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LA COINTESTAZIONE DEL CONTO CORRENTE BANCARIO NELL'INTERESSE DI
UNO SOLO DEI CONTITOLARI
Banca borsa tit. cred., fasc.4, 2011, pag. 469
Massimo Rubino De Ritis Classificazioni: CONTRATTI BANCARI - Conto corrente di corrispondenza
1. Le sentenze in epigrafe affrontano uno dei problemi che pone la cointestazione del conto
corrente bancario, relativamente alla determinazione della quota di appartenenza a ciascun
contitolare del saldo attivo. La questione, invero, si ripercuote anche nell'ipotesi in cui il saldo
risulti passivo per i correntisti, dato che, a fronte della solidarietà passiva nei confronti della banca,
possono aprirsi controversie tra i cointestatari in ordine al riparto interno del debito (1) .
Per risolvere il problema della divisione del saldo attivo tra contitolari, in giurisprudenza è
ricorrente il principio secondo cui trovino applicazione le norme in tema di solidarietà e, dunque,
l'art. 1298 c.c., in forza del quale sia il debito che il credito solidale si dividono in “parti” uguali,
salvo che non sia provato un diverso riparto (2) . Più frequente in dottrina è il richiamo alla
disciplina della comunione, così da risolvere in modo più ampio i problemi che si pongono non
solo nei rapporti interni tra cointestatari, ma anche tra costoro e la banca nonché i terzi, con
particolare riguardo alla posizione dei creditori di ciascun contitolare.
La determinazione della parte o della quota di appartenenza del saldo, tuttavia, non subisce
particolari conseguenze a seconda che si faccia ricorso alla disciplina della solidarietà (art. 1298
c.c.) oppure alla disciplina della comunione (art. 1101 c.c.), dato che entrambe prevedono una
presunzione di uguaglianza, salvo prova contraria (3) . Non vanno, però, a priori escluse
distinzioni nella scelta di richiamare le disposizioni in tema di solidarietà ovvero di comproprietà,
con particolare riguardo all'ipotesi, non rara, in cui la cointestazione sia stipulata in luogo di una
delega per porre in essere operazioni sul conto, con disgiunzione fra intestazione nominale del
conto e reale appartenenza del saldo. Ed è proprio il caso affrontato nelle sentenze che si
commentano.
La questione non è di limitata importanza. Non sono, infatti, rare le fattispecie esaminate dalla
Suprema Corte, nelle quali la cointestazione è utilizzata in luogo della rappresentanza, per
consentire operazioni presso lo sportello bancario da parte di uno dei cointestatari sempre e solo
nell'interesse dell'altro, al quale attribuire l'intero saldo di conto. L'utilizzo del banking on line, che
consente al titolare l'utilizzo del conto senza doversi personalmente recare in banca, se si possiede
un collegamento via internet (4) , non ha ridimensionato il fenomeno, che è molto diffuso. Anche
se l'art. 50, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, vieta l'apertura di “conti o libretti di risparmio” con
“intestazione fittizia”, non è illecito, anche solo per utilità pratiche nella gestione delle operazioni
con la banca, convenire che il conto sia intestato ad altri soggetti, che, nei rapporti interni, non
abbiano alcun diritto sulle somme disponibili. Per la banca, d'altronde, data la sussistenza della
solidarietà passiva, la cointestazione rappresenta solo un vantaggio, senza particolari difficoltà,
essendo, tra l'altro, previsto in base a quanto stabilito dalla disciplina convenzionale, che le
comunicazioni siano effettuate ad uno solo dei cointestatari, indicato nel contratto, anche per
l'esercizio dello ius variandiex art. 118 t.u.b.
Quando unico è il cointestatario a favore del quale sono eseguiti versamenti sul conto o,
comunque, allorquando le somme accreditate sono esclusivamente di pertinenza di un solo
contitolare (5) , la cointestazione del conto corrente bancario a firma disgiunta assolve, di fatto,
alle funzioni di una delega rilasciata dal titolare a un terzo, al quale pure viene intestato il conto,
per consentirgli qualsiasi atto di disposizione. Spesso, il “reale” titolare del conto non opera sullo
stesso o lo fa raramente, dando di volta in volta disposizioni agli altri cointestatari di farlo.
Non è, però, sempre facile dimostrare l'esistenza di un accordo interno tra contitolari in forza del
quale l'intero saldo attivo vada esclusivamente attribuito ad uno solo di essi, soprattutto in caso di
sua premorienza e conseguente insorgenda controversia tra tutti o alcuni dei chiamati all'eredità e
tra costoro e gli altri cointestatari (spesso anch'essi interessati all'apertura della successione).
2. Prima di analizzare nello specifico il problema del riparto per quote (o parti) del saldo del conto
tra contitolari, bisogna comprendere il significato dell'art. 1854 c.c., richiamato nelle sentenze che
si commentano, in quanto tale disposizione, come, in particolare, statuito nella sentenza 19
febbraio 2009, n. 4066, sembrerebbe non rilevare ai fini della soluzione del problema.
La questione è, innanzitutto, quella di accertare perché il legislatore, con tale norma, abbia
avvertito l'esigenza di stabilire la solidarietà passiva ed attiva solo in caso di operazioni in conto
corrente intestato a più persone, con facoltà di utilizzo disgiunto, e non per altri rapporti bancari.
La previsione della solidarietà — sia passiva che attiva — tra i cointestatari è, indubbiamente,
posta nell'interesse della banca: quella passiva agevola la restituzione del saldo alla banca; quella
attiva non solo rende più semplice l'esecuzione del rapporto (6) , ma anche consente alla banca di
dare corso alle disposizioni sul conto proveniente da uno degli intestatari, restando pienamente
liberata nei confronti degli altri. Però, poiché la solidarietà passiva si presume (art. 1294 c.c.), per
cui, anche quando manca il patto di cui all'art. 1854 c.c., i cointestatari rispondono solidalmente
(7) , l'importanza della disposizione in esame sta principalmente nello stabilire la facoltà per
ciascun correntista di disporre dell'intero saldo e non nei limiti della parte a lui spettante (8) . Di
conseguenza, il problema dell'effettiva determinazione della quota tra i cointestatari si pone anche
quando il conto è “a firma congiunta”: il fatto che le operazioni di addebitamento avvengano in
base ad operazioni ordinate necessariamente da tutti i contitolari non esclude un riparto diseguale
del saldo. Per i versamenti su conto a firma congiunta non occorre la partecipazione di tutti i
cointestatari e gli accreditamenti possono avvenire pure a favore di uno solo dei contitolari (ad
esempio, con un bonifico). Tali osservazioni preliminari meritano di essere approfondite.
La portata dell'art. 1854 c.c. è assai semplice. Per le operazioni in conto corrente, il legislatore
aggiunge, tra gli effetti della cointestazione del conto con facoltà di utilizzo disgiunto, la
solidarietà attiva a quella passiva di cui all'art. 1294 c.c. — propria di tutti i rapporti che
comportano un condebito e per la quale non occorreva certo una disposizione ad hoc — con un
duplice effetto: a) la banca si libera pagando all'uno o all'altro dei contitolari; b) ciascuno di questi
può isolatamente dagli altri disporre delle somme a credito (9) . L'art. 1854 c.c., infatti, pone una
regola per gli addebitamenti sul conto, disponendo che, se è pattuita la facoltà di utilizzo
disgiunto, ciascun correntista può prelevare l'intera somma a credito. Si badi, però, che tale regola
non ha implicazioni per i versamenti, che possono essere eseguiti individualmente da ciascun
correntista anche in caso di conto a firma congiunta. Perciò, quando le somme possono essere
prelevate dal conto solo congiuntamente, ciascuno dei contitolari può eseguire versamenti (più in
generale, può ordinare operazioni che danno luogo ad accreditamenti). La somma comunque
versata viene considerata nella disponibilità dell'intero gruppo dei cointestatari, solo che, se è
espressamente convenuta la mancanza di solidarietà attiva (art. 1854 c.c.), la banca può consentire
il prelievo soltanto da tutti in forma congiunta (10) .
Rispetto alla contitolarità del credito, risulta diverso il regime attuato con la cointestazione del
conto. Di regola, infatti, il singolo concreditore non può disporre dell'intero credito senza il
consenso degli altri, ma, in quanto contitolare, può sostituire altri a sé (attraverso un atto di
cessione della parte del credito di propria spettanza), secondo i princìpî espressi dagli artt. 1103 e
1108, comma 3º, c.c.: da un lato, la regola della legittimazione di ogni contitolare a disporre del
diritto nei limiti della propria quota e, dall'altro, quella del necessario esercizio collettivo del
potere di disposizione dell'intero credito consentono di conciliare l'esistenza di una pluralità di
titolari e l'unicità del diritto. Invece, con la cointestazione del conto, i correntisti — in forma
disgiunta o, come convenuto, congiunta — possono disporre dell'intero ammontare delle somme
risultanti a loro credito (art. 1852 c.c.) (11) — anche se la disponibilità è costituita da
accreditamenti avvenuti a favore di uno solo dei contitolari (12) — ma non possono, invece,
sostituire altri a sé.
Ciò consente di impostare correttamente il problema della divisione interna del saldo del conto tra
i correntisti.
3. Chiarita la posizione di ciascun contitolare del conto corrente, può esaminarsi il problema
affrontato nelle sentenze che si commentano, relativo alla suddivisione del saldo tra cointestatari
del conto. Invero, solo apparentemente è semplificata la prova contraria alla presunzione di
uguaglianza di quote, attraverso l'utilizzo della documentazione bancaria, previamente acquisita
dalla banca, per accertare la provenienza del danaro da parte di un determinato cointestatario del
conto. Infatti, l'elevato numero delle operazioni e la possibilità che a versamenti corrispondano
prelevamenti nell'arco di un breve periodo di tempo possono, però, rendere assai difficoltoso tale
accertamento, in quanto la movimentazione del conto può dar luogo alla formazione di quote
diverse in tempi diversi (13) , mentre in un normale regime di comunione si ha “costanza della
quota”, salvo variazioni dipendenti da atti di alienazione. La situazione che viene a generarsi nel
conto corrente è, dunque, assai particolare, perché è sufficiente un accredito disposto a favore di
uno solo dei contitolari (anche da parte di un terzo) per cambiare il valore di ciascuna quota.
Più in generale, la “variabilità” della quota di ciascun cointestatario dipende dagli atti dispositivi
sia di prelevamento (congiunto o disgiunto, a seconda della facoltà attribuita a ciascun contitolare)
che di versamento (in modo disgiunto anche nei conti a firma congiunta, come già acquisito (14) ).
In sostanza, se il saldo può dirsi “a formazione continua” (15) , anche la quota dei cointestatari è a
“variazione continua” (16) , a meno che, come nella fattispecie esaminata nella sentenza che si
commenta, unico sia il soggetto al quale attribuire l'intero saldo (mentre gli altri cointestatari
hanno “quota zero”, come esposto nel paragrafo che segue).
A complicare la concreta determinazione della quota, poi, si aggiungono le variegate questioni
“interne” che riguardano i contitolari, legati da vincoli di vario tipo (parentela, associativi), che
finiscono per avere riflessi al momento della determinazione giudiziale dell'effettiva quota
appartenente a ciascuno dei contitolari.
Molto frequente è il conto cointestato a coniugi, sia in regime di comunione che di separazione di
beni (17) , e spesso non è agevole determinare le parti che spettano a ciascuno di essi (18) , a causa
di ripetuti atti di liberalità tra gli stessi coniugi (19) , come è possibile anche tra contitolari per i
quali manchi un rapporto di parentela (20) .
La contitolarità del conto si è particolarmente diffusa anche nell'ambito dell'esercizio in comune di
attività economiche da parte di più soggetti, talvolta professionisti non legati da un formale
rapporto associativo, in relazione a determinati incarichi affidati congiuntamente da uno o più
clienti; oppure imprenditori o futuri soci di una costituenda società (21) . Peraltro, la
cointestazione di un conto corrente bancario è stata utilizzata dalla giurisprudenza quale indice
dell'esteriorizzazione di un rapporto sociale (22) .
Più in generale, ogni volta che sorge l'esigenza di una gestione comune di fondi da utilizzare per
una determinata attività (di godimento oppure produttiva, professionale e anche di impresa), i
soggetti interessati stipulano con la banca un conto corrente bancario a loro cointestato, così da
consentire — a tutti in modo congiunto oppure a ciascuno disgiuntamente sulla base di un'apposita
clausola contrattuale (c.d. conto a firma disgiunta) — l'immediata movimentazione dei fondi.
Capita, infatti, che versamenti o prelevamenti di somme disuguali dipendano più dalla soluzione di
vicende interne ai cointestatari (rimborso di somme anticipate, prelievo di importi per effettuare
pagamenti nell'interesse comune dei contitolari), che talvolta difficilmente si riesce a documentare
in sede giudiziaria. L'esistenza di vincoli associativi con quote diseguali (ad esempio,
un'associazione professionale) tra i cointestatari del conto ha indubbi riflessi anche nella
determinazione delle quote del saldo attivo da attribuire agli stessi contitolari, in quanto — anche
attraverso presunzioni — può ritenersi che il regime diseguale delle quote associative e di quelle
del conto corrente bancario sia lo stesso. Resta fermo che i membri della parte plurisoggettiva
possano anche convenire regole interne di risoluzione dei loro conflitti, attraverso patti, formulati
o meno in modo completo, dai quali, però, la banca resta estranea (23) .
In base a quanto esposto, la determinazione in sede giudiziaria delle singole quote da attribuire a
ciascun contitolare in modo diseguale non è agevole e, una volta eseguito l'accertamento, il
giudicato avrà rilievo solo per il saldo attivo formatosi nel determinato momento cui si riferisce la
sentenza, potendo le quote continuare a variare in costanza di rapporto. Solo qualora il rapporto
bancario si sciogliesse, per recesso della banca o per quello di uno dei contitolari, il regime di
comunione verrebbe definitivamente meno.
4. Diffusa, poi, è l'ipotesi in cui uno (o più) dei cointestatari non abbia — nei rapporti interni —
alcun diritto sulle somme disponibili, allorquando il conto corrente bancario sia stato stipulato e
“gestito” nell'interesse esclusivo di un determinato contitolare, in favore del quale si riferiscano
tutti gli accrediti. Ed è questo lo specifico tema affrontato nelle sentenze in esame (24) .
Va, in proposito, richiamato il principio per cui i vantaggi ed i pesi della comunione si dividono
tra i partecipanti in proporzione delle quote. In sostanza, la parità di trattamento, che importa
doveri e poteri di identico contenuto per tutti gli appartenenti al gruppo, è contemperato dal
criterio della proporzionalità, la cui derogabilità, di regola, non può portare alla totale esclusione
di uno dei contitolari dai vantaggi e/o dai pesi (25) . La questione attiene al rispetto del divieto del
patto leonino, violato se uno dei comunisti sia del tutto escluso sia dai pesi che dai vantaggi.
Invece, nel caso di obbligazioni solidali, va ricordato il valore prettamente “interno” della
divisione del credito e del debito per parti, per cui l'art. 1298 c.c. consente che i rapporti tra
coobbligati si possano atteggiare anche in modo da non determinare alcuna divisione del debito
(26) , mentre nella comunione l'attribuzione della contitolarità per quote ha valenza anche
“esterna”. Ciò ha particolare rilievo nell'ipotesi di esercizio delle azioni, anche esecutive, a tutela
del credito promosse da creditori del singolo cointestatario del conto (27) .
Per quanto concerne, in particolare, i rapporti tra cointestatari dei quali uno solo di essi, in base ad
accrediti avvenuti sempre in suo favore, è nei rapporti interni titolare dell'intero saldo, per cui al
momento della chiusura del conto nessuno degli altri può vantare alcun diritto sulle somme
disponibili, può ammettersi che sia stato, anche tacitamente, convenuto un accordo tra i contitolari
riassumibile nel contratto di mandato. Invero, come nella comproprietà può esservi accordo
interno tra i comunisti, perché, sulla base di intestazioni fittizie o interposizioni reali, le quote sono
formalmente intestate a più soggetti, ma unico è il reale titolare del diritto, così tale fenomeno può
essere riprodotto nella cointestazione del conto corrente bancario (28) . Ne discende come
corollario che, accertata l'esistenza dell'accordo tra contitolari sussumibile nel mandato senza
rappresentanza (29) , il reale titolare del saldo — allorquando le somme accreditate siano
esclusivamente di sua pertinenza — ha diritto a ricevere il rendiconto ex art. 1713 c.c. per le
operazioni poste in essere dagli altri cointestatari (30) .
La conclusione ha un indubbio rilievo pratico, soprattutto in caso di decesso del soggetto nel cui
unico interesse il conto era stato cointestato, in quanto i suoi eredi possono agire nei confronti del
contitolare che abbia “gestito” la disponibilità, chiedendo giustificazione di tutti i suoi ordini
impartiti alla banca (azione di rendiconto) (31) .
1. Le sentenze in epigrafe affrontano uno dei problemi che pone la cointestazione del conto
corrente bancario, relativamente alla determinazione della quota di appartenenza a ciascun
contitolare del saldo attivo. La questione, invero, si ripercuote anche nell'ipotesi in cui il saldo
risulti passivo per i correntisti, dato che, a fronte della solidarietà passiva nei confronti della banca,
possono aprirsi controversie tra i cointestatari in ordine al riparto interno del debito (1) .
Per risolvere il problema della divisione del saldo attivo tra contitolari, in giurisprudenza è
ricorrente il principio secondo cui trovino applicazione le norme in tema di solidarietà e, dunque,
l'art. 1298 c.c., in forza del quale sia il debito che il credito solidale si dividono in “parti” uguali,
salvo che non sia provato un diverso riparto (2) . Più frequente in dottrina è il richiamo alla
disciplina della comunione, così da risolvere in modo più ampio i problemi che si pongono non
solo nei rapporti interni tra cointestatari, ma anche tra costoro e la banca nonché i terzi, con
particolare riguardo alla posizione dei creditori di ciascun contitolare.
La determinazione della parte o della quota di appartenenza del saldo, tuttavia, non subisce
particolari conseguenze a seconda che si faccia ricorso alla disciplina della solidarietà (art. 1298
c.c.) oppure alla disciplina della comunione (art. 1101 c.c.), dato che entrambe prevedono una
presunzione di uguaglianza, salvo prova contraria (3) . Non vanno, però, a priori escluse
distinzioni nella scelta di richiamare le disposizioni in tema di solidarietà ovvero di comproprietà,
con particolare riguardo all'ipotesi, non rara, in cui la cointestazione sia stipulata in luogo di una
delega per porre in essere operazioni sul conto, con disgiunzione fra intestazione nominale del
conto e reale appartenenza del saldo. Ed è proprio il caso affrontato nelle sentenze che si
commentano.
La questione non è di limitata importanza. Non sono, infatti, rare le fattispecie esaminate dalla
Suprema Corte, nelle quali la cointestazione è utilizzata in luogo della rappresentanza, per
consentire operazioni presso lo sportello bancario da parte di uno dei cointestatari sempre e solo
nell'interesse dell'altro, al quale attribuire l'intero saldo di conto. L'utilizzo del banking on line, che
consente al titolare l'utilizzo del conto senza doversi personalmente recare in banca, se si possiede
un collegamento via internet (4) , non ha ridimensionato il fenomeno, che è molto diffuso. Anche
se l'art. 50, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, vieta l'apertura di “conti o libretti di risparmio” con
“intestazione fittizia”, non è illecito, anche solo per utilità pratiche nella gestione delle operazioni
con la banca, convenire che il conto sia intestato ad altri soggetti, che, nei rapporti interni, non
abbiano alcun diritto sulle somme disponibili. Per la banca, d'altronde, data la sussistenza della
solidarietà passiva, la cointestazione rappresenta solo un vantaggio, senza particolari difficoltà,
essendo, tra l'altro, previsto in base a quanto stabilito dalla disciplina convenzionale, che le
comunicazioni siano effettuate ad uno solo dei cointestatari, indicato nel contratto, anche per
l'esercizio dello ius variandiex art. 118 t.u.b.
Quando unico è il cointestatario a favore del quale sono eseguiti versamenti sul conto o,
comunque, allorquando le somme accreditate sono esclusivamente di pertinenza di un solo
contitolare (5) , la cointestazione del conto corrente bancario a firma disgiunta assolve, di fatto,
alle funzioni di una delega rilasciata dal titolare a un terzo, al quale pure viene intestato il conto,
per consentirgli qualsiasi atto di disposizione. Spesso, il “reale” titolare del conto non opera sullo
stesso o lo fa raramente, dando di volta in volta disposizioni agli altri cointestatari di farlo.
Non è, però, sempre facile dimostrare l'esistenza di un accordo interno tra contitolari in forza del
quale l'intero saldo attivo vada esclusivamente attribuito ad uno solo di essi, soprattutto in caso di
sua premorienza e conseguente insorgenda controversia tra tutti o alcuni dei chiamati all'eredità e
tra costoro e gli altri cointestatari (spesso anch'essi interessati all'apertura della successione).
2. Prima di analizzare nello specifico il problema del riparto per quote (o parti) del saldo del conto
tra contitolari, bisogna comprendere il significato dell'art. 1854 c.c., richiamato nelle sentenze che
si commentano, in quanto tale disposizione, come, in particolare, statuito nella sentenza 19
febbraio 2009, n. 4066, sembrerebbe non rilevare ai fini della soluzione del problema.
La questione è, innanzitutto, quella di accertare perché il legislatore, con tale norma, abbia
avvertito l'esigenza di stabilire la solidarietà passiva ed attiva solo in caso di operazioni in conto
corrente intestato a più persone, con facoltà di utilizzo disgiunto, e non per altri rapporti bancari.
La previsione della solidarietà — sia passiva che attiva — tra i cointestatari è, indubbiamente,
posta nell'interesse della banca: quella passiva agevola la restituzione del saldo alla banca; quella
attiva non solo rende più semplice l'esecuzione del rapporto (6) , ma anche consente alla banca di
dare corso alle disposizioni sul conto proveniente da uno degli intestatari, restando pienamente
liberata nei confronti degli altri. Però, poiché la solidarietà passiva si presume (art. 1294 c.c.), per
cui, anche quando manca il patto di cui all'art. 1854 c.c., i cointestatari rispondono solidalmente
(7) , l'importanza della disposizione in esame sta principalmente nello stabilire la facoltà per
ciascun correntista di disporre dell'intero saldo e non nei limiti della parte a lui spettante (8) . Di
conseguenza, il problema dell'effettiva determinazione della quota tra i cointestatari si pone anche
quando il conto è “a firma congiunta”: il fatto che le operazioni di addebitamento avvengano in
base ad operazioni ordinate necessariamente da tutti i contitolari non esclude un riparto diseguale
del saldo. Per i versamenti su conto a firma congiunta non occorre la partecipazione di tutti i
cointestatari e gli accreditamenti possono avvenire pure a favore di uno solo dei contitolari (ad
esempio, con un bonifico). Tali osservazioni preliminari meritano di essere approfondite.
La portata dell'art. 1854 c.c. è assai semplice. Per le operazioni in conto corrente, il legislatore
aggiunge, tra gli effetti della cointestazione del conto con facoltà di utilizzo disgiunto, la
solidarietà attiva a quella passiva di cui all'art. 1294 c.c. — propria di tutti i rapporti che
comportano un condebito e per la quale non occorreva certo una disposizione ad hoc — con un
duplice effetto: a) la banca si libera pagando all'uno o all'altro dei contitolari; b) ciascuno di questi
può isolatamente dagli altri disporre delle somme a credito (9) . L'art. 1854 c.c., infatti, pone una
regola per gli addebitamenti sul conto, disponendo che, se è pattuita la facoltà di utilizzo
disgiunto, ciascun correntista può prelevare l'intera somma a credito. Si badi, però, che tale regola
non ha implicazioni per i versamenti, che possono essere eseguiti individualmente da ciascun
correntista anche in caso di conto a firma congiunta. Perciò, quando le somme possono essere
prelevate dal conto solo congiuntamente, ciascuno dei contitolari può eseguire versamenti (più in
generale, può ordinare operazioni che danno luogo ad accreditamenti). La somma comunque
versata viene considerata nella disponibilità dell'intero gruppo dei cointestatari, solo che, se è
espressamente convenuta la mancanza di solidarietà attiva (art. 1854 c.c.), la banca può consentire
il prelievo soltanto da tutti in forma congiunta (10) .
Rispetto alla contitolarità del credito, risulta diverso il regime attuato con la cointestazione del
conto. Di regola, infatti, il singolo concreditore non può disporre dell'intero credito senza il
consenso degli altri, ma, in quanto contitolare, può sostituire altri a sé (attraverso un atto di
cessione della parte del credito di propria spettanza), secondo i princìpî espressi dagli artt. 1103 e
1108, comma 3º, c.c.: da un lato, la regola della legittimazione di ogni contitolare a disporre del
diritto nei limiti della propria quota e, dall'altro, quella del necessario esercizio collettivo del
potere di disposizione dell'intero credito consentono di conciliare l'esistenza di una pluralità di
titolari e l'unicità del diritto. Invece, con la cointestazione del conto, i correntisti — in forma
disgiunta o, come convenuto, congiunta — possono disporre dell'intero ammontare delle somme
risultanti a loro credito (art. 1852 c.c.) (11) — anche se la disponibilità è costituita da
accreditamenti avvenuti a favore di uno solo dei contitolari (12) — ma non possono, invece,
sostituire altri a sé.
Ciò consente di impostare correttamente il problema della divisione interna del saldo del conto tra
i correntisti.
3. Chiarita la posizione di ciascun contitolare del conto corrente, può esaminarsi il problema
affrontato nelle sentenze che si commentano, relativo alla suddivisione del saldo tra cointestatari
del conto. Invero, solo apparentemente è semplificata la prova contraria alla presunzione di
uguaglianza di quote, attraverso l'utilizzo della documentazione bancaria, previamente acquisita
dalla banca, per accertare la provenienza del danaro da parte di un determinato cointestatario del
conto. Infatti, l'elevato numero delle operazioni e la possibilità che a versamenti corrispondano
prelevamenti nell'arco di un breve periodo di tempo possono, però, rendere assai difficoltoso tale
accertamento, in quanto la movimentazione del conto può dar luogo alla formazione di quote
diverse in tempi diversi (13) , mentre in un normale regime di comunione si ha “costanza della
quota”, salvo variazioni dipendenti da atti di alienazione. La situazione che viene a generarsi nel
conto corrente è, dunque, assai particolare, perché è sufficiente un accredito disposto a favore di
uno solo dei contitolari (anche da parte di un terzo) per cambiare il valore di ciascuna quota.
Più in generale, la “variabilità” della quota di ciascun cointestatario dipende dagli atti dispositivi
sia di prelevamento (congiunto o disgiunto, a seconda della facoltà attribuita a ciascun contitolare)
che di versamento (in modo disgiunto anche nei conti a firma congiunta, come già acquisito (14) ).
In sostanza, se il saldo può dirsi “a formazione continua” (15) , anche la quota dei cointestatari è a
“variazione continua” (16) , a meno che, come nella fattispecie esaminata nella sentenza che si
commenta, unico sia il soggetto al quale attribuire l'intero saldo (mentre gli altri cointestatari
hanno “quota zero”, come esposto nel paragrafo che segue).
A complicare la concreta determinazione della quota, poi, si aggiungono le variegate questioni
“interne” che riguardano i contitolari, legati da vincoli di vario tipo (parentela, associativi), che
finiscono per avere riflessi al momento della determinazione giudiziale dell'effettiva quota
appartenente a ciascuno dei contitolari.
Molto frequente è il conto cointestato a coniugi, sia in regime di comunione che di separazione di
beni (17) , e spesso non è agevole determinare le parti che spettano a ciascuno di essi (18) , a causa
di ripetuti atti di liberalità tra gli stessi coniugi (19) , come è possibile anche tra contitolari per i
quali manchi un rapporto di parentela (20) .
La contitolarità del conto si è particolarmente diffusa anche nell'ambito dell'esercizio in comune di
attività economiche da parte di più soggetti, talvolta professionisti non legati da un formale
rapporto associativo, in relazione a determinati incarichi affidati congiuntamente da uno o più
clienti; oppure imprenditori o futuri soci di una costituenda società (21) . Peraltro, la
cointestazione di un conto corrente bancario è stata utilizzata dalla giurisprudenza quale indice
dell'esteriorizzazione di un rapporto sociale (22) .
Più in generale, ogni volta che sorge l'esigenza di una gestione comune di fondi da utilizzare per
una determinata attività (di godimento oppure produttiva, professionale e anche di impresa), i
soggetti interessati stipulano con la banca un conto corrente bancario a loro cointestato, così da
consentire — a tutti in modo congiunto oppure a ciascuno disgiuntamente sulla base di un'apposita
clausola contrattuale (c.d. conto a firma disgiunta) — l'immediata movimentazione dei fondi.
Capita, infatti, che versamenti o prelevamenti di somme disuguali dipendano più dalla soluzione di
vicende interne ai cointestatari (rimborso di somme anticipate, prelievo di importi per effettuare
pagamenti nell'interesse comune dei contitolari), che talvolta difficilmente si riesce a documentare
in sede giudiziaria. L'esistenza di vincoli associativi con quote diseguali (ad esempio,
un'associazione professionale) tra i cointestatari del conto ha indubbi riflessi anche nella
determinazione delle quote del saldo attivo da attribuire agli stessi contitolari, in quanto — anche
attraverso presunzioni — può ritenersi che il regime diseguale delle quote associative e di quelle
del conto corrente bancario sia lo stesso. Resta fermo che i membri della parte plurisoggettiva
possano anche convenire regole interne di risoluzione dei loro conflitti, attraverso patti, formulati
o meno in modo completo, dai quali, però, la banca resta estranea (23) .
In base a quanto esposto, la determinazione in sede giudiziaria delle singole quote da attribuire a
ciascun contitolare in modo diseguale non è agevole e, una volta eseguito l'accertamento, il
giudicato avrà rilievo solo per il saldo attivo formatosi nel determinato momento cui si riferisce la
sentenza, potendo le quote continuare a variare in costanza di rapporto. Solo qualora il rapporto
bancario si sciogliesse, per recesso della banca o per quello di uno dei contitolari, il regime di
comunione verrebbe definitivamente meno.
4. Diffusa, poi, è l'ipotesi in cui uno (o più) dei cointestatari non abbia — nei rapporti interni —
alcun diritto sulle somme disponibili, allorquando il conto corrente bancario sia stato stipulato e
“gestito” nell'interesse esclusivo di un determinato contitolare, in favore del quale si riferiscano
tutti gli accrediti. Ed è questo lo specifico tema affrontato nelle sentenze in esame (24) .
Va, in proposito, richiamato il principio per cui i vantaggi ed i pesi della comunione si dividono
tra i partecipanti in proporzione delle quote. In sostanza, la parità di trattamento, che importa
doveri e poteri di identico contenuto per tutti gli appartenenti al gruppo, è contemperato dal
criterio della proporzionalità, la cui derogabilità, di regola, non può portare alla totale esclusione
di uno dei contitolari dai vantaggi e/o dai pesi (25) . La questione attiene al rispetto del divieto del
patto leonino, violato se uno dei comunisti sia del tutto escluso sia dai pesi che dai vantaggi.
Invece, nel caso di obbligazioni solidali, va ricordato il valore prettamente “interno” della
divisione del credito e del debito per parti, per cui l'art. 1298 c.c. consente che i rapporti tra
coobbligati si possano atteggiare anche in modo da non determinare alcuna divisione del debito
(26) , mentre nella comunione l'attribuzione della contitolarità per quote ha valenza anche
“esterna”. Ciò ha particolare rilievo nell'ipotesi di esercizio delle azioni, anche esecutive, a tutela
del credito promosse da creditori del singolo cointestatario del conto (27) .
Per quanto concerne, in particolare, i rapporti tra cointestatari dei quali uno solo di essi, in base ad
accrediti avvenuti sempre in suo favore, è nei rapporti interni titolare dell'intero saldo, per cui al
momento della chiusura del conto nessuno degli altri può vantare alcun diritto sulle somme
disponibili, può ammettersi che sia stato, anche tacitamente, convenuto un accordo tra i contitolari
riassumibile nel contratto di mandato. Invero, come nella comproprietà può esservi accordo
interno tra i comunisti, perché, sulla base di intestazioni fittizie o interposizioni reali, le quote sono
formalmente intestate a più soggetti, ma unico è il reale titolare del diritto, così tale fenomeno può
essere riprodotto nella cointestazione del conto corrente bancario (28) . Ne discende come
corollario che, accertata l'esistenza dell'accordo tra contitolari sussumibile nel mandato senza
rappresentanza (29) , il reale titolare del saldo — allorquando le somme accreditate siano
esclusivamente di sua pertinenza — ha diritto a ricevere il rendiconto ex art. 1713 c.c. per le
operazioni poste in essere dagli altri cointestatari (30) .
La conclusione ha un indubbio rilievo pratico, soprattutto in caso di decesso del soggetto nel cui
unico interesse il conto era stato cointestato, in quanto i suoi eredi possono agire nei confronti del
contitolare che abbia “gestito” la disponibilità, chiedendo giustificazione di tutti i suoi ordini
impartiti alla banca (azione di rendiconto) (31) .
Note:
(1) La possibilità che il rapporto iniziale di disponibilità si formi indifferentemente da un deposito
bancario, da un'apertura di credito o da entrambi, l'ampia componente gestoria per lo svolgimento
del servizio di cassa nonché la regolamentazione nella forma tecnica del conto corrente hanno
fatto sì che l'attività delle banche nei rapporti con la clientela trovi un punto di riferimento
pressoché costante nel conto corrente bancario, che si pone come “ponte” tra la raccolta del
risparmio dei clienti e la concessione del credito, oltre che come “cornice” nella prestazione dei
servizi.Spesso, i clienti della banca richiedono la cointestazione non solo del conto corrente
bancario, ma anche di altri contratti, che si costituiscono “a valle” con la disponibilità venutasi a
formare con il primo: per tali fattispecie, v. Trib. Mantova, 14 aprile 2005, in www.ilcaso.it. Se il
conto corrente bancario è a firma disgiunta, non necessariamente gli altri rapporti si formeranno
con analogo potere disgiuntivo.
(2) Sulla presunzione di divisione del saldo per parti uguali nei conti correnti cointestati, salvo che
si provi il contrario, Cass., 26 ottobre 1981, n. 5584, in questa Rivista, 1982, II, 29; Cass., 9 luglio
1989, n. 3241, in questa Rivista, 1991, II, 1, secondo cui è rilevante che uno dei contitolari
dimostri la provenienza delle somme accreditate sul conto; Cass., 22 ottobre 1994, n. 8718, in
questa Rivista, 1995, II, 554; in Giust. civ., 1995, I, 972; in Giur. it., 1995, I, 1, 1522; Cass., 22
luglio 2004, n. 13663. Nella giurisprudenza di merito più recente, Trib. Salerno, 29 gennaio 2001,
in Giur. merito, 2002, 409; Trib. Nola, 23 aprile 2003, in Giur. merito, 2004, 1144; Trib. Genova,
4 gennaio 2008, in Guida al diritto, 2008, fasc. 9, 48. In dottrina, fra molti,
Maimeri-Nigro-Santoro, Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, 32 s.; Rubino De
Ritis, La cointestazione del conto corrente bancario, Torino, 2008, 37 ss.Il principio è applicato
anche per altri contratti bancari, come nel caso di contitolarità di cassette di sicurezza, dato che
dall'intestazione a più persone di una cassetta si desume la comproprietà delle cose depositate:
Cass., 20 settembre 1979, n. 4823, in questa Rivista., 1980, II, 268; in Arch. civ., 1980, 698; in
Giur. it., 1980, I, 1, 1689; Cass., 26 febbraio 1993, n. 2453, in questa Rivista, 1995, II, 24; in Vita
not., 1993, 1443; in Giur. it., 1994, I, 1, 1846. Nella giurisprudenza di merito, Trib. Parma, 20
maggio 1981, in questa Rivista, 1981, II, 343.La diversa divisione interna del saldo di conto
corrente bancario potrebbe avere anche riflessi penali: sul reato di appropriazione indebita
commesso da chi preleva somme dal conto cointestato, Cass., 31 marzo 1982, in questa Rivista,
1984, II, 19; in Riv. pen., 1983, 146; in Cass. pen., 1984, 50.
(3) La presunzione contenuta nell'art. 1298 c.c. è stabilita non tanto perché risponde alla normalità
dei casi, ma perché nel dubbio la legge non può stabilire diversamente, ignorando quale in
concreto sia l'interesse di ciascuno dei debitori o dei creditori (Rubino, Delle obbligazioni.
Obbligazioni alternative. Obbligazioni in solido. Obbligazioni divisibili ed indivisibili, in
Commentario Scialoja-Branca, 1968, 221). Analoga è la spiegazione che deve darsi all'art. 1101,
1º comma, c.c., che introduce una regola legale suppletiva, che rimedia all'indeterminatezza
dell'atto di acquisto o di quello costitutivo del rapporto nel modo più confacente (Fragali, La
comunione, III, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1983, 338 s.). Malgrado l'art. 1101 c.c.,
diversamente dall'art. 1298 c.c., non contempli la salvezza della prova contraria, come in
precedenza stabilito dall'art. 674 c.c. 1865, è sempre possibile provare che il principio legale non
corrisponda alla realtà, anche attraverso prove testimoniali, se ammissibili. Anche per il conto
corrente bancario deve ritenersi consentita la prova, anche per presunzioni, di una contitolarità del
saldo per quote diverse attribuite a ciascun cointestatario.
(4) I margini di sicurezza del banking on line attraverso username e password di accesso non sono
altissimi, soprattutto in caso di condivisione degli accessi alla rete da parte di più utenti. A ciò si
aggiungono le difficoltà dipendenti dalle procedure da seguire, senza il contemporaneo ausilio di
dipendenti della banca (ad esempio, inserimento codici IBAN, interruzione momentanea del
servizio, inserimento di ulteriori password per operare sulla disponibilità per importi superiori ad
un determinato ammontare). Il che non rende possibile l'impiego del servizio soprattutto ai
maggiori utenti di conti cointestati, ossia gli anziani, mal disposti all'utilizzo di nuove tecnologie.
Oltretutto, la possibilità del banking on line va esclusa, se i cointestatari desiderano disporre
congiuntamente del conto, come è di regola (salvo diverso accordo).
(5) Qualora il conto sia principalmente destinato all'accreditamento dello stipendio o della
pensione di uno dei cointestatari, non è difficile attribuire solo a lui il saldo attivo del conto. I
problemi sorgono, invece, quando vi siano più accreditamenti a seguito di ordini disomogenei per
tipologia e provenienza (con accrediti sporadici in favore anche di altri cointestatari) e quando vi
siano molte operazioni di prelievo a mezzo bancomat. Per la particolare ipotesi di apertura di
credito, successivamente perfezionata da uno solo dei contitolari, Trib. Cagliari, 6 luglio 2007, in
questa Rivista, 2009, II, 404, con nota di Tortora, ed ivi ulteriori riferimenti.
(6) Cfr. Salanitro, Le banche ed i contratti bancari, in Trattato Vassalli, VIII, 3, Torino, 1983, 138
ss., il quale considera ammissibile che le parti, nello stabilire la facoltà degli intestatari di
compiere operazioni pure in modo disgiunto, possano anche escludere l'applicazione della
disciplina della solidarietà attiva o altresì di quella passiva o di una parte di essa, malgrado, in tal
caso, la conseguente applicazione della disciplina delle obbligazioni parziarie mal si concilierebbe
con un rapporto plurisoggettivo regolato in conto corrente. E v., ancora, Santoro, Il conto corrente
bancario, in Commentario Schlesinger, Milano, 1992, 136.
(7) L'applicazione di principî generali comporta, comunque, solidarietà tra debitori e non è, perciò,
condivisibile l'opinione secondo cui la regola della solidarietà passiva sia propria del conto
corrente bancario e non possa essere estesa alle aperture di credito semplici ed ai depositi a
risparmio (Santoro (nt. 5), 136 s., per il quale « la regola della solidarietà passiva come effetto
inderogabile di legge è propria del c/c bancario e non può essere estesa alle aperture di credito
semplici ed ai depositi a risparmio in relazione ai quali devono, invece, trovare applicazione i
principî generali »).In proposito, va, tuttavia, aggiunto che l'applicazione della regola della
solidarietà passiva tra soggetti in regime di contitolarità di un diritto reale è stata superata dalla
Suprema Corte a Sezioni Unite, secondo cui, in caso di obbligazioni soggettivamente complesse, il
principio generale della solidarietà tra condebitori (art. 1294 c.c.) sarebbe valido solo se «
sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge per l'attuazione congiunta del condebito ». Il che,
secondo la Suprema Corte, non avverrebbe quando la prestazione sia divisibile: « in presenza di
un'obbligazione comune, ma naturalisticamente divisibile, quale è quella consistente nel
pagamento di una somma di danaro, verrebbe meno uno dei requisiti della solidarietà e prevale la
struttura parziaria dell'obbligazione » (così, in tema di debito condominiale, Cass., sez. un., 8
aprile 2008, n. 9148, in Foro it., 2008, I, 3255). Senza poter approfondire in questa sede
motivazioni che appaiono quanto meno confliggenti con il modello prescelto dal legislatore di
presunzione della solidarietà passiva, va ricordato che, anche dopo la criticabile pronuncia su
menzionata, la Cassazione ha ribadito l'operatività della regola generale di presunzione di
solidarietà passiva tra comproprietari: Cass., 4 giugno 2008, n. 14813, in Foro it., 2008, I, 3198.
(8) Non vi è alcun collegamento tra la solidarietà attiva e quella passiva, dato che può sussistere la
seconda pure in assenza della prima, come nel caso in cui i cointestatari operino congiuntamente,
restando solidalmente obbligati a pagare il saldo (Renda, La contitolarità dei depositi bancari,
Padova, 1981, 37 s.). Né è corretto ritenere che l'art. 1854 c.c. si limiti « a considerare creditori o
debitori solidali del saldo, gli intestatari del conto, operino essi congiuntamente o disgiuntamente
» (così, invece, Molle, I contratti bancari 4, in Trattato Cicu-Messineo, XXXV, 1, Milano, 1981,
508), dato che la disposizione stabilisce la solidarietà attiva solo se vi è facoltà di utilizzo
disgiunto. Del resto, che l'importanza dell'art. 1854 c.c. sia unicamente quella di aver disposto la
solidarietà attiva in capo ai contitolari con facoltà di utilizzo disgiunto del conto, è confermato
anche da chi ritiene che, allo scioglimento del contratto, siano ripristinati i principî generali, con
riguardo all'art. 1314 c.c., se il saldo è attivo, mentre, nel caso opposto, resta ferma la solidarietà
passiva dei contitolari del conto: così,Santoro (nt. 6), 142.
(9) La peculiarità della posizione del contitolare di un conto corrente bancario con facoltà di
utilizzo disgiunto rispetto a quella di un comune creditore solidale sta nella subordinazione di ogni
iniziativa della banca agli ordini di ciascun correntista: la banca non può pagare motu proprio,
quando vuole ed a chi vuole, se non ne riceve richiesta da parte di uno dei contitolari. Nel senso
che nei conti correnti plurisoggettivi, con facoltà per i contitolari di operare disgiuntamente,
l'applicazione delle norme sulla solidarietà attiva possa avvenire solo tenendo presente le
peculiarità del servizio di cassa fornito dalla banca, Muñoz-Planas, Cuentas bancarias con varios
titulares, Oviedo, 2002, 36 ss. E v., sulla situazione di disponibilità delle somme a credito, che
pone il correntista in posizione del tutto differente da quella di un comune creditore, Rubino De
Ritis (nt. 2), 44 ss.
(10) Cfr. Salanitro, Problemi in tema di depositi bancari, in Le operazioni bancarie, a cura di
Portale, I, Milano, 1978, 351 ss.; Id., voce Conto corrente bancario, in D. disc. priv., sez. comm.,
Torino, 1989, 8 ss., in part. 11. E v. anche Capobianco, Il deposito in conto corrente.Commento
alle norme bancarie uniformi, in questa Rivista, 1956, I, 98.
(11) Nel senso che il conto corrente bancario è figura nata per conseguire la finalità del servizio di
cassa che presuppone l'immediata disponibilità del saldo, diversamente dal conto corrente
ordinario, con cui si “congelano” temporaneamente i rispettivi crediti, Cavalli, Conto corrente I)
Contratto di conto corrente, in Enc. giur., VIII, Roma, 1998, 1 s.
(12) Gli importi relativi all'esecuzione di incarichi di riscossione anche provenienti da singoli
contitolari, alimentano il credito disponibile a favore di tutti i cointestatari.
(13) Anche quando, a seguito della stipula di un conto corrente cointestato, non vengono compiute
operazioni, un regime di contitolarità si attua comunque, indipendentemente dalla momentanea
assenza di annotazioni. La contitolarità del rapporto esiste ancor prima che si realizzi una
disponibilità sul conto, tanto che si può chiedere una diversa cadenza periodica dell'invio
dell'estratto conto (ad esempio, perché, essendo momentaneamente inutilizzato il conto, si
desidera limitare le spese di gestione) oppure modificare il destinatario delle comunicazioni della
banca.
(14) Sulla movimentazione del conto a firma congiunta anche con accrediti eseguiti su
disposizione o in favore di uno solo dei contitolari, v. supra n. 2.
(15) L'espressione è di Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario, I, Parte generale, Torino, 2004,
221 s.
(16) Si potrebbe immaginare una contitolarità per quantità rispetto ai beni facenti parte di una
massa costituita dall'insieme di beni fungibili, così come previsto dall'art. 939 c.c., in cui il diritto
solitario dei singoli partecipanti può essere ripristinato in qualsiasi momento mediante
“separazione” delle proprie cose rispetto a quelle appartenenti agli altri comproprietari (così,
Giorgianni, I crediti disponibili, Milano, 1974, 52 ss.). Tuttavia, nel caso di cointestazione del
conto a firma disgiunta, i singoli prelevamenti non possono considerarsi atti di separazione di una
comunione per quantità (atti di separazione dalla massa, costituita dal saldo di conto), perché
ciascun contitolare potrebbe anche prelevare l'intero, malgrado la disponibilità sia stata costituita
anche o unicamente da altri cointestatari, per cui non può essere esclusa la necessità di una
divisione al momento della chiusura del conto. Inoltre, il rapporto di conto corrente è unico, non
divisibile per quanti sono i contitolari [Rubino De Ritis (nt. 2), 104], mentre nella comunione pro
diviso ciascuno dei proprietari, che vuol dissolvere l'unità materiale (la massa), può ricorrere
all'azione di rivendicazione della propria cosa, in quanto manca una congiunzione giuridica (sulla
“correlazione di fatto” cui dà luogo la comunione pro diviso, Fragali, La comunione, I, in Trattato
Cicu-Messineo, Milano, 1973, 323 ss.).
(17) I problemi di cui si è occupata spesso la giurisprudenza riguardano le conseguenze della
separazione fra coniugi sul conto cointestato. Fra molte, Cass., 17 novembre 2000, n. 14897, in
ordine all'accertamento in concreto dell'oggetto della c.d. comunione de residuo ex art. 177, lett. c)
c.c. anche relativamente alle somme depositate sul conto corrente bancario cointestato fra i
coniugi e ritirate da uno di essi prima della separazione. In relazione ai problemi che sorgono in
caso di concessioni di credito in favore del singolo coniuge ovvero di entrambi, Piscitello,
Considerazioni sulle posizioni soggettive del cliente nei contratti bancari, in Riv. dir. comm.,
2005, I, 268 ss., ed ivi riferimenti.
(18) Se il conto è cointestato fra coniugi, sorgono spesso difficoltà nella determinazione delle due
quote in modo diseguale. Nel senso che tale presunzione può essere superata dall'allegazione di
più circostanze, purché precise e concordanti, v. Cass., 1º febbraio 2000, n. 1087, che ha
confermato la decisione di merito impugnata, secondo cui, nel caso di un conto cointestato fra
coniugi, può ritenersi sufficiente, per attribuire al solo marito l'appartenenza delle somme presenti
sul conto, circostanze ritenute rilevanti, quali la precedente intestazione al marito di altro conto
con saldo a suo credito superiore a quello del conto cointestato con la moglie, la durata breve del
matrimonio, l'impossibilità di risparmi familiari apprezzabili. Analogamente, in caso di
contitolarità tra coniugi di un deposito titoli, acquistati con somme provenienti dal conto corrente
bancario intestato solo ad uno dei coniugi, Cass., 29 aprile 1999, n. 4327, in Foro it., 2000, I,
2920; in Giust. civ., 2000, I, 460.
(19) Non può escludersi che la cointestazione di un rapporto bancario possa essere utilizzata per
realizzare in modo indiretto un intento liberale: ritiene valida la donazione indiretta effettuata
mediante cointestazione di libretti di deposito bancario e successivi versamenti, Trib. Catania, 25
marzo 1993, in Foro it., 1995, I, 696; in tema di contitolarità di deposito titoli in amministrazione,
Cass., 22 settembre 2000, n. 12552, in Giust. civ., 2001, I, 393. È, infatti, possibile provare la
sussistenza di una donazione indiretta di uno dei coniugi in favore dell'altro, non essendo
necessaria, ai sensi dell'art. 809 c.c., la forma di atto pubblico ex art. 782 c.c.: Cass., 10 aprile
1999, n. 3499, in Famiglia e diritto, 1999, 404; in Giur. it., 1999, 2017; Cass., 29 marzo 2001, n.
4623, in Riv. not., 2001, 1423; Cass., 16 aprile 2002, n. 5461, in Dir. autore, 2002, 319; in Dir. &
formazione, 2002, 821; in Foro it., 2002, I, 3143; in Giur. it., 2002, 1644; in Contr., 2003, 221; in
Giust. civ., 2003, I, 1085; in Riv. dir. ind., 2004, II, 3.La sola cointestazione del contratto, però,
non è da sola sufficiente a dimostrare la volontà di disporre a titolo di liberalità della metà dei beni
oggetto del contratto: così, in tema di contitolarità del contratto di custodia e amministrazione di
titoli a coniugi in regime di separazione di beni, Cass., 1º ottobre 1999, n. 10850, in Foro it., 2000,
I, 2919, secondo cui la cointestazione non è sufficiente a dimostrare la volontà del coniuge, con il
cui denaro i titoli sono stati acquistati, di disporre della metà dei beni a titolo di liberalità.
(20) Problemi analoghi si pongono per i conti cointestati a conviventi more uxorio: Trib. Torino,
24 novembre 1990, in Giur. it., 1992, I, 2, 428; Trib. Ferrara, 16 maggio 1997, in Studium iuris,
1997, 86, secondo cui, in caso di contitolarità di un conto corrente bancario con il convivente, i
successivi versamenti possono ravvisare una donazione remuneratoria indiretta, sottoposta alla
condizione della premorienza del donante; Trib. Savona, 10 giugno 2002, in Nuova giur. civ.
comm., 2003, I, 905. Non va, d'altronde, escluso il riconoscimento che riceve anche la c.d.
famiglia di fatto: in proposito, Trib. Bolzano, 20 gennaio 2000, in Giur. merito, 2000, 818, che
considera le somme a credito di un conto cointestato ai conviventi come destinate alle spese
riguardanti la famiglia di fatto, per cui vanno ritenute appartenenti in parti uguali ai contitolari,
malgrado nel caso concreto fosse pacifica l'esecuzione dei versamenti da parte di uno solo di loro.
(21) Può accadere che il conto corrente bancario sia aperto da più soggetti in vista della
costituzione di una società (v. la fattispecie esaminata da Cass., 21 gennaio 2004, n. 886), per il
pagamento anche delle spese necessarie per l'avviamento dell'attività sociale o per coprire i costi
correlati alle operazioni prima dell'iscrizione ex art. 2331 c.c., in base ad un patto intercorso tra i
soci. Ciò avviene anche per le resistenze di dottrina e giurisprudenza a riconoscere, alla stipula del
contratto ex art. 2328 c.c., l'effetto metaindividuale di dare luogo ad una società in formazione
(Vorgesellshaft, su cui Portale, La mancata attuazione del conferimento in natura, in Trattato
Colombo-Portale, 1***, 2004, 572 ss.), perché, diversamente, potrebbe ammettersi la stipulazione
di un conto corrente bancario da parte di una società per azioni non iscritta ex art. 2331 c.c. Sulle
diverse opinioni in proposito alla conclusione di contratti prima dell'iscrizione nel registro delle
imprese, Beltrami, La società prima dell'iscrizione nel registro delle imprese, in Il nuovo diritto
delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, 1, Torino, 2006, 355 ss., ed ivi
riferimenti.
(22) Cfr. App. Catania, 29 giugno 1991, in questa Rivista, 1992, II, 434, secondo cui la
cointestazione di un conto corrente bancario è circostanza idonea a ingenerare nei terzi ed anche
nella banca il convincimento che esso sia destinato all'esercizio dell'attività comune e che sussista
tra loro un vincolo sociale. E v. anche Trib. Roma, 9 novembre 1999, in Giur. it., 2000, 787.
D'altronde, la banca ed in generale i terzi restano del tutto estranei agli accordi intercorsi, in modo
spesso inespresso, tra i contitolari.
(23) I patti sono più frequenti quando il conto sia utilizzato nello svolgimento di attività
professionale o di impresa, ma la cointestazione presuppone un accordo, anche tacito, tra tutti i
contitolari circa l'utilizzo del conto, anche se non inerente ad attività produttive.
(24) Si tratta di vicenda simile a quella esaminata da Cass., 8 settembre 2006, n. 19305, secondo
cui, però, « il saldo di conto corrente bancario cointestato, con facoltà di disposizione disgiunta di
ciascuno dei contitolari, non può costituire credito “contratto nell'interesse esclusivo” di alcuno dei
contitolari del credito stesso, ai sensi dell'art. 1298 cod. civ., comma 1 », in quanto « ciò
contrasterebbe, infatti, con la funzione del contratto di conto corrente bancario, il quale è
finalizzato all'espletamento del servizio di cassa in favore — dunque nell'interesse — di tutti i
contitolari ». In senso conforme, Cass., 21 gennaio 2004, n. 886. Tuttavia, con tali decisioni la
Cassazione finisce per confondere il diritto di ciascun contitolare di disporre del saldo attivo, che
ha rilievo nei rapporti esterni al gruppo (con la banca), con la divisione (fra contitolari) del saldo,
anche in modo diseguale. È paradossale, infatti, ritenere ammissibile la prova della spettanza del
saldo per il 99,99% ad uno solo dei cointestatari, ma non per il 100% (come avviene se abbia
operato sempre e soltanto uno solo dei cointestatari).
(25) La questione è dibattuta, perché si ritiene che non possa esservi “una comproprietà senza
quote” (Fragali, La comunione, III, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1983, 331). Infatti, mentre
è pacifico che il secondo comma dell'art. 1101 c.c. sia derogabile, è incerto fino a che punto possa
spingersi la diversità fra quota di proprietà e quota dei vantaggi e dei pesi: Branca, Comunione e
condominio negli edifici, in Commentario Scialoja-Branca, 1972, 60 ss., secondo cui la quota dei
vantaggi e dei pesi è rilevante per le maggioranze ex art. 1105 e 1108 c.c. In proposito, v. anche
Fedele, 39, che ritiene valido il patto leonino nella comunione, se mira ad escludere uno o più
condomini da pesi, mentre sarebbe nullo se comporta esclusione dalla partecipazione ai vantaggi.
In merito, va, tuttavia, osservato che chi fosse escluso da pesi ma non da vantaggi parteciperebbe
alle deliberazioni ex artt. 1105 e 1108 c.c., ma non avrebbe interesse a limitare le spese
conseguenti all'amministrazione della cosa comune, sopportate dagli altri comproprietari. In realtà,
anche nella comunione il patto leonino deve ritenersi vietato in caso di esclusione della
partecipazione ai vantaggi o ai pesi e nulli devono ritenersi i patti congegnati in modo tale da
determinare la sostanziale esclusione di uno o più comproprietari dalla partecipazione ai vantaggi
o ai pesi. Tuttavia, affinché si abbia nullità, è necessario che tale esclusione avvenga senza una
giustificazione tra comunisti.
(26) Fra molti, Campobasso, Coobbligazione cambiaria e solidarietà disuguale, Napoli, 1974, 250
ss.
(27) Sull'azione del creditore del singolo contitolare della quota, Rubino De Ritis (nt. 2), 137 ss.
(28) Il problema si sposta all'accertamento del negozio in base al quale le parti del pactum fiduciae
regolano i rapporti interni, stabilendo gli obblighi posti a carico del fiduciario nei confronti del
fiduciante: così, in relazione ad un conto corrente bancario, intestato solo formalmente al coniuge,
Cass., 6 maggio 2005, n. 9402, in Foro it., 2006, I, 2167. E v. anche Cass., 23 gennaio 2004, n.
1149, secondo cui la mera titolarità formale di un conto corrente bancario non può da sola
costituire circostanza decisiva in ordine alla spettanza del saldo, dovendosi valutare in concreto se
sussista disgiunzione fra intestazione nominale del conto e reale appartenenza delle somme
depositate.
(29) Fra molte, Cass., 23 giugno 1998, n. 6246, in Vita not., 1999, 260.
(30) In tema di rendiconto in caso di conto corrente cointestato, Cass., 23 novembre 2006, n.
24866.
(31) Per l'applicazione del principio generale secondo cui, indipendentemente dalla divisione
interna del saldo, ogni cointestatario deve informare gli altri delle operazioni poste in essere e
delle informazioni ricevute dalla banca, Rubino De Ritis (nt. 2), 74 ss.
Archivio selezionato: Dottrina
(1) SULLA RESPONSABILITÀ SOLIDALE DEL CONIUGE NON STIPULANTE PER LE
OBBLIGAZIONI CONTRATTE NELL'INTERESSE DELLA FAMIGLIA
Dir. famiglia, fasc.3, 2009, pag. 1103
Concetta Pennisi - Avvocato
Classificazioni: CONIUGI (Rapporti patrimoniali tra) - Comunione dei beni - - legale
Con il matrimonio i coniugi instaurano tra loro un rapporto giuridico di natura personale e
patrimoniale.
Nell'ambito del rapporto di natura economica la dottrina ha, come è noto, da sempre operato una
distinzione di fondo tra un regime patrimoniale cosiddetto "primario" o "imperativo" (1), che
prescinde dal tipo di regime scelto dai coniugi, funzionale al sostentamento del nucleo familiare e
non suscettibile di modificazioni da parte dei coniugi, ed un regime definito secondario,
suscettibile di essere "personalizzato" dai coniugi in funzione delle loro esigenze ed afferente alle
diverse modalità di distribuzione della ricchezza familiare (2).
Il dovere primario di contribuzione (3) viene individuato nel nostro ordinamento negli artt. 143,
144, 147 e 148 c.c., e si articola nell'obbligo di ciascun coniuge, nei confronti dell'altro, di
contribuire, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e
casalingo, ai bisogni della famiglia, e nell'obbligo dei coniugi di concorrere anche
economicamente a mantenere, istruire ed educare la prole.
In ordine a tali obbligazioni ci si chiede, a prescindere dal regime patrimoniale d'ogni famiglia, se
il coniuge non contraente risponda solidalmente delle obbligazioni contratte dall'altro nell'interesse
della famiglia, e pertanto sia tenuto all'adempimento dell'intera obbligazione, con tutto il suo
patrimonio ai sensi dell'art. 2740 c.c. (4). Quindi, se si possa riconoscere al terzo creditore, verso il
quale il coniuge ha contratto un'obbligazione nell'interesse della famiglia, la possibilità di
aggredire anche il patrimonio dell'altro coniuge quale coobbligato solidale.
Il problema è sempre stato dibattuto dalla dottrina (5) e dalla giurispru denza (6), che risultano
essere divise, poiché una parte ritiene che da tale dovere discenderebbe una responsabilità solidale
dei coniugi per le obbligazioni assunte da ciascuno di essi, anche separatamente, nell'interesse
della famiglia (7), mentre altra parte esclude tale solidarietà, affermando la responsabilità di
ciascuno dei coniugi nei confronti dei terzi (8).
La questione si è posta anche prima della riforma del 1975, quando il contesto normativo (9) in cui
si inseriva il dibattito risultava profondamente differente rispetto a quello attuale (10), e dava
luogo, così, a soluzioni che oggi non possono più essere ritenute valide, in quanto "il marito
costituiva il punto di convergenza della unità familiare e della posizione della famiglia nella vita
sociale" (11).
Nel vigore della vecchia disciplina la giurisprudenza (12) aveva quasi sempre ritenuto valido il
principio per cui il marito era tenuto al soddisfacimento dei debiti assunti dalla consorte per le
necessità della famiglia, richiamando prevalentemente la tesi del mandato tacito (13) e la tesi della
rappresentanza legale (14).
In base alla prima tesi, la responsabilità del marito per le obbligazioni assunte dalla moglie si
faceva discendere dall'esistenza di un mandato tacito conferito dal marito, quale capo della
famiglia, all'altro membro, subordinato, della famiglia, cioè la moglie. Si sosteneva che la gestione
della casa e degli affari ad essa connessi era pacificamente affidata alla moglie, non per una
espressa volontà del marito, quanto, piuttosto, per la tradizionale prassi secondo cui era la donna
l'amministratrice della casa (15), e, come tale, era abilitata allo svolgimento degli affari finalizzati
a soddisfare i bisogni dome stici (16), sempre che essi non eccedessero il limite della normalità
rispetto alla posizione sociale della famiglia (17).
In base alla tesi della rappresentanza legale, il potere della moglie di contrarre obbligazioni per
conto della famiglia derivava direttamente da una rappresentanza conferita ex lege, desumibile
dall'abrogato art. 143 c.c. (18), che introduceva tra i coniugi l'obbligo della assistenza reciproca, e
dall'abrogato art. 145 c.c. (19), che poneva a carico del marito l'onere del mantenimento della
moglie (20).
Il marito era considerato responsabile non soltanto per le spese attinenti ai bisogni primari della
vita, quali, ad esempio, i trattamenti medici (21), ma anche per gli acquisti relativi alle normali
esigenze domestiche (22); l'unico limite era quello di ragguagliare il concetto di bisogno alla
condizione sociale della famiglia.
Già questi orientamenti erano stati superati da un parte della dottrina (23) ed anche dalla
giurisprudenza di legittimità (24) prima della Novella del 1975; in ogni caso, oggi detti
orientamenti non sono utilizzabili, attese le condizioni di parità dei coniugi e la scomparsa della
figura del marito quale "capo" della famiglia.
Successivamente alla riforma del diritto di famiglia la dottrina si è a lungo interrogata sulla
possibilità, per un coniuge, di assumere obbligazioni, nell'interesse della famiglia, di cui possa
essere chiamato a rispondere anche l'altro, atteso che con la riforma non è stata dettata alcuna
disposizione che abbia introdotto la solidarietà passiva del coniuge non stipulante per le
obbligazioni assunte dall'altro coniuge (25).
Oggi, il problema della responsabilità nei confronti dei terzi, in riferimento al dovere primario di
contribuzione, divide la dottrina: una parte ritiene che da tale dovere discenderebbe una
responsabilità solidale dei coniugi per le obbligazioni assunte da ciascuno di essi, anche
separatamente, nell'interesse della famiglia (26), un'altra parte nega l'esistenza di una
responsabilità solidale tra i coniugi nei rapporti esterni (27); tale contrapposizione si riflette anche
nella giurisprudenza (28).
Un primo argomento a sostegno della solidarietà passiva del coniuge non stipulante si basa sul
potere di ciascun coniuge di coinvolgere anche il patrimonio dell'altro nell'adempimento di
un'obbligazione contratta per i bisogni della famiglia, correlato al dovere di ciascuno di
provvedere a quei bisogni in proporzione alle proprie disponibilità finanziarie. Si sostiene che l'art.
143 c.c. abbia un rilievo esterno, e che da esso discenderebbe una sorta di potere di sostituzione
rappresentativa ex lege di ciascuno dei coniugi rispetto all'altro; ed, inoltre, che l'esclusione di tale
solidarietà metterebbe in crisi il sistema della reciproca obbligazione di contributo esistente a
carico di ciascun coniuge (29).
Inoltre, si è affermato che il dovere dettato dall'art. 147 c.c., e gravante su entrambi i coniugi, di
mantenere, istruire ed educare la prole, non avrebbe soltanto rilevanza interna, ma si
estrinsecherebbe anche nei rapporti esterni, e dunque nei confronti dei terzi in virtù di un mandato
tacito a compiere gli atti occorrenti e ad assumere le correlative obbligazioni con effetti vincolanti
per entrambi: per tale ragione le obbligazioni relative alle esigenze primarie della famiglia,
contratte anche da uno solo dei coniugi, hanno effetti vincolanti per entrambi (30).
Tra gli argomenti più convincenti vi è quello che si basa sul principio dell'apparenza del diritto
(31), avente di mira la tutela della buona fede del terzo, che postula, da un lato, uno stato di fatto
non corrispondente allo stato di diritto e, dall'altro, il ragionevole convincimento del terzo,
derivante da errore scusabile, che lo stato di fatto rispecchi la realtà giuridica, per cui, facendo egli
affidamento su una situazione giuridica non vera, ma solo apparente, e comportandosi in aderenza
ad essa, ha diritto di contare sulla manifestazione apparente, sebbene non conforme alla realtà. In
tale ipotesi sorge, indipendentemente dall'esistenza di una procura o di un rapporto contrattuale,
un'obbligazione a carico di colui che, con il suo comportamento commissivo o omissivo, abbia
ingenerato nei terzi di buona fede il giustificato affidamento di essere l'effettivo titolare del
rapporto giuridico.
L'esigenza di tutelare i terzi che abbiano fatto assegnamento su una situazione apparentemente
difforme dalla realtà giuridica sussiste, peraltro, nella misura in cui l'affidamento sia ragionevole.
Conseguentemente, in tanto il terzo che ha contratto con la moglie potrà invocare il principio
dell'apparenza giuridica, in quanto egli sia in buona fede e il suo affidamento sia ragionevole,
mentre il medesimo principio non potrà trovare applicazione in favore di chi versi in colpa per
aver omesso di accertare, in contrasto con le norme di comune prudenza, la realtà delle cose,
affidandosi alla mera apparenza (32).
Parallelamente agli orientamenti illustrati, che, peraltro, hanno trovato conferma anche fra i
giudici di merito (33), gran parte della giurisprudenza di legittimità ha prospettato un diverso
indirizzo, che esclude che il coniuge non contraente sia responsabile dei debiti assunti
individualmente dall'altro, quand'anche essi siano finalizzati al soddisfacimento di bisogni
familiari.
La prima rilevante osservazione della giurisprudenza di legittimità si è concentrata sull'assenza,
nel nostro ordinamento, di una regola come quella contenuta nell'art. 220 del codice civile
francese, che espressamente introduce la solidarietà passiva del coniuge non stipulante per le
obbligazioni assunte dall'altro coniuge per soddisfare i bisogni della famiglia (34), e che fa ritenere
che una necessaria solidarietà non esista. La questione era nota e dibattuta negli anni in cui veniva
elaborata la riforma e, quindi, non si può ipotizzare una distrazione del legislatore, quanto,
piuttosto, una sua precisa volontà di non introdurre una deroga così vistosa al principio posto
dall'art. 1372, comma 2°, c.c. (35).
Inoltre, il ruolo riconosciuto all'obbligo di contribuzione ex art. 143, comma terzo, c.c. non regge,
come peraltro argomenta in modo convincente la S.C.: "è pure certo che tra i coniugi, nell'interno
della coppia, ci si possa accordare nel senso che, nei limiti di una razionale, consensuale, divisione
dei compiti e degli oneri ex art. 144 c.c., ciascuno dei coniugi si impegni ad intervenire con
proprio denaro quando l'altro ha assunto una obbligazione nell'interesse della famiglia: o dando
denaro proprio all'altro coniuge perché questi adempia alla obbligazione assunta verso il terzo, o
adempiendo direttamente, in parte o per il tutto, appunto secondo gli accordi, nei confronti del
terzo" (36). Essendo, dunque, i coniugi a stabilire la natura e la misura dei contributi a carico di
ciascuno di essi (37), non si vede perché si consenta al terzo di intervenire in tale equilibrio,
decidendo di agire per l'intero contro uno dei due coniugi (38). E neppure può farsi ricorso alle
norme in materia di comunione, poiché la ratio su cui esse poggiano non permette una loro
applicazione analogica con riguardo al regime patrimoniale primario della famiglia (39). Ciò non
esclude la possibile operatività del principio dell'appa renza giuridica, ma soltanto in quanto il
ricorso a tale costruzione giuridica sia adeguatamente giustificato dalla sussistenza dei necessari
presupposti, non essendo sufficienti a tal fine la conoscenza, da parte del terzo, dello stato di
coniugato del contraente e la particolare natura e destinazione familiare dei beni compravenduti o
comunque oggetto del negozio (40). Dunque, appare corretto il principio, ribadito più di recente
dalla S.C., per cui soltanto l'esistenza di univoche indicazioni idonee ad ingenerare nel terzo un
ragionevole affidamento sull'esistenza di un mandato può dar luogo a tale situazione di apparenza,
non potendo essa venir configurata, ad esempio, nel caso di un trasloco, le cui operazioni si siano
svolte in completa assenza del preteso "mandante apparente" e sulla base dell'unica considerazione
che sul campanello della casa in cui sono stati trasportati i mobili apparisse solo il cognome di tale
soggetto (41).
La questione è stata affrontata, da ultimo, con la sentenza qui in commento, che ha escluso
un'obbligazione solidale laddove uno dei coniugi, di sua iniziativa e senza il consenso del coniuge
(separato), aveva iscritto le figlie minori ad una scuola privata: essendo rimasto insoluto il
pagamento della relativa retta, la scuola agiva in giudizio nei confronti di entrambi i genitori,
assumendo il carattere solidale dell'obbligazione.
Il genitore non stipulante, estraneo al contratto stipulato con la scuola, contestava il carattere
solidale dell'obbligazione ed i giudici di merito, in primo e in secondo grado, accoglievano tale
tesi, rigettando la domanda della scuola nei confronti di tale genitore.
Anche la Corte di Cassazione nega la responsabilità solidale dei coniugi nei confronti della scuola
sulla base del principio di diritto secondo cui: "Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta
dalla legge 19 maggio del 1975 n. 151, l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare
bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga
rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Il
principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei
beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo dell'invocabilità da parte del
creditore della garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti
di cui agli artt. 189 e 190 (nuovo testo) cod. civ. (42).
La Corte di Cassazione ha così stabilito che spetta al coniuge che si è assunto l'obbligo, e solo a
lui, pagare la retta della scuola privata che ha voluto fare frequentare alle figlie: non si tratta,
infatti, di un bisogno primario ed infungibile, come quello dell'istruzione dei figli, che ben avrebbe
potuto essere soddisfatto attraverso l'iscrizione a una scuola pubblica, ma solo del desiderio di uno
dei coniugi di vedere impartita ai propri figli una istruzione privata.
Se è innegabile che ogni debito contratto da uno solo dei coniugi nell'interesse della coppia e dei
figli comuni tocchi al "positivo" od al "negativo" anche il partner, anche ai sensi e per gli effetti di
cui agli artt. 143 e 147 c.c., è vero, altresì, che non ogni obbligazione contratta per la famiglia
possa essere considerata "solidale" (43): la solidarietà dei coniugi favorisce il terzo senza alcun
vantaggio per il nucleo domestico. Il sorgere di una responsabilità solidale, ben diversa, per es.,
dalla responsabilità personale prevista dall'art. 190 c.c., consente, infatti, al terzo creditore di agire
direttamente e per l'intero credito anche nei confronti del coniuge che non ha avuto e non ha alcun
rapporto diretto con lui, estendendo il novero dei soggetti coobbligati ed aumentando le possibilità
per il terzo creditore di vedere soddisfatte le proprie pretese, senza che da ciò derivi la necessità di
rivolgersi preventivamente all'effettivo contraente, a prescindere dalle sue maggiori o minori
disponibilità economiche.
Ferma restando, dunque, la regola di cui all'art. 1372 c.c., potrà riconoscersi una responsabilità
solidale del coniuge non agente solo quando, sulla base di un'analisi da svolgersi caso per caso,
possa ragionevolmente desumersi, dalle circostanze e dalla condotta delle parti, il tacito
conferimento di una procura da un coniuge all'altro e l'esplicita od implicita spendita del nome del
primo anche da parte del secondo, con il conseguente ragionevole convincimento del terzo che il
negozio sia stato stipulato anche in rappresentanza dell'altro coniuge (44).
Note:
(1) Il termine è mutuato dal diritto francese, in cui si parla di régime primarie imperatif,
espressione con la quale si individua l'insieme di norme obbligatoriamente applicabili ai rapporti
patrimoniali tra i coniugi, a prescindere dal c.d. regime secondario fra di essi vigente. Cfr. A.
Jannarelli, Il regime patrimoniale primario della famiglia, Napoli, 1981; S. Alagna, Famiglia e
rapporti tra i coniugi nel nuovo diritto, Milano, 1983, 333 ss.; A. Corsi, Il regime patrimoniale
della famiglia, in Tratt. di dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1979, 735 ss.; P.
Schlesinger, Il regime patrimoniale della famiglia, in Il nuovo diritto di famiglia, Milano, 1976,
735 ss.; A. Di Majo, Doveri di contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali tra i
coniugi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, 371 ss.; V. De Paola, Il nuovo regime patrimoniale della
famiglia, Milano, 1978: l'autore afferma l'inesistenza nell'ordinamento giuridico italiano, a
differenza di quanto avverrebbe in Francia, di un vero e proprio statuto fondamental de base ed
anche di "un potere di agire dei singoli coniugi nell'interesse della famiglia, con effetto imperativo
anche per la sfera patrimoniale dell'altro"; R. Caravaglios, Rapporti patrimoniali tra i coniugi e
presunzione muciana, Napoli, 1991, 143 ss.: l'autore rimarca la funzione svolta dagli artt. 143 e
144 c.c., che ritiene i referenti normativi del regime primario della famiglia, regime che è a monte
di qualsiasi altro regime particolare e secondario, e parla di esso come "la vera e sostanziale
rivoluzione della novella del 1975"; N. Scannicchio, Beni, soggetti e famiglia nel regime
patrimoniale e primario. Un'analisi comparata, Bari, 1992, 276 ss..
(2) Cfr. M. Sesta, Rapporti patrimoniali tra coniugi e obbligazioni assunte da un coniuge nel nome
dell'altro, nota a Cass. 7 luglio 1995 n. 7501, in Fam. dir., 1996, II, 142.
(3) Cfr. P. Stanzione, Comunione legale tra i coniugi e responsabilità per le obbligazioni assunte,
in questa Rivista, 1984, 1091 ss.: l'autore afferma che sono istituzionalmente obbligazioni
nell'interesse della famiglia quelle contratte o per il mantenimento della famiglia, ovvero per
l'istruzione e l'educazione dei figli, nonché quelle che obiettivamente realizzano l'indirizzo
familiare, avuto altresì riguardo al grado di capacità patrimoniale della famiglia stessa. Cfr.,
inoltre, Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, in Riv. dir. civ.,
1977, I, 624 ss.; Palermo, Obbligazioni solidali nell'interesse della famiglia?, in Riv. not., 1979, I,
497 ss.
(4) Cfr. Cass. 18 giugno 1990 n. 6118, in Foro it., 1991, I, 831, con nota di N. Scannicchio; in
questa Rivista, 1991, 488; in Corr. giur., 1990, 1125 ss., con nota di V. Carbone, Ha rilevanza
esterna l'obbligo di contribuire al soddisfacimento ed ai bisogni della famiglia?; ed in Giust. civ.,
1990, I, 2891 ss.; e, solo per la massima, in Riv. dir. civ., 1991, II, 631 ss., con nota di P.M.
Vecchi, Obbligazioni nell'interesse della famiglia e responsabilità solidale dei coniugi. Detta
sentenza trova un precedente conforme prima della riforma del 1975, in Cass. 7 ottobre 1975 n.
3177, in Foro it., 1975, I, 2447, e in Giust. civ., 1975, I, 1804; e dopo la riforma in Cass. 23
settembre 1986 n. 5709, in questa Rivista, 1987, 94 ss.
(5) Per la tesi della solidarietà, cfr. P.M. Vecchi, Obbligazioni nell'interesse della famiglia e
responsabilità solidale dei coniugi, cit. 631 ss.; Santoro Passarelli, Poteri e responsabilità
patrimoniali dei coniugi per i bisogni della famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, 1 ss.; A.
Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, cit., 609 ss.; R.
Perchinunno, Dovere di contribuzione e responsabilità per i debiti familiari, in Rass. dir. civ.,
1992, 631 ss., sottolinea come nella sentenza della Cassazione 28 aprile 1992 n. 5063 si avverte la
sensazione di una forte preoccupazione di non riconoscere "al creditore di una persona sposata"
una posizione di privilegio rispetto ad altri creditori; E. Quadri, Obblighi gravanti sui beni della
comunione, in La comunione legale, a cura di Bianca, Milano, 1989, 773, sostiene che non si può
trascurare la posizione dei terzi, su cui interessi, come creditori, viene, in definitiva, ad incidere
ogni scelta in materia; S. Alagna, Famiglia e rapporti tra coniugi nel nuovo diritto civile, cit., 305
ss.; N. Scannicchio, osservazioni alla sentenza 6118/90, cit., 832 ss.; A. Di Majo, Doveri di
contribuzione e regime dei beni nei rapporti patrimoniali tra coniugi, cit., 349 ss.; F. Corsi, Il
regime patrimoniale della famiglia, cit., 40 ss.; Costanza, Separazione dei beni e solidarietà
debitoria, in Giust. civ., 1990, I, 2892 ss.Per la tesi della non solidarietà, cfr. M. Sesta, Rapporti
patrimoniali tra coniugi e obbligazioni assunte da un coniuge in nome dell'altro, cit., 142 ss.; V.
Carbone, Ha rilevanza esterna l'obbligo di contribuire al soddisfacimento dei bisogni della
famiglia, cit., 1130 ss.; G. Cattaneo, Del regime di separazione dei beni, 1992, in Commentario al
diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 434, nota 9, osserva
che il silenzio del nostro legislatore "appare ancora più significativo se lo si pone a confronto con
quanto dispone il codice civile francese: "Chacun de époux a pouvoir pour passer seul les contrats
qui ont pour object l'entretien du ménage ou l'éducation des enfants: toute dette ainsi contractée
par l'un oblige l'autre solidairement" (art. 220, comma 1, così sostituito dalla l. n. 65-570 del 13
luglio 1965)"; Palermo, Obbligazioni solidali nell'interesse della famiglia?, cit., 517 ss.; A. Barale,
Responsabilità dei coniugi per le obbligazioni assunte nell'interesse della famiglia, in Fam. dir.,
2005, II, 153 ss.; Perego, Se in regime di separazione di beni un coniuge risponde per le
obbligazioni contratte dall'altro nell'interesse della famiglia, in Rass. dir. civ., 1987, 359; A. De
Cupis, Indirizzo della vita familiare e responsabilità patrimoniale, in Riv. dir. civ., 1985, II, 1 ss..
(6) Cass. 25 luglio 1992 n. 8995, in questa Rivista, 1994, 789; Cass. 7 luglio 1995 n. 7051, ibidem,
1996, 95 ed in Fam. dir., 1996, 140; Cass. 6 ottobre 2004 n. 19947, ibidem, 2005, 150; App.
Perugia 3 aprile 1987, in questa Rivista, 1987, 662; Pret. Brunico 28 ottobre 1988, in Rep. Foro it.,
1988, voce Famiglia, n. 62; Cass. 18 giugno 1990 n. 6118, cit.; che trova un precedente conforme
in Cass. 7 ottobre 1975 n. 3177, in Foro it., 1975, I, 2447 e in Giust. civ. 1975, I, 1804; Cass. 23
settembre 1986 n. 5709, in Rep. Foro it., 1986, voce Matrimonio, n. 173, ed in questa Rivista,
1987, 94 ss.
(7) Staglianò, In materia di obbligazioni contratte individualmente per i bisogni della famiglia: è
già solidarietà?, in questa Rivista, 1994, 85 ss.; F. Santoro Passarelli, Poteri e responsabilità
patrimoniale dei coniugi per i bisogni dalla famiglia, cit., 5; A. Falzea, Il dovere di contribuzione
nel regime patrimoniale della famiglia, cit., 623, ritiene che "la portata innovatrice del regime di
contribuzione accuserebbe un respiro troppo corto e la sua pretesa di criterio generale di
regolamento nel campo dei rapporti patrimoniali risulterebbe esagerata, se non fosse arricchito di
poteri di iniziativa che mettano in grado ciascuno dei coniugi di provvedere con efficacia e
prontezza al soddisfacimento dei bisogni della famiglia". Confermano la validità del c.d. principio
solidaristico anche E. Russo, Le convenzioni matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di
famiglia, Milano, 1983, 249 ss.; R. Perchinunno, Dovere di contribuzione e responsabilità per i
debiti familiari, cit., in cui l'autore sottolinea la scarsa attenzione dedicata alla portata dell'art. 144,
secondo comma, cod. civ., e chiarisce che "non si può negare che abbia riflessi esterni alla
famiglia, allorché si conferisce ai coniugi un potere ex lege di dare esecuzione agli accordi già
perfetti tra essi coniugi e, dunque, di compiere singolarmente atti con efficacia riflessa anche nei
confronti dell'altro coniuge"; Cass. 23 settembre 1996 n. 5709, cit., voce Matrimonio, n. 173 ss.
(8) Cfr. De Cupis, Indirizzo della vita familiare e responsabilità patrimoniale, cit., 2; Barchiesi,
Sull'obbligazione nell'interesse della famiglia, in Riv. dir. comm., 1994, 222; De Paola, Il diritto
patrimoniale della famiglia coniugale, III, Milano, 1996, 7 ss.; Oberto, Il regime di separazione dei
beni tra i coniugi, Milano, 2005, 153 ss. e 179 ss.
(9) Ai sensi dell'abrogato art. 144 c.c., "il marito (era) il capo della famiglia e la moglie seguiva la
condizione civile di lui, ne assume(va) il cognome ed (era) obbligata ad accompagnarlo ovunque
egli cred(esse) opportuno di fissare la propria residenza".Il vecchio regime sanciva
categoricamente la preminenza della figura del marito, sia nel governo della famiglia che nel
sostentamento di essa (art. 143 c.c. nella formulazione originaria); all'ampiezza dell'autorità
corrispondeva l'integrale sopportazione delle necessità economiche e l'obbligo di mantenimento.
La legge conferiva alla moglie poteri di amministrazione solo nelle ipotesi estreme di impossibilità
per il marito di provvedere alle esigenze del nucleo familiare.
(10) Il dibattito si era concluso col ritenere che il marito era impegnato per l'adempimento delle
obbligazioni contratte dalla moglie per provvedere alle esigenze della famiglia, a patto che
l'impegno assunto non eccedesse il livello economico determinato dal tenore di vita familiare: cfr.,
per tutte, Cass. 6 maggio 1957 n. 1529, in Giust. civ., 1958, I, 1724.
(11) Corte cost. 19 dicembre 1968 n. 126, in Foro it., 1969, I, 4. Pur richiamando l'illegittimità
costituzionale dell'art. 559, commi 1 e 2, c.p., nella parte in cui sanzionava l'adulterio della moglie,
la Consulta puntualizzò come, anche alla luce del dettato della Costituzione, la posizione del
marito restasse in ogni caso differente da quella della moglie nell'ambito del nucleo familiare.
(12) Cfr. App. Bologna 10 luglio 1933, secondo cui l'obbligazione alimentare del marito verso la
moglie, ai sensi dell'art. 132 c.c., non è limitata ad assicurare a costei lo stretto necessario per i
bisogni più urgenti della vita, ma si estende a tutto ciò che, a seconda delle entità delle sostanze
del marito, valga ad assicurare alla moglie quel tenore di vita che sia conforme alla posizione
sociale dei coniugi. Come la giurisprudenza, anche la dottrina riconosceva alla moglie la facoltà di
assumere obbligazioni per le necessità domestiche anche in assenza di specifica approvazione del
marito, a condizione che tali spese non eccedessero i limiti della normalità con riguardo
all'ordinario tenore di vita della famiglia: cfr., per tutti, F. Piccaluga, Sulle obbligazioni assunte
individualmente dai coniugi per i bisogni della famiglia: è solidarietà?, in questa Rivista, 2003,
723.
(13) La teoria era stata elaborata a cavallo tra i secoli XIX e XX in Francia sotto il nome di mandat
domestique, dapprima applicata nei contratti conclusi dalla moglie nell'interesse della famiglia, e
successivamente estesa alla convivenza more uxorio, per poi essere abbandonata con l'abrogazione
della autorisation maritale. Sull'argomento, e per i riferimenti in dottrina e giurisprudenza, cfr. G.
Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano 1991, 272 ss. Sul mandato tacito nel
diritto francese, v. Baudry Lancantinerie, Dei contratti aleatori, del mandato, della fideiussione e
della transazione, in AA.VV., Trattato teorico-pratico di diritto civile, Milano, 1911, 262 ss.;
Randegger, La responsabilità del marito per i debiti della moglie, in Giur. compl. Cass. civ., 1953,
V, 7 ss.; Miele, Responsabilità del marito per le obbligazioni assunte dalla moglie, in Giur. it.,
1954, I, 385 ss.; Ferrara, Il diritto delle persone e della famiglia, Napoli, 1941, 268 ss.; cfr. Cass. 6
maggio 1957 n. 1529, in Rep. Foro it., 1957, voce Matrimonio, n. 141 ss.; Cass. 25 maggio 1955
n. 1558, ibidem, 1955, voce Matrimonio, n. 120 ss.; Cass. 18 maggio 1953 n. 1407, in Foro it.,
1953, I, 1615 ss.
(14) Cfr. Cass. 27 luglio 1935 n. 3079, in Foro it., 1936, I, 1660 ss. e in Giust. civ., 1958, 44; Cass.
13 luglio 1935 n. 2755, in Foro it., 1936, I, 1161 ss.; Cass. 18 maggio 1953 n. 1407, in Giust. civ.,
1953, 1632 ed in Giur. it., 1954, I, 380 ss., con nota di Miele, Responsabilità del marito per le
obbligazioni della moglie; Cass. 25 maggio 1955 n. 1558, in Giur. it., 1954, I, 798 ss.; Cass. 6
maggio 1957 n. 1529, in Giust. civ., 1958, I, 331 ss., con nota di Stella Richter, Debiti contratti
dalla moglie nell'interesse della famiglia e responsabilità del marito.
(15) La Schlusselgewal del diritto germanico, "detentrice del potere (Gewalt) delle chiavi",
riconosceva alla moglie il potere di rappresentare il marito entro la sfera dell'attività domestica:
cfr. G. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., 272 ss.; cfr., inoltre, Piccaluga, op.
cit., 724.
(16) Cass. 18 febbraio 1938 n. 554, in Rep. Foro it., 1938, voce Matrimonio, n. 78, 79; Cass. 18
maggio 1953 n. 1047, in Giur. compl. Cass. civ., 1953, I, 221, con nota di Randegger; in Giur. it.,
1954, I, 380, con nota di Miele, in cui si distingue tra profilo obiettivo e subiettivo, concernenti
rispettivamente il dovere attribuito al marito per la sua posizione di capo famiglia e la tacita
procura rilasciata da quest'ultimo alla moglie per il buon andamento della società familiare; Cass.
6 maggio 1957 n. 1529, in Giust. civ., 1957, I, 1724; Cass. 20 dicembre 1898, in Foro it., 1899, I,
201; Trib. Napoli 11 marzo 1931, in Rep. Foro it., 1931, voce Matrimonio, n. 94, 95; App. Napoli
13 maggio 1914, ibidem, 1914, voce Matrimonio, n. 103; la recente dottrina ha ravvisato nella
rappresentanza tollerata un esempio tipico di procura tacita, nel senso che una delle più ricorrenti
fattispecie di rappresentanza apparente fondi la sua rilevanza nella reale volontà del rappresentato,
che, in modo pienamente valido ed efficace, abbia tacitamente conferito i poteri al rappresentante:
cfr. G. Curti, Obbligazioni contratte da un solo coniuge e rappresentanza tollerata: un caso di
procura apparente, in questa Rivista, 1997, 1297 ss.
(17) Cass. 27 luglio 1035, in Foro it., 1935, I, 1660, in base alla quale l'obbligo del marito doveva
intendersi esteso anche agli acquisti compiuti dalla moglie per il vestiario a lei occorrente, a
prescindere sia dalla condizione economica della donna, sia dal criterio del bisogno.
(18) In base al quale matrimonio imponeva ai coniugi l'obbligo reciproco della coabitazione, della
fedeltà e dell'assistenza. La norma introduceva l'obbligo di assistenza reciproco dei coniugi, che,
per essere adempiuto dalla moglie, avrebbe necessariamente presupposto un potere, sussistente in
capo alla donna, di governo del focolare e, dunque, di autonomo svolgimento degli affari
domestici nel nome del marito. Siffatto potere era limitato all'assunzione delle obbligazioni
connesse ai bisogni della famiglia e proporzionate alla condizione economica della coppia: cfr. F.
Santoro Passarelli, Poteri patrimoniali dei coniugi e ripartizione degli oneri matrimoniali, in Riv.
dir. priv., 1935, I, 57 ss.
(19) In forza di quanto disponeva l'abrogato art. 145 del codice civile, mentre il marito aveva il
dovere di somministrare alla moglie, in proporzione alle sue sostanze, tutto ciò che è necessario ai
bisogni della vita (primo comma), la moglie era tenuta a contribuire al mantenimento del marito
(solo) se questi non aveva mezzi sufficienti (secondo comma).
(20) Va ricordato che la Corte Costituzionale con sentenza del 13 luglio 1970 n. 133, in Giur.
cost., 1970, 1605, dichiarò: "la illegittimità costituzionale dell'art. 145, primo comma, del codice
civile, nella parte in cui non subordina alla condizione che la moglie non abbia mezzi sufficienti il
dovere del marito di somministrarle, in proporzione delle sue sostanze, tutto ciò che è necessario
ai bisogni della vita", perché in contrasto con l'art. 29 Cost.
(21) Per una completa esposizione della c.d. teoria della "rappresentanza legale" si rimanda a
Mosco, La rappresentanza volontaria in diritto privato, Napoli, 1961, 230 ss., che attribuiva alla
moglie la veste di rappresentante legale del nucleo familiare. V. anche F. Santoro Passarelli, Poteri
patrimoniali dei coniugi e ripartizione degli oneri matrimoniali, cit., 57 ss.: "La famiglia non può
non essere un organismo anche economico, il quale, come ha bisogni propri, così deve avere i
mezzi per provvedere ai medesimi. Il diritto non può prescindere dall'essenziale organizzazione
economica del coniugio, come prima forma e base della famiglia"; V. Lojacono, La potestà del
marito nei rapporti personali tra coniugi, Milano, 1963, 225 ss. Cfr. inoltre, App. Genova 18
gennaio 1891, in Rep. Foro it., 1891, voce Matrimonio, n. 20.
(22) Cass. 27 luglio 1935, in Foro it., 1935, I, 1660; Cass. 6 maggio 1957 n. 1529, in Giust. civ.,
1958, 244; Cass. 18 maggio 1953 n. 1047, ibidem, 1953, 1632; Cass. 25 maggio 1955 n. 1558, in
Giust. civ. Mass., 1955, 578.
(23) F. Santoro Passarelli, Poteri patrimoniali dei coniugi e ripartizione degli oneri patrimoniali,
cit., 57 ss.; G. Stella Richter, Debiti contratti dalla moglie nell'interesse della famiglia e
responsabilità del marito, cit., 331; T. Miele, Responsabilità del marito per le obbligazioni assunte
dalla moglie, cit., 379. In ordine al mandato tacito si osserva che la teoria si fonda su una finzione
giuridica, in quanto qualsiasi mandato, pur essendo tacito, deve essere in ogni caso volontario,
riconducibile a comportamenti concludenti. In ordine alla rappresentanza ex lege si è sottolineato
che essa è un'istituto posto a tutela degli incapaci e non di chi provvede ai propri affari per mera
impossibilità temporanea o per abitudine, poiché la situazione in cui era la moglie ad occuparsi
degli affari domestici derivava da una scelta consapevole e volontaria del marito, e non da
un'imposizione della legge.
(24) Cass. 7 ottobre 1975 n. 3177, in Foro it., 1975, I, 2447 e in Giust. civ., 1975, I, 1804, in
riferimento al regime patrimoniale della famiglia anteriore alla Novella del 1975, escluse che il
coinvolgimento del coniuge non stipulante potesse trarre fondamento da teorie riferite alla
"procura tacita" (che ha pur trovato adesione in Cass. 23 settembre 1986 n. 5709), alla
"rappresentanza volontaria", alla "rappresentanza legale", all'"utile gestione", e all'"azione
surrogatoria". Inoltre, la sentenza della Cassazione afferma che per il riferimento alla
rappresentanza volontaria fondata su una procura tacita sarebbe necessario accertare, caso per
caso, come per qualunque manifestazione tacita di volontà, un comportamento del marito, che, per
la sua concludenza e per la sua conseguente incompatibilità con una volontà diversa, consenta di
dedurre la volontà di lui di conferire alla moglie una procura a rappresentarlo (sent. n. 3177/75,
cit.).
(25) Come, invece, vi sono negli ordinamenti stranieri, quale quello francese (art. 220 code civil,
più volte richiamato).
(26) R. Perchinunno, Dovere di contribuzione e responsabilità per i debiti familiari, cit., in cui
l'Autore sottolinea la scarsa attenzione dedicata alla portata dell'art. 144, comma secondo, code
civil, che attribuisce a ciascun coniuge, anche separatamente, il potere di attuare l'indirizzo della
vita familiare concordato; cfr. G. Gabrieli, I rapporti patrimoniali tra i coniugi, Trieste, 1981, 18;
condivide la tesi della solidarietà F. Santoro Passarelli, Poteri e responsabilità patrimoniali dei
coniugi per i bisogni della famiglia, in Diritto di famiglia. Raccolta di scritti in onore di Rosario
Nicolò, Milano, 1982, 422, il quale propone un allineamento dell'art. 144, comma secondo, agli
orientamenti seguiti da altri ordinamenti, molto vicini al nostro, come quelli accolti nell'art. 220
cod. civ. francese; A. Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia,
cit., 523.
(27) M. Sesta, Obbligazioni assunte da un coniuge del nome dell'altro, cit., 142; Barale,
Responsabilità dei coniugi per le obbligazioni assunte nell'interesse della famiglia, cit., 155 ss.; G.
Cattaneo, Del regime di separazione dei beni, cit., 430.
(28) A sostegno della solidarietà cfr. Cass. 23 settembre 1986 n. 5709, in questa Rivista, 1987, 95;
Cass. 25 luglio 1992 n. 8995, ibidem, 1994, 79, con nota di Staglianò; Cass. 7 luglio 1995 n. 7501;
contra, cfr. Cass. 4 agosto 1998 n. 7640; Cass. 28 aprile 1992 n. 5063 in Giur. it. 1993, 1063, con
note di V. Carbone e F. Cimei; Cass. 4 agosto 1998 n. 7640, in Giust. civ., 1999, 791; Cass. 4
giugno 1999 n. 5487, in Fam. dir., 1999, 496; Cass. 18 giugno 1990 n. 6118, cit., dove si esclude
la responsabilità dei coniugi per le obbligazioni contratte in vista del soddisfacimento dei bisogni
familiari, poiché, anche in regime di comunione, non vi è una deroga al principio per cui (ai sensi
dell'art. 1372, 2° comma, c.c.) il contratto non produce effetti rispetto ai terzi che nei casi previsti
della legge, onde il coniuge del contraente non risponde solidalmente dell'obbligazione assunta
dall'altro personalmente per soddisfare bisogni familiari.
(29) Cfr. R. Perchinunno, Dovere di contribuzione e responsabilità per i debiti familiari, cit., 637.
L'Autore sottolinea come la responsabilità anche dell'altro coniuge possa costituire un correttivo e
una garanzia contro l'inosservanza degli impegni assunti con gli accordi interni. Quindi, la
solidarietà passiva, anziché disgregare, corregge e rende concretamente operante la regola di cui
agli artt. 143 e 144 cod. civ. ed essa giova all'interesse della famiglia anche se attraverso
l'attribuzione di una posizione di privilegio a favore del creditore. L'Autore lamenta il fatto che
manca il dovuto rilievo dell'interesse familiare. Non v'è dubbio, infatti, che, riconoscendo un tale
privilegio al creditore, si corre il rischio di far pagare due volte allo stesso coniuge il medesimo
debito; ma va anche detto che, se l'obbligazione non dovesse essere adempiuta, non si
realizzerebbe, il più delle volte, l'interesse familiare per il quale il debito è stato contratto. Sulla
nozione di interesse familiare si veda anche P.M. Vecchi, Obbligazioni nell'interesse della
famiglia e responsabilità solidale dei coniugi, cit., 631 ss. Della stessa opinione è A. Falzea, Il
dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, cit., 609 ss. Ancora R.
Perchinunno, op. ult. cit., 638, sostiene che la misura della contribuzione a carico di ciascuno dei
coniugi non è affidata alla discrezionale valutazione di costoro. Infatti, essi possono concordare le
modalità della contribuzione, ma non il quantum, che resta esclusivamente consegnato al criterio
proporzionale di valutazione delle sostanze e delle capacità di lavoro professionale e casalingo,
così come stabilisce la legge. Sull'uguaglianza della contribuzione si veda anche M. Paradiso, La
comunità familiare, Milano, 1984, 379. Inoltre, il fondamento della solidarietà è stato ravvisato
nell'art. 144, comma 2, cod. civ., il quale attribuisce a ciascuno dei coniugi il potere di attuare
l'indirizzo della vita familiare, come da essi concordato (art. 144, comma 1, c.c.). Si afferma che,
se non si riconoscesse efficacia esterna a questo potere di attuazione attribuito ai coniugi, la norma
in esame si risolverebbe in una semplice riaffermazione del principio già sancito dall'art. 143 c.c.:
cfr. Falzea, Il dovere di contribuzione nel regime patrimoniale della famiglia, cit., 623.
(30) Cass. 25 luglio 1992 n. 8995, in questa Rivista, 1994, 79, con nota cit. di Staglianò. Secondo
la S.C., "Pur dovendosi riconoscere, in linea generale, che solo il coniuge che abbia personalmente
stipulato l'obbligazione per contribuire al soddisfacimento dei bisogni della famiglia risponde del
debito contratto, non si può non fare deroga a tale principio allorché l'obbligazione riguardi un
bisogno primario della famiglia, quale quello della salute dei suoi componenti, ed allorché a ciò si
aggiunga il profilo dell'affidamento, ingenerato dagli stessi coniugi col loro comportamento, che
l'obbligazione sia stata contratta anche per conto del coniuge stipulante. Tale deroga fa leva
proprio sull'obbligo di ciascuno dei coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia e sull'interesse
superiore della stessa come società naturale e fondamentale del vivere civile, per giustificare la
compressione del principio dell'autonomia dei privati, o, più specificamente, del principio
dell'autonomia contrattuale, sancito edittalmente dall'art. 1322 c.c., e confermato dal secondo
comma dell'art. 1372 c.c. e, sotto il profilo della responsabilità, dall'art. 2740 c.c.". Sul punto, cfr.
anche A. Musy, Il coniuge massaio va dal dentista, in Giur. it., 1993, I, 1511.
(31) Il principio dell'apparenza giuridica ha ricevuto un esplicito riconoscimento in diverse norme
del codice civile (artt. 534, comma secondo, 1189, 1159, 1729, 1835 c.c.), in cui si è avvertita
l'esigenza di tutelare l'affidamento del terzo in buona fede, così da garantire una maggiore certezza
nei traffici giuridici. Per un approfondimento, cfr. Carbone, Il comportamento tra le parti tra
apparenza e affidamento, in Giur. it., 1993, I, 1, 1040 ss.; Cass. 7 luglio 1995 n. 7501, in questa
Rivista, 1996, 95; in Fam. dir., 1996, 140, con nota cit. di M. Sesta; contra, Petrella, Effetti
dell'acquisto da parte di un coniuge e responsabilità personale per chi lo compie. L'apparenza
inganna, in Giust. civ., 1996, 2371.
(32) Cfr., per il principio dell'apparenza giuridica, tra le tante, Cass. 7 luglio 1995 n. 7051, in
questa Rivista, 1994, 79. Sebbene la decisione si fondi sull'esposto principio, in motivazione si
sfiora anche la possibilità che la responsabilità del coniuge estraneo al compimento
dell'obbligazione derivi da una procura espressa o tacita, e ciò pare ammissibile a condizione che
il coniuge mandatario abbia speso il nome dell'altro coniuge nel compimento del negozio, pur
senza impiegare particolari formule sacramentali per la contemplatio domini; Cass. 19 gennaio
1987 n. 423. Cfr. anche Cass. 28 aprile 1992 n. 5063; Cass. 17 marzo 1975 n. 1020; Cass. 7
ottobre 1975 n. 3177; Cass. 12 agosto 1976 n. 3029; Cass. 12 settembre 1978 n. 4195; cfr. inoltre
G. Curti, Brevi considerazioni in tema di apparenza semplice, rappresentanza tollerata ed
apparente conferimento di poteri rappresentativi, in questa Rivista, 1997, 1310 ss., dove l'autore
distingue l'apparenza pura e semplice da quella tollerata. Quest'ultima ricorre ogni qual volta il
rappresentato, pur essendo a conoscenza dell'abusiva attività negoziale del falso rappresentante,
non intervenga a far cessare tale ingerenza; cfr., anche, G. Curti, Obbligazioni contratte da un solo
coniuge e rappresentanza tollerata: un caso di procura apparente, cit., 1291.
(33) App. Perugia 3 aprile 1987, in questa Rivista, 1987, 662, che si richiama direttamente agli
artt. 143, comma terzo, 168, ultimo comma, 170, 179, 186, lett. c), e 215 c.c.; Pret. Brunico 28
ottobre 1988, in Rep. Foro it., 1988, voce Famiglia, n. 62, in cui il giudice ha ritenuto sussistente
la legittimazione passiva in giudizio del coniuge estraneo all'acquisto di mobili della casa qualora
sia evidente la destinazione familiare dell'acquisto, in contrasto con il principio ex artt. 1372 e
2740 c.c., anche se tale limitazione pare essere subordinata, dalla decisione, all'esistenza di un
regime di comunione dei beni.
(34) La solidarietà tra i coniugi incontra due limiti previsti negli altri due commi dell'art. 220 del
code civil. Da un lato, il secondo comma, afferma che la solidarietà non ha luogo per le spese
manifestamente eccessive, avuto riguardo al tenore di vita della famiglia, all'utilità ed alla inutilità
dell'operazione, alla buona o mala fede del terzo contraente; e dall'altro, al terzo comma, afferma
che la solidarietà non ha luogo neppure se i contratti non sono stati conclusi col consenso degli
sposi e per gli acquisti a rate o per i mutui, a meno che questi ultimi riguardino somme modeste,
necessarie ai bisogni della vita corrente. Per un commento sulla norma cfr. R. Staglianò, In
materia di obbligazioni contratte individualmente per i bisogni della famiglia: è già solidarietà?,
cit., 102. L'analisi della più recente giurisprudenza straniera mostra infatti che l'art. 220 del code
civil è vieppiù invocato in materia di responsabilità extracontrattuale, mentre i moderni mezzi di
pagamento (si pensi, in particolare, alle forme di acquisto e all'utilizzo delle carte di credito) fanno
sì che "la protection du tiers ne nécessite pas l'existence d'une solidarité légale". La responsabilità
solidale non ha più la funzione "d'ouvrir un crédit au ménage": la sua esistenza "ne semble donc
plus pertinente". Cfr. G. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., 272 ss.
(35) Si sostiene che il silenzio del legislatore sarebbe frutto di una precisa scelta normativa, in
quanto prima di approdare alla versione finale e definitiva si susseguirono tre disegni (progetto
Iotti "art. 161"; il progetto predisposto dal comitato ristretto della Commissione giustizia della
Camera dei deputati "art. 26"; ed in fine il progetto Falcucci "art. 46") della legge di riforma che
avevano previsto il potere dei coniugi di contrarre obbligazioni in nome e per conto della famiglia.
Per un approfondimento cfr. R. Staglianò, In materia di obbligazioni contratte individulamente per
i bisogni della famiglia: è già solidarietà?, cit., 85 ss.; G. Oberto, I regimi patrimoniali della
famiglia di fatto, cit., 272 ss.; cfr. per tutte Cass. 18 giugno 1990 n. 6118, cit.
(36) Cass. 18 giugno 1990 n. 6118, cit.
(37) V. artt. 143 e 144 c.c.
(38) Se si ammettesse un regime di responsabilità solidale, il creditore potrebbe liberamente
decidere di rivolgersi direttamente al coniuge estraneo al negozio, senza la necessità di una
preventiva esclusione del suo effettivo contraente.
(39) Cfr. G. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., 272 ss.
(40) Cfr. Cass. 29 aprile 1992 n. 5063; Cass. 18 giugno 1990 n. 6118, cit.
(41) Cass. 6 ottobre 2004 n. 19947, cit., con nota di A. Barale, Responsabilità dei coniugi per le
obbligazioni assunte nell'interesse della famiglia, cit., 153 ss.
(42) Cass. 9 luglio 2008 n. 2506; cfr. Cass. 15 febbraio 2007 n. 3471; Cass. 28 aprile 1992 n.
5063; in ordine alle conseguenze giuridiche per i creditori, nel caso in cui i coniugi si trovino in
regime di comunione dei beni cfr. G. Curti, Obbligazioni contratte da un solo coniuge e
rappresentanza tollerata: un caso di procura apparente, cit., 1292 ss.
(43) Ai sensi e per gli effetti degli artt. 1292 e ss. c.c.
(44) Negata l'esistenza di una disposizione che attribuisca al coniuge il potere di impegnare
giuridicamente l'altro per il compimento di atti destinatati a soddisfare interessi della famiglia, il
coinvolgimento del coniuge non agente può avvenire soltanto secondo le regole ordinarie.
Pertanto, senza la convinzione del terzo in buona fede, non vi sarà alcun fenomeno rilevante per
l'ordinamento, ed il fatto giuridicamente irreale non produrrà alcun effetto giuridico. Cfr. Cass. 6
ottobre 2004 n. 19947, in Fam. dir., 2005, II, 150 ss.; inoltre, cfr. Cass. 29 aprile 1992 n. 5063,
cit., con le osservazioni alla sentenza di F. Cimei, e V. Carbone, citt., 1037 e 1044; G. Curti,
Obbligazioni contratte da un solo coniuge e rappresentanza tollerata: un caso di procura apparente,
cit., 1291 ss.; Id., Brevi considerazioni in tema di apparenza semplice, rappresentanza tollerata ed
apparente conferimento di poteri rappresentativi, cit., 1305 ss.
Utente: Federica Guglielmi
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