.
L’art. 42, comma 3, prevede l’istituto dell’espropriazione che si ha in tutte quelle ipotesi in cui il
godimento del bene sia in tutto o in parte sottratto, per finalità di pubblico interesse, al titolare del diritto.
Quanto ai presupposti, l’espropriazione può essere decretata nei soli casi previsti dalla legge per motivi
di interesse generale, cioè per importanti ragioni di pubblica utilità. Gli interessi in questione devono avere
un minimo di concretezza attuale (Corte cost. sent. n. 90/1966).
Infine, l’art. 42 dispone che la proprietà può essere espropriata solo dietro indennizzo, la cui entità è
stata a lungo oggetto di vivaci discussioni in dottrina e in giurisprudenza.
8. Le collettivizzazioni
La legge, ai sensi dell’art. 43 Cost., può, per fini di utilità generale, riservare originariamente o
trasferire, tramite espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, a enti pubblici o a comunità di lavoratori
o di utenti, imprese attive nel campo dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia, ovvero operanti
in situazioni di ­monopolio e che abbiano carattere di preminente interesse generale. Queste operazioni si
definiscono collettivizzazioni.
L’affermarsi del primato della concorrenza a livello europeo e l’inefficienza dimostrata negli anni dalla
gestione dei servizi pubblici da parte di imprese pubbliche, hanno portato, negli ultimi venti anni del secolo
scorso, ad una privatizzazione delle imprese pubbliche.
9. La tutela della cooperazione e dell’artigianato
L’art. 45 Cost. disciplina l’impresa cooperativa e l’impresa artigiana, che sono forme peculiari dell’organizzazione produttiva. La norma tutela, in particolare, «la cooperazione a carattere di mutualità e senza
fini di speculazione privata».
La tutela sancita dall’art. 45 è rivolta solo alle cooperative caratterizzate da mutualità e assenza di fini
di speculazione privata, cioè alle società cooperative nelle quali sia consentito a chiunque l’accesso (cd.
principio della porta aperta) e sia garantita la pariteticità della partecipazione degli aderenti (cd. principio
dell’una testa un voto), salvo il generale limite dell’economicità della gestione (NIGRO).
Quanto alla tutela dell’impresa artigiana, ne è discussa in dottrina la ratio: per taluni, si tratterebbe di
un’ipotesi di tutela di una forma di produzione debole (BERTOLINO - SPAGNUOLO - VIGORITA); per altri,
invece, la tutela avrebbe per fondamento l’esigenza di proteggere una particolare ipotesi di piccola impresa,
momento di articolazione del tessuto produttivo ed elemento anch’essa di democrazia economica (NIGRO).
10. La tutela del risparmio e la sua effettiva attuazione
A) Il risparmio e l’azionariato popolare
L’art. 47 Cost. incoraggia il singolo e le famiglie al risparmio e incentiva il risparmio popolare, includendo fra i compiti della Repubblica quello di favorire il suo
accesso alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e
Capitolo Decimo - I rapporti economici
93
indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese, ciò al fine
di rallentare o combattere (in un’ottica democratica) la formazione del grande capitale.
Per consentire l’accesso anche alla proprietà delle grandi imprese (società per
azioni), la Repubblica incoraggia l’investimento dei piccoli azionisti (azionariato
popolare). A tal fine:
— ha istituito un organo indipendente di garanzia e controllo, la Consob, cui sono
affidati rilevanti poteri pubblicistici a tutela della trasparenza delle informazioni
fornite dalle società aperte al pubblico risparmio (quotate in borsa o diffuse), di
corretta gestione dei mercati e di disciplina delle attività degli intermediari finanziari;
— ha introdotto una specifica disciplina che regola gli appelli al pubblico risparmio,
prevedendo per le operazioni di investimento (offerte pubbliche di sottoscrizione e/o
vendita) un regime di maggior protezione del risparmiatore rispetto alle operazioni
di disinvestimento (cd. O.P.A., offerte pubbliche di acquisto e/o scambio);
— ha vietato le pratiche speculative (insider trading) tese a favorire gli investitori
istituzionali o quelli più forti a scapito del singolo che accede a questo difficile e
pericoloso mercato.
B) La tutela del credito
L’art. 47 Cost., a tutela del piccolo risparmiatore e/o imprenditore, detta una serie
di principi connessi all’esercizio del credito ed all’intermediazione bancaria.
La rilevanza assunta dall’attività bancaria — ossia l’attività di raccolta di risparmio
tra il pubblico e di erogazione del credito — anche se non giustifica la sua qualificazione come funzione pubblica o pubblico servizio, comporta che essa sia oggetto di
una particolare attenzione da parte dello Stato.
Ciò determina il necessario assoggettamento del settore bancario ad una serie di
controlli politico-amministrativi, destinati ad assicurare il rispetto dei principi di
cui all’art. 47.
Gli organi cui sono affidati tali controlli sono:
a) il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR);
b) il Ministro dell’Economia e delle Finanze;
c) la Banca d’Italia.
In particolare, la Banca d’Italia esercita la vigilanza sull’attività bancaria al fine di perseguire gli
obiettivi di sana e prudente gestione degli intermediari, della stabilità complessiva, dell’efficienza e della
competitività del sistema, dell’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Alla Banca d’Italia spetta
anche il compito di promuovere e tutelare la concorrenza, pur tenendo sempre conto dell’esigenza di garantire
la solidità del sistema bancario e finanziario.
Ordinamento costituzionale
Capitolo Undicesimo
I rapporti politici
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il diritto di voto. - 3. I partiti politici. - 4. Le primarie. - 5. I sistemi e le
formule elettorali. - 6. La legge elettorale. - 7. La riforma elettorale in discussione: il cd. Italicum. - 8.
Il diritto di petizione popolare. - 9. La parità di accesso alle cariche elettive. - 10. I doveri inderogabili.
1. Premessa
L’articolo 1 della Costituzione italiana stabilisce che l’Italia è una Repubblica
democratica. La democrazia è quella forma di governo che consente un’attiva partecipazione del popolo alla vita politica del Paese.
Secondo lo stesso articolo 1, la sovranità spetta al popolo, che la esercita nei modi
e nei limiti della Costituzione. Il popolo, per quanto ne sia l’unico titolare, non esercita
di regola la sovranità in modo diretto, esprimendo cioè la propria opinione su ogni questione (democrazia diretta), ma in modo indiretto, eleggendo dei propri rappresentanti
con il compito di fare gli interessi proprio partito. L’Italia è, quindi, prevalentemente
una democrazia rappresentativa, anche se, soprattutto attraverso i referendum, il
popolo è chiamato a decidere in prima persona questioni di grande impatto sociale.
Nel nostro ordinamento, così come in tutti gli altri sistemi democratici, per scegliere
i propri rappresentanti si ricorre all’intermediazione dei partiti, formazioni sociali in
grado di orientare le attività e le scelte politiche dei cittadini.
2. Il diritto di voto
A) Il corpo elettorale
Il corpo elettorale costituisce l’insieme degli individui dotati della cittadinanza e del
diritto di elettorato attivo (MAZZIOTTI DI CELSO, SALERNO). Conseguentemente
dal corpo elettorale vanno distinti i concetti di popolo, cioè l’insieme dei cittadini
italiani, indipendentemente dall’essere o meno titolari del diritto di voto, e di popolazione, cioè l’insieme indifferenziato degli individui presenti sul territorio italiano. In
questo senso, rientrano nel concetto di corpo elettorale anche i cittadini italiani residenti
all’estero cui la L. cost. n. 1/2000 ha riconosciuto il diritto di partecipazione politica.
B) L’elettorato attivo
La capacità di votare, vale a dire di esprimere la propria volontà politica attraverso
il voto, si definisce elettorato attivo.
Data l’importanza del voto nelle moderne democrazie, la Costituzione italiana ne
disciplina la titolarità e le modalità d’esercizio all’art. 48.
Capitolo Undicesimo - I rapporti politici
95
In particolare, al comma 1 si prevede che possono essere elettori coloro che sono
in possesso dei seguenti requisiti positivi:
1. la cittadinanza italiana;
2. la maggiore età, vale a dire il 18° anno di età (per il Senato tale requisito è elevato
a 25 anni).
Il comma 4, invece, stabilisce che il diritto di voto può essere limitato solo in presenza dei seguenti requisiti negativi:
1. incapacità civile;
2. effetto di sentenza penale irrevocabile;
3. casi di indegnità morale indicati dalla legge.
In particolare, in base all’art. 2 D.P.R. n. 223/1967 (da ultimo modificato con D.Lgs. n. 5/2006) non
sono elettori:
— coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, alle misure di prevenzione di cui all’art.
3 L. n. 1423/1956, come da ultimo modificato dall’art. 4 della L. n. 327/1988, finché durano gli effetti
dei provvedimenti stessi;
— coloro che sono sottoposti, in forza di provvedimenti definitivi, a misure di sicurezza detentive o alla
libertà vigilata o al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell’art.
215 c.p., finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;
— i condannati all’interdizione perpetua dai pubblici uffici;
— coloro che sono sottoposti all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua
durata.
C) Caratteri del voto
L’art. 48 prevede che tutti i cittadini, uomini e donne, sono elettori e che il voto è
personale ed eguale, libero e segreto: il suo esercizio costituisce un diritto politico,
ma anche un dovere civico.
Da tale disposizione si ricavano i seguenti principi:
— suffragio universale («tutti i cittadini»): per cui l’ammissione al voto non può essere subordinata a condizioni di carattere economico o culturale come si verificava,
invece, fino alla riforma elettorale del 1912; né possono sussistere discriminazioni
di sesso: in Italia il voto alle donne è stato concesso soltanto nel 1946, e poi riaffermato come diritto inviolabile, in seguito al riconoscimento dell’eguaglianza tra
i sessi affermata nella Costituzione;
— personalità del voto: unico modo per votare nel nostro ordinamento è quello di
recarsi personalmente alla sezione elettorale e di segnare di proprio pugno e segretamente la scheda.
Tale caratteristica conosce un’eccezione in seguito all’approvazione della legge sul voto degli italiani
all’estero (L. 27-12-2001, n. 459, di attuazione dell’art. 48 Cost. come modificato dalla L. cost. 1/2000).
L’art. 1, comma 2, di tale legge, infatti, stabilisce che gli elettori appartenenti alla circoscrizione estero
(vale a dire i cittadini italiani residenti all’estero) possono esercitare il loro diritto di voto anche per
corrispondenza.
La legge elettorale, inoltre, consente agli elettori fisicamente impediti di farsi assistere nella cabina
elettorale da altro elettore, volontariamente scelto come accompagnatore ed iscritto nelle liste elettorali
Ordinamento costituzionale
96
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
di qualsiasi Comune della Repubblica. Particolari facilitazioni sono previste per i degenti in luoghi di
cura e per i marittimi imbarcati o in navigazione.
Inoltre, il D.L. n. 1/06, conv. con modif. dalla L. 27 gennaio 2006, n. 22, modificata dalla L. 7 maggio
2009, n. 46, ha previsto che l’elettore affetto da gravissime infermità, tali da impedire l’allontanamento dall’abitazione in cui dimora anche con l’ausilio dei servizi di cui all’art. 29 della L. n. 104/92
(accompagnamento al seggio con trasporto pubblico dell’Amministrazione) e l’elettore che si trovi in
condizioni di dipendenza continuativa e vitale da apparecchiature elettromedicali, deve far pervenire
tra il quarantesimo ed il ventesimo giorno antecedente la data della votazione, al Sindaco del Comune
nelle cui liste elettorali è iscritto, una dichiarazione in carta libera attestante la volontà di esprimere
il voto presso l’abitazione in cui dimora indicandone il completo indirizzo. Alla dichiarazione deve
essere allegato un certificato medico rilasciato dal funzionario medico, designato dalla competente ASL
con data non anteriore al quarantacinquesimo giorno antecedente la data della votazione, da cui risulti
l’esistenza di infermità fisica;
— eguaglianza del voto: sono esclusi i voti plurimi riservati a determinate categorie
di persone (es.: elettori laureati che possono votare due volte) ed i voti multipli
(consentire ad alcuni elettori di votare in più circoscrizioni);
— segretezza del voto: stabilita a tutela della libertà del voto, per garantire l’elettore
da possibili pressioni esterne.
A tale proposito, l’art. 1 del D.L. 1° aprile 2008, n. 49, conv. dalla L. 30 maggio 2008, n. 96, prevede
che nelle consultazioni elettorali o referendarie è vietato introdurre all’interno delle cabine elettorali
telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini;
— libertà del voto: per il principio di libera manifestazione delle proprie idee, deve
essere concesso ad ogni elettore la facoltà di attribuire il proprio voto a chi ritenga
più opportuno, senza coazioni di sorta;
— non obbligatorietà del voto: l’art. 48, comma 2, Cost. stabilisce che l’esercizio
del diritto di voto costituisce «dovere civico». L’infelice e fuorviante espressione
costituzionale rappresenta una delle più oscure formule di compromesso raggiunte
in sede costituente, dettata forse dalla necessità di accontentare in qualche modo
coloro che sostenevano l’obbligatorietà morale del voto.
Con il D.Lgs. 534/1993 è stato abrogato l’art. 115 del D.P.R. n. 361/1957 che sanciva l’iscrizione in un
elenco esposto per 30 giorni nell’albo comunale e la menzione «non ha votato» nel certificato di buona
condotta, in quanto giudicato una grave e illegittima interferenza con la libertà di opinione politica.
D) L’elettorato passivo
L’elettorato passivo consiste nella capacità di ricoprire cariche elettive. Possono,
tuttavia, sussistere situazioni, previste dalla legge, che impediscono l’eleggibilità, per
cui, qualora il candidato venga eletto, l’elezione è invalida e inefficace. Si parla in tal
caso di ineleggibilità.
Si parla, invece, di incompatibilità quando l’eletto si trova in una situazione per
la quale, se vuole conservare la carica validamente assunta, deve rinunziare ad altra
carica incompatibile con la prima.
Per il principio di coincidenza tra elettorato attivo e passivo, di regola chiunque è
elettore è, a sua volta, anche eleggibile. Per l’appartenenza alla Camera dei deputati,
tuttavia, l’età non può essere inferiore a 25 anni, per il Senato a 40.
Capitolo Undicesimo - I rapporti politici
97
E) Ineleggibilità
Le ipotesi di ineleggibilità alla Camera dei deputati sono individuate dal D.P.R.
361/1957 (T.U. delle leggi per l’elezione della Camera dei deputati) e successive modifiche, cui l’art. 5 del D.Lgs. 533/1993 fa rinvio per l’elezione del Senato.
In base all’art. 7 del suddetto T.U., sono ineleggibili:
— i Presidenti delle Giunte provinciali;
— i Sindaci dei Comuni con più di 20.000 abitanti;
— il capo e il vice capo di polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza;
— i capi di Gabinetto dei Ministeri;
— i Prefetti, i vice Prefetti e i funzionari di pubblica sicurezza;
— gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze armate dello
Stato nella circoscrizione del loro comando territoriale.
Secondo la modifica introdotta dall’art. 9 della L. 459/2001 tali cause di ineleggibilità sono riferite
anche alla titolarità di analoghe cariche, ove esistenti, rivestite presso corrispondenti organi in Stati esteri.
In base agli artt. 8 e 9 sono, invece, ineleggibili:
— i magistrati, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori, nelle circoscrizioni sottoposte totalmente o parzialmente alla giurisdizione degli uffici ai
quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un
periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura;
— i diplomatici, i consoli, i vice-consoli, gli ufficiali, retribuiti o no, addetti alle ambasciate, legazioni e consolati esteri, tanto residenti in Italia quanto all’estero, e
tutti coloro che abbiano impiego da Governi esteri.
In base all’art. 10 sono ineleggibili coloro che hanno determinati rapporti di natura
economica con lo Stato.
Infine, in base all’art. 7 della L. 11 marzo 1953, n. 87, anche i giudici della Corte
costituzionale non possono essere candidati nelle elezioni politiche.
F) Incompatibilità
L’incompatibilità designa quella situazione per cui una medesima persona non
può ricoprire contemporaneamente due cariche. Chi si trova in tale condizione deve
optare per l’una o l’altra, altrimenti è lo stesso ordinamento che lo fa automaticamente
decadere da una delle due cariche.
Pertanto l’incompatibilità, a differenza della ineleggibilità, non impedisce la regolare elezione ad una carica: impone solo una scelta fra la nuova carica e quella già
ricoperta. Così, ad esempio, la Costituzione stabilisce che sono incompatibili la carica
di deputato e quella di senatore (art. 65).
È inoltre incompatibile con lo status di parlamentare l’assunzione delle seguenti cariche: Presidente della
Repubblica (art. 84 Cost.), membro del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104 Cost.), membro di
un Consiglio o di una Giunta regionale (art. 122 Cost.), membro della Corte costituzionale (art. 135 Cost.),
membro del Parlamento europeo (art. 5bis, L. 18/1979 aggiunto dalla L. 78/2004), membro del CNEL (art. 8,
L. 936/86), membro di assemblea legislativa o di organo esecutivo, nazionali o regionali, in Stati esteri (art.
Ordinamento costituzionale
98
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
1bis, L. 60/53 aggiunto dalla L. 459/2001 sul voto degli italiani all’estero), qualsiasi altra carica pubblica
elettiva di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali aventi alla data di
indizione delle elezioni o della nomina popolazione superiore a 5.000 abitanti (art. 13, D.L. 138/2011 conv.
con modif. in L. 148/2011).
Da ultimo, va segnalato il D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 che prevede, fra l’altro, le
seguenti incompatibilità con la funzione di parlamentare:
— gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle
aziende sanitarie locali, se la funzione di parlamentare è stata esercitata nell’anno
precedente (art. 8, comma 3);
— gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali
e gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello nazionale, regionale e
locale, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro,
sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo (art. 11, comma
1);
— gli incarichi dirigenziali, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni, negli
enti pubblici e negli enti di diritto privato in controllo pubblico di livello nazionale, regionale e locale, unitamente con l’assunzione, nel corso dell’incarico, della
carica di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato
e commissario straordinario del Governo (art. 12, comma 2);
— gli incarichi di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in
controllo pubblico, di livello nazionale, regionale e locale, unitamente alla carica
di Presidente del Consiglio, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e di
commissario straordinario del Governo (art. 13, comma 1);
— gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo
nelle aziende sanitarie locali, unitamente alla carica di Presidente del Consiglio,
Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del
Governo, di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo
pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del
servizio sanitario nazionale (art. 14, comma 1).
G)Incandidabilità
Differenti dall’ineleggibilità e incompatibilità sono le ipotesi di incandidabilità
recentemente approvate dal D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 che ha dettato un riordino della disciplina per quanto concerne le fattispecie inerenti le Regioni e gli enti
locali e ha previsto (finalmente) i casi riguardanti i parlamenti e coloro che ricoprono
incarichi di governo.
In particolare, non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la
carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a:
— pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti
dall’art. 51, commi 3bis e 3quater, c.p.p.;
— pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, commessi
dai pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione;
Capitolo Undicesimo - I rapporti politici
99
— pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati,
per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro
anni, ex art. 278 c.p.p.
Allo stesso modo, coloro che si trovano in tali condizioni non possono ricoprire
incarichi di governo.
L’accertamento dell’incandidabilità comporta la cancellazione dalla lista dei
candidati.
L’incandidabilità derivante da sentenza definitiva di condanna per tali delitti decorre
dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo
corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso non è inferiore a sei anni.
Qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata successivamente e prima della proclamazione degli eletti si procede alla dichiarazione di mancata
proclamazione nei confronti del soggetto incandidabile.
Qualora una causa di incandidabilità sopravvenga o comunque sia accertata nel
corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza delibera ai sensi dell’articolo
66 della Costituzione.
Nel caso in cui il delitto che determina l’incandidabilità o il divieto di assumere
incarichi di governo è stato commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri
connessi al man dato elettivo, di parlamentare nazionale o europeo, o all’incarico di
Governo, la durata dell’incandidabilità o del divieto é aumentata di un terzo.
H)Il voto degli italiani residenti all’estero
L’art. 48 Cost. è stato modificato dalla L. cost. 17-1-2000, n. 1, che ha inserito un
nuovo comma dopo il secondo, riconoscendo ai cittadini italiani residenti all’estero
l’esercizio del diritto di voto. La norma dispone che la «legge stabilisce i requisiti e
le modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero
e ne assicura l’effettività». A questo scopo istituisce una circoscrizione Estero per
l’elezione delle Camere.
Il secondo tassello della procedura volta a consentire il voto agli italiani all’estero
è stato aggiunto con la L. cost. 23-1-2001, n. 1, con la quale si è provveduto all’effettiva individuazione del numero dei deputati e dei senatori che appartengono alla
neo istituita circoscrizione Estero. Attraverso una modifica degli artt. 56 e 57 della
Costituzione, alla nuova circoscrizione della Camera sono stati attribuiti 12 deputati
mentre a quella del Senato 6 senatori.
Tuttavia affinché gli italiani all’estero potessero effettivamente esercitare il loro
diritto di voto mancava ancora un altro passaggio. L’istituzione della circoscrizione
estero comportava, infatti, l’approvazione di una legge che stabilisse sia le concrete
modalità di svolgimento di tali consultazioni, sia una nuova suddivisione delle circoscrizioni nazionali per tener conto del diminuito numero di parlamentari eletti in Italia.
Tale legge è stata approvata soltanto sul finire del 2001 (L. 27 dicembre 2001,
n. 459, recante norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero) e ha stabilito, insieme con il suo regolamento di attuazione, il D.P.R.
Ordinamento costituzionale
100
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
104/2003, le disposizioni di applicazione per consentire un effettivo esercizio del diritto
di voto agli italiani residenti fuori dal nostro Paese.
3. I partiti politici
A) Nozione
Sono associazioni di persone con comuni ideologie e interessi che, attraverso
una stabile organizzazione, mirano ad esercitare un’influenza sulla determinazione
dell’indirizzo politico del paese.
Il loro fondamento costituzionale si rinviene nell’art. 18, secondo cui «i cittadini
hanno diritto ad associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono
vietati ai singoli dalla legge penale».
L’art. 49 dispone, inoltre, che «tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti, per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale».
B) Divieti
I partiti politici non possono:
— assumere la forma di «associazione segreta», né presentare carattere di organizzazione militare, per l’espresso divieto dell’art. 18 Cost.;
— assumere simboli o contrassegni che possano confondersi con simboli altrui o che
riproducano immagini religiose;
— riorganizzare, sotto qualsiasi forma, il disciolto partito fascista (disp. trans. XII
Cost.);
— annoverare tra i loro iscritti (ex art. 98 Cost.) le seguenti categorie di cittadini:
1. i militari di carriera in servizio permanente effettivo;
2. gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria;
3. i magistrati;
4. i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero.
C) Il finanziamento pubblico dei partiti
I partiti politici per svolgere la loro attività necessitano di una certa disponibilità
economica, che copra le spese di organizzazione, propaganda ecc. I finanziamenti
provengono dalla quota di iscrizione al partito e da finanziamenti privati.
Il sistema del finanziamento pubblico è stato rivisto ad opera della L. 3-6-1999, n.
157. Rispetto al passato, almeno formalmente, i partiti italiani non sono più finanziati
dallo Stato, ma ricevono un rimborso per le spese sostenute durante le campagne
elettorali.
A tale scopo sono stati istituiti quattro fondi, corrispondenti agli organi da rinnovare:
Senato, Camera, Consiglio regionale e Parlamento europeo.
Tale legge è stata più volte modificata soprattutto al fine di ridurre l’importo del
finanziamento ritenuto eccessivo e mal gestito.
Capitolo Undicesimo - I rapporti politici
101
In particolare, attraverso la L. 6-7-2012, n. 96 è stato previsto il dimezzamento
dei finanziamenti.
La L. 96/2012 prevede, inoltre, la decurtazione del 5% dei finanziamenti a quei
partiti che non garantiscano un’adeguata rappresentanza di donne in lista, il che
accade se il numero dei candidati del medesimo genere sia superiore ai due terzi del
totale (art, 1, comma 7).
Per concorrere al contributo i partiti e i movimenti politici devono aver conseguito
almeno il 2 per cento dei voti validi espressi nelle elezioni per il rinnovo della Camera
dei deputati o almeno un candidato eletto sotto il proprio simbolo alle elezioni per il
rinnovo del Parlamento, dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, dei
consigli regionali o dei consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Tale importo è suddiviso in misura eguale in quattro fondi, uno per ciascuna elezione.
Per ogni fondo, a ciascun partito o movimento politico spetta un rimborso massimo
proporzionale al numero di voti validi conseguiti nell’ultima elezione.
Di non poco conto è l’introduzione della norma che prevede per l’accesso ai contributi l’obbligo per i partiti e movimenti politici di dotarsi di un atto costitutivo o
di uno statuto pubblici, da trasmettere in copia ai Presidenti delle due Camere entro
45 giorni dalla data di svolgimento delle elezioni. Tale statuto deve essere conformato
a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei
candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti (art. 5, comma 1).
È stata, infine, istituita la Commissione per la trasparenza e il controllo dei
bilanci dei partiti e dei movimenti politici, composta da 5 magistrati (1 designato
dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, 1 dal Presidente del Consiglio di
Stato, 3 dal Presidente della Corte dei conti), cui è affidato il compito di controllare i
rendiconti dei partiti.
Da ultimo, con D.L. 28 dicembre 2013, n. 149, conv. con modif. in L. 21 febbraio
2014, n. 13, il Governo ha dettato una nuova e importante riforma.
In particolare, l’art. 12 prevede la possibilità per i cittadini di destinare ai partiti il
2 per mille delle proprie dichiarazioni dei redditi. Tuttavia, le quote non espressamente
indicate restano allo Stato e non vengono ridistribuite.
L’art. 10 del decreto fissa anche in 100 mila euro l’anno la somma che può essere
destinata alle formazioni politiche, con una detrazione fiscale del 26% per importi
compresi tra 30 euro e 30 mila euro annuo. È consentito, infine, ai partiti di finanziarsi
anche con sms o iniziative simili (art. 13).
4. Le primarie
Il dibattito sulla democraticità interna dei partiti e sulla possibilità di un più saldo
raccordo tra eletti ed elettori si è ulteriormente sviluppato negli ultimi anni, concentrandosi soprattutto sulla scelta dei candidati da presentare agli elettori.
Con l’introduzione della formula delle elezioni primarie, si consente ai cittadini
di incidere direttamente sulla scelta del leader e, conseguentemente, dei candidati da
presentare alle consultazioni elettorali e sottrae, seppur parzialmente, tale scelta alle
segreterie di partito.
Ordinamento costituzionale
102
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
Le primarie sono tipiche del sistema statunitense, dove si ricorse ad esse già ai primi
del Novecento per scegliere i candidati che i partiti presentano alle consultazioni per
il Parlamento. Le primarie hanno così facilitato un più intenso raccordo tra la gente ed
i candidati, limitando la possibilità dei partiti di imporre i propri uomini. Negli Stati
Uniti, però, i partiti sono delle semplici compagini elettorali, istituzionalmente privi
di ideologie radicali, che riconoscono nel modello americano il migliore possibile.
In Italia, invece, sono presenti partiti con radicate tradizioni storiche e precisi
riferimenti ideologici, capaci di sottoporre i propri candidati ed eletti ad una rigida
disciplina e di operare capillarmente su tutto il territorio nazionale.
Per quanto la diversità strutturale italiana costituisca una potenziale incognita circa
la capacità delle primarie di conferire maggiore legittimità democratica ai candidati
che si presentano alle elezioni il loro utilizzo si è diffuso anche in Italia, sebbene quasi
esclusivamente nelle forze politiche di centro-sinistra (da ultimo va ricordata l’elezione
del 15 dicembre 2013 di Matteo Renzi a Segretario del Partito Democratico).
5. I sistemi e le formule elettorali
I sistemi elettorali possono definirsi come quel complesso di regole e di procedure che:
— determinano le modalità con cui gli elettori esprimono il loro voto;
— concedono ai partiti presentatisi alle elezioni la rappresentanza parlamentare;
— dettano le modalità con cui i voti vengono tradotti in seggi.
È comunque importante distinguere tra formula elettorale e sistema elettorale. La
prima riguarda solo il meccanismo di traduzione dei voti in seggi; il secondo concerne
anche la ripartizione delle circoscrizioni, la disciplina dell’informazione politica, della
propaganda elettorale etc.
Tre sono le formule elettorali che possono evidenziarsi:
1. a maggioranza assoluta (majority): richiedono la maggioranza assoluta (50% + 1) dei suffragi espressi
per l’attribuzione del seggio. Esse operano in circoscrizioni cosiddette uninominali, nelle quali cioè
viene eletto un solo candidato. Difficilmente si ricorre a tali formule allo stato puro, perché esse possono produrre situazioni di stallo, nelle quali nessun partito o candidato riesce a raggiungere il quorum
necessario per aggiudicarsi il seggio in palio;
2. a maggioranza relativa (plurality): anch’esse operano in circoscrizioni uninominali e richiedono la
maggioranza relativa per l’assegnazione del seggio;
3. proporzionali: si propongono di assicurare a ciascun partito un numero di seggi rapportato alla sua forza
politica e alla distribuzione effettiva degli elettori su tutto il territorio nazionale. Consentono, inoltre,
un’adeguata rappresentanza delle forze politiche minoritarie che, invece, i sistemi maggioritari tendono
a penalizzare.
6. La legge elettorale
Il sistema elettorale adottato in Italia per l’elezione del Parlamento non è indicato nella Carta costituzionale, che demanda alla legislazione ordinaria il compito di disciplinare tale materia.
Il sistema elettorale italiano è disciplinato dalla L. 21-12-2005, n. 270 (anche definita Porcellum dal
politologo Giovanni Sartori dopo che il suo principale relatore Roberto Calderoli l’aveva giudicata «una
porcata») i cui punti qualificanti sono:
Capitolo Undicesimo - I rapporti politici
103
— la suddivisione del territorio nazionale in 27 circoscrizioni per l’elezione della Camera e 20 per il
Senato. L’attribuzione dei seggi si realizza su base proporzionale in ragione delle percentuali di consensi
ottenute da partiti e coalizioni su scala nazionale alla Camera e su scala regionale al Senato;
— il premio di maggioranza, che assicura alla coalizione vincente 340 seggi alla Camera, qualora non
li abbia già ottenuti. Al Senato opera, invece, un premio di coalizione regionale, in virtù del quale la
coalizione che ottiene più voti in una Regione potrà disporre di almeno il 55% dei seggi attribuiti a
quella Regione;
— le soglie di sbarramento. Alla Camera partecipano alla ripartizione dei seggi le coalizioni con almeno
il 10% dei consensi, i partiti non collegati con almeno il 4% ed i partiti che, nell’ambito di una coalizione, ottengono almeno il 2%. È, inoltre, previsto che partecipi al riparto dei seggi anche la lista che,
nell’ambito di una coalizione, ha ottenuto il miglior risultato pur non superando il 2%. Al Senato le
soglie di sbarramento sono il 20% per le coalizioni, l’8% per i partiti non coalizzati e il 3% per i partiti
facenti parte di una coalizione (o dell’8% se la coalizione non ha raggiunto il 20% dei consensi);
— le liste bloccate. Sulla scheda elettorale è consentito apporre un solo segno, sul simbolo della lista
prescelta: in tal modo entrano in Parlamento i candidati in ordine di lista;
— il deposito da parte dei partiti che si candidano a governare, contestualmente al deposito del contrassegno,
del programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come
capo della forza politica;
— la sottoscrizione delle liste presentate. Nessuna sottoscrizione è richiesta per i partiti costituiti in gruppo
parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione
dei comizi, né per i partiti o gruppi politici collegati con almeno due altri partiti o gruppi politici e che
abbiano conseguito almeno un seggio in occasione delle ultime elezioni per il Parlamento europeo;
— la tutela delle minoranze linguistiche, le cui liste nelle Regioni a statuto speciale possono accedere
al riparto dei seggi qualora superino la soglia del 20% dei voti validi. Ai partiti ed ai gruppi politici
rappresentativi delle minoranze linguistiche, inoltre, nel caso abbiano ottenuto almeno un seggio alla
Camera o al Senato alle precedenti elezioni, non è richiesta alcuna sottoscrizione all’atto della presentazione delle liste.
Da ultimo, va segnalato come la Corte costituzionale con sent. 1/2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza
(sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica) alla lista o alla coalizione di liste che
abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi
e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Consulta ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali «bloccate», nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.
7. La riforma elettorale in discussione: il cd. Italicum
All’indomani della sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la
L. 270/2005, il Parlamento ha proceduto all’esame del disegno di legge, scaturente
dall’accordo dei leaders dei due maggiori partiti italiani PD e Froza Italia, riguardante
l’approvazione di una nuova legge elettorale.
La nuova legge elettorale (cd. Italicum), ancora all’esame del Parlamento, non prevede norme per l’elezione del Senato, in considerazione della sua annunciata abrogazione.
In particolare, i punti qualificanti l’Italicum, che costituisce un sistema elettorale
proporzionale, sono:
— un premio di maggioranza per chi supera il 37%: al fine di garantire una governabilità che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente,
bisogna superare la soglia del 37% dei voti;
Ordinamento costituzionale
104
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
— il doppio turno se nessuno supera la soglia del 37%: in particolare, i primi due
partiti o coalizioni si sfidano in un doppio turno per l’assegnazione del premio. Il
vincitore ottiene 327 seggi, i restanti 290 vanno agli altri partiti (non sono calcolati
i deputati eletti all’estero);
— una soglia di sbarramento: 4,5% per i partiti in coalizione, l’8% al di fuori,
12% per le coalizioni;
— l’impossibilità di esprimere preferenze: resta il cd. sistema delle liste bloccate,
non potendo gli elettori esprimere preferenze; è questo uno dei nodi che dovrà
essere sciolto alla luce della sentenza 1/2014 che dichiara l’incostituzionalità delle
liste bloccate;
— la presentazione di liste paritarie: le liste dei candidati dovranno garantire la presenza di uomini e donne al 50% ma senza alternanza obbligatoria. Le liste potranno
avere fino a due uomini di seguito.
8. Il diritto di petizione popolare
Con l’esercizio di tale diritto i cittadini portano a conoscenza del Parlamento determinate situazioni o necessità, chiedendo alle Camere di esaminarle e di provvedervi
attraverso lo strumento legislativo (art. 50 Cost.).
Ciascuna Camera, ricevuta una petizione, può tenerne conto, archiviarla o abbinarla
ad un eventuale progetto di legge sulla stessa materia o invitare il Governo a presentare
un disegno di legge sul medesimo oggetto.
Il diritto di petizione può essere esercitato più facilmente dell’iniziativa legislativa
popolare, perché:
— spetta a tutti i cittadini, anche se non iscritti nelle liste elettorali;
— non richiede particolari formalità, eccettuata l’autenticazione della firma del proponente;
— può essere esercitato da una singola persona o da gruppi di persone;
— non richiede la formulazione di un disegno di legge vero e proprio, come invece è
previsto per l’esercizio dell’iniziativa legislativa popolare.
9. La parità di accesso alle cariche elettive
In base all’art. 51 Cost. tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere
alle cariche elettive.
Nonostante il principio solennemente affermato dall’art. 51 della Carta costituzionale sulla parità tra i sessi nell’accesso alle cariche elettive, la realtà dimostra
che tale uguaglianza è ben lontana dall’essersi realizzata: ancora oggi, nel Parlamento
eletto nel 2008, la percentuale della rappresentanza femminile risulta inferiore al 20%.
Il lungo iter del principio di pari opportunità ha trovato completa attuazione con
la L. cost. 30 maggio 2003, n. 1 che introduce un nuovo periodo al primo comma
dell’articolo 51 Cost. Riprendendo quanto affermato nella prima parte del comma
(«Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e
Capitolo Undicesimo - I rapporti politici
105
alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla
legge»), il periodo aggiunto recita: «A tal fine la Repubblica promuove con appositi
provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Con tale modifica si è fornita la
copertura costituzionale per l’adozione di provvedimenti legislativi ad hoc che possano
incentivare la partecipazione femminile alla vita pubblica, superando le obiezioni mosse
in precedenza dalla Corte costituzionale.
10. I doveri inderogabili
Per «doveri inderogabili» si devono intendere quei doveri dal cui adempimento
nessun soggetto può essere esentato in quanto espressione del principio di solidarietà.
Il richiamo a tali doveri contenuto nell’art. 2, comma 2, Cost. si collega al principio
dell’uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3, comma 2, Cost. Entrambe le norme
impongono ai singoli di contribuire alla crescita democratica della società, soprattutto
attraverso attività che abbiano un’utilità sociale nelle quali possa concretizzarsi il
valore della solidarietà.
Tra i doveri inderogabili di solidarietà politica menzionati nell’art. 2 della Costituzione si inserisce:
a) il dovere di difesa della Patria. In particolare, il comma 1 dell’art. 52 definisce
tale dovere come «sacro» non connotandolo però di alcun significato religioso,
dovendosi invece intendere laicamente quale condivisione del nucleo fondante
dei principi intangibili da parte dei cittadini. In questo senso la difesa della Patria
può essere adempiuta anche con forme di solidarietà nei confronti della comunità
diverse dal servizio militare armato.
Il dovere di difesa della Patria si traduce, ex art. 52, comma 2, nell’obbligo di prestare
il servizio militare nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge (D.P.R. 237/1964).
Con la L. 15-12-1972, n. 772 (abrogata e sostituita dalla L. 8 luglio 1998, n. 230), introducendo un
servizio civile sostitutivo, ha riconosciuto l’obiezione di coscienza quale diritto dell’individuo che,
contrario all’uso delle armi, non accetta l’arruolamento delle Forze armate, preferendo impegnarsi in
attività socialmente utili, così come riconosciuto in un primo momento dalla Corte costituzionale con
sent. 164/1985.
Con L. 14-11-2000, n. 331 è stato, quindi, introdotto il servizio militare professionale e sospeso il
servizio di leva obbligatoria (attuato con L. 23-8-2004, n. 226), per cui il servizio civile sostitutivo
si è trasformato nel servizio civile nazionale (istituito dalla L. 6-3-2001, n. 64 e attuato con il D.Lgs.
5-4-2002, n. 77) che offre la possibilità ai giovani di ambo i sessi, di età compresa fra i 18 e i 28 anni,
di dedicare un anno della propria vita ad attività sociali.
La normativa richiamata ha subito un’importante riorganizzazione ad opera del D.Lgs. 15-3-2010, n.
66, recante il Codice dell’ordinamento militare.
In particolare, si è proceduto all’abrogazione delle citate leggi 230/1998 (ad esclusione degli artt. 8, 10,
19 e 20), 331/2000 e 226/2004 e la disciplina da queste dettata è in parte confluita nel nuovo Codice
dell’ordinamento militare.
Pertanto, la nuova normativa in materia di servizio militare e servizio degli obiettori di coscienza, stante
l’abolizione del servizio militare obbligatorio e la creazione del servizio militare professionale, riguarda
ormai le sole ipotesi di «guerra» o «gravi crisi internazionali»;
Ordinamento costituzionale
106
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
b) la partecipazione alle spese dello Stato. L’art. 53 della Costituzione obbliga i
cittadini e gli stranieri (che hanno interessi economici in Italia) a concorrere alle
spese pubbliche attraverso prelievi fiscali in ragione della capacità contributiva
di ciascuno e secondo il criterio di progressività. L’esigenza di imporre tributi ai
sudditi costituisce una necessità insopprimibile dello Stato sociale diretto ad acquisire le risorse finanziarie fondamentali per garantire lo sviluppo della collettività;
c) il dovere di fedeltà alla Repubblica. L’art. 54 della Costituzione impone a tutti i
cittadini il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione
e le leggi.
Tuttavia, il dovere di fedeltà non comporta «obbedienza incondizionata» ai governanti che, abusando del loro ufficio, violino o sovvertano i principi fondamentali
consacrati dalla Costituzione. Tale assunto rimanda al cd. «diritto di resistenza»
dei cittadini che la Costituzione italiana non prevede ma che secondo parte della
dottrina (DE VERGOTTINI) sarebbe implicito e riconducibile al dovere in difesa
delle istituzioni: la legge, infatti, non deve essere l’espressione del libero arbitrio di
un sovrano ma la traduzione positiva dei precetti specifici e inviolabili consacrati
dalla Costituzione.
Capitolo Dodicesimo
Il Parlamento
Sommario: 1. Concetto e struttura. - 2. Prerogative delle Camere. - 3. Organi interni delle Camere:
organi strumentali. - 4. Organi operativi e rappresentativi. - 5. I lavori e lo scioglimento delle Camere. - 6. Lo status di parlamentare. - 7. L’attività del Parlamento. - 8. Il procedimento legislativo. - 9.
Procedimento «aggravato» per le leggi costituzionali. - 10. Altre attribuzioni del Parlamento. - 11. Gli
atti di indirizzo politico e gli atti ispettivi. - 12. La messa in stato d’accusa del Capo dello Stato. - 13.
Il Parlamento in seduta comune.
1. Concetto e struttura
Il Parlamento nel sistema costituzionale italiano è un organo:
— costituzionale (cioè rientra nella organizzazione costituzionale dello Stato);
— complesso (perché costituito da più organi interni);
— collegiale (perché composto da più componenti e membri che agiscono collegialmente);
— rappresentativo (in quanto rispecchia la volontà politica degli elettori, essendo
eletto dal popolo a suffragio universale);
— con funzioni: politiche, legislative, di controllo politico, giurisdizionali e di connotazione del sistema.
Secondo la Costituzione (art. 55), il Parlamento è bicamerale, cioè composto da
due Camere (Camera dei Deputati e Senato); si tratta di un bicameralismo perfetto o
«pieno», perché entrambe le Camere hanno gli stessi poteri e sono, tra di loro, su un
piano di parità.
La Camera dei Deputati ed il Senato si differenziano tra loro in base a questi elementi:
—
—
—
—
elettorato attivo: gli elettori per la Camera dei Deputati devono avere 18 anni, per il Senato 25 anni;
elettorato passivo: i candidati al Senato devono avere 40 anni, i candidati alla Camera 25 anni;
numero dei componenti: la Camera è composta di 630 deputati, i senatori sono 315;
membri non elettivi: i deputati sono tutti elettivi; del Senato, invece, oltre ai membri elettivi, possono
far parte i senatori a vita nominati dal Capo dello Stato (scelti tra cittadini che abbiano illustrato la
Patria per altissimi meriti in campo sociale, artistico e letterario) e i senatori a vita di diritto poiché ex
Presidenti della Repubblica.
Prospettive di riforma
La revisione della Costituzione italina prevista dal disegno di legge costituzionale S. 1429, presentato
in Senato l’8 aprile 2014 e da questo approvato in prima lettura l’8 agosto 2014, prevede quale punto
cardine la trasformazione del bicameralismo perfetto dell’attuale sistema parlamentare italiano in un
bicameralismo imperfetto.
In particolare, il Parlamento sarebbe composto da:
— una Camera dei deputati, i cui membri rappresentano la Nazione;
— un Senato della Repubblica, i cui membri rappresentano le istituzioni territoriali.
108
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
Il nuovo Senato dovrebbe essere composto da 95 senatori, in luogo degli attuali 315, e da 5 senatori
nominati dal Presidente della Repubblica.
In particolare, i 95 senatori verrebbero eletti:
— dai Consigli regionali tra i propri componenti mediante sistema proporzionale. A ciascuna Regione
i seggi sono assegnati in proporzione alla popolazione e, in ogni caso, nella misura minima di 2 per
ciascuna;
— dai Consigli delle Province autonome di Trento e Bolzano tra i propri componenti mediante sistema
proporzionale nella misura di 2 per ciascuno;
— tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori nella misura di uno per ciascuno.
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali
sono stati eletti, per cui si verificheranno continui turn-over in considerazione dei mutevoli cambi di colore
politico all’interno delle differenti autonomie territoriali. Si eviterebbe così quella stagnazione che fa scadere la vivacità del dibattito per gli effetti di un «tranquillo» modus vivendi dei poteri che per lungo tempo
coesistono e si consolidano, favorendo al contrario eventuali nuove istanze dei «neo-eletti» o «nominati».
Differenti sarebbero a questo punto le funzioni esercitate da ciascuno dei due rami del Parlamento.
La Camera sarebbe titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed eserciterebbe la funzione di indirizzo
politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo.
Il Senato, invece, al di là della partecipazione alla funzione legislativa con la Camera secondo le modalità
stabilite dalla Costituzione:
— si occuperebbe del raccordo fra lo Stato, l’Unione europea e gli altri enti costitutivi della Repubblica
(Regioni, Città metropolitane, Comuni etc.);
— parteciperebbe alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle
politiche dell’Unione europea, valutandone altresì l’impatto;
— verificherebbe l’attuazione delle leggi dello Stato e valuterebbe l’impatto delle politiche pubbliche
sul territorio;
— esprimerebbe pareri sulle nomine governative.
La novità introdotta dal testo approvato dall’Assemblea l’8 agosto 2014 rispetto al disegno di legge
originario del Governo è costituita dall’introduzione all’art. 55, comma 2, dell’esplicito richiamo alle
cd. quote rosa, ossia la garanzia che nella rappresentanza parlamentare venga garantito un equilibrio
paritario fra donne e uomini. Inoltre, sono specificate, rispetto al testo approvato dalla Commissione il
6 maggio 2014, le materie nelle quali il Senato concorre paritariamente con la Camera, ossia famiglia e
matrimonio (art. 29) e trattamenti sanitari obbligatori e diritti del malato (art. 32, comma 2).
Da quanto detto emerge come alla Camera spettano le decisioni fondamentali, su tutte la funzione legislativa,
al fine di garantire uno snellimento dell’iter legislativo che attualmente si dipana in continue «navette» tra
le due Assemblee. In tal modo si cerca di arginare anche il Governo che, per aggirare l’estrema lentezza
del procedimento legislativo ordinario, ricorre troppo spesso all’adozione di atti aventi forza di legge
(decreti-legge e decreti legislativi) accompagnata dalla richiesta in modo pressoché costante della questione
di fiducia, determinando così la trasformazione della legge «ordinaria» in uno strumento «eccezionale».
2. Prerogative delle camere
Le Camere godono, nel loro complesso, delle seguenti prerogative:
— autonomia regolamentare: ciascuna Camera ha il potere di adottare il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti (art. 64, comma 1, Cost.). Il regolamento disciplina l’organizzazione
interna e il funzionamento della Camera;
— autonomia finanziaria: ciascuna Camera delibera il proprio bilancio ed il proprio conto consuntivo; le
spese di funzionamento delle Camere gravano su un fondo speciale autonomo gestito dalle Camere e
somministrato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Non sono ammessi controlli di altri organi
sui bilanci delle Camere;
— autonomia amministrativa: ciascuna Camera provvede all’organizzazione dei propri uffici amministrativi,
ha personalità giuridica di diritto privato, può stare in giudizio da solo, senza l’assistenza dell’Avvocatura
Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento
109
dello Stato, e assume i propri dipendenti (funzionari, commessi etc.) stipulando direttamente con loro
i contratti di lavoro;
— inviolabilità degli edifici delle Camere: in base ad una norma consuetudinaria, gli ufficiali e agenti
della forza pubblica non possono entrare negli edifici delle Camere per compiere atti del loro ufficio
(immunità della sede);
— verifica dei poteri: ciascuna Camera giudica da sé dei titoli di ammissione dei suoi componenti, cioè
delle cause di ineleggibilità, incompatibilità, nonché della regolarità delle elezioni;
— tutela penale: sono puniti come reati il tentativo di impedire alle Camere l’esercizio delle loro funzioni
(art. 289 c.p.) ed il vilipendio alle Camere (art. 290 c.p.).
3. Organi interni delle Camere: organi strumentali
La Camera ed il Senato si compongono di vari organi interni che possono classificarsi in strumentali, operativi, e rappresentativi.
Gli organi strumentali sono:
a) l’Ufficio di presidenza. Tale organo, che al Senato assume la denominazione di Consiglio di Presidenza,
è composto da:
— Presidente dell’assemblea: è l’organo che presiede ciascuna Camera ed ha il potere di convocazione straordinaria della medesima (62 Cost.), nonché il diritto ad essere consultato dal Presidente
della Repubblica prima dello scioglimento della Camera (88 Cost.). È inoltre l’oratore ufficiale,
dirige i dibattiti e le sedute; fissa il calendario dei lavori; nomina i componenti della Giunta per il
regolamento e per le elezioni; ha poteri disciplinari e di polizia;
— 4 Vicepresidenti: fanno le veci del Presidente e lo coadiuvano;
— 11 Segretari alla Camera e 8 al Senato: compilano i processi verbali delle adunanze, accertano
l’esistenza del numero legale, procedono agli appelli, etc.;
— 3 Questori: sovraintendono al cerimoniale ed ai servizi di polizia;
b) le Giunte permanenti, che possono distinguersi in Giunte:
— per il regolamento: organi collegiali costituiti da membri della Camera, incaricati di promuovere ed
elaborare aggiornamenti e modifiche dei regolamenti parlamentari, e di dare pareri sulle procedure
e sull’interpretazione degli stessi;
— per le elezioni: hanno il compito di esaminare in primo grado le controversie in materia elettorale,
ed eventualmente sottoporle poi all’attenzione della Camera a cui appartengono;
c) le Conferenze dei capi gruppo. Sono organismi collegiali (uno per ciascuna Camera) presieduti dal
Presidente dell’Assemblea e costituiti da tutti i presidenti dei gruppi parlamentari. Hanno il compito di
deliberare il programma di attività e il calendario dei lavori, nonché di organizzare la discussione in aula.
4. Organi operativi e rappresentativi
Gli organi rappresentativi vengono di volta in volta costituiti per rappresentare
le Camere a cerimonie ufficiali o presso autorità straniere: in tali casi si parla di deputazioni o rappresentanze parlamentari.
Gli organi operativi, invece, sono uffici che esercitano le funzioni proprie del
Parlamento. Essi sono:
— Commissioni parlamentari, che possono essere:
1. speciali (o straordinarie), se costituite occasionalmente da ciascuna Camera,
per risolvere particolari questioni (ad es. Commissioni di inchiesta); svolgono
Ordinamento costituzionale
110
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
indagini e accertamenti su situazioni di fatto, comportamenti di persone o di
enti e possono essere anche miste (cioè formate insieme da senatori e deputati);
2. permanenti, se costituite permanentemente in seno a ciascuna Camera, il cui
regolamento ne determina la competenza per materia. Ne esistono 14 sia presso
il Senato che presso la Camera dei deputati;
Per espressa previsione della Costituzione, le Commissioni permanenti:
Le Commissioni parlamentari sono costituite in modo da rispecchiare i rapporti tra le forze politiche
presenti in Parlamento ed esistono presso entrambe le Camere;
a) devono esaminare preventivamente i disegni di legge, per farne relazione all’Assemblea che deve
approvarli (cd. Commissioni in sede referente);
b) nei casi previsti dai regolamenti, possono anche procedere all’approvazione dei progetti di legge,
in luogo dell’Assemblea plenaria (cd. Commissioni in sede deliberante).
— Giunte parlamentari. Sono anch’esse formate in proporzione alle forze politiche
presenti in Parlamento. Hanno funzioni consultive ed extralegislative;
— Gruppi parlamentari. Sono associazioni di deputati o di senatori politicamente
affini, volte a promuovere una più incisiva ed efficace azione nell’ambito delle istituzioni parlamentari. I senatori e i deputati devono dichiarare entro due giorni dalla
1a seduta dopo l’elezione (se deputati) o entro tre giorni (se senatori) a quale gruppo
intendono iscriversi; infatti l’elezione di un parlamentare nella lista di un partito
non comporta l’automatica iscrizione nel suo gruppo parlamentare. Per costituire
un gruppo parlamentare occorrono un minimo di 10 senatori o di 20 deputati.
5. I lavori e lo scioglimento delle Camere
a) Periodi di lavoro:
— la legislatura è il periodo di durata delle Camere (5 anni) salvo scioglimento anticipato o proroga
in caso di guerra, e si articola in più sedute;
— la sessione è il periodo continuativo di lavoro delle Camere compreso fra una convocazione e
l’aggiornamento dei lavori;
— le sedute sono le singole riunioni delle Camere.
b) Convocazione delle Camere:
— la convocazione iniziale, per le Camere appena elette, è fissata dal Presidente della Repubblica nel
medesimo decreto con cui convoca i comizi elettorali, e deve avvenire entro venti giorni dall’elezione;
— la convocazione su mozione di aggiornamento dei lavori, con cui si sospendono temporaneamente
i lavori per rinviarli ad altra sessione, è decisa dalle stesse Camere;
— la convocazione di diritto, così detta perché si effettua il primo giorno non festivo di febbraio e di
ottobre a prescindere da qualunque richiesta formale (art. 62 Cost.);
— la convocazione straordinaria di ciascuna Camera avviene per iniziativa del suo Presidente, o del
Presidente della Repubblica, o di un terzo dei suoi componenti.
c) Svolgimento dei lavori:
— le sedute sono pubbliche, salvo casi eccezionali di adunanze segrete deliberate dalle Camere;
— l’ordine del giorno è prefissato dal Presidente, in base ad un calendario dei lavori, d’accordo con i
vari gruppi parlamentari: ciò, per evitare decisioni a sorpresa su argomenti su cui la maggioranza
dei parlamentari non sia stata prima preavvisata;
Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento
111
— le deliberazioni sono valide se è presente la maggioranza dei componenti, e sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione non prescriva una maggioranza speciale.
Per evitare, tuttavia, che siano invalidabili eventuali deliberazioni adottate per motivi contingenti
e temporanei con un quorum inferiore, che rispecchia però l’equilibrio fra i gruppi, vige sempre la
regola della «presunzione del numero legale». Si presume cioè che in aula sia presente sempre il
numero minimo di parlamentari (cioè il 50% + 1 dei componenti l’assemblea) anche se in qualsiasi
momento i presenti possono chiedere la verifica del numero legale al Presidente dell’Assemblea
e questi è obbligato ad eseguirla. Se viene accertata la mancanza del quorum richiesto, la seduta
viene subito sciolta e rinviata;
— i membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, possono sempre presenziare alle
sedute (se richiesti, ne hanno addirittura l’obbligo) e devono essere ascoltati ogni volta che lo
richiedano;
— le votazioni sono effettuate, di regola, a scrutinio palese, ad esclusione dei casi in cui sia espressamente previsto il voto a scrutinio segreto;
— il Presidente ha il compito di mantenere l’ordine nelle sedute, applicando, se necessario, le sanzioni
previste dai regolamenti (come ad esempio il richiamo all’ordine);
— l’ostruzionismo è il comportamento di un gruppo di parlamentari che, giovandosi di tutti gli appigli
consentiti dal regolamento, cerca di ostacolare il lavoro della Camera, per protesta o contrasto di
opinioni, ritardando l’iter legislativo di una legge o mantenendo la stessa all’ordine del giorno.
Le Camere possono essere sciolte singolarmente o congiuntamente dal Presidente della Repubblica
(art. 88 Cost.) quando non appaiono più rappresentative delle forze politiche esistenti nel Paese; quando sia
impossibile il formarsi di una maggioranza politica stabile in Parlamento; quando si determini un insanabile
contrasto politico tra le due Camere.
La legge cost. 4-11-1991, n. 1, di modifica dell’art. 88 Cost., ha stabilito che il Presidente della Repubblica non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato (semestre bianco), salvo che essi
coincidono in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi dalla legislatura: scopo del divieto è impedire che il
Capo dello Stato possa artatamente prorogare la durata della propria carica (essendo evidente che le Camere
sciolte non possono eleggere un nuovo Presidente) nonché scongiurare il cd. ingorgo istituzionale ossia le
elezioni politiche vicine, in ordine di tempo, a quelle per la nomina del Capo dello Stato.
In ogni caso, finché non siano riunite le nuove Camere, sono prorogati i poteri delle precedenti (art. 61
Cost.), configurando in tal modo la cosiddetta prorogatio.
6. Lo status di parlamentare
I parlamentari sono rappresentanti politici del popolo che li ha eletti, nei cui confronti sono responsabili politicamente dell’azione svolta. Tale responsabilità trova la
sua sanzione nella non rielezione del parlamentare.
I parlamentari rappresentano la Nazione (cd. principio della rappresentanza nazionale: art. 67 Cost.) e devono esercitare le loro funzioni senza alcuna costrizione: è
nullo qualsiasi patto con il quale si obblighino a seguire una data politica o a favorire
dati interessi (cd. divieto di mandato imperativo: art. 67 Cost.).
Requisiti per ricoprire la carica di Parlamentare sono:
—
—
—
—
godere dell’elettorato attivo;
avere compiuto l’età richiesta;
assenza di cause di ineleggibilità (vedi cap. 11, par. 2);
assenza di cause di incompatibilità (vedi cap. 11, par. 2).
I parlamentari godono di particolari prerogative irrinunciabili (da non confondersi con le prerogative
delle Camere), dirette ad assicurarne l’indipendenza da pressioni esterne. Tali prerogative sono:
Ordinamento costituzionale
112
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
— l’immunità penale: secondo il testo dell’art. 68 Cost. (così come modificato con L. cost. 3/1993), non
si può arrestare un parlamentare, ovvero sottoporlo a perquisizione personale o domiciliare o intercettare
le sue comunicazioni, senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza; può, invece,
essere sottoposto ad indagini preliminari senza la necessità di richiedere una preventiva autorizzazione
a procedere da parte della Camera di appartenenza nonché arrestato in due soli casi:
a) quando una sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile;
b) quando commette un reato per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza;
— l’insindacabilità: i parlamentari non possono essere perseguiti per le opinioni espresse ed i voti dati
nell’esercizio delle loro funzioni. Tale prerogativa ha lo scopo di evitare che i parlamentari siano condizionati, nel loro operato, dal timore di essere chiamati a rispondere civilmente o penalmente delle
attività svolte in esecuzione del mandato loro conferito dagli elettori.
Per quanto riguarda invece le dichiarazioni rese extramoenia (ovvero opinioni espresse al di fuori della
sede legislativa) va detto che affinché siano coperte da immunità deve sussistere un nesso funzionale
con l’esercizio delle attività parlamentari, che ricorre, secondo Corte cost., sent. 12-03-2007, n. 65, in
presenza di due elementi:
a) il legame temporale fra l’attività parlamentare e l’attività esterna, di modo che questa assume finalità
divulgativa della prima;
b) la sostanziale corrispondenza di significato tra opinioni espresse nell’esercizio di funzioni parlamentari e atti esterni, non essendo sufficienti né una mera comunanza di argomenti né un mero
contesto politico cui esse possono riferirsi.
— l’indennità: mira a garantire l’indipendenza economica e il decoro del parlamentare.
La cessazione dall’ufficio di Parlamentare può avvenire:
—
—
—
—
per fine legislatura o scioglimento anticipato delle Camere;
per morte;
per dimissioni volontarie;
per decadenza, in presenza di una causa di incompatibilità, o venir meno della capacità o dei requisiti
di eleggibilità;
— per annullamento dell’elezione.
7. L’attività del Parlamento
A) Funzione legislativa
La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (70 Cost.;
cfr. par. 8 e ss.).
B) Funzioni non legislative
Sono esercitate singolarmente da ciascuna Camera e si distinguono in:
a) funzione di indirizzo e controllo politico, attraverso la quale si determinano i fini della politica nazionale, si scelgono i mezzi per conseguirli e si esercita un controllo sull’attività del Governo. Rientrano
in tale funzione le seguenti attività:
—
—
—
le leggi di approvazione e di autorizzazione;
le attività ispettive, che possono essere attuate sia in Assemblea che in Commissione.
Rientrano nel novero di tali attività le interrogazioni, le interpellanze, le inchieste.
le attività conoscitive, alcune delle quali costituiscono il presupposto per l’espletamento di attività
ispettive, altre conservano una loro autonomia, garantendo uno stretto rapporto fra Parlamento e
società civile.
Rientrano in tali categorie le richieste all’ISTAT e al CNEL, le indagini conoscitive, le audizioni,
le richieste al Governo di riferire, l’esame di relazioni, il parere sulle nomine governative;
— atti di direzione politica, tra i quali rientrano mozioni, risoluzioni, ordini del giorno;
Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento
113
— procedure particolari, fra le quali rientrano l’esame delle sentenze della Corte costituzionale, il
collegamento con le Comunità europee e gli altri organismi internazionali, la risoluzione della
questione di merito sollevata dal Governo relativamente a una legge regionale, l’esame delle petizioni;
b) funzioni elettorali (in senso lato) (LAVAGNA): vi rientrano le attività di elezione di membri di altri
organi:
—
—
—
—
—
—
elezione del Presidente della Repubblica;
elezione di 5 giudici della Corte costituzionale;
elezione di 8 componenti del Consiglio superiore della magistratura;
scelta dei cittadini fra cui vanno sorteggiati i giudici aggregati della Corte costituzionale;
elezione di 4 componenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa;
elezione dei 4 componenti del Garante per la protezione dei dati personali.
c) funzioni materialmente giurisdizionali (BISCARETTI DI RUFFIA) o di accusa (LAVAGNA): vi si
comprendono le attività dirette a porre in stato d’accusa il Presidente della Repubblica e a rinviarlo a
giudizio dinanzi alla Corte costituzionale;
d) attività strumentali delle Camere (LAVAGNA) fra cui può menzionarsi l’attività di autoorganizzazione;
attività relative alla determinazione della posizione giuridica dei singoli parlamentari; attività normative,
procedurali e amministrative interne.
8. Il procedimento legislativo
Il procedimento legislativo si articola in diverse fasi fondamentali. Analizziamole
nei paragrafi seguenti.
A) Fase preparatoria
In essa rientrano l’atto di iniziativa legislativa, cioè la presentazione del disegno di
legge al Parlamento, e l’attività istruttoria diretta a conoscere e valutare il contenuto
della legge da approvare.
L’iniziativa legislativa spetta:
— al Governo;
— a ciascun parlamentare;
— al C.N.E.L.;
— al popolo, che può esercitarla mediante presentazione di un progetto di legge
proveniente da almeno 50.000 elettori;
— ai Consigli regionali.
La fase istruttoria si svolge in Commissione; la Commissione di ciascuna Camera,
competente per materia, esamina la legge e prepara una relazione di maggioranza, approvata dalla maggioranza dei suoi membri, e una o più relazioni di minoranza a seconda
degli eventuali contrasti manifestatisi, all’attenzione dell’Assemblea, sul contenuto,
sui pregi e sui difetti della legge (Commissione in sede referente).
B) Fase costitutiva
È quella in cui la legge viene definitivamente approvata dalla Camera.
L’approvazione viene data prima articolo per articolo, e poi sulla legge nel suo
complesso. Ciò perché dall’insieme degli articoli potrebbe derivare un significato
Ordinamento costituzionale
114
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
diverso da quello che si voleva attribuire ad essi, singolarmente considerati e quindi
la volontà di approvare la legge deve essere verificata sia sulle parti di essa, che
sul tutto.
La fase costitutiva può svolgersi con procedimento:
a) ordinario (in sede referente): sia la discussione che la votazione avvengono nell’aula, dinanzi all’assemblea plenaria della Camera.
Tale procedimento è obbligatorio per:
Vi sono, inoltre, altre ipotesi disciplinate dai regolamenti di Camera e Senato che prevedono la necessità
del procedimento ordinario per:
—
—
—
—
leggi in materia costituzionale ed elettorale;
leggi di delegazione legislativa;
leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali;
leggi di approvazione del bilancio dello Stato.
— i disegni di legge di conversione dei decreti legge;
— le leggi rinviate dal Presidente della Repubblica per un riesame del Parlamento.
Per i disegni di legge dichiarati urgenti viene adottato un procedimento abbreviato (art. 72 Cost.). In
tale procedimento tutti i termini previsti dai regolamenti parlamentari per il compimento dei vari atti
sono ridotti alla metà. Non esistono altre differenze rispetto al procedimento ordinario;
b) decentrato (o in Commissione): è la Commissione competente per materia che procede alla discussione del progetto e approva direttamente la legge (Commissione in sede deliberante). È il Presidente
della Camera che attribuisce discrezionalmente i disegni di legge alle Commissioni in sede referente o
deliberante. Sono previsti accorgimenti per evitare abusi (es. redazione e distribuzione obbligatoria a
tutti i membri della Camera di resoconti sommari delle sedute delle Commissioni in sede deliberante,
per consentire un controllo da parte dell’Assemblea);
c) misto, non previsto dalla Costituzione ma introdotto dai regolamenti parlamentari; procedimento intermedio fra quello ordinario e quello deliberante, comporta una collaborazione dell’Assemblea e delle
Commissioni.
La legge è un atto complesso: per essere perfetta, occorre che sia approvata da tutte
e due le Camere nel medesimo testo. Quindi, mentre l’iniziativa resta unica e, una volta
presentato, il disegno di legge a una Camera vale anche per l’altra Camera, l’istruttoria
e l’approvazione devono compiersi presso ognuna delle Camere distintamente. Quando
entrambe le Camere hanno approvato la legge, nello stesso testo, questa è perfetta, e
deve diventare efficace.
C) Fase di integrazione dell’efficacia
Affinché la legge approvata dalle due Camere diventi efficace ed obbligatoria per
coloro a cui si dirige occorre:
— la promulgazione da parte del Presidente della Repubblica, che con tale atto esercita
anche un controllo di costituzionalità formale e sostanziale;
— la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
— il decorso di un periodo di tempo (cd. vacatio legis) stabilito per consentire a tutti
di conoscere la nuova legge prima dell’entrata in vigore: di solito è di quindici
giorni, ma può essere stabilito con la stessa legge un termine diverso (più breve o
più lungo).
Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento
115
Dal momento dell’entrata in vigore, la legge si presume conosciuta da tutti i destinatari e non è possibile invocarne l’ignoranza per giustificare la sua inosservanza.
9. Procedimento «aggravato» per le leggi costituzionali
Il procedimento previsto per la discussione e l’approvazione delle leggi di revisione
della Costituzione e delle altre leggi costituzionali è comune, per la massima parte, al
procedimento previsto per le leggi ordinarie; se ne differenzia, però, nei seguenti punti:
— l’esame del disegno di legge deve avvenire sempre e soltanto con la procedura
ordinaria;
— le leggi sono approvate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni, poste
in essere con almeno tre mesi di intervallo l’una dall’altra;
— in seconda deliberazione, la legge deve essere approvata in ciascuna Camera a
«maggioranza qualificata» dei due terzi dei componenti la Camera;
— se la seconda deliberazione è approvata solamente a maggioranza assoluta da una
delle Camere, il Presidente della Repubblica si limita ad ordinare la pubblicazione
del progetto. Entro tre mesi dalla pubblicazione, 500 mila elettori, oppure 5 Consigli regionali, oppure un quinto dei componenti una Camera, possono chiedere al
Presidente della Repubblica che il progetto sia sottoposto a «referendum popolare»
(art. 138 Cost.).
10. Altre attribuzioni del parlamento
Il Parlamento svolge inoltre le seguenti funzioni:
— delibera lo stato di guerra, quando ne sussistano i presupposti. Discussa è la natura di quest’atto, che per
alcuni sarebbe una legge (MartineS), per altri, invece, un atto bicamerale non legislativo di indirizzo
politico (Elia);
— delibera la legge (a maggioranza dei due terzi dei componenti ciascuna Camera) per la concessione
dell’amnistia o dell’indulto.
L’amnistia pone nel nulla il reato commesso, facendo venir meno tutte le conseguenze penali; cioè,
estingue il reato.
L’indulto, invece, non fa venir meno il reato, ma estingue solo la pena;
— concede l’autorizzazione al Presidente della Repubblica a ratificare i trattati internazionali di natura
politica, o che riguardino variazioni del territorio, aggravi della finanza dello Stato, o regolino la soluzione delle controversie internazionali;
— approva il bilancio dello Stato;
— converte in legge ordinaria dello Stato i decreti-legge emanati dal Governo.
11. Gli atti di indirizzo politico e gli atti ispettivi
Una volta ottenuta la fiducia, il Governo attua il suo programma sotto la direzione e il controllo del
Parlamento.
Nell’ambito degli atti di indirizzo politico rientrano:
— la mozione, che consiste nella richiesta, fatta dai singoli membri del Parlamento alla Camera cui appartengono, di procedere alla discussione e votazione su un determinato oggetto su cui una precedente
interpellanza li aveva lasciati insoddisfatti. Può, inoltre, essere posta, indipendentemente da precedenti
interpellanze, qualora la promuovano almeno dieci deputati o un presidente di gruppo oppure otto senatori;
Ordinamento costituzionale
116
Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato
— la risoluzione, che chiude un dibattito provocato da una mozione oppure da una comunicazione del
Governo, può essere votata in aula o in commissione;
— l’ordine del giorno di istruzione al Governo, che si inserisce in un procedimento legislativo, impegnando il Governo a dare un certo significato alle norme che vengono approvate oppure ad adottare un
certo provvedimento connesso al testo di legge in discussione.
Nell’ambito degli atti ispettivi rientrano:
— l’interrogazione, che consiste nella domanda rivolta per iscritto da un parlamentare al Governo o ad
un Ministro circa la conoscenza di una determinata situazione.
Di regola il Governo risponde oralmente in aula o in commissione (nella sede, cioè, in cui l’interrogante lo
richiede) e l’interrogante può replicare brevemente per dichiararsi soddisfatto o meno. Sono previste anche
interrogazioni a risposta immediata, in cui il dialogo è esteso ad altri parlamentari oltre all’interrogante, e
interrogazioni a risposta scritta, in cui la risposta viene comunicata per iscritto senza possibilità di replica;
— l’interpellanza, che consiste nella domanda rivolta per iscritto da un parlamentare al Governo o ad un
Ministro circa i motivi o gli intendimenti della condotta politica tenuta rispetto ad una data questione.
L’interpellanza è discussa in aula, alla presenza del rappresentante del Governo: ove l’interpellante non
si ritenga soddisfatto delle spiegazioni fornite può trasformare l’interpellanza in mozione;
— l’inchiesta parlamentare, che rappresenta un’indagine disposta da ciascuna Camera al fine di acquisire
elementi necessari di conoscenza in ordine ad una materia di pubblico interesse. Sebbene il potere
d’inchiesta sia attribuito alle Camere separatamente, le commissioni possono essere anche bicamerali.
Per procedere alle inchieste, ciascuna Camera provvede alla nomina di una commissione formata con
criteri proporzionalistici, che rispecchi, cioè, la composizione delle forze politiche presenti in essa.
Terminati i lavori, la commissione presenta all’Assemblea plenaria una relazione che viene discussa e
votata.
— l’esame dei decreti registrati con riserva dalla Corte dei Conti. Tutti i decreti governativi e ministeriali, di natura amministrativa, sono soggetti al visto e alla registrazione da parte della Corte dei Conti.
Qualora quest’ultima ritenga un decreto illegittimo, ne rifiuta la registrazione e lo rimanda al Governo
il quale, però, può chiedere, con deliberazione motivata del Consiglio dei Ministri, la registrazione con
riserva del decreto stesso (art. 25 R.D. 1214/1934 come modificato dalla L. 340/2000). In tale ipotesi la
Corte informa contemporaneamente il Parlamento, al fine di consentirgli l’opportuno controllo politico
sull’operato del Governo;
— le commissioni bicamerali di vigilanza. Secondo parte della dottrina, tali commissioni rappresenterebbero, più che un controllo, quasi una forma di assunzione di funzioni amministrative da parte di organi
parlamentari (PIZZORUSSO); esse però possono essere ricondotte alla funzione di controllo per il fatto
che svolgono una vera e propria attività ispettiva dall’interno sull’esercizio di attività amministrative.
12. La messa in stato d’accusa del Capo dello Stato
La deliberazione sulla messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica
per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione è adottata dal Parlamento
in seduta comune.
La legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 ha disposto, modificando il testo dell’art. 12 della legge
costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, che tale deliberazione è adottata dal Parlamento su relazione di un Comitato (e non più dunque di una Commissione per i procedimenti d’accusa) formato dai componenti delle
Giunte di Camera e Senato competenti per le autorizzazioni a procedere.
Quando sia stata deliberata la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale può disporne la sospensione dalla carica.
Tale disciplina è estesa alle ipotesi di concorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei Ministri,
nonché di altri soggetti nei reati previsti dall’art. 90 della Costituzione.
In relazione ai reati previsti dall’art. 90 Cost. commessi dal Presidente della Repubblica (alto tradimento ed attentato alla Costituzione), la legge 5 giugno 1989, n. 219 ha esplicitamente previsto che, nel
Capitolo Dodicesimo - Il Parlamento
117
relativo procedimento, non è richiesta alcuna autorizzazione, né possono essere opposti il segreto di Stato
e il segreto d’ufficio.
All’esito della propria attività di indagine, che, di regola, non può eccedere la durata di cinque mesi,
il Comitato, ove ritenga che il reato sia diverso da quelli previsti dall’art. 90 Cost., dichiara la propria incompetenza; può altresì disporre l’archiviazione degli atti qualora ravvisi la manifesta infondatezza della
notizia di reato, altrimenti presenta al Parlamento una relazione.
Il Parlamento in seduta comune si pronuncia sulla relazione suddetta e a maggioranza assoluta e con voto segreto può deliberare la messa in accusa (1) e successivamente trasmette gli atti alla Corte costituzionale, la quale integrata con altri 16 giudici
(estratti a sorte da una lista di 45 tenuta dal Parlamento), svolge le indagini fino alla
sentenza che può portare all’assoluzione o alla condanna. In tal caso la Corte gode
di un ampio potere discrezionale nell’irrogazione della sanzione (che può, dunque,
consistere anche nell’ergastolo). Tale sentenza non può essere impugnata, ma può
eventualmente essere sottoposta a revisione in caso emergano successivamente nuovi
elementi di prova (così VIGNUDELLI).
Si noti che tale procedimento fino ad oggi non è stato mai attivato nei confronti di
nessun Presidente della Repubblica.
13. Il Parlamento in seduta comune
Le Camere, in particolari casi tassativamente indicati, devono riunirsi e deliberare
in seduta comune, sotto la presidenza del Presidente della Camere dei deputati.
Ciò avviene:
— per l’elezione del Presidente della Repubblica (con la partecipazione anche dei delegati delle Regioni)
e per il suo giuramento;
— per la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla
Costituzione;
— per l’elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura;
— per l’elezione di un terzo dei giudici costituzionali;
— per la compilazione dell’elenco di cittadini tra cui vanno sorteggiati i giudici aggregati che devono
intervenire nei giudizi d’accusa contro il P.d.R., innanzi alla Corte costituzionale.
Le Camere quando si riuniscono in seduta comune costituiscono un organo diverso ed autonomo rispetto
alle singole Camere.
(1) In tal caso elegge — anche tra i suoi componenti — uno o più commissari chiamati, alla stregua del P.M., a
sostenere l’accusa dinnanzi alla Corte costituzionale.
Ordinamento costituzionale
Capitolo Sesto
Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche
Sommario: 1. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.: principi costituzionali e caratteri. - 2.
Ambito di applicazione della normativa in tema di impiego pubblico. - 3. Profili evolutivi della disciplina
del pubblico impiego. - 4. Accesso al pubblico impiego. - 5. Il sistema delle fonti del pubblico impiego e
la contrattazione collettiva. - 6. L’organizzazione degli uffici pubblici tra macro e micro-organizzazione.
- 7. Lavoro flessibile e pubblico impiego. - 8. La dirigenza pubblica. - 9. Doveri e diritti del pubblico
dipendente. - 10. Il ciclo di gestione della performance e la valorizzazione del merito: le novità della
riforma Brunetta. - 11. La responsabilità dell’impiegato. In particolare, la responsabilità disciplinare. 12. La disciplina della mobilità nel lavoro pubblico e le novità alla luce della riforma della P.A. 2014.
- 13. L’estinzione del rapporto di impiego. - 14. Profili giurisdizionali in tema di impiego pubblico.
1. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.: principi
costituzionali e caratteri
A) Nozione
Il rapporto di impiego pubblico è quel rapporto di lavoro per cui una persona fisica
pone, volontariamente e dietro corrispettivo, la propria attività, in via continuativa, alle
dipendenze di una pubblica amministrazione, assumendo uno specifico status con
particolari diritti e doveri.
Per effetto della instaurazione di tale rapporto, il dipendente risulta stabilmente inserito nell’organizzazione della P.A. datrice di lavoro, rispetto alla quale, pertanto, è gerarchicamente subordinato; inoltre, la
sua prestazione concorre alla realizzazione dei fini istituzionali dell’ente.
Il rapporto di impiego pubblico si configura come:
— volontario: sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto, è richiesta non solo la volontà
della P.A., ma altresì la volontà del dipendente;
— strettamente personale: la specifica capacità intellettuale e tecnica necessaria per ogni singolo ufficio
e la fiducia che l’ente deve avere nella persona cui affida la cura dei propri interessi comportano che il
rapporto sia costituito intuitu personae;
— bilaterale: da esso, infatti, derivano diritti ed obblighi reciproci per ciascuna delle parti;
— di subordinazione: in quanto la prestazione lavorativa è svolta alle dipendenze della pubblica amministrazione da un soggetto in rapporto di istituzionale subordinazione con la stessa.
B) Pubblico impiego e principi costituzionali
La Carta costituzionale non disciplina direttamente ed organicamente la materia del pubblico impiego,
anche se contiene alcune disposizioni e principi di particolare rilevanza in tale ambito:
— il principio dell’accesso ai pubblici uffici (art. 51 Cost.);
— il dovere del pubblico impiegato di adempiere con onore alle pubbliche funzioni e di porsi al servizio
esclusivo della Nazione (artt. 54 e 98);
— la riserva di legge inerente all’organizzazione dei pubblici uffici e il principio di buon andamento
dell’amministrazione (art. 97);
222
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
— la formazione professionale dei lavoratori, il profilo retributivo e la tutela dei minori e delle donne nel
rapporto di lavoro (artt. 35, 36 e 37);
— la responsabilità diretta dei dipendenti pubblici e il diritto di sciopero e organizzazione sindacale (artt.
28, 29 e 40).
2. Ambito di applicazione della normativa in tema di impiego pubblico
Per «amministrazioni pubbliche», destinatarie della normativa sul pubblico impiego, si intendono le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli
istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende autonome, le
Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi ed associazioni,
le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio,
industria, artigianato ed agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non
economici nazionali, regionali e locali e le amministrazioni, le aziende e gli enti del
Servizio sanitario nazionale, l’ARAN e le Agenzie di cui al D.Lgs. 300/1999. Anche il
CONI (Comitato Olimpico) rientra in questo elenco.
L’art. 3 D.Lgs. 165/2001 individua le categorie di dipendenti esentate dall’applicazione della normativa di diritto comune e dal processo di contrattualizzazione (per
tali categorie non opera neanche il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario).
Esso, infatti, dispone che rimangono assoggettate alla previgente disciplina i rapporti concernenti:
a) magistrati ordinari, amministrativi e contabili;
b) avvocati e procuratori dello Stato;
c) personale militare e delle Forze di Polizia di Stato;
d) personale delle carriere diplomatica e prefettizia, quest’ultima a partire dalla
qualifica di vice-consigliere di prefettura;
e) dipendenti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del
D.Lgs. C.p.S. 691/1947 (risparmio, funzione creditizia e valutaria), e dalle leggi
281/1985 (tutela del risparmio, valori mobiliari) e 287/1990 (tutela della concorrenza
e del mercato).
Escluso dalla privatizzazione anche il personale (salvo quello volontario) del Corpo
nazionale dei Vigili del Fuoco, disciplinato da autonome disposizioni (art. 3, co. 1bis,
D.Lgs. 165/2001).
3. Profili evolutivi della disciplina del pubblico impiego
La disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. nel corso degli anni
è stata assoggettata ad un complesso iter di riforme che arriva ai giorni nostri.
Il primo provvedimento normativo da prendere in considerazione è il decreto
legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, che ha suggellato quel faticoso processo di
privatizzazione dell’impiego pubblico, equiparando (fatte salve eccezioni soggettive
ed oggettive) la disciplina dei pubblici impiegati a quella del lavoro privato nonché
assoggettandola alla contrattazione collettiva.
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 223
Con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 (cd. seconda privatizzazione) è stata ulteriormente rafforzata la valenza del contratto, sia individuale che collettivo, di lavoro.
Successivamente, al fine di riordinare le molteplicità di fonti normative esistenti
in materia, è stato emanato il D.Lgs. 30-3-2001, n. 165, contenente norme generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cd. Testo
Unico sul pubblico impiego.
Importante corollario della privatizzazione è il definitivo passaggio della giurisdizione sulle controversie di lavoro al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro
a partire dal 1° luglio 1998.
La fisionomia del lavoro pubblico è stata ridisegnata, successivamente, dalla cd.
riforma Brunetta: la L. 4 marzo 2009, n. 15 e il D.Lgs. 27-10-2009, n. 150 hanno dato
vita ad una riforma destinata a rivoluzionare il funzionamento dell’amministrazione
italiana, soprattutto nell’ottica dell’aumento di produttività del lavoro pubblico e di una
migliore organizzazione del lavoro sulla base dei principi di efficienza e trasparenza.
Le parole chive di tale riforma sono:
— il principio di trasparenza e la valutazione della performance lavorativa. La
trasparenza è intesa quale accessibilità totale delle informazioni sull’organizzazione
e l’attività delle pubbliche amministrazioni. L’altro profilo portante della riforma
riguarda l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera, al fine
di premiare i dipendenti capaci e meritevoli;
— la valorizzazione del merito e gli strumenti di premialità. Sono stati introdotti
strumenti di valutazione del merito e metodi di incentivazione della produttività
e della qualità della prestazione lavorativa, sulla base dei principi di selettività
e di concorsualità nelle progressioni di carriera nonché nel riconoscimento degli
incentivi (sul cd. ciclo di gestione della performance si fa rinvio amplius al §10);
— le innovazioni in materia di dirigenza e di contrattazione collettiva; in particolare, il dirigente viene designato quale datore di lavoro nelle PP.AA. e vengono
ridefinite le materie attribuite alla contrattazione collettiva;
— le sanzioni disciplinari e le responsabilità dei pubblici dipendenti. Viene completamente rinnovata la disciplina delle sanzioni disciplinari e del sistema di responsabilità dei dipendenti pubblici, soprattutto in vista della lotta all’assenteismo
e alla scarsa produttività.
Sull’impianto normativo sopra delineato, infine, hanno profondamente inciso,
da un lato, le manovre economiche che hanno riguardato l’apparato pubblico nel
suo complesso con il fine comune di ridurre i costi del lavoro pubblico (tra queste
si ricorda, in particolare, il D.L. 95/2012, conv. in L. 135/2012, cd. spending review,
che ha predisposto una serie di tagli strutturali rivolti a migliorare la produttività delle
diverse articolazioni della pubblica amminstrazione), dall’altro le normative recanti
risposizioni dirette alla lotta contro la corruzione e il malaffare tra gli uffici pubblici
(tra queste ultime occorre citare la L. 190/2012, cd. legge anticorruzione, e il D.P.R.
62/2013, recante il nuovo Codice di comportamento dei dipendenti pubblici).
Ordinamento amministrativo
224
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
La riforma della P.A. varata dal governo Renzi
Esattamente a metà strada tra le citate esigenze di semplificazione e risparmio e quelle di contrasto alla
corruzione si pone la nuova riforma della pubblica amministrazione predisposta dal cd. decreto P.A.
(riforma Renzi-Madia), D.L. 24-6-2014, n. 90 («Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza
amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari»), conv. in L. 11-8-2014, n. 114.
Per quanto in tal sede di interesse, e riservandoci di esaminare nel prosieguo della trattazione i punti
salienti, la nuova riforma della pubblica amministrazione contiene, tra l’altro:
— nuove norme su turn over e ricambio generazionale nei pubblici uffici. In particolare, viene
revocato l’istituto del trattenimento in servizio (che consentiva di lavorare oltre l’età pensionabile)
per i dipendenti pubblici che hanno superato i limiti di età per il collocamento a riposo e i prolungamenti la chiusura è programmata entro il 31 ottobre 2014, con l’obiettivo di permettere alle nuove
generazioni l’ingresso al lavoro alle dipendenze della P.A.;
— una nuova disciplina della mobilità volontaria e obbligatoria (v. infra);
— una nuova disciplina sull’assegnazione di mansioni nell’ambito della gestione del personale in
disponibilità (mediante la novella dell’art. 34 D.Lgs. 165/2001);
— il divieto di incarichi dirigenziali a personale in quiescenza e la significativa stretta sulle prerogative sindacali del personale pubblico;
— nuove disposizioni sul personale di Regioni ed enti locali;
— il passaggio all’A.N.AC. (Autorità Nazionale Anticorruzione, istituita, con la denominazione di
CIVIT, dalla riforma Brunetta) delle funzioni dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture, che viene soppressa;
— la stretta sulle strutture formative dei dipendenti pubblici: resta infatti una scuola unica, la Scuola
Nazionale dell’Amministrazione;
— una nuova disciplina circa l’attribuzione di incarichi di responsabili degli uffici o dei servizi, dirigenziali o di alta specializzazione, nelle Regioni e nelle autonomie locali.
4. Accesso al pubblico impiego
L’art. 97 Cost. prevede che agli impieghi pubblici si accede mediante concorso,
salvi i casi stabiliti dalla legge per consentire a tutti di aspirare alle cariche pubbliche
nel rispetto del principio di eguali opportunità. Al fine di assicurare l’imparzialità e
l’efficienza dell’azione amministrativa, dunque, è stato delegato al meccanismo concorsuale (che prevede apposite prove di idoneità) l’obiettivo di garantire la selezione
di personale più capace e idoneo all’operato che sarà chiamato a svolgere nella P.A.
In particolare, il T.U. pubblico impiego prevede che l’assunzione nelle pubbliche
amministrazioni avviene attraverso procedure selettive volte all’accertamento dei
requisiti di professionalità richiesti per le specifiche attività.
Per le qualifiche e i profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola
dell’obbligo, l’assunzione avviene mediante avviamento degli iscritti nelle liste
di collocamento ai sensi della legislazione vigente, facendo salvi eventuali ulteriori
requisiti per specifiche professionalità (art. 35, D.Lgs. 165/2001).
I datori di lavoro pubblici, inoltre, devono impiegare soggetti appartenenti alle cd. categorie protette.
In tema di collocamento obbligatorio dei lavoratori, la normativa di riferimento è la L. 12 marzo
1999, n. 68, che ha come finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Le assunzioni
dei soggetti appartenenti alle categorie protette sono effettuate mediante avviamento per mezzo dei servizi
di collocamento, o mediante convenzioni con appositi organismi. I lavoratori disabili hanno diritto ad una
riserva dei posti messi a concorso.
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 225
Requisiti per l’ammissione all’impiego
Una volta assunto, il dipendente è sottoposto ad un periodo di prova. Se tale periodo
termina senza che nessuna delle parti receda, il dipendente si intende confermato in
servizio con il riconoscimento dell’anzianità dal giorno dell’assunzione.
5. Il sistema delle fonti del pubblico impiego e la contrattazione collettiva
A) La contrattazione collettiva nazionale e integrativa
I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi
sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni
contenute nel D.Lgs. 165/2001: in ciò consiste, essenzialmente, la contrattualizzazione
del lavoro pubblico (art. 2, comma 2, D.Lgs. 165/2001).
Nel quadro complessivo delle relazioni sindacali, la contrattazione nel pubblico
impiego ha, ormai, acquisito una importanza pari a quella del lavoro privato.
La contrattazione collettiva nazionale, infatti, determina i diritti e gli obblighi
direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni
sindacali (art. 40 D.Lgs. 165/2001).
In particolare, sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all’organizzazione degli
uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali, nonché quelle
ex art. 2 L. 421/1992. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini
della corresponsione del trattamento economico accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche,
la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalla legge.
La contrattazione collettiva disciplina, in coerenza con il settore privato, la struttura
contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali
ed integrativi.
Le pubbliche amministrazioni attivano poi autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa.
Questa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l’impegno
(1) Si noti che la Costituzione parifica spesso ai cittadini anche gli stranieri di origine italiana che denomina «italiani
non appartenenti alla Repubblica» (art. 51 Cost.).
Ordinamento amministrativo
Ai sensi del D.P.R. 487/1994, i requisiti generali sono:
a) cittadinanza italiana (1) o europea (a meno che la legge non disponga diversamente);
b) età non inferiore a 18 anni e senza limiti di età, salvo le deroghe dettate dai regolamenti delle singole
amministrazioni connesse alla natura del servizio o ad oggettive necessità dell’amministrazione;
c) idoneità fisica all’impiego: l’amministrazione ha facoltà di sottoporre a visita medica di controllo
i vincitori di concorsi;
d) godimento dei diritti politici: non possono accedere agli impieghi coloro che sono esclusi dall’elettorato politico attivo o coloro che siano stati destituiti dall’impiego presso una P.A.;
e) titolo di studio: varia a seconda del contenuto della prestazione lavorativa richiesta;
A partire dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso prevedono l’accertamento della conoscenza dell’uso
delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e di almeno una lingua straniera (art.
37 D.Lgs. 165/2001).
226
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
e la qualità della performance dei pubblici dipendenti. A tal fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo
comunque denominato. Essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi
nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono; essa può avere àmbito
territoriale e riguardare più amministrazioni.
I contratti collettivi nazionali definiscono il termine delle sessioni negoziali in sede decentrata e alla
scadenza del termine le parti riassumono le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e decisione.
B) I soggetti della contrattazione
L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
(ARAN) ha la rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni, esercita a
livello nazionale ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei
contratti collettivi e all’assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell’uniforme
applicazione dei contratti collettivi.
I rappresentanti dei lavoratori, invece, relativamente alla stipula dei contratti
collettivi nazionali, sono le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto una
rappresentatività non inferiore al 5%, considerando, a tal fine, la media tra il dato
associativo ed il dato elettorale.
Alla contrattazione collettiva nazionale partecipano, inoltre, le confederazioni alle quali siano affiliate
le organizzazioni sindacali come sopra individuate.
➤➤ I comitati di settore emanano gli indirizzi per la contrattazione collettiva nazionale
prima di ogni rinnovo contrattuale
➤➤ L’ipotesi di accordo è trasmessa all’ARAN ai comitati di settore ed al Governo e
entro 10 giorni dalla sottoscrizione
➤➤ Acquisto il parere favorevole sull’ipotesi di accordo (nonché la verifica da parte
delle PP.AA. interessate sulla copertura degli oneri contrattuali) il giorno successivo l’ARAN trasmette la quantificazione dei costi contrattuali alla Corte dei conti
ai fini della certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione
e di bilancio
➤➤ La Corte dei conti certifica l’attendibilità dei costi quantificati e la compatibilità con
gli strumenti di programmazione e di bilancio entro 15 giorni dalla trasmissione
Formazione del
della stessa, decorsi i quali la certificazione si intende effettuata positivamente
contratto colletti➤➤ Se la certificazione è positiva, il Presidente dell’ARAN sottoscrive definitivamente
vo (art. 47 D.Lgs.
il contratto collettivo
165/2001)
➤➤ In caso di certificazione non positiva, il Presidente dell’ARAN provvede alla
riapertura delle trattative e alla sottoscrizione di una nuova ipotesi di accordo,
adeguando i costi contrattuali ai fini della certificazione
➤➤ Nel caso in cui la certificazione non positiva sia limitata a singole clausole contrattuali, l’ipotesi può comunque essere sottoscritta definitivamente, ferma restando
l’inefficacia delle clausole contrattuali non positivamente certificate
➤➤ I contratti e accordi collettivi nazionali nonché le eventuali interpretazioni autentiche sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana oltre che
sul sito dell’ARAN e delle amministrazioni interessate
➤➤ Una volta sottoscritto, il contratto collettivo acquista efficacia erga omnes, cioè
sia per le amministrazioni che per tutti i lavoratori
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 227
6. L’organizzazione degli uffici pubblici tra macro e micro-organizzazione
Il D.Lgs. 165/2001 precisa, in ossequio alla riserva di legge di cui all’art. 97 Cost.,
che le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, mediante atti organizzativi, ed in base ai rispettivi ordinamenti, le
linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore
rilevanza e i modi di conferimento della titolarità degli stessi; determinano le dotazioni
organiche complessive (art. 2, comma 1; cd. macro-organizzazione).
Nell’ambito delle leggi e degli atti organizzativi, le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro (cd. microorganizzazione) sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con
la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai
sindacati per le determinazioni relative all’organizzazione degli uffici ovvero l’esame
congiunto — limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro — ove previste
nei contratti di cui all’art. 9 D.Lgs. 165/2001, concernenti la partecipazione sindacale.
Rientrano, in particolare, nell’esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la
gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità nonché la
direzione, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici (art. 5, comma 2, D.Lgs.
165/2001).
Piante organiche, dotazioni e ruoli
Il personale che dipende da una pubblica amministrazione è inserito nel relativo ruolo organico, che
indica il numero complessivo dei posti caratterizzati da stabilità di cui essa dispone.
L’insieme dei posti assegnati a ciascun ruolo è definito come dotazione organica, mentre si parla di
pianta organica per indicare il numero dei dipendenti che, visti nella loro articolata suddivisione gerarchica, effettivamente ricoprono, stabilmente e a tempo indeterminato, i posti previsti in dotazione.
Il personale che non è titolare di un posto nella pianta organica è definito non di ruolo, ed è in genere
assunto per esigenze temporanee o per compiti contingenti.
7. Lavoro flessibile e pubblico impiego
In genere, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di assumere esclusivamente
con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, mediante i meccanismi di
reclutamento concorsuale.
Tuttavia, per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali, le stesse possono
avvalersi delle medesime forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego
del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato
nell’impresa (art. 36 D.Lgs. 165/2001, come novellato dal D.L. 101/2013, conv. in
L. 125/2013).
Ordinamento amministrativo
La consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità
della privatizzazione medesima, previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa consultazione delle organizzazioni sindacali rappresentative. L’obiettivo dell’aggiornamento delle dotazioni organiche all’effettiva
realtà organizzativa dell’ente è garantito dal vincolo di revisione periodica e comunque triennale delle
dotazioni organiche.
228
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
Le tipologie utilizzabili sono:
—
—
—
—
—
i contratti di lavoro a tempo determinato;
i contratti di formazione e lavoro;
gli altri rapporti formativi;
la somministrazione di lavoro;
il lavoro accessorio.
Specifiche discipline per i pubblici dipendenti riguardano, poi, anche part-time e telelavoro, ammissibili
nei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni.
Anche l’apprendistato, infine, è entrato a far parte dei contratti estensibili al
pubblico impiego, con il D.Lgs. 14-9-2011, n. 167 (nelle forme dell’apprendistato
professionalizzante nonché di alta formazione e ricerca).
Accanto alle citate tipologie di lavoro flessibile, il legislatore contempla la possibilità, per le amministrazioni, di conferire incarichi individuali esterni a soggetti non
facenti parte del personale in servizio ma dotati di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, per fronteggiare esigenze per le quali non è possibile fare
ricorso al personale interno (art. 7, comma 6, D.Lgs. 165/2001).
8. La dirigenza pubblica
A) Evoluzione normativa
La disciplina della dirigenza pubblica ha, nel corso degli anni, subìto notevoli
mutamenti.
Essa, nell’ambito del pubblico impiego, è stata istituita con un’organica regolamentazione mediante il D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, con cui la carriera dirigenziale è
stata scorporata da quella direttiva, in cui era fino a quel momento inglobata. Sebbene lo
scopo del citato D.P.R. fosse stato il riconoscimento di attribuzioni specifiche in capo ai
dirigenti pubblici, l’affrancamento di questi ultimi rispetto ai vertici politici era ancora
lontano. Fu proprio questo a portare ai successivi interventi normativi.
Le riforme dagli anni Novanta in poi, infatti, hanno progressivamente delineato
il ruolo della figura dirigenziale come soggetto dotato di una propria autonomia
decisionale e, di conseguenza, di precise forme di responsabilità.
Il decreto di riforma 29/1993 ha introdotto, anche sulla scorta della L. 142/1990
con riferimento all’ordinamento degli enti locali, il principio della netta separazione
tra attività di indirizzo politico e attività di gestione, per accrescere l’autonomia ed
i poteri gestionali di pertinenza del ceto dirigenziale.
Punti qualificanti di detto riassetto sono stati, anzitutto, la sostituzione della precedente tripartizione
(dirigente generale, dirigente superiore, primo dirigente) con una bipartizione: dirigente generale-dirigente;
l’affermazione dell’autonomia gestionale e operativa dei dirigenti, attraverso il passaggio da un rapporto
di gerarchia ad uno di direzione con gli organi di direzione politica; la piena responsabilizzazione del ceto
dirigente; infine, la modifica dei criteri di reclutamento e formazione. La L. 15-3-1997, n. 59 ha, poi, inteso
superare un’incongruenza presente nella riforma del 1993, vale a dire la distinzione tra dirigenti, soggetti
alla privatizzazione, e dirigenti generali, ancora disciplinati da norme di diritto pubblico.
In attuazione della delega di cui alla L. 59/1997 è stato emanato il D.Lgs. 80/1998.
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 229
Esso ha operato: innanzitutto, una più precisa distinzione fra politica e amministrazione; in secondo
luogo, ha istituito un ruolo unico della dirigenza, articolato in due fasce ai fini economici e per l’attribuzione
degli incarichi di dirigenza generale ed ha ridefinito il trattamento economico dei dirigenti tramite contratti
collettivi delle aree dirigenziali ed introdotto una nuova disciplina della responsabilità dirigenziale.
In materia è intervenuta, successivamente, anche la L. 15-7-2002, n. 145, contenente «Disposizioni
per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e
privato». Con tale provvedimento sono stati introdotti meccanismi atti ad incentivare la mobilità tra pubblico e privato, sono state apportate modifiche nella disciplina degli incarichi dirigenziali ed è stata prevista
un’area della vicedirigenza (oggi però abrogata dalla normativa in tema di spending review, D.L. 95/2012,
conv. in L. 135/2012).
B) Segue: Dalla riforma Brunetta ad oggi: l’attuale configurazione della dirigenza
pubblica (attribuzioni e responsabilità)
Il D.Lgs. 150/2009, sulla scia della L. 15/2009, ha accentuato notevolmente il ruolo
e la posizione dei dirigenti.
La riforma Brunetta, in primo luogo, delinea il dirigente quale vero e proprio datore
di lavoro pubblico; tale figura diventa, infatti, responsabile della gestione delle risorse
umane e della qualità e quantità delle prestazioni poste in essere dai dipendenti. Ai
dirigenti compete, pertanto, individuare le risorse e i profili professionali necessari allo
svolgimento dei compiti dell’ufficio cui sono preposti; ciò anche al fine della compilazione del documento di programmazione triennale del fabbisogno di personale.
A tale ultimo proposito, è previsto che detto documento, nonché i suoi aggiornamenti, sono elaborati
su proposta dei competenti dirigenti che individuano i profili professionali necessari allo svolgimento dei
compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti (art. 6 D.Lgs. 165/2001, comma 4bis, aggiunto dal
D.Lgs. 150/2009).
I dirigenti di uffici dirigenziali generali, ancora, hanno il compito di combattere i
fenomeni di corruzione e di definire e far rispettare le misure idonee al contrasto di
quest’ultima (profilo reso ancora più incisivo dal D.L. 95/2012, conv. in L. 135/2012,
cd. spending review, nel contesto della trasparenza delle procedure di spesa per l’acquisto di beni e servizi).
In proposito, si ricordi che la L. 190/2012, cd. «pacchetto anticorruzione», istituisce proprio la figura del
«dirigente anticorruzione». Egli ha il compito di predisporre un piano di prevenzione della corruzione
che fornisca una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di illegalità e indichi
gli interventi opportuni a fini preventivi (di solito si tratta di un dirigente di prima fascia; negli enti locali
sarà il segretario).
Ordinamento amministrativo
Il D.Lgs. 165/2001, Testo Unico pubblico impiego, ha sancito e valorizzato quei
criteri privatistici di managerialità ed efficienza in conseguenza dei quali la dirigenza
assume il monopolio delle decisioni gestionali.
L’art. 4 D.Lgs. 165/2001 ha un ruolo strategico, in quanto il dirigente viene dotato
di una propria autonomia decisionale e, di conseguenza, assume la responsabilità in
relazione all’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti
che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché alla gestione finanziaria,
tecnica e amministrativa (mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle
risorse umane, strumentali e di controllo).
230
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
I dirigenti sono tenuti ad effettuare anche la valutazione del personale assegnato
ai loro uffici, ai fini non solo della progressione economica tra le aree, ma anche della
corresponsione di indennità e premi incentivanti.
A tali maggiori poteri corrisponde anche una responsabilità più accentuata: i
dirigenti rispondono del mancato esercizio dei poteri datoriali, se le loro omissioni
cagionino lo scarso rendimento dei propri dipendenti (art. 21 D.Lgs. 165/2001).
Infatti, il mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso le risultanze del sistema di
valutazione di cui al ciclo di gestione della performance (previsto dal Titolo II del D.Lgs. 150/2009), ovvero
l’inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando
l’eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l’impossibilità
di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
In relazione alla gravità dei casi, l’amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del
principio del contraddittorio, revocare l’incarico, collocando il dirigente a disposizione dei ruoli unici dei
dirigenti, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
Al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata la colpevole violazione del dovere di vigilanza
sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati
dall’amministrazione, conformemente agli indirizzi deliberati dalla Civit (su cui amplius infra), la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione di
una quota fino all’ottanta per cento.
C) Accesso alla dirigenza
In ogni amministrazione è istituito un ruolo dei dirigenti (articolato nella prima e seconda fascia dirigenziale), organizzato e gestito secondo le disposizioni del D.P.R. 108/2004.
L’accesso alla dirigenza è disciplinato negli artt. 28 e 28bis D.Lgs. 165/2001,
ma detto profilo va ad oggi coordinato con quanto disposto dal D.P.R. 70/2013, che
da un lato ha novellato l’art. 28bis, dall’altro ha introdotto nuove regole in ordine al
reclutamento di dirigenti e funzionari.
L’accesso alla qualifica di dirigente di seconda fascia nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento
autonomo, e negli enti pubblici non economici avviene per concorso indetto dalle singole amministrazioni ovvero per corso-concorso selettivo di formazione bandito dalla Scuola superiore della pubblica
amministrazione (oggi Scuola Nazionale dell’amministrazione) (art. 28, comma 1, D.Lgs. 165/2001, come
novellato dal D.P.R. 70/2013).
L’elencazione dei soggetti ammessi al reclutamento e la relativa disciplina si rinviene nell’art. 7, commi
1-4, del D.P.R. 70/2013.
L’accesso alla prima fascia dirigenziale, invece, avviene, per il cinquanta per cento dei posti, calcolati con riferimento a quelli che si rendono disponibili ogni anno per la cessazione dal servizio dei soggetti
incaricati, per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni, sulla base di criteri generali stabiliti
con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previo parere della Scuola superiore della pubblica
amministrazione (oggi Scuola Nazionale dell’amministrazione) (art. 28bis D.Lgs. 165 cit.).
D) Segue: Gli incarichi dirigenziali (art. 19 D.Lgs. 165/2001)
Accanto alle prescritte modalità di accesso alla dirigenza, occorre menzionare
anche un ulteriore canale, rappresentato dal conferimento di incarichi diretti, senza
espletamento di previo concorso. Tali incarichi sono conferiti secondo le disposizioni
dell’art. 19 D.Lgs. 165/2001.
Il conferimento avviene tenendo conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche
degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 231
I dirigenti ai quali non sia affidata la titolarità di uffici dirigenziali svolgono, su richiesta degli organi
di vertice delle amministrazioni che ne abbiano interesse, funzioni ispettive, di consulenza, studio e ricerca
o altri incarichi specifici previsti dall’ordinamento, ivi compresi quelli presso i collegi di revisione degli
enti pubblici in rappresentanza di amministrazioni ministeriali.
Lo “spoil system”
L’istituto dello spoils system — di derivazione statunitense — caratterizza una parte del personale
burocratico come di stretta estrazione fiduciaria, legandone ingresso e uscita dall’amministrazione
all’avvicendamento dei diversi esecutivi. Quanti conseguono un ufficio in virtù dell’esercizio della prerogativa governativa di assunzione/nomina discrezionale restano, infatti, legati all’amministrazione da un
rapporto di lavoro segnato, geneticamente, dalla previsione della sua cessazione al mutare dell’esecutivo.
Di una forma di spoils system «all’italiana» si è parlato in relazione al comma 8 dell’art. 19 D.Lgs.
165/2001, con specifico riguardo agli incarichi dirigenziali apicali delle amministrazioni statali (Segretario generale; Capo di dipartimento, preposto a strutture complesse articolate al loro interno in uffici
dirigenziali generali; altri incarichi di livello equivalente), le cui funzioni risultano strettamente contigue
con gli indirizzi politico-amministrativi espressi dagli organi politici (i ministri). Tali incarichi apicali
cessano automaticamente, decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia ottenuto dal Governo subentrante.
Non risulta affatto inciso, però, il sottostante rapporto di lavoro del dirigente di ruolo, scaturente dal
contratto a tempo indeterminato stipulato al momento dell’immissione in ruolo.
In sostanza, diversamente da quanto succede negli Stati Uniti, il meccanismo coinvolge, di regola, dirigenti
professionali di ruolo e non comporta la perdita del rapporto di lavoro ma solo quella del temporaneo
incarico in corso (per essere destinati ad altro incarico, laddove non confermati). A tale previsione deve
aggiungersi il disposto dell’art. 14, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, secondo cui, all’atto del giuramento
del Ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale
e le consulenze e i contratti, anche a termine, conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione
«decadono automaticamente ove non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro».
Il legislatore ha, peraltro, mostrato una accentuata tendenza ad ampliare le ipotesi di decadenza automatica dagli incarichi ben al di fuori delle ristretta fascia di dirigenti apicali previsti dallo spoils system
«ordinario». L’esperienza italiana ha registrato varie vicende definite di spoils system una tantum
(risoluzione ante tempus di incarichi dirigenziali dovuta a decisione unilaterale — una tantum — del
legislatore), ben oltre la cerchia degli incarichi apicali e in momenti temporali non coincidenti con quello
dell’insediamento di un nuovo governo.
La dilatazione dell’area di dirigenti sottoposti a spoils system (a regime o una tantum) ha finito per provocare la reazione della Corte costituzionale (cfr. le sentenze n. 103 e 104 del 1007 e la n. 161/2008).
Ordinamento amministrativo
delle capacità professionali del singolo dirigente, dei risultati conseguiti in precedenza
nell’amministrazione di appartenenza e della relativa valutazione, delle specifiche competenze organizzative possedute, nonché delle esperienze di direzione eventualmente
maturate all’estero, presso il settore privato o presso altre amministrazioni pubbliche,
purché attinenti al conferimento dell’incarico.
Con il provvedimento di conferimento sono individuati l’oggetto dell’incarico e gli
obiettivi da conseguire, con riferimento alle priorità, ai piani e ai programmi definiti
dall’organo di vertice nei propri atti di indirizzo e alle eventuali modifiche degli stessi
che intervengano nel corso del rapporto, nonché la durata dell’incarico, che deve essere
correlata agli obiettivi prefissati e che, comunque, non può essere inferiore a tre anni
né eccedere il termine di cinque anni.
Al provvedimento di conferimento dell’incarico, poi, accede un contratto individuale con cui è definito il corrispondente trattamento economico.
232
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
9. Doveri e diritti del pubblico dipendente
A) Codice di comportamento e doveri-obblighi degli impiegati
I doveri del dipendente, in genere, possono essere raggruppati in due ampie tipologie: l’una di stampo prettamente pubblicistico, riconducibile al dovere di fedeltà alla
Repubblica, sancito dall’art. 51 Cost., ai principi di imparzialità e buon andamento,
affermati dall’art. 97 Cost., e al carattere democratico della Repubblica (art. 1 Cost.),
che impone di favorire rapporti di fiducia fra amministrazione e cittadino.
L’altra tipologia si richiama, invece, ai doveri di diligenza, obbedienza e fedeltà
sanciti, anche per il rapporto di lavoro privato, dagli artt. 2104 e 2105 c.c.
L’art. 54 D.Lgs. 165/2001, sostituito dalla L. 190/2012, attribuisce all’esecutivo
il compito di definire un nuovo codice di comportamento dei pubblici dipendenti
per assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione della corruzione, il rispetto dei
doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura
dell’interesse pubblico.
Tale codice contiene una apposita sezione dedicata ai doveri della dirigenza e comunque prevede per tutti i
dipendenti il divieto di chiedere o accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione
con lo svolgimento delle proprie funzioni; ammessi solo i regali di modico valore. La violazione dei doveri
recati dal codice è fonte di responsabilità disciplinare nonché rilevante ai fini della responsabilità civile,
amministrativa e contabile nel caso essa sia collegata alla violazione di doveri, obblighi, leggi o regolamenti.
Con D.P.R. 16-4-2013, n. 62 è stato, dunque, introdotto il nuovo Codice di comportamento dei pubblici dipendenti — che soppianta il previgente, recato dal D.M.
28-11-2000.
Detto codice dovrà, poi, essere a sua volta integrato con un codice di comportamento
a livello di ogni singola amministrazione.
B) I diritti del lavoratore pubblico
Ai doveri-obblighi dell’impiegato fa riscontro una serie di diritti, di diverso
contenuto e consistenza giuridica; ciò conferma il carattere bilaterale del rapporto
d’impiego. I diritti dell’impiegato si possono distinguere a seconda che abbiano un
contenuto patrimoniale o non patrimoniale.
1. I diritti patrimoniali
Fra i diritti patrimoniali degli impiegati dello Stato, il più importante è quello alla
retribuzione. Si tratta una prestazione periodica in denaro cui la P.A. è tenuta verso i
propri dipendenti, come corrispettivo del servizio prestato e, quindi, va commisurata
alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dall’impiegato. La retribuzione si articola,
in genere, in un trattamento fondamentale, comprensivo delle voci a carattere fisso e
continuativo, e in un trattamento accessorio, costituito da emolumenti eventuali ed
occasionali.
A tal proposito, il D.Lgs. 150/2009 dispone che i contratti collettivi dovranno definire trattamenti
economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 233
riferimento all’amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in
cui si articola l’amministrazione; c) all’effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero
pericolose o dannose per la salute.
Il Titolo III del D.Lgs. 150/2009 reca un innovativo sistema di valorizzazione del merito. L’art. 19, in
tema di trattamento accessorio collegato alla performance individuale, articola una graduatoria su tre
fasce di merito, alle quali l’OIV di ogni amministrazione deve poi assegnare i valutati, inseriti in diversi
livelli di performance:
— il venticinque per cento è collocato nella fascia di merito alta, alla quale corrisponde l’attribuzione
del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance
individuale;
— il cinquanta per cento è collocato nella fascia di merito intermedia, alla quale corrisponde l’attribuzione del cinquanta per cento delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance
individuale;
— il restante venticinque per cento è collocato nella fascia di merito bassa, alla quale non corrisponde
l’attribuzione di alcun trattamento accessorio collegato alla performance individuale.
Il cd. correttivo Brunetta, D.Lgs. 141/2011, ha previsto che la differenziazione retributiva in fasce predisposte dal
D.Lgs. 150 cit. si applica dalla tornata contrattuale successiva a quella in corso, relativa al quadriennio 2006-2009.
2. I diritti non patrimoniali
Tra i diritti non patrimoniali occorre citare:
— il diritto all’ufficio, inteso come diritto alla permanenza nel rapporto di lavoro;
— il diritto allo svolgimento delle mansioni (cd. diritto alla funzione), in base al
quale il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato
assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento ovvero
a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito
per effetto delle procedure selettive di cui all’art. 35;
— il cd. diritto alla progressione, che concerne la disciplina relativa ai passaggi
interni dei dipendenti pubblici sia fra nuove aree funzionali che all’interno della
stessa area.
Si ricordi che le progressioni si distinguono, a loro volta, in: economiche, laddove esse si concretizzino
in scatti da una posizione economica all’altra nell’ambito della medesima area funzionale; e di carriera,
nel caso siano scatti di posizione economica da un’area contrattuale a quella superiore;
— il diritto al riposo, in base al quale il lavoratore ha diritto a godere delle ferie e ad
assentarsi per motivi particolari (mediante permessi) o in caso di malattia. Infatti,
il lavoratore ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunziarvi.
Inoltre, a domanda del dipendente sono concessi permessi retribuiti in casi determinati. Per quanto
concerne le assenze, esse possono essere concesse per malattia, per infortuni sul lavoro o per malattia
dovuta a causa di servizio, ovvero per maternità;
— il diritto alla riservatezza, per cui alle pubbliche amministrazioni è imposto il
rispetto di particolari condizioni per il trattamento da parte di soggetti pubblici
di dati sensibili, tra cui un posto di preminenza spetta ai dati idonei a rivelare lo
stato di salute;
Ordinamento amministrativo
Come si articola il rapporto tra fasce di merito e valutazione della performance?
234
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
— il diritto alle pari opportunità, che prevede che le amministrazioni pubbliche
svolgano un ruolo propositivo e propulsivo ai fini della promozione ed attuazione
concreta del principio delle pari opportunità, attraverso la rimozione di forme
esplicite ed implicite di discriminazione tra uomini e donne sui luoghi di lavoro
(cfr. al riguardo l’art. 57 D.Lgs. 165/2001.
10. Il ciclo di gestione della performance e la valorizzazione del merito: le novità della riforma Brunetta
La L. 15/2009 pone obiettivi di trasparenza, di rendimento ed efficienza per
l’azione amministrativa.
L’attuazione di tali fondamentali obiettivi rappresenta uno dei fini primari del decreto Brunetta, il quale, al Titolo II, si occupa della disciplina della gestione della
performance nonché degli organismi preposti al monitoraggio di quest’ultima.
Per quanto riguarda, innanzitutto, la misurazione e la valutazione della performance,
è previsto un apposito ciclo di gestione della medesima, destinato all’attuazione di
specifici obiettivi, tra cui ricordiamo il miglioramento dello standard dei servizi offerti
dalle amministrazioni nonché la crescita delle competenze professionali dei lavoratori
pubblici, attraverso la valorizzazione del merito e la predisposizione di premi per il
raggiungimento dei risultati stabiliti.
Inoltre, le amministrazioni, al fine di assicurare la qualità, comprensibilità ed attendibilità dei documenti
di rappresentazione della performance, sono tenute annualmente a redigere:
a) entro il 31 gennaio, un documento programmatico triennale, denominato Piano della performance, al
quale spetta individuare gli indirizzi e gli obiettivi strategici ed operativi e definire, con riferimento agli
obiettivi finali ed intermedi ed alle risorse, gli indicatori per la misurazione e la valutazione della performance dell’amministrazione nonché gli obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori;
b) un documento, da adottare entro il 30 giugno, denominato Relazione sulla performance che evidenzia,
a consuntivo, con riferimento all’anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto
ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio
di genere realizzato.
Le amministrazioni valutano la performance attraverso un apposito Sistema di misurazione, che si
distingue a seconda che ponga in essere una valutazione di tipo organizzativo ovvero individuale.
I soggetti coinvolti nel ciclo di gestione della performance sono:
— la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (Civit). Tale organo, a seguito della L. 190/2012 e del D.L. 101/2013,
conv. in L. 125/2013, opera anche come Autorità Nazionale anticorruzione e per
la valutazione e la trasparenza nelle pubbliche amministrazioni (A.N.AC.).
Attualmente, si tenga presente che l’A.N.AC. prende le funzioni dell’Autorità per la vigilanza sui contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture. Lo prevede il D.L. 90/2014, cd. riforma P.A. targata Renzi-Madia,
conv. in L. 114/2014, che procede alla soppressione dell’AVCP e il contestuale passaggio di funzioni
all’A.N.AC., che a sua volta, viene ridenominata Autorità nazionale anticorruzione. Dalla data di conversione del decreto n. 90/2014 le attribuzioni dell’A.N.AC. in tema di misurazione e valutazione della
performance dei pubblici dipendenti sono trasferite al Dipartimento della Funzione pubblica;
— gli Organismi indipendenti di valutazione della performance (OIV);
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 235
— l’organo di indirizzo politico-amministrativo di ciascuna amministrazione;
— i dirigenti di ciascuna amministrazione.
La riforma, infine, crea un legame strettissimo tra rispetto del procedimento di valutazione della
performance e attribuzione degli incentivi economici legati a quest’ultima: è, invero, previsto che le
amministrazioni pubbliche promuovono il merito e il miglioramento della performance organizzativa e
individuale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi premianti selettivi, secondo logiche meritocratiche,
nonché valorizzano i dipendenti che conseguono le migliori performance attraverso l’attribuzione selettiva
di incentivi sia economici sia di carriera.
11. La responsabilità dell’impiegato. In particolare, la
responsabilità disciplinare
La responsabilità dell’impiegato per l’inosservanza di norme giuridiche può essere:
— penale, quando la tragressione dei doveri di ufficio da parte dell’impiegato assume
il carattere di violazione dell’ordine giuridico generale e si concreta nella figura
del reato (es. abuso e omissione di atti d’ufficio, concussione, corruzione etc.);
— civile, quando dalla trasgressione dei doveri d’ufficio derivi un danno per l’ente
pubblico (cd. responsabilità patrimoniale). Essa discende dai principi generali
della materia ed ha carattere contrattuale (SANDULLI). La relativa sanzione consiste
nell’obbligo di risarcire il danno (sempre che vi sia dolo o colpa);
— amministrativa, quando l’inosservanza dolosa o colposa degli obblighi di servizio
comporti un danno patrimoniale all’amministrazione.
In tale forma di responsabilità si inquadra anche la responsabilità contabile, che emerge in caso di
violazioni di norme sui procedimenti di spesa e sulla custodia del danaro pubblico da parte di chi ne
sia abilitato (e tenuto) al maneggio. I relativi giudizi di responsabilità sono affidati esclusivamente alle
sezioni giurisdizionali (territorialmente competenti) della Corte dei conti.
Data la diversa causa, le tre forme di responsabilità possono agire congiuntamente
nei riguardi della stessa persona, ancorché unica sia la trasgressione da questa commessa.
B) La responsabilità disciplinare
La responsabilità disciplinare deriva dalla violazione dei doveri inerenti al rapporto d’impiego da parte del dipendente.
Al fine di integrare un illecito disciplinare occorre un’azione od omissione, compiuta in violazione di legge, di regolamento o di contratto e, in particolare, dei doveri
previsti da quest’ultimo.
La materia è stata profondamente innovata a seguito della riforma Brunetta.
La nuova disciplina, infatti, si caratterizza per:
1) la legificazione di alcune tipologie di infrazioni e sanzioni; quelle residuali restano
definite dai contratti collettivi;
2) la semplificazione dei procedimenti disciplinari e l’incremento della loro funzionalità, soprattutto mediante l’estensione dei poteri del dirigente della struttura in
Ordinamento amministrativo
A) Profili generali
236
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
cui il dipendente lavora, competente ora fino all’applicazione della misura della
sospensione dal servizio fino a dieci giorni;
3) la definizione di un catalogo di infrazioni particolarmente gravi assoggettate al
licenziamento, elenco che potrà essere ampliato, ma non diminuito dalla contrattazione collettiva.
Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, infatti, si applica
comunque la sanzione disciplinare del licenziamento in caso di (art. 55quater D.Lgs. 165/2001):
a) falsa attestazione della presenza in servizio;
b) giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta
falsamente uno stato di malattia;
c) assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci
anni ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato
dall’amministrazione;
d) ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate esigenze di
servizio;
e) falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto
di lavoro ovvero di progressioni di carriera;
f) reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive o moleste o minacciose o
ingiuriose o comunque lesive dell’onore e della dignità personale altrui;
g) condanna penale definitiva, in relazione alla quale è prevista l’interdizione perpetua dai pubblici
uffici ovvero l’estinzione, comunque denominata, del rapporto di lavoro;
h) scarso rendimento per almeno un biennio;
4) l’innovativa disciplina in tema di rapporto fra procedimento disciplinare e
procedimento penale, limitando ai soli procedimenti disciplinari più complessi la
possibilità di sospensione in attesa del giudizio penale e prevedendo, peraltro, che
i procedimenti disciplinari non sospesi siano riaperti, se vi è incompatibilità con il
sopravvenuto giudicato penale.
12. La disciplina della mobilità nel lavoro pubblico e le
novità alla luce della riforma della P.A. 2014
Il termine «mobilità» fa riferimento ad una serie di cambiamenti suscettibili di verificarsi
nel rapporto di impiego. Alcuni possono, infatti, avvenire all’interno di una medesima P.A.
e portare al passaggio di un singolo lavoratore da un ente ad un altro. È possibile anche che
una stessa procedura riguardi più lavoratori, nel caso, ad esempio, di eccedenze di personale.
A) Mobilità individuale ed obbligatoria
Il profilo della mobilità individuale rappresenta uno di quelli maggiormente incisi
dalla riforma della P.A. targata Renzi-Madia, recata dal D.L. 90/2014, conv. in L.
114/2014: viene, difatti, dato notevole stimolo e maggiore flessibilità agli istituti della
mobilità volontaria e di quella obbligatoria, ex art. 30 D.Lgs. 165/2001.
Ai sensi del novellato art. 30 T.U. pubblico impiego, infatti, le amministrazioni
possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti,
appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 237
facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell’amministrazione di appartenenza
(la previgente versione dell’articolo in esame parlava di «cessione del contratto di lavoro»).
Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo di almeno a trenta
giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio
diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere.
Innovazioni ci sono state, come anticipato, anche relativamente alla mobilità cd. obbligatoria: il comma 2 della novellata disposizione dispone che i dipendenti possono essere
trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni
interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso Comune
ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti.
La norma deroga a quanto previsto dall’art. 2103, comma 1, terzo periodo, c.c., con la conseguenza che
per attuare un trasferimento nel pubblico non è necessario che lo stesso sia motivato da comprovate ragioni
tecniche, organizzative e produttive (viene eliminato il previgente riferimento alla medesima unità produttiva).
Nel caso di dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, aventi diritto al congedo parentale, e ai soggetti
che assistono un familiare disabile, il trasferimento è sì possibile ma solo con il consenso degli stessi alla
prestazione della propria attività lavorativa presso un’altra sede.
La novellata disciplina, pertanto, trova la sua ratio nel favor per lo scambio e
l’utilizzo delle diverse professionalità nell’ambito della medesima P.A. ovvero tra
amministrazioni che sono situate nella medesima unità produttiva, previo accordo.
Residua dalla previgente formulazione la previsione per cui le amministrazioni, prima di procedere
all’espletamento di nuove procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico,
devono attivare le procedure di mobilità, provvedendo in via prioritaria all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, anche in posizione di comando e fuori ruolo, appartenenti
alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento.
B) La mobilità collettiva
La mobilità collettiva invece, riguarda i casi di eccedenza di personale (art. 33
D.Lgs. 165/2001, come sostituito dall’art. 16 L. 12-11-2011, n. 183, legge di stabilità
2012). Le amministrazioni, difatti, ogni anno devono verificare l’esistenza di eventuali
situazioni di soprannumero o, comunque, di eccedenze di personale, in relazione alle
esigenze funzionali o alla situazione finanziaria.
Se vi è esubero, il dirigente responsabile deve dare un’informativa preventiva alle rappresentanze unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale del comparto
o area, decorsi dieci giorni dalla quale l’amministrazione o risolve unilateralmente i contratti del personale
dipendente che ha raggiunto l’anzianità massima contributiva di 40 anni, oppure, in subordine, verifica la
ricollocazione totale o parziale del personale in eccedenza nell’ambito della medesima amministrazione,
anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà, ovvero
presso altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell’ambito della Regione.
Ordinamento amministrativo
Il Dipartimento della Funzione pubblica istituisce un portale per agevolare l’incontro tra domanda e
offerta di mobilità.
Inoltre, le amministrazioni di destinazione provvedono alla riqualificazione dei dipendenti la cui domanda
di trasferimento è accolta, eventualmente avvalendosi, ove sia necessario predisporre percorsi specifici o
settoriali di formazione, della Scuola nazionale dell’amministrazione.
238
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
Trascorsi novanta giorni dalla comunicazione ai sindacati, l’amministrazione colloca in disponibilità
il personale che non sia possibile impiegare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione e
che non possa essere ricollocato presso altre amministrazioni nell’ambito regionale, ovvero che non abbia
preso servizio presso la diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilità.
La contrattazione collettiva nazionale può, tuttavia, stabilire criteri generali e procedure per consentire,
tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze di personale attraverso il passaggio
diretto ad altre amministrazioni al di fuori del territorio regionale che, in relazione alla distribuzione
territoriale delle amministrazioni o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi
nazionali; in tale ipotesi si applica quanto sancito dall’art. 30 D.Lgs. 165/2001, sulla mobilità individuale.
Ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. 165/2001, inoltre, è stabilito che il personale in disponibilità venga iscritto in appositi elenchi (che dovranno essere pubblicati sul sito istituzionale dell’ente) secondo l’ordine cronologico di sospensione del relativo rapporto
di lavoro ed abbia diritto ad un’indennità pari all’80% della retribuzione per la durata
massima di 24 mesi. Il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto a tale data.
Anche tale articolo viene innovato, in particolare mediante la previsione dell’assegnazione di nuove
mansioni (anche in una qualifica inferiore o in posizione economica inferiore di un solo livello per
ciascuna delle suddette fattispecie al personale collocato in disponibilità che ne faccia richiesta, al fine
di ampliare le occasioni di ricollocazione medesima (cfr. l’art. 5 D.L. 90/2014, conv. in L. 114/2014). Il
personale così ricollocato non avrà diritto all’indennità di disponibilità, pur mantenendo il diritto di essere
ricollocato successivamente nella propria qualifica e categoria di inquadramento originari, anche mediante
le procedure di mobilità volontaria ex art. 30 D.Lgs. 165/2001.
13. L’estinzione del rapporto di impiego
Il rapporto di pubblico impiego è soggetto a vicende estintive di varia natura, che
trovano la loro origine nella disciplina pattizia, pubblicistica e privatistica.
A) La disciplina pattizia
La cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato ha luogo per:
—
—
—
—
—
licenziamento (con o senza preavviso) disciplinare;
compimento del limite di età, ai sensi delle norme di legge in vigore;
dimissioni del dipendente (queste si perfezionano con l’accettazione delle stesse da parte della P.A.);
decesso del dipendente;
superamento del periodo di comporto in caso di malattia.
Altra ipotesi di risoluzione prevista dal contratto collettivo è quella consequenziale all’annullamento
della procedura di reclutamento.
B) La disciplina pubblicistica
Residuano dalle vecchie previsioni, contenute nel Testo Unico degli impiegati civili dello Stato, le
seguenti ipotesi di decadenza dall’impiego:
— per perdita della cittadinanza italiana (art. 127, comma 1, lett. a), D.P.R. 3/1957);
— per avvenuta accettazione di una missione o altro incarico da un’autorità straniera senza autorizzazione
del Ministro competente (art. 127, comma 1, lett. b), D.P.R. 3/1957);
— per mancata cessazione della situazione di incompatibilità tra obblighi di servizio e attività svolte dal dipendente,
nonostante la diffida ricevuta (art. 63 D.P.R. 3/1957, espressamente richiamato dall’art. 53 D.Lgs. 165/2001).
Nell’ipotesi di accertata permanente inidoneità psicofisica al servizio del pubblico dipendente, la
P.A. può risolvere il rapporto di lavoro (art. 55octies D.Lgs. 165/2001, introdotto dal D.Lgs. 150/2009).
Il relativo regolamento di attuazione è recato dal D.P.R. 27-7-2011, n. 171.
Capitolo Sesto - Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche 239
C) La disciplina privatistica
In base all’espresso richiamo all’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 sono estensibili ai rapporti di
pubblico impiego le norme del codice civile e delle leggi speciali sul lavoro nell’impresa.
In particolare, è ammissibile il licenziamento: per giusta causa (art. 2119 c.c.), per giustificato motivo
soggettivo (art. 3, L. 604/1966), per giustificato motivo oggettivo (art. 3, L. 604/1966).
L’inadempimento degli obblighi contrattuali può, invece, causare il licenziamento disciplinare del dipendente.
L’attuale sistema della giurisdizione sui rapporti di lavoro pubblico costituisce il
frutto del lungo iter di riforma avviato agli inizi degli anni Novanta.
Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche era, in una
prima fase, attratto nell’area del diritto pubblico, come pure pubblicistico era considerato lo stesso rapporto che legava P.A. e dipendente; ciò comportava l’attribuzione
delle controversie in questo settore al giudice amministrativo.
Con la privatizzazione la prospettiva viene completamente ribaltata: l’avere assoggettato
la disciplina del lavoro pubblico al codice civile e alle leggi sul lavoro subordinato nell’impresa
non ha potuto che comportare anche la necessità di spostare la giurisdizione dal giudice
amministrativo a quello ordinario. Non aveva più senso, infatti, il permanere della giurisdizione amministrativa, laddove gli atti di gestione del rapporto lavorativo erano considerati
alla stregua di atti di diritto privato e non più atti organizzativi di carattere pubblicistico.
Il D.Lgs. 80/1998 è stato un passaggio cruciale in questo contesto, in quanto (assieme
al coevo D.Lgs. 387/1998) ha rimaneggiato in maniera sostanziale la privatizzazione e
determinato la devoluzione al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro,
delle controversie di lavoro alle dipendenze delle PP.AA., modificando all’uopo l’art.
68, D.Lgs. 29/1993, previsione poi recepita nell’art. 63, D.Lgs. 165/2001.
Sono devolute, infatti, al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, dal 30
giugno 1998, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni. Vi sono incluse le controversie concernenti l’assunzione al
lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate
e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti. Quando
questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi.
Sono devolute alla giurisdizione ordinaria, inoltre, anche le controversie relative a comportamenti antisindacali
delle pubbliche amministrazioni (ex art. 28 Statuto dei Lavoratori, L. 300/1970) nonché quelle promosse da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva.
Il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento,
costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto
all’assunzione, ovvero accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali,
hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro.
Restano devolute, invece, alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie
relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico (di cui all’art.
3, D.Lgs. 165/2001), ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.
Ordinamento amministrativo
14. Profili giurisdizionali in tema di impiego pubblico
Capitolo Settimo
Il procedimento amministrativo e il diritto
di accesso ai documenti amministrativi
Sommario: Sezione Prima: Concetti generali sull’attività amministrativa: 1. L’attività amministrativa:
Nozione. - 2. Principi costituzionali dell’attività amministrativa. - 3. Classificazioni inerenti l’attività
amministrativa. - Sezione Seconda: Il procedimento amministrativo: 1. Il procedimento amministrativo:
definizione e principi. - 2. Tempistica procedimentale e profili di responsabilità. - 3. Il responsabile del
procedimento. - 4. La partecipazione al procedimento. - 5. La semplificazione dell’azione amministrativa.
- Sezione Terza: L’informatizzazione della P.A.: 1. E-government ed informatizzazione. - 2. P.A. digitale
e diritti dei cittadini e delle imprese. - Sezione Quarta: Il diritto di accesso ai documenti amministrativi:
1. La trasparenza dell’azione amministrativa: l’«accessibilità totale». - 2. Il diritto di accesso ai documenti
amministrativi. - 3. La tutela del diritto di accesso.
Sezione Prima
Concetti generali sull’attività amministrativa
1. L’attività amministrativa: Nozione
L’attività amministrativa è quella mediante la quale gli organi statali, all’uopo
preposti, provvedono alla cura degli interessi pubblici ad essi affidati.
L’individuazione del fine da perseguire e la sua assegnazione alla P.A. rientrano
nell’ambito dell’attività politica o di governo che perciò si distingue dall’attività
amministrativa.
2. Principi costituzionali dell’attività amministrativa
L’attività amministrativa deve svolgersi nel rispetto di alcuni fondamentali principi
sanciti dalla Costituzione:
a) legalità, secondo cui l’attività amministrativa deve corrispondere alle prescrizioni
di legge;
b) buona amministrazione, sancito dall’art. 97 della Costituzione, secondo il quale
l’azione amministrativa deve essere esplicata in modo efficiente ed appropriato, per
realizzare il pubblico interesse con la massima economicità e speditezza possibili;
c) imparzialità, anch’esso sancito esplicitamente dall’art. 97 Cost., secondo il quale
l’attività amministrativa deve essere svolta nel pieno rispetto della giustizia, ossia
senza favoritismi né facilitazioni per alcuno, all’infuori dei casi previsti dalla legge;
d) ragionevolezza, la quale costituisce, anche alla luce della L. 241/1990, un criterio in cui
confluiscono i principi di eguaglianza, di imparzialità e di buon andamento. In virtù di
questo principio, non espressamente contenuto nella Costituzione, l’azione amministrativa, al di là del rispetto delle prescrizioni normative, deve adeguarsi ad un canone di
razionalità operativa, sì da evitare decisioni arbitrarie ed irrazionali (MORBIDELLI).
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
241
A) Discrezionalità e merito
L’attività che la P.A. pone in essere per il perseguimento dei suoi fini trova una serie di
limitazioni rispondenti a diverse esigenze (es. conservare l’attività amministrativa nell’ambito della liceità oppure nell’ambito dei fini pubblici che l’amministrazione deve perseguire).
I limiti posti da norme giuridiche possono essere indicati in modo preciso e puntuale oppure in modo elastico: mentre nel primo caso l’attività amministrativa si dice
vincolata, nel secondo caso, invece, si dice discrezionale.
Gli atti vincolati sono quelli emanati in forza di una norma di legge che ne prevede
come obbligatoria l’adozione e ne determina in maniera puntuale il contenuto, vincolando l’amministrazione che, all’avverarsi della situazione prevista dalla norma, è
tenuta ad emanarli senza potere compiere alcuna valutazione di merito.
La caratteristica dell’attività discrezionale consiste nella possibilità, che ha la P.A.,
di scegliere tra più soluzioni possibili, ma sempre perseguendo l’interesse primario
fissato dalla legge e tenendo tuttavia conto degli interessi secondari (pubblici e privati)
che interagiscono con esso.
Il superamento dei limiti (sia precisi e puntuali che elastici), posti dalla legge, comporta l’illegittimità
del relativo atto amministrativo (vincolato o discrezionale).
Le scelte operate dalla P.A. nell’ambito dei limiti posti da norme non giuridiche di buona amministrazione
attengono, invece, al merito dell’azione amministrativa.
Il superamento di questi ultimi limiti non comporta l’illegittimità dell’atto amministrativo, ma solo
l’inopportunità dello stesso. Ciò è molto importante perché il cittadino che si ritiene leso da un atto amministrativo illegittimo ha la possibilità di chiedere la tutela giurisdizionale; quest’ultima è invece esclusa,
salvo casi eccezionali, laddove il cittadino si ritenga leso da un atto inopportuno.
B) Discrezionalità tecnica, accertamenti tecnici e discrezionalità mista
Nella cd. discrezionalità tecnica, a differenza di quanto avviene con la discrezionalità amministrativa propriamente detta, la scelta non è effettuata sulla base della
valutazione degli interessi prioritari e di quelli secondari; e pertanto lo spazio entro
il quale si può muovere la P.A. nella effettuazione della scelta stessa è notevolmente
ridotto.
L’accertamento tecnico ricorre, invece, quando la scelta della P.A. sia indicata dalle cd. scienze esatte,
con la conseguenza di una assoluta mancanza di margini, valutativi o di opinabilità in capo alla stessa P.A.
Si parla, infine, di discrezionalità mista in tutti quei casi in cui, in relazione ad una certa scelta, la P.A.
disponga sia di discrezionalità amministrativa, sia di discrezionalità tecnica.
L’importanza della predetta classificazione è connessa al fatto che la discrezionalità mista e quella
tecnica sono ricondotte tradizionalmente nell’ambito concettuale del merito amministrativo; sulla base di
tale impostazione viene affermata l’inammissibilità della tutela giurisdizionale.
C) Amministrazione attiva, consultiva e di controllo
L’esigenza di evitare l’accentramento di diverse competenze in un unico ufficio ha
spinto la dottrina a distinguere l’attività amministrativa in tre tipi:
a) amministrazione attiva: comprende tutte le attività con cui la P.A. agisce per
realizzare i propri fini; vi rientrano sia le attività deliberative che esecutive;
Ordinamento amministrativo
3. Classificazioni inerenti l’attività amministrativa
242
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
b) amministrazione consultiva: comprende le attività dirette a fornire — sotto forma
di pareri — consigli, direttive, orientamenti e chiarimenti del caso alle autorità che
devono provvedere su un determinato oggetto;
c) amministrazione di controllo: comprende le attività dirette a sindacare secondo diritto
(controllo di legittimità) o secondo le regole della buona amministrazione (controllo di
merito) l’operato degli agenti a cui sono demandati i compiti di amministrazione attiva.
La dottrina (QUARANTA), infine, affianca alle suddette tre attività una quarta
attività, l’amministrazione contenziosa, che è l’attività preordinata, sempre a livello
meramente amministrativo (e cioè mediante atti amministrativi posti in essere in base
a procedimenti amministrativi), a risolvere conflitti di interesse tra destinatari della
funzione amministrativa e titolari di essa (ricorsi amministrativi).
Sezione Seconda
Il procedimento amministrativo
1. Il procedimento amministrativo: definizione e principi
A) Nozione
Affinché un atto sia perfetto (ossia completo di tutti gli elementi necessari per la sua
esistenza giuridica) ed efficace (cioè idoneo a produrre gli effetti giuridici propri del
tipo al quale l’atto stesso appartiene) esso deve, di regola, essere emanato dopo aver
seguito un particolare iter, comprendente più atti ed operazioni che, nel loro complesso,
prendono il nome di procedimento amministrativo.
La relativa disciplina è recata dalla L. 7-8-1990, n. 241, legge che, improntata a criteri
come la trasparenza, la partecipazione e la semplificazion, ha sancito il passaggio da un’attività amministrativa «unilaterale» ad un’attività che, al contrario, tende ad essere sempre
più il frutto di una concertazione con il destinatario del provvedimento amministrativo.
Anche le successive novelle cui è stata sottoposta la L. 241 cit. (le principali sono
state la L. 15/2005 e la L. 69/2009) hanno ulteriormente perseguito la strada dell’avvicinamento tra cittadino e ufficio pubblico.
B) I principi di cui alla legge sul procedimento
L’art. 1 della L. 241/1990, legge generale sul procedimento amministrativo,
individua una serie di principi e criteri direttivi che, ricollegandosi alle previsioni
costituzionali, devono improntare l’azione amministrativa:
1. il principio di legalità, per il quale l’attività amministrativa deve perseguire i
fini dettati dalla legge. La dottrina ha sottolineato che il principio di legalità deve
essere inteso in senso sostanziale, cioè non solo come «conformità estrinseca
dell’atto amministrativo al dato normativo», ma, anche come «conformità di tutta
l’azione amministrativa alle prescrizioni normative espresse, nonché ai valori di
efficacia, efficienza ed adeguatezza che promanano dall’intero corpus normativo»
(CARINGELLA-TORIELLO);
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
243
2. il principio del giusto procedimento che, garantendo il diritto di partecipazione
degli interessati, consacra la dialettica tra interessi pubblici e privati, tendendo alla
composizione di eventuali contrasti. In tale contesto, particolare rilevanza assumono
gli artt. 7 e 10bis della L. 241/1990, che disciplinano, rispettivamente, la comunicazione di avvio del procedimento e il cd. preavviso di rigetto, ossia la comunicazione,
al destinatario dell’atto, dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza presentata
in un momento antecedente a quello dell’adozione del provvedimento definitivo;
3. il principio di semplificazione, in ragione del quale il legislatore ha introdotto
taluni istituti diretti, in conformità all’art. 97 Cost., a snellire e rendere più celere
l’azione amministrativa (silenzio assenso, segnalazione certificata di inizio attività,
conferenze di servizi etc.).
Ai suddetti principi sono informati, in particolare, i criteri fondamentali e le regole dettate dal Capo I
della L. 241/1990 a cui l’amministrazione deve attenersi, ossia:
— l’economicità riguarda l’obbligo per la P.A. di realizzare il miglior risultato possibile, in termini di
produzione di beni e servizi ovvero di raggiungimento dell’interesse pubblico fissato legislativamente, in rapporto alla quantità di risorse a disposizione ovvero al minor sacrificio possibile degli
interessi secondari coinvolti nella fattispecie;
— l’efficacia è un concetto che implica il raffronto tra i risultati programmati e quelli raggiunti;
— l’imparzialità implica una posizione di equidistanza dell’amministrazione rispetto a tutti gli interessi
coinvolti in una determinata fattispecie. Più specificamente, essa assume una valenza negativa,
laddove si traduce nel divieto per la P.A. di realizzare qualsiasi forma di favoritismo nei confronti di
alcuni soggetti, ed una valenza positiva, legata alla corretta ed obiettiva valutazione degli interessi,
pubblici o privati, sui quali la pubblica amministrazione andrà ad incidere. L’imparzialità è stata
introdotta espressamente nella L. 241/1990, quale criterio direttivo dell’azione amministrativa solo
dalla L. 69/2009 (art. 7, comma 1, lett. a)): prima di tale momento, un richiamo espresso a tale
principio era rinvenibile solo nell’art. 97 Cost., in relazione all’organizzazione dei pubblici uffici;
— la pubblicità rappresenta uno strumento di attuazione del principio della trasparenza ed impone alla
P.A. di rendere accessibili agli interessati notizie e documenti concernenti l’operato dei pubblici poteri;
— la trasparenza, infine, è da intendersi come immediata e facile controllabilità di tutti i momenti
e di tutti i passaggi in cui si esplica l’operato della pubblica amministrazione, onde garantirne e
favorirne lo svolgimento imparziale. A tale principio sono strettamente connessi il diritto di accesso
e l’istituzione degli uffici per le relazioni con il pubblico.
Diretta conseguenza dei criteri appena descritti, ed enunciati nell’art. 1, comma 1, L. 241/1990, è il
principio di non aggravamento del procedimento amministrativo, sancito all’art. 1, comma 2,
della medesima legge. La previsione per cui «la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria», è
la più chiara espressione della finalità propria del procedimento amministrativo: se, infatti, l’adozione
del provvedimento finale deve avvenire in tempi celeri, ossia quelli prestabiliti dal legislatore all’art.
2 della legge de qua, esso deve comunque essere la risultante di un’istruttoria adeguata che consenta
un’attenta valutazione degli interessi in gioco;
— obbligo di conclusione esplicita del procedimento (art. 2). La P.A. ha il dovere di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento finale espresso, sia quando il procedimento consegua
ad istanza, sia quando debba essere iniziato d’ufficio;
— obbligo generale di motivazione del provvedimento amministrativo (art. 3). Tale obbligo «richiede
l’esposizione esplicita del percorso argomentativo che ha portato alla decisione» (SORACE), evidenziando lo stretto collegamento esistente tra il procedimento ed il provvedimento, «di cui la motivazione
è l’espressione formale» (GAROFOLI-FERRARI);
Ordinamento amministrativo
— economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. In particolare:
244
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
— l’uso della telematica nell’azione amministrativa. Con la L. 15/2005 il legislatore ha inserito nel Capo
I della L. 241/1990 l’art. 3bis che, nel segno di una maggiore efficienza della P.A. introduce formalmente
il principio dell’informatizzazione dell’attività amministrativa. Tale disposizione, infatti, dispone
il dovere delle pubbliche amministrazioni di incentivare l’uso della telematica sia nei rapporti interni
tra le diverse amministrazioni sia tra queste e i privati.
C) I principi europei
Accanto ai menzionati principi, frutto di scelte legislative interne al nostro ordinamento e di elaborazioni giurisprudenziali proprie della nostra cultura giuridica, vi sono
quelli di derivazione europeistica che hanno avuto espresso riconoscimento, attraverso
un richiamo diretto agli stessi, ex art. 1 L. 241/1990.
Fra i principi europei rilevano in particolare:
— principio di certezza del diritto: tale principio (cui sono strettamente connessi quello della tutela del
legittimo affidamento e quello della irrevocabilità degli atti amministrativi) è diretto a garantire la prevedibilità delle situazioni e dei rapporti giuridici rientranti nella sfera del diritto comunitario (CHITI);
— principio del legittimo affidamento: tale principio è volto alla protezione di situazioni consolidate a
seguito di provvedimenti emanati (e illegittimamente revocati) che hanno ingenerato un ragionevole
affidamento nei destinatari (Corte di giustizia, sez. VI, 24-1-2002, causa C-500/99);
— principio di proporzionalità: non possono essere stabiliti da parte delle pubbliche autorità obblighi e
restrizioni alla libertà degli interessati in misura diversa da quella necessaria per raggiungere lo scopo
cui è preposta l’autorità responsabile (Corte di giustizia, 10-12-2002, causa C-491/01);
— principio del giusto procedimento: il diritto ad essere ascoltati nel corso del procedimento amministrativo è un altro principio generale del diritto comunitario (CHITI). Il rispetto delle prerogative della
difesa in qualsiasi procedimento instaurato a carico di una persona e che possa sfociare in un atto per
essa lesivo, costituisce un principio fondamentale di diritto comunitario (Corte di giustizia, 23-10-1974,
causa C-17/74);
— principio di buona amministrazione: il principio impone di garantire la tempestività dell’azione amministrativa e, nella connessa accezione di imparzialità, di evitare, in casi analoghi, trattamenti difformi
senza adeguata motivazione o di rispettare criteri di massima fissati in precedenza (CHITI).
D) Le fasi del procedimento
Il procedimento amministrativo, disciplinato dalla L. 7-8-1990, n. 241, si svolge
in tre fasi principali:
1ª Fase preparatoria: è diretta a predisporre ed accertare i presupposti dell’atto da
emanare.
Essa si divide in due stadi:
— stadio dell’iniziativa (momento propulsivo).
Il procedimento è ad iniziativa di parte quando può essere instaurato solo con un atto propulsivo del
soggetto interessato all’emanazione di un provvedimento (es. l’istanza per il rilascio di un’autorizzazione); in tal caso, l’istanza del privato fa sorgere in capo alla P.A. il dovere di emanare un determinato
provvedimento espresso (art. 2 L. 241/1990).
È, invece, ad iniziativa d’ufficio quando è instaurato da un organo amministrativo.
In particolare si distingue tra:
— iniziativa autonoma, quando l’organo è lo stesso competente all’emanazione del provvedimento finale;
— iniziativa eteronoma, quando l’organo è diverso da quello competente all’emanazione del
provvedimento finale;
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
245
— stadio istruttorio (esame dei dati rilevanti ai fini dell’emanazione dell’atto; in genere comprende
attività materiali, come misurazioni, analisi, ispezioni etc.).
2ª Fase costitutiva: è la fase deliberativa del procedimento, in cui si determina il
contenuto dell’atto. Al termine di questa seconda fase l’atto è perfetto, ma non
ancora efficace.
3ª Fase d’integrazione dell’efficacia: l’atto già perfetto diviene efficace.
Rientrano in tale terza ed ultima fase:
E) Gli atti di controllo
Il controllo degli atti consiste nel riesame degli atti di amministrazione attiva, al fine
di accertarne la conformità a determinate norme giuridiche (cd. controllo di legittimità),
ovvero la corrispondenza a quei criteri di opportunità e convenienza cui la P.A. deve
sempre adeguarsi nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali (cd. controllo di merito).
Gli atti di controllo si possono classificare:
1) in base alla funzione esercitata:
— di legittimità: diretti a garantire che l’azione della P.A. si svolga entro i limiti, secondo il procedimento e con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge (cd. funzione di vigilanza);
— di merito: diretti a garantire che l’azione della P.A. si svolga anche secondo i criteri di opportunità
e convenienza sanciti dalle norme di buona amministrazione (cd. funzione di tutela);
2) in base al momento in cui intervengono:
— preventivi: se intervengono prima che l’atto, già perfetto, e cioè formato, produca i suoi effetti e sono
condizione di efficacia del provvedimento stesso; sono preventivi, fra i controlli di legittimità, il visto,
fra quelli di merito, l’approvazione;
— successivi: se intervengono dopo che l’atto già formato sia divenuto anche efficace: tale è l’annullamento in sede di controllo.
I controlli sugli atti di amministrazione attiva non influiscono sulla perfezione degli atti né sulla loro
validità, ma si configurano come requisiti di efficacia nel senso che operano, esclusivamente, sulla
loro idoneità a produrre gli effetti giuridici propri. Tali atti operano, di regola ed entro determinati
limiti, retroattivamente, ossia «ex tunc»;
— sostitutivi: quando l’autorità gerarchicamente superiore, dotata del relativo potere (cd. potere
di sostituzione), accertata l’inerzia dell’autorità inferiore, si sostituisce ad essa nell’emanazione
del relativo provvedimento. In tali casi, l’autorità controllante emana il provvedimento in luogo
dell’autorità controllata direttamente o a mezzo di commissari «ad acta»;
3) in base al rapporto tra organo controllante e controllato:
— interorganico: quando organo controllante e organo controllato appartengono allo stesso ente;
— intersoggettivo: quando l’autorità controllante e quella controllata appartengono invece ad enti diversi.
2. Tempistica procedimentale e profili di responsabilità
A) I termini stabiliti dal legislatore: l’art. 2 L. 241/1990
La pubblica amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso, sia nel caso in cui lo stesso consegua ad un’istanza del pri-
Ordinamento amministrativo
— gli atti di controllo (il controllo deve essere eseguito dagli organi competenti);
— gli atti di comunicazione: gli atti possono essere recettizi o non recettizi, a seconda che la comunicazione agli interessati costituisca o meno presupposto indispensabile per la loro efficacia (es.
notificazione; pubblicazione).
246
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
vato che nelle ipotesi in cui debba essere iniziato d’ufficio. È questo l’incipit dell’art.
2 L. 241/1990, dedicato alla conclusione del procedimento.
La relativa disciplina prevede che:
— salvo diverso termine, stabilito per legge o con diverso provvedimento, il termine
generale per la conclusione dei procedimenti amministrativi è di 30 giorni (art. 2,
comma 2);
— per le amministrazioni statali, possono essere individuati termini non superiori a 90
giorni per la conclusione dei relativi procedimenti, mediante decreti del Presidente
del Consiglio dei Ministri;
— in presenza di particolari presupposti — sostenibilità dei tempi sotto il profilo
dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e
della particolare complessità del procedimento — per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali il
termine di 90 giorni può essere ampliato, fino ad un massimo di 180 giorni, mediante
i D.P.C.M. di cui sopra. Tale previsione non si applica ai procedimenti di acquisto
della cittadinanza italiana e a quelli riguardanti l’immigrazione;
— salvo quanto stabilito da specifiche disposizioni normative, «le autorità di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformità ai propri ordinamenti, i termini di
conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza».
Novità di rilievo, infine, è costituita dalla introduzione, al comma 1 dell’art. 2, di un ulteriore periodo
ad opera della L. 6-11-2012, n. 190, cd. legge anticorruzione, laddove è precisato che le pubbliche amministrazioni, ove ravvisino la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della
domanda, concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, motivandolo attraverso un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo.
B) La mancata conclusione del procedimento nei termini: la responsabilità dirigenziale e la tutela del cittadino
L’art. 2 della legge sul procedimento amministrativo, nell’intento di porre rimedio
agli effetti lesivi del silenzio procedimentale, prosegue statuendo, da un lato, che la
tutela in materia di silenzio dell’amministrazione è disciplinata dal Codice del processo amministrativo (D.Lgs. 104/2010) e che le sentenze passate in giudicato che
accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione
sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti (comma 8, sostituito dal D.L.
5/2012, semplifica Italia); dall’altro lato, precisa che la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance
individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del
dirigente e del funzionario inadempiente (nuovo comma 9, così sostituito dal citato
decreto semplifica Italia).
L’organo di governo, infatti, è tenuto ad individuare, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia.
Nell’ipotesi di omessa individuazione, il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale
o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente
nell’amministrazione. Per ciascun provvedimento, sul sito istituzionale della P.A. viene pubblicata, in formato
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
247
tabellare e con collegamento ben visibile nella homepage, l’indicazione del soggetto cui è attribuito il potere
sostitutivo e a cui l’intervento può rivolgersi. Detto soggetto, in caso di ritardo, deve comunicare senza indugio
il nominativo del responsabile, ai fini della valutazione dell’avvio del procedimento disciplinare, secondo
le disposizioni del proprio ordinamento e in base ai CCNL di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza,
assume la sua medesima responsabilità oltre quella propria (comma 9bis, introdotto dal decreto semplifica
Italia e così novellato dal D.L. 83/2012, conv. in L. 134/2012, cd. decreto per la crescita del Paese).
Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento, il privato può rivolgersi al responsabile del rispetto della tempistica affinché, entro un termine pari alla metà di
quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti
o con la nomina di un commissario (comma 9ter, introdotto dal decreto semplifica Italia).
Tale disposizione trova applicazione sia per le pubbliche amministrazioni che per i soggetti privati
preposti all’esercizio di attività amministrativa.
Costoro sono tenuti a risarcire il «danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o
colposa del termine di conclusione del procedimento». Si veda anche la disciplina recata dall’art. 30 Codice
del processo amministrativo.
D) Ulteriori garanzie per il cittadino danneggiato dalla lentezza della burocrazia
alla luce del cd. «decreto-legge fare»
Il sistema delle tutele articolato dalla legge sul procedimento amministrativo e
successive modifiche e integrazioni si arricchisce di nuovi ed importanti tasselli grazie
alle prescrizioni contenute a tale riguardo nel cd. «decreto fare», D.L. 21-6-2013, n.
69, conv. in L. 98/2013.
Al diritto di risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo, ex
art. 2bis L. 241/1990 infatti, si aggiunge anche l’indennizzo che scatterà per il ritardo nella definizione della
pratica. Scaduto il termine per l’adozione del provvedimento, per ogni giorno di ritardo i cittadini potranno
ricevere 30 euro, fino a un massimo di 2.000 euro. Se tale somma non viene liquidata, essa potrà essere
richiesta al G.A. mediante una procedura semplificata (art. 28 D.L. 69/2013, come convertito).
Restano esclusi dalla disciplina de qua le ipotesi di silenzio qualificato (silenzio-assenso e silenziodiniego) e dei concorsi pubblici.
3. Il responsabile del procedimento
Nell’ottica di incentivare il momento dialettico tra pubblica amministrazione e
cittadino/utente, trasformando il provvedimento amministrativo da atto puramente
autoritativo ad atto risultante da un raffronto collaborativo tra le parti interessate, l’art.
4 della L. 241/1990 sancisce l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di individuare,
per ogni procedimento, l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni
altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento finale.
Individuata tale unità, il dirigente della stessa provvede ad individuare, al suo
interno, il soggetto responsabile del procedimento, che, ai sensi dell’art. 5 della detta
Ordinamento amministrativo
C) Il danno da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo
L’art. 2bis L. 241/1990, introdotto dalla L. 69/2009, ha previsto in capo alla pubblica
amministrazione una responsabilità per l’ipotesi di inosservanza dolosa o colposa
del termine di conclusione del procedimento.
248
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
legge, può essere sia il dirigente stesso che un altro dipendente; al responsabile, così
individuato, il dirigente dell’unità assegna «la responsabilità della istruttoria e di ogni
altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale».
Quanto ai compiti del responsabile, l’art. 6 L. 241/1990 espressamente prevede che il responsabile deve:
a) valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti
che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento;
b) accertare di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adottare ogni
misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di
dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti
tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;
c) proporre l’indizione o, avendone la competenza, indire le conferenze di servizi di cui all’art.14 della
legge sul procedimento amministrativo;
d) curare le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;
e) adottare, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmettere gli atti all’organo
competente per l’adozione.
Responsabile del procedimento e dovere di astensione
La L. 190/2012, cd. legge anticorruzione, ha introdotto l’art. 6bis nella L. 241/1990 che, al fine di garantire una più incisiva forma di trasparenza dell’operato della P.A. e di prevenire fenomeni di illegalità
nell’ambito della stessa, impone al responsabile del procedimento e al titolare dell’ufficio, competenti
ad emanare pareri, valutazioni tecniche, atti endoprocedimentali nonché il provvedimento finale, di
astenersi in caso di conflitto di interessi dalle dette operazioni, segnalando, altresì, ogni situazione,
anche solo potenziale, di conflitto.
4. La partecipazione al procedimento
Il principio di partecipazione costituisce uno dei capisaldi del nostro ordinamento
giuridico ed uno dei criteri principali dell’attuale sistema amministrativo.
Lo strumento indispensabile per attivare la partecipazione al procedimento è costituito dalla comunicazione di avvio del procedimento. La comunicazione, nella quale
devono essere indicati l’oggetto del procedimento, l’amministrazione competente, il
nominativo del responsabile del procedimento, la data entro cui deve concludersi lo
stesso e i rimedi esperibili in caso di inerzia della P.A., va effettuata sia nei confronti dei
destinatari del provvedimento finale, che dei soggetti che per legge devono intervenire
nel procedimento e dei terzi che possono ricevere un pregiudizio dal provvedimento
finale. La comunicazione dell’avvio del procedimento viene effettuata per tutti i procedimenti amministrativi, salve le eccezioni stabilite dal legislatore o in presenza di
eventuali ragioni di impedimento giustificate da esigenze di celerità.
Gli altri istituti attraverso cui si realizza la partecipazione al procedimento sono:
— il diritto di intervento nel procedimento, ex art. 9 L. 241/1990;
— il diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie
scritte e documenti;
— il cd. preavviso di rigetto, ex art. 10bis della L. 241/1990, come novellata dalla L.
15/2005, secondo cui, prima della formale adozione di un provvedimento negativo,
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
249
l’amministrazione è tenuta a comunicare tempestivamente agli interessati i motivi
ostativi all’accoglimento dell’istanza;
— la stipulazione di accordi procedimentali, cioè integrativi e sostitutivi del provvedimento.
Inoltre, nell’ottica di ridurre il contenzioso tra cittadini e P.A. e di rafforzare il profilo
della trasparenza dell’azione amministrativa, la L. 15/2005 ha aggiunto l’art. 10bis
alla L. 241/1990, con il quale viene introdotto il principio per cui nei procedimenti ad
istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della
formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente
agli interessati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda (cd. preavviso di
rigetto). Gli interessati hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La suddetta comunicazione interrompe
i termini di conclusione del procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla
data di presentazione delle osservazioni. Laddove le osservazioni non vengano accolte
ne va data ragione nel provvedimento finale.
5. La semplificazione dell’azione amministrativa
Il Capo IV (artt. 14-21) della L. 241/90 contiene una serie di disposizioni di notevole rilievo, dirette a snellire l’azione amministrativa e, di conseguenza, ad uniformare
la stessa ai principi di economicità e di efficacia di cui all’art. 1.
Al fine di snellire e semplificare l’azione amministrativa, la L. 241/1990 prevede:
1) conferenza di servizi (artt. 14 e ss.). Costituisce una forma di cooperazione tra le
pubbliche amministrazioni che ha lo scopo di realizzare, attraverso l’esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti, la semplificazione di taluni procedimenti
amministrativi particolarmente complessi. La legge sul procedimento prevede due
tipi di conferenze di servizi: istruttoria e decisoria.
L’art. 14, ai commi 1 e 3, disciplina la conferenza di servizi istruttoria, prevedendo che, qualora sia
opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento
amministrativo, l’amministrazione procedente può indire una conferenza di servizi. Questa può essere
convocata anche per l’esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, riguardanti medesimi attività o risultati. In tal caso, la conferenza è indetta dall’amministrazione
Ordinamento amministrativo
Per quanto concerne, infine, le conseguenze della omessa comunicazione dell’avvio del procedimento,
il provvedimento, al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, è illegittimo per violazione di legge. Tuttavia,
è necessario rapportare la normativa sulla comunicazione di avvio alla previsione di cui all’art. 21octies della
L. 241/1990, che, al comma 2, prevede discipline parzialmente diverse per il caso della violazione di norme
procedimentali e per la ipotesi della omissione delle comunicazione. Infatti, la norma, dopo aver stabilito,
al comma 1, che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da
eccesso di potere o da incompetenza, dispone che «Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione
di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia
palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del
procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato».
250
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
o, previa informale intesa, da una delle amministrazioni che curano l’interesse pubblico prevalente.
L’indizione della conferenza spetta all’amministrazione procedente, attraverso il responsabile del
procedimento, ovvero, su proposta di quest’ultimo, all’organo di vertice dell’amministrazione. L’amministrazione procedente resta libera in ordine alla determinazione del contenuto del provvedimento.
L’art. 14, comma 2, disciplina, invece, la conferenza di servizi decisoria, che viene convocata quando
bisogna assumere decisioni concordate tra varie amministrazioni, in sostituzione dei previsti atti di
concerto, nulla osta, intese o atti di assenso comunque denominati. In casi del genere, l’amministrazione
procedente è tenuta ad indire la conferenza decisoria decorsi inutilmente trenta giorni dalla ricezione
della relativa richiesta da parte dell’amministrazione competente. La conferenza diventa facoltativa,
invece, quando nello stesso termine sia intervenuto il dissenso di una delle amministrazioni interessate
ovvero nei casi in cui è consentito all’amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza
delle determinazioni delle amministrazioni competenti;
2) accordi fra amministrazioni pubbliche (art. 15) finalizzati a disciplinare lo svolgimento di attività di pubblico interesse in collaborazione;
3) la figura del silenzio devolutivo (art. 17) che comporta la possibilità di richiedere
ad altri organi valutazioni tecniche di necessaria acquisizione che gli organi precedentemente aditi non abbiano effettuato;
4) l’attuazione dell’istituto dell’autocertificazione (art. 18) che consente al privato
di poter provare, nei suoi rapporti con la P.A., determinati fatti, stati e qualità a
prescindere dalla esibizione dei relativi certificati, semplicemente presentando una
dichiarazione cd. sostitutiva.
L’istituto, coniato dalla L. 15/1968, è attualmente disciplinato dal D.P.R. 28-122000, n. 445 (Testo Unico in materia di documentazione amministrativa);
5) la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) (ex dichiarazione di inizio
attività; art. 19, come successivamente novellato).
La Scia è un importante strumento di semplificazione nel contesto dei rapporti P.A. - cittadino. Infatti,
l’art. 19 L. 241/1990 dispone che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva,
permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli
richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi
a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti
di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato. Unica eccezione all’applicazione dell’istituto riguarda i casi in cui sussistono vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia,
all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito,
anche derivante dal gioco, nonché quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e
quelli imposti dalla normativa dell’Unione europea.
La segnalazione deve essere accompagnata da una specifica documentazione (autocertificazioni di
stati personali e, ove espressamente previsto dalla normativa vigente, idonea documentazione tecnica)
necessaria per consentire alla P.A. di effettuare le opportune verifiche in ordine alla sussistenza o meno
dei requisiti per iniziare l’attività d’impresa. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata
dalla data di presentazione della segnalazione all’amministrazione competente.
Quest’ultima, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui sopra, nel termine di sessanta
giorni dal ricevimento della Scia (termine ridotto a trenta giorni in ipotesi di Scia in materia edilizia), adotta
motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi
di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta
attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
251
6) il silenzio assenso. Ai sensi dell’art. 20 L. 241/1990, nei procedimenti ad istanza
di parte, per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento della detta domanda, senza
necessità di ulteriori istanze, se la P.A. non comunica all’interessato, nel previsto
termine di conclusione del procedimento, il provvedimento di rigetto ovvero non
indice una conferenza di servizi.
L’art. 20, comma 4, prevede che il meccanismo del silenzio assenso non si applica per gli atti e nei
procedimenti concernenti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente e la difesa nazionale, la
pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità; né si
applica agli atti imposti dalla normativa comunitaria, o ai casi in cui la legge qualifica il silenzio come
rigetto dell’istanza, e nemmeno agli atti e ai procedimenti che le stesse amministrazioni possono successivamente individuare. Ogni controversia relativa all’applicazione della disposizione in commento è
devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A.
Sezione Terza
L’informatizzazione della P.A.
1. E-government ed informatizzazione
A) Evoluzione storico-normativa. In particolare, il Codice dell’Amministrazione
digitale
Con l’obiettivo di conseguire maggiore efficienza nella loro attività, le amministrazioni pubbliche devono incentivare l’uso della telematica sia nei rapporti interni, tra
le diverse amministrazioni, che tra queste e i privati (art. 3bis L. 241/1990).
L’informatizzazione dell’azione amministrativa, in particolare, implica l’impiego
di soluzioni informatiche nello svolgimento dell’attività amministrativa al fine di
garantire, per effetto di una più agevole circolazione delle informazioni tra apparati
pubblici, tempestive risposte ai cittadini. Si è parlato, al riguardo, di e-government:
con tale espressione si intende fare riferimento a quella particolare modalità di miglioramento della circolazione interna ed esterna dei dati nonché dell’attività degli
uffici e degli organi della P.A.
Ordinamento amministrativo
giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in
via di autotutela, ai sensi degli articoli 21quinquies e 21nonies della legge sul procedimento. Decorso il
termine per l’adozione di tali provvedimenti (ovvero nel caso di segnalazione corredata dalla dichiarazione
di conformità rilasciata dalla Agenzia per le imprese quale titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività),
all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione
dell’attività dei privati alla normativa vigente. Inoltre, il comma 6ter dell’articolo precisa che la Scia non
costituisce provvedimento tacito direttamente impugnabile dal privato e che, pertanto, l’interessato che sia
leso da un’attività o un intervento iniziato sulla base della segnalazione può solo sollecitare le verifiche
spettanti alla pubblica amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, esperire l’azione avverso il
silenzio ai sensi dell’art. 31, commi 1, 2 e 3 del Codice del processo amministrativo. Le controversie in
materia di provvedimenti espressi adottati in sede di verifica della Scia, ai sensi del citato comma 6ter,
sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
252
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
I primi approcci verso i sistemi informativi (S.I.) della P.A. si sono registrati, in realtà, alla fine degli
anni ’70. Attraverso tali sistemi il ruolo della pubblica amministrazione si è pian piano trasformato, passando
la stessa da produttrice di atti a erogatrice di servizi e centro per l’utenza pubblica.
Per raggiungere tali obiettivi venne istituita, con il D.Lgs. 39/1993, l’Autorità informatica per la Pubblica Amministrazione (AIPA) con compiti di documentazione, monitoraggio, rilevazione, coordinamento e
verifica dei risultati conseguenti all’impiego di soluzioni tecnologiche informatiche. Fra i progetti elaborati
dall’Autorità figura la costituzione della Rete unitaria delle pubbliche amministrazioni (RUPA) al fine di
realizzare un sistema unitario di amministrazioni interagenti per la produzione di servizi a cittadini e imprese, con l’ottimizzazione delle risorse telematiche. Nel 2003 l’Autorità viene sostituita dal CNIPA (Centro
nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione) istituito presso la Presidenza del Consiglio
dei Ministri, la cui operatività apre le porte alla nuova era della digitalizzazione degli apparati pubblici,
successivamente denominato, con il D.Lgs. 1-12-2009, n. 177, «DigitPA».
Il fulcro normativo fondamentale per lo sviluppo informatico delle PP.AA. è attualmente rappresentato dal Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 7-3-2005,
n. 82). Esso, infatti:
— introduce nuovi diritti per i cittadini e per le imprese, definendo il quadro giuridico che ne garantisce l’effettivo godimento;
— predispone nuovi strumenti digitali e consolida la loro validità giuridica;
— disegna le basi per la costruzione di un federalismo efficiente;
— predispone gli strumenti opportuni per una pubblica amministrazione che funzioni
meglio e costi meno ai contribuenti.
Il Codice, entrato in vigore il 1° gennaio 2006, è stato, in seguito, oggetto di modifiche ed integrazioni ad
opera del D.Lgs. 159/2006, del D.L. 185/2008, conv. in L. 2/2009 ma soprattutto del D.Lgs. 30-12-2010, n. 235.
Con il D.L. 22-6-2012, n. 83, recante misure urgenti per la crescita del Paese, conv.
in L. 134/2012, il DigitPA viene soppresso e al suo posto è istituita l’Agenzia per
Italia Digitale, preposta alla realizzazione dell’Agenda digitale italiana, predisposta dal
decreto semplifica Italia, n. 5/2012 nonché con funzioni di diffusione delle tecnologie
informatiche, allo scopo di favorire l’innovazione e la crescita economica, mediante
l’accelerazione della diffusione delle Reti di nuova generazione (NGN).
Il decreto semplifica Italia ha previsto, poi, l’istituzione di una cabina di regia
per l’attuazione dell’agenda digitale italiana (art. 47), mediante il coordinamento
degli interventi pubblici volti alle medesime finalità da parte di Regioni, Province
autonome ed enti locali.
La ratio di tale previsione si ritrova nella esigenza di modernizzazione dei rapporti tra pubblica
amministrazione, cittadini e imprese, obiettivo prioritario che l’esecutivo è tenuto a perseguire attraverso
azioni coordinate dirette a favorire lo sviluppo di domanda e offerta di servizi digitali innovativi, a potenziare
l’offerta di connettività a larga banda, a incentivare cittadini e imprese all’utilizzo di servizi digitali e a promuovere la crescita di capacità industriali adeguate a sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi.
B) Il D.Lgs. 33/2013
Un tassello fondamentale nella evoluzione della cd. trasparenza digitale è costitutito dal D.Lgs. 14-3-2013, n. 33, cd. T.U. trasparenza, che provvede alla individuazione dei documenti, delle informazioni e dei dati — concernenti l’organizzazione e il
funzionamento degli uffici — che devono essere pubblicati nei siti istituzionali delle
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
253
pubbliche amministrazioni e rispetto ai quali vi è il diritto di chiunque di accedervi,
direttamente ed immediatamente.
Tra le diverse disposizioni introdotte dal decreto in materia di Informatizzazione rilevano in particolare:
C) Dal cd. decreto del fare alla Riforma della P.A. Renzi – Madia
Il cd. decreto del fare, D.L. 69/2013, conv. in L. 98/2013, ha da un lato riorganizzato e snellito la governance dell’Agenda digitale, ridefinendo i compiti della cabina
di regia (v. retro); dall’altro ha introdotto ulteriori novità che, tra l’altro, riguardano:
— il domicilio digitale;
— la razionalizzazione dei Centri Elaborazione Dati (CED);
— il fascicolo sanitario elettronico;
— la liberalizzazione dell’accesso ad internet tramite la tecnologia del wi-fi.
Il successivo decreto di riforma della P.A. Renzi-Madia, D.L. 90/2014, conv. in
L. 114/2014, ha adottato misure atte a favorire l’accesso dei cittadini e delle imprese
ai servizi delle PP.AA.
Tra queste, oltre alla Agenda per la semplificazione per il triennio 2015/2017 (art. 24 del decreto),
si menzionano:
— la previsione di una sanzione cui sono soggette le PP.AA. che non adempiono agli obblighi, posti a loro
carico, inerenti la migliore organizzazione dei servizi in rete nonché relativi alla mancata pubblicazione
nel proprio sito web, del catalogo dei dati e delle relative banche dati in loro possesso ed i regolamenti
che ne disciplinano l’esercizio della facolta’ di accesso telematico;
— la previsione di una più agevole comunicazione tra le pubbliche amministrazioni, attraverso la messa a
disposizione a titolo gratuito degli accessi alle proprie banche di dati.
Che cosa è il Sistema pubblico di connettività (SPC)?
Il Sistema Pubblico di Connettività può essere definito come «l’insieme di infrastrutture tecnologiche e
regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la diffusione del patrimonio informativo
e dei dati della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l’interoperabilità di base ed evoluta
e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza, la
riservatezza delle informazioni, nonché la salvaguardia e l’autonomia del patrimonio informativo di ciascuna pubblica amministrazione».
Le regole tecniche e di sicurezza per il funzionamento del Sistema Pubblico di Connettività sono state
dettate con D.P.C.M. del 1° aprile 2008.
2. P.A. digitale e diritti dei cittadini e delle imprese
Nella pubblica amministrazione digitale i cittadini e le imprese hanno diritti che il Codice dell’amministrazione digitale, precisa, definisce e rende, quindi, effettivamente esigibili:
a) Diritto all’uso delle tecnologie (art. 3): i cittadini e imprese hanno diritto a richiedere ed ottenere l’uso
delle moderne tecnologie telematiche nelle comunicazioni con tutte le amministrazioni pubbliche, ivi
Ordinamento amministrativo
— la previsione che impone nella home page dei siti istituzionali della PP.AA. una apposita sezione denominata «Amministrazione Trasparente», contenente dati, informazioni e documenti pubblicati;
— l’applicazione del regime degli open data (pubblicazione dei dati in formato di tipo aperto) a tutte le informazioni oggetto di pubblicazione obbligatoria, ossia attraverso un formato reso pubblico, documentato
esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici più necessari per la fruizione dei dati stessi.
254
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
i)
Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
comprese le società interamente partecipate da enti pubblici e con prevalente capitale pubblico, e con i
gestori di pubblici servizi, ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. 82/2005;
diritto al domicilio digitale (art. 3bis, inserito dal D.L. 179/2012, come convertito): ogni cittadino ha
la facoltà di indicare alla P.A. un proprio indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) quale domicilio
digitale; ciò al fine di facilitare il più possibile le comunicazioni tra uffici e soggetti privati;
diritto alla partecipazione al procedimento informatico e all’accesso (art. 4): cittadini e imprese
hanno il diritto di accedere a tutti gli atti che li riguardano e di partecipare a tutti i procedimenti in
cui sono coinvolti tramite le moderne tecnologie informatiche e telematiche;
diritto di effettuare qualsiasi pagamento con modalità informatiche (art. 5, sostituito dal D.L.
179/2012, come convertito): le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi, nei rapporti
con l’utenza, sono tenuti a, ad accettare i pagamenti ad esse spettanti, a qualsiasi titolo dovuti, anche
con l’uso delle tecnologie informatiche;
comunicazione tra imprese e amministrazioni pubbliche (art. 5bis): la presentazione di istanze,
dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti, anche a fini statistici, tra imprese e
amministrazioni, nonché l’adozione da parte di queste ultime di provvedimenti amministrativi, avviene
esclusivamente utilizzando le tecnologie dell’informazione e della comunicazione;
diritto all’utilizzo della posta elettronica certificata (art. 6): le pubbliche amministrazioni utilizzano
la posta elettronica certificata (PEC) per la trasmissione telematica di comunicazioni per le quali sia
necessaria una ricevuta di consegna a quei soggetti che abbiano preventivamente dichiarato il proprio
indirizzo (v. amplius infra);
diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione (art. 7): le pubbliche amministrazioni provvedono alla riorganizzazione e aggiornamento dei servizi resi; a tal fine sviluppano l’uso
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sulla base di una preventiva analisi delle
reali esigenze dei cittadini e delle imprese, anche utilizzando strumenti per la valutazione del grado di
soddisfazione degli utenti.
Tale disposizione deve essere necessariamente correlata a quanto previsto dall’art. 32 D.Lgs. 33/2013,
che prevede l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di pubblicare, oltre alla carta dei servizi o il
documento che contiene gli standard di qualità dei servizi pubblici, anche i costi sostenuti per i servizi
resi agli utenti e il relativo andamento nel tempo, nonché i tempi medi di erogazione dei servizi;
partecipazione democratica elettronica (art. 9): le pubbliche amministrazioni favoriscono ogni forma di
uso delle nuove tecnologie per promuovere una maggiore partecipazione dei cittadini, anche residenti
all’estero, al processo democratico e per facilitare l’esercizio dei diritti politici e civili sia individuali
che collettivi;
diritto a trovare on line tutti i moduli e i formulari validi e aggiornati: ai sensi dell’art. 35 D.Lgs.
33/2013, le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare, per i procedimenti ad istanza di
parte, gli atti e i documenti da allegare all’istanza e la modulistica necessaria, compresi i fac-simile per
le autocertificazioni. Viene disposta, altresì, l’impossibilità per le PP.AA. di richiedere l’uso di moduli
o formulari che non siano stati pubblicati. In caso di omessa pubblicazione, i relativi procedimenti
possono essere avviati anche in assenza dei suddetti moduli o formulari, ma l’amministrazione non può
respingere l‘istanza, dovendo invitare l’istante ad integrare la domanda entro un termine congruo.
La posta elettronica certitificata
La posta elettronica certificata (PEC) È il sistema di comunicazione in grado di attestare l’invio
e l’avvenuta consegna di un messaggio di posta elettronica e di fornire ricevute opponibili a terzi
(art. 1, comma 1, lett. v-bis), D.Lgs. 82/2005, introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. i), D.Lgs. 235/2010).
Le comunicazioni di documenti tra le pubbliche amministrazioni avvengono mediante l’utilizzo della
posta elettronica o in cooperazione applicativa; le stesse sono valide ai fini del procedimento amministrativo una volta che ne sia verificata la provenienza (art. 47 D.Lgs. 82/2005, novellato dal D.Lgs. 235/2010).
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
255
Sezione Quarta
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi
Accanto ai principi tradizionali che regolano l’azione amministrativa (legalità,
imparzialità, buon andamento), la dottrina amministrativa e la giurisprudenza ne hanno
individuato uno nuovo e di notevole rilevanza, destinato a ridefinire in chiave democratica il rapporto tra amministrazioni ed amministrati: il cd. principio di trasparenza
dell’azione amministrativa, da intendersi come immediata e facile controllabilità
di tutti i momenti e di tutti i passaggi in cui si esplica l’operato della P.A. onde garantirne e favorirne lo svolgimento imparziale.
Il D.Lgs. 14-3-2013, n. 33, nel raccogliere i molteplici obblighi di informazione,
pubblicità e trasparenza gravanti in capo alle amministrazioni, definisce la trasparenza
quale accessibilità totale delle informazioni concernenti l’attività e l’organizzazione
delle amministrazioni.
2. Il diritto di accesso ai documenti amministrativi
A) Definizione e soggetti legittimati
L’insieme delle pretese che il cittadino vanta, nei confronti della P.A., affinché la sua azione sia «trasparente» è indicato come diritto di accesso agli atti ed ai documenti della P.A.
Il diritto di accesso è stato sancito quale principio generale dell’ordinamento
giuridico ad opera della L. 241/1990, che, al Capo V, detta disposizioni applicabili a
tutti i procedimenti amministrativi.
L’art. 22 della L. 241/1990 stabilisce che l’accesso ai documenti amministrativi,
attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale
dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne
l’imparzialità e la trasparenza.
Ai sensi dell’art. 22, il diritto di accedere ai documenti amministrativi compete
esclusivamente ai soggetti che vi abbiano specifico interesse (l’interesse deve essere
concreto e personale) in relazione alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante, ossia ai portatori di una situazione qualificata, differenziata e tutelata (diritto
soggettivo, interesse legittimo ed interesse diffuso), con conseguente esclusione dei
titolari di meri interessi di fatto.
B) L’oggetto
Quanto all’oggetto del diritto in esame, il legislatore italiano non ha ritenuto di addivenire ad una elencazione tipologica dei documenti accessibili, ma ha preferito darne
una definizione generale: è considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni o non, relativi ad uno specifico procedimento, detenuti
da un pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse indipen-
Ordinamento amministrativo
1. La trasparenza dell’azione amministrativa: l’«accessibilità totale»
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Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
dentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale
(art. 22, comma 1, lett. d), L. 241/1990).
C) L’esercizio dell’accesso
Il D.P.R. 184/2006 disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai
documenti amministrativi in conformità a quanto stabilito nella legge sul procedimento.
Il diritto di accesso si esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi. La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata,
deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo
detiene stabilmente.
La richiesta di ostensione dei documenti amministrativi può essere esercitata nei confronti di tutti i soggetti di diritto pubblico; nei confronti di tutti i soggetti di diritto privato
limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, da chiunque abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una
situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento per il quale è richiesto l’accesso.
La pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, qualora individui soggetti controinteressati, invita l’interessato a presentare richiesta formale di
accesso ed è tenuta a dare comunicazione agli stessi, inviando copia mediante raccomandata con avviso di ricevimento, oppure per via telematica per coloro che abbiano
consentito tale forma di comunicazione.
I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi. Entro
dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione
provvede sulla richiesta, una volta accertata l’avvenuta ricezione della comunicazione.
Qualora in base alla natura del documento richiesto non risulti l’esistenza di controinteressati, il diritto di accesso può essere esercitato in via informale mediante
richiesta, anche verbale, all’ufficio dell’amministrazione competente a formare l’atto
conclusivo del procedimento o a detenerlo stabilmente.
In tal caso il richiedente deve indicare gli estremi del documento oggetto della richiesta, o gli elementi che
ne consentano l’individuazione; specificare e, ove occorra, comprovare l’interesse connesso all’oggetto della
richiesta; dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
La richiesta è accolta mediante indicazione della pubblicazione contenente le
notizie, esibizione del documento, estrazione di copie, o altra modalità idonea. Ove
provenga da una pubblica amministrazione, la richiesta è presentata dal titolare
dell’ufficio interessato o dal responsabile del procedimento amministrativo.
Le pubbliche amministrazioni assicurano che il diritto d’accesso possa essere
esercitato anche in via telematica.
Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa s’intende respinta.
L’art. 24 L. 241/1990 prevede che l’accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia
sufficiente fare ricorso al potere di differimento. La possibilità di differire l’accesso ai documenti consente
ai soggetti passivi dello stesso di evitarne l’ostensione sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o
gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa ovvero esporre a rischio gli interessi che le
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
257
disposizioni concernenti gli atti sottoposti a segreto mirano a salvaguardare. Il differimento è disposto specie
nella fase preparatoria dei provvedimenti in relazione ai documenti la cui conoscenza possa compromettere
il buon andamento dell’azione amministrativa. L’atto che dispone il differimento dell’accesso ne indica
anche la durata. Si ricorda, infine, che il rifiuto, la limitazione o il differimento dell’accesso richiesto in via
formale, devono essere motivati (art. 9 D.P.R. 184/2006).
D) Soggetti obbligati a consentire l’accesso
— le pubbliche amministrazioni. Vi rientrano tutti gli apparati organizzativi centrali e periferici dello
Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle Comunità montane, delle Città metropolitane,
degli enti pubblici in genere;
— gli enti pubblici. Nel novero di tali enti vanno compresi anche gli enti pubblici economici relativamente
allo svolgimento dell’attività di diritto pubblico, come rimarcato dall’Adunanza generale del Consiglio
di Stato con parere n. 7 del 17-2-1987;
— i gestori di pubblici servizi. Sono i soggetti privati legittimati, in virtù di provvedimento concessorio,
allo svolgimento di attività pubbliche (C.d.S., sez. VI, 12-3-2012, n. 1403);
— le aziende autonome e speciali. Trattasi di organismi atipici, normalmente privi di personalità giuridica,
ma dotati di una propria organizzazione amministrativa, incardinati nell’amministrazione statale, adibiti
all’esercizio di attività ed alla gestione di servizi di carattere tecnico-economico e di enti di gestione di
pubblici servizi locali, dotati di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e statutaria;
— l’autorità di garanzia e di vigilanza. La conclusione a cui sono pervenute la dottrina e la giurisprudenza
maggioritarie è nel senso dell’applicabilità generale dell’accesso alle autorità. Rispetto a tali organismi, il
richiamo all’art. 24 L. 241/1990, contenuto nel novellato art. 23, vale ad individuare i casi nei quali l’accesso
è escluso e gli atti ulteriori che vanno adottati perché il diritto di accesso possa diventare operativo;
— l’amministrazione dell’Unione europea. Ai sensi dell’art. 15 TFUE (ex articolo 255 TCE), è previsto
che «Al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel modo più trasparente possibile» e ancora
che «Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede
sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi
dell’Unione, a prescindere dal loro supporto (…)»;
— le imprese di assicurazione. Ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. 209/2005 (Codice delle assicurazioni
private), le imprese di assicurazione esercenti l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, sono tenute a consentire ai contraenti ed
ai danneggiati il diritto di accesso agli atti a conclusione dei procedimenti di valutazione, constatazione
e liquidazione dei danni che li riguardano.
E) Limiti all’esercizio del diritto d’accesso
L’art. 24 della L. 241/1990 prevede una serie di limiti all’esercizio del diritto
d’accesso. Distinguiamo limiti tassativi e limiti facoltativi.
I primi sono quelli sanciti direttamente dal legislatore, senza che residui in capo
alla P.A. alcun margine discrezionale di apprezzamento in ordine alla possibilità di
accogliere la richiesta ove ricorra uno di tali limiti, finalizzati alla salvaguardia di
interessi pubblici fondamentali e prioritari rispetto all’interesse alla conoscenza degli
atti amministrativi, la P.A. è obbligata a dare risposta negativa alla richiesta di accesso.
Trattasi di limiti riguardanti: i documenti coperti da segreto di Stato (a norma dell’art. 39 L. 3-8-2007,
n. 124); i procedimenti previsti dal D.L. 8/1991 recante norme in materia di sequestri di persona e di
protezione dei testimoni di giustizia (conv. in L. 82/1991 e succ. modif.); i documenti coperti da segreto o
divieto di divulgazione altrimenti previsto dall’ordinamento e i documenti esclusi dal diritto di accesso per
mezzo di appositi regolamenti governativi, al fine di salvaguardare la sicurezza, la difesa nazionale e le
Ordinamento amministrativo
Sono obbligati (soggetti passivi) a consentire l’esercizio del diritto di accesso, in base all’art. 23 L. 241/1990:
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Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato
relazioni internazionali, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione
dei reati, la riservatezza dei terzi, persone, gruppi ed imprese. È prevista l’esclusione del diritto di accesso,
altresì, nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; nei confronti
dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali,
di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la
formazione; nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni
di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
I limiti facoltativi sono, invece, finalizzati a differire l’accesso ai documenti sino
a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento
dell’azione amministrativa. Questi limiti sono stabiliti in via discrezionale dalla P.A. e
producono un mero differimento dell’accesso.
Il comma 6 dell’art. 24 L. 241/1990 attribuisce, poi, al Governo il potere di
limitare ulteriormente il diritto di accesso emanando un apposito regolamento, ai
sensi dell’art. 17, comma 2 L. 400/1988, che disponga casi di sottrazione all’accesso
di documenti amministrativi.
L’accesso civico
Istituto di nuova introduzione ad opera del D.Lgs. 33/2013, T.U. trasparenza, è rappresentato dal cd.
accesso civico, che costituisce espressione dei principi di pubblicità e trasparenza (art. 5).
Esso viene correlato all’obbligo previsto in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti,
informazioni o dati e si sostanzia nel diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nel caso in cui sia
stata omessa la loro pubblicazione.
Finalità di questa nuova forma di accesso è quella di alimentare il rapporto di fiducia che intercorre
tra il cittadino e la P.A. nonché quella di promuovere la cultura della legalità e la prevenzione di
fenomeni corruttivi all’interno delle amministrazioni pubbliche.
Una sostanziale differenza rispetto al diritto di accesso ai documenti ex art. 22 L. 241/1990, e punto
nodale della disciplina del nuovo istituto, va ravvisata nell’ampliamento dal punto di vista soggettivo
del diritto stesso: la richiesta di accesso, infatti, non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla
legittimazione soggettiva del richiedente. Contrariamente a quanto affermato nella legge sul procedimento, infatti, dove il diritto di accesso è riconosciuto ai portatori di un interesse giuridico diretto,
concreto ed attuale, il decreto in esame riconosce a tutti il diritto di accesso civico, in perfetta adesione,
dunque, alla conclamata finalità di estendere il potere di controllo dei cittadini sull’operato della P.A.
La richiesta di accesso:
— non deve essere motivata, a differenza di quanto affermato dalla L. 241/1990 (cfr. art. 25, comma 2);
— va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione obbligata alla pubblicazione.
Dal punto di vista operativo, una volta ricevuta la richiesta, l’amministrazione, entro 30 giorni, procede alla pubblicazione nel sito del documento, dell’informazione o del dato richiesto e lo trasmette
contestualmente al richiedente, ovvero comunica al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il
collegamento ipertestuale a quanto richiesto. Se questi, poi, già risultano pubblicati, l’amministrazione
indica al richiedente il collegamento ipertestuale.
Il T.U. Trasparenza, inoltre, in caso di inerzia dell’amministrazione procedente, attribuisce al richiedente
la possibilità di ricorrere al titolare del potere sostitutivo ai sensi dell’art. 2, comma 9bis, L. 241/1990,
che, verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, provvede entro un termine pari alla metà di
quello originariamente previsto.
Viene, infine, fatto rinvio, ai fini della tutela giurisdizionale, alle disposizioni del Codice del processo
amministrativo, in caso di diniego, ritardo o inadempimento rispetto ad una richiesta di accesso civico.
Capitolo Settimo - Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso ai documenti amministrativi
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La tutela giurisdizionale del diritto di accesso risulta dal combinato disposto
dagli artt. 25 L. 241/1990 e 116 del Codice del processo amministrativo, recato dal
D.Lgs. 104/2010. Il relativo giudizio è affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (art. 133 c.p.a.).
Sul presupposto che, decorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta, questa si intende
respinta e che, in tal caso, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale (art. 25, comma 4, L. 241/1990), il citato comma 1 dell’art. 116
del Codice, come novellato, da ultimo, dal D.Lgs. 33/2013, dispone che «contro le
determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi,
nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli
obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della
determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione
all’amministrazione e ad almeno un controinteressato».
L’amministrazione, secondo quanto disposto dal successivo comma 3 dell’articolo
in esame, può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente.
Il giudizio incardinato ex art. 116, comma 1, che si svolge, ai sensi dell’art. 87 del
Codice del processo amministrativo, con rito camerale, si conclude con una sentenza
in forma semplificata che può, pertanto, essere di rigetto del ricorso o di accoglimento
dello stesso. In tale ultimo caso, sussistendone i presupposti, il giudice ordina l’esibizione e, ove previsto, la pubblicazione dei documenti richiesti, entro un termine non
superiore, di norma, a 30 giorni, dettando, ove occorra, le relative modalità (art. 116,
comma 4, mod. dal D.Lgs. 33/2013).
Per espressa previsione del comma 5 dell’art. 116, infine, le disposizioni sin qui
esaminate si applicano anche al giudizio di impugnazione.
La proposizione di un ricorso avverso determinazioni amministrative concernenti l’accesso nel caso
in cui sia già pendente un giudizio amministrativo è disciplinata dal comma 2 dell’art. 116 del Codice.
Anche in tal caso, il legislatore ha confermato la disciplina di cui all’art. 25, comma 5, L. 241/1990,
senza apportarvi novità di rilievo.
In particolare, dunque, il ricorso può essere proposto con istanza depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso principale, previa notifica all’amministrazione e agli eventuali controinteressati.
L’istanza può essere decisa con un’ordinanza separatamente dal giudizio principale, oppure con la
sentenza che definisce quest’ultimo.
In alternativa al ricorso giurisprudenziale, è riconosciuta all’istante la possibilità di ricorrere nello stesso termine (in alternativa al ricorso al T.A.R.), al difensore civico competente
per ottenere che venga riesaminata la determinazione. Se quest’ultimo ritiene illegittimo
il diniego o il differimento, lo comunica all’autorità disponente che dovrà provvedere nel
termine di 30 giorni dal ricevimento della richiesta. In mancanza l’accesso è consentito.
Nello stesso art. 25 si precisa che la competenza del difensore civico è ristretta agli
atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, mentre nei confronti delle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato il ricorso per riesame è inoltrato
presso la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi di cui all’art. 27
L. 241/1990 nonché presso l’amministrazione resistente.
Ordinamento amministrativo
3. La tutela del diritto di accesso