Pg. 05 In sala operatoria bisturi e microscopio

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DA SAPERE
LE NUOVE FRONTIERE
Il futuro della chirurgia ci riserva
sorprese veramente spettacolari,
derivate dalla tecnologia spaziale,
soprattutto dalla robotica.
Alcuni interventi in teoria possibili
con le tecniche microchirurgiche
non sono attuabili nella pratica
perché richiederebbero posizioni
delle mani del tutto innaturali,
completa assenza di un sia pur
minimo tremore e precisione millimetrica.
Il chirurgo, per quanto abile ed
esperto, non può superare i limiti
di movimento imposti dalla natura
all’essere umano, mentre tutto o
quasi è possibile per le “mani”
meccaniche di un robot, manovrate dal chirurgo attraverso un joystick simile a quelli che si usano
per i videogiochi.
Anche se in piccolissima percentuale, si effettuano già oggi interventi con questa tecnica, il cui impiego è però limitato dall’altissimo
costo delle attrezzature e dal particolare addestramento necessario per poter operare attraverso i
robot.
Tuttavia voci autorevoli affermano
che basterà una decina d’anni per
veder applicata su larga scala la
robotizzazione delle sale operatorie.
Uno scenario da fantascienza
che, comunque, non è ancora il limite estremo per la chirurgia del
domani.
Sono infatti già in corso i primi
esperimenti di chirurgia a distanza
e pare che fra qualche anno il chirurgo che si trova in un luogo potrà operare, manovrando a distanza con il joy-stick un piccolo robot, un paziente ricoverato in qualunque altro posto del mondo o intervenire immediatamente sulle
vittime di un infortunio senza muoversi da casa sua.
In sala operatoria
bisturi e microscopio
Accanto alla chirurgia tradizionale, tutt’ora validissima per un gran numero di interventi, si sono
ormai largamente affermate tecniche endoscopiche e microchirurgiche: le prime minimizzano i disagi
operatori, le seconde rendono possibile intervenire con estrema precisione su strutture molto piccole o
particolarmente delicate, come i nervi e i vasi sanguigni. E nel futuro, in sala operatoria ci saranno i
robot.
CHIRURGIA OGGI
F
ino ad una ventina
di anni fa, il motto
più citato in chirurgia era: “grande
chirurgo, grande
taglio”. Con buona pace dei
pazienti, che si vedevano
decorare di ampie cicatrici
e dovevano affrontare periodi post-operatori lunghi
e dolorosi, quel motto aveva una sua validità: al grande taglio corrispondeva infatti la libertà di manovra
che consentiva al bravo chirurgo di portare a termine
l’intervento in modo rapido, oltre che preciso ed efficace. Ma le cose sono cambiate da quando ha iniziato
a farsi strada la chirurgia
mininvasiva, chiamata anche endoscopica, che permette di sostituire il taglio
del bisturi con minuscole
incisioni attraverso le quali
vengono introdotti gli strumenti chirurgici. Questi ultimi consistono in tubi sottili come il gambo di una
rosa: in uno di essi è contenuto l’endoscopio (composto da un apparato ottico e
da una sorgente luminosa),
che riprende le immagini
all’interno del corpo e le
trasmette su un monitor ad
altissima definizione; altri
tubi contengono strumenti
miniaturizzati per tagliare,
cauterizzare, ricostruire, suturare e così via. Maneggiando questi tubicini il
chirurgo effettua l’intervento senza neppure toccare il
paziente, mentre il monitor
gli fornisce tutte le informa-
zioni necessarie per agire.
In campo ortopedico, ginecologico, neurochirurgico e
negli interventi sull’addome la chirurgia mininvasiva
è ormai largamente impiegata; anche la chirurgia plastica ed estetica si avvale
ormai il più possibile della
tecnica endoscopica che riduce al minimo le cicatrici,
“bestie nere” di ogni intervento estetico. La ripresa
postoperatoria del paziente
sottoposto ad intervento in
endoscopia è molto più rapida, tanto da consentire in
un buon numero di casi degenze brevissime o addirittura il rientro a casa in giornata; anche il dolore posto-
DA SAPERE
CHIRURGIA MININVASIVA PER CHI RUSSA
Forse non tutti sanno che il russamento si può
eliminare con il bisturi: la chirurgia tradizionale
offre infatti la soluzione con interventi che richiedono anestesia generale e ricovero ospedaliero. Si tratta, a seconda dei casi, di correggere eventuali deviazioni del setto nasale, ridurre l’ipertrofia dei turbinati, asportare eventuali polipi, ridurre le dimensioni dell’ugola (e,
quando occorre, della lingua), riposizionare la
mandibola se è troppo arretrata, e così via.
I disagi per il paziente sono tutt’altro che trascurabili, poiché a quelli derivanti dall’anestesia e dall’ospedalizzazione si aggiungono forte
mal di gola e difficoltà di deglutizione per alcuni
giorni nel caso di interventi sul palato molle e
sull’ugola; se si interviene sul naso bisogna invece tenere i tamponi nelle narici per 48-72
ore. Con le tecniche mini invasive è tutto infinitamente più semplice: niente ricovero, anestesia soltanto locale e soprattutto poco o niente
dolore.
Utilizzando il laser a diodi o la tecnica a radiofrequenze i turbinati nasali vengono ridotti di
volume, il palato molle e l’ugola vengono accorciati e irrigiditi (in modo da non vibrare più
come accade in chi russa), durante una seduta
operatoria che dura circa 30 minuti, al termine
della quale il paziente può tornarsene a casa
con le sue gambe pregustando il piacere di future notti... silenziose.
peratorio è ridotto al minimo. I vantaggi della tecnica
mininvasiva sono tali da far
prevedere la sua estensione
all’80% degli interventi nel
giro di una ventina d’anni.
Mentre la chirurgia endoscopica ha iniziato ad affermarsi nei primi anni ‘80, risalgono già alla metà del secolo scorso le tecniche, allora pionieristiche, della
microchirurgia, grazie alle
quali è possibile intervenire
su strutture tanto piccole
(anche delle dimensioni di
pochi millimetri!) da risultare non accessibili alla chirurgia tradizionale. Erano
gli albori di una branca chirurgica superspecialistica
alla quale dobbiamo quegli
interventi con un vago sapore di miracolo di cui
spesso parlano i mass-media. Laddove il chirurgo tradizionale spesso non può
fare altro che scuotere la testa e allargare le braccia per
dichiarare l’impossibilità di
un intervento, la microchirurgia si fa avanti e propone
soluzioni che al profano appaiono sbalorditive. Il tutto
grazie non alla bacchetta
magica, ma semplicemente
all’impiego del microscopio
per ingrandire il campo
operatorio, di aghi e fili miniaturizzati e, più recentemente, del laser.
Una delle principali applicazioni della microchirurgia è quella dei trapianti e,
più recentemente, dei reimpianti. Il primo reimpianto
di un dito amputato risale
al 1965: oggi grazie alla microchirurgia non solo si
reimpiantano parti del corpo amputate, come è stato
fatto per la mano, ma si riaprono arterie occluse, si ricuciono piccoli tronchi nervosi, si effettuano avveniristici trapianti d’organo, si
trattano molti casi di sterilità maschile e femminile,
si asportano neoplasie in
zone delicatissime del cervello, e chi più ne ha più ne
metta. La microchirurgia si
rivela particolarmente utile
per gli interventi sui bambini, per i quali è impiegata
soprattutto nelle patologie
dell’apparato uro-genitale;
ma anche altre branche specialistiche, come l’oftalmologia, l’otorinolaringoiatria
e la chirurgia plastica si avvalgono largamente di questa tecnica.
Il microscopio operatore e
un coagulatore bipolare
elettronico sono gli strumenti di base per questo tipo di chirurgia che però
non è alla portata di chiunque perché richiede, da parte dell’operatore, una grande abilità acquisita con l’addestramento e l’esperienza.
È infatti necessario che il
microchirurgo impari a maneggiare i suoi strumenti
“in punta di dita”, a controllare il normale tremore
della mano e ad interpretare correttamente l’informazione visiva fornita dal microscopio.
L’avvento della microchirurgia ha già consentito di
migliorare notevolmente la
qualità del lavoro operatorio e di diminuire i costi sociali di molte patologie; è
facile prevedere che in un
prossimo futuro saranno ulteriormente ampliati i suoi
campi di applicazione e
perfezionate le sue tecniche, con notevole progresso
delle possibilità di trattamento per molte patologie.
Bartolomeo Rizzi
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