IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LA COSTITUZIONE

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IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
E LA COSTITUZIONE
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La pubblica amministrazione
nella Costituzione
In senso stretto, la funzione amministrativa può definirsi come l’attività
che lo Stato e gli altri enti pubblici pongono in essere per provvedere alla
cura degli interessi affidati loro, seppur nei limiti tracciati dalle norme legislative e regolamentari.
Ciò peraltro non significa che l’azione amministrativa sia da considerarsi come
meramente esecutiva delle norme legislative, perché all’amministrazione è
riconosciuta di regola una facoltà di scelta circa l’an, il quid, il quando ed il
quomodo dell’azione concreta (cd. discrezionalità amministrativa) ed, inoltre, la stessa può valutarne l’opportunità, la convenienza, l’adeguatezza (cd.
merito amministrativo); solo eccezionalmente la pubblica amministrazione
è tenuta ad osservare norme rigide e dettagliate previste da disposizioni legislative inderogabili (cd. attività vincolata). Le differenze tra attività vincolata
e attività discrezionale saranno approfondite nel Cap. 16.
I settori di intervento dell’amministrazione sono numerosi e nel moderno Stato sociale vanno sempre più dilatandosi. In ragione di questo fenomeno si può sostenere
che per l’individuazione dell’attività amministrativa si deve ricorrere ad una definizione negativa (o residuale), in base alla quale va considerata amministrativa l’attività
che non è né legislativa, né giurisdizionale, né governativa (intesa quest’ultima quale
partecipazione alla definizione dell’indirizzo politico e all’attività di alta amministrazione).
Il ruolo
dell’art. 97
Cost.
Capitolo 2
La disposizione che detta i principi fondamentali in tema di organizzazione
e azione della pubblica amministrazione è costituita dall’articolo 97 della
Costituzione, collocata nel Titolo III, Parte II della Carta fondamentale.
Il primo comma di detto articolo stabilisce testualmente che “I pubblici
uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”: si tratta
della disposizione costituzionale più significativa e di valenza generale che
presiede a tutto l’impianto organizzativo e funzionale degli enti pubblici.
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IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Se non esistessero le norme costituzionali e le norme regolatrici poste da leggi, l’amministrazione pubblica avrebbe un potere assoluto ed indeterminato di organizzare
se stessa in ragione dei fini e delle funzioni ad essa affidati.
Riserva
di legge
relativa in
materia di
organizzazione
La formalizzazione giuridica del potere di auto-organizzazione nasce con lo
Stato moderno e si sviluppa parallelamente all’introduzione del principio di
legalità e degli altri principi dell’organizzazione pubblica.
In ordine ai destinatari, l’art. 97 Cost. si rivolge, in primo luogo, al legislatore, come si desume dall’inciso “secondo disposizioni di legge”: viene
introdotta, in tal modo, una riserva di legge in materia di organizzazione
della pubblica amministrazione, unanimemente ritenuta una riserva relativa, per cui spetta al legislatore tracciare i principi direttivi ed i criteri di
massima della materia mentre è rimesso all’autorità amministrativa l’esercizio del potere di integrazione, specificazione e sviluppo delle linee generali
prestabilite. In altri termini, il legislatore emana una legge fondamentale
(o generale), entro la quale, a livello di fonte secondaria (o regolamentare)
ciascuna amministrazione emana le di-sposizioni minute che completano i
principi introdotti dal potere legislativo.
In materia di organizzazione e di azione della pubblica amministrazione si
assiste, pertanto, ad una ripartizione di competenze fra potere legislativo e
potere esecutivo, e dunque il precetto che impone di provvedere mediante
legge all’organizzazione degli uffici è in sostanza una norma di distribuzione del potere di organizzare, riconosciuto in parte al legislatore ed in parte
al governo-amministrazione.
Parte I
Una delimitazione dell’ambito esatto delle rispettive sfere di competenza
non è agevole, nel senso che la maggiore o minore estensione dell’una si
ripercuote inevitabilmente sull’altra, dipendendo poi la scelta, in larga misura, dalle concezioni politiche del momento e dai rapporti di forza fra i vari
poteri. Se in un determinato momento storico si afferma un esecutivo forte
ed indipendente dal potere legislativo, si avranno norme organizzative di
principio assai vaghe e generiche, con ampi spazi di manovra attribuiti alla
pubblica amministrazione. Al contrario, in uno Stato che sostiene la necessità di un controllo penetrante del potere legislativo sul potere esecutivo,
le leggi saranno dettagliate e minuziose in modo da svuotare quasi completamente il contenuto del potere organizzativo della P.A.
Esiste comunque un punto fermo: non è possibile istituire nuovi uffici pubblici con un atto normativo non legislativo o con un provvedimento amministrativo, né i medesimi atti possono disciplinare integralmente i diversi
elementi dell’organizzazione – come la struttura, le attribuzioni, il conferimento di poteri e così via – senza una legge di riferimento che lo consenta.
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IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LA COSTITUZIONE
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Il principio di legalità
Il principio di legalità – pur non essendo espressamente formalizzato – si
desume implicitamente dall’ordinamento costituzionale e precisamente
dalle numerose riserve di legge enunciate nella Costituzione, ove appare
chiaramente affermato il primato della legge sull’amministrazione: esso
viene comunemente definito principio di legalità.
Primato
della legge
sull’amministrazione
Si pensi agli artt. 13 e ss. Cost., collocati nella Parte I, relativa ai Diritti e doveri dei Cittadini (cd. garanzie costituzionali) o all’art. 23, in forza del quale nessuna prestazione
personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Inoltre, come
si è visto, lo stesso art. 97 Cost. contiene una riserva di legge (relativa) in materia di
organizzazione dei pubblici uffici.
Significato
negativo e
significato
positivo
del principio
Capitolo 2
Nello stato democratico, il primato della legge sull’amministrazione ha la
sua giustificazione nella provenienza delle leggi dal Parlamento, organo
immediatamente rappresentativo del popolo, nel quale risiede la sovranità
(art. 1 Cost.). Il principio implica che, oltre ai diritti ed ai poteri riconosciuti
a tutti i soggetti giuridici dell’ordinamento, nessuna posizione di potere, di
preminenza o di favore spetta alla pubblica amministrazione in assenza di
un’espressa disposizione di legge che la preveda, nel rispetto delle regole
costituzionali. In secondo luogo, l’amministrazione non può concretamente
avvalersi delle proprie prerogative pubblicistiche, salvo che la legge espressamente o implicitamente lo consenta (Sandulli).
Il principio di legalità postula dunque che la pubblica amministrazione sia
soggetta alla legge.
Secondo un orientamento, il principio assume valore solo “in negativo”
come principio di non contraddizione, per cui, laddove esiste una legge che
disciplina una materia, il regolamento non la può contrastare: al di fuori dei
settori coperti da riserva di legge, le fonti secondarie possono sempre intervenire
dettando norme giuridiche, con l’unico limite che un eventuale conflitto con una
legge o atto con forza di legge si risolverà con la prevalenza di questi ultimi.
Un diverso indirizzo interpreta il principio in senso positivo, per cui
ogni attività di normazione necessita di una base legale (interpositio
legislatoris), con due possibili approcci alternativi:
- per alcuni, è sufficiente l’esistenza a monte di un conferimento di potere e
quindi una clausola autorizzatoria generale (concezione formale);
- per altri, è altresì necessario che la fonte primaria stabilisca i principi direttivi ed i criteri di massima cui l’autorità amministrativa dovrà conformarsi
(concezione sostanziale).
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IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Principio di legalità:
La P.A. è soggetta alla legge
Il principio va interpretato in negativo
(dove c’è una legge la
fonte secondaria non la
può contrastare)
Il principio va letto in
positivo (ogni attività
di normazione necessita di una base legale)
È sufficiente un
conferimento di
potere a monte
(conc. formale)
La legge deve
dettare i criteri
di massima
(conc. sostanziale)
Se il secondo orientamento risponde ad istanze garantistiche, è purtuttavia
vero che l’adesione ad una concezione sostanziale del principio di legalità
conduce a generalizzare l’istituto della riserva di legge relativa anche al di
là delle specifiche materie disciplinate dalla Costituzione.
3
Il principio di buon andamento
Parte I
L’art. 97 Cost. stabilisce che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, “in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
L’attività organizzativa della pubblica amministrazione non è, di conseguenza, fine a se stessa, ma deve perseguire scopi specifici stabiliti dalla
stessa norma costituzionale.
Tuttavia, gli obiettivi di buon andamento ed imparzialità non sono da confondere con le funzioni proprie assegnate alla pubblica amministrazione
(cd. funzioni di amministrazione attiva), in quanto costituiscono “modi
di essere” che abbracciano trasversalmente l’azione amministrativa stessa,
investendo lo svolgimento di tutte le attività di competenza degli enti pubblici.
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IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LA COSTITUZIONE
Ciò significa che ogni qualvolta un ufficio pubblico pone in essere la propria attività istituzionale, esso deve operare nel rispetto dei principi del buon andamento
e dell’imparzialità, che in definitiva rappresentano due concetti di base dell’azione
amministrativa nel nostro ordinamento.
Nonostante la loro valenza fondamentale ed innovativa si è assistito – nei primi anni
che seguirono l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana – ad una totale
disapplicazione e ad una sostanziale svalutazione della loro portata. Parte della dottrina del tempo non mancò addirittura di ritenere le enunciazioni dell’art. 97, 1°
comma, Cost. semplici regole generali del funzionamento dei pubblici uffici, prive di
un preciso contenuto giuridico.
Solamente dagli anni ‘60 i principi in esame cominciarono ad acquisire un significato
più pregnante, con la parallela evoluzione della cultura istituzionale ed amministrativa e dell’atteggiamento politico. Si delinearono, infatti, alcune importanti convergenze sul buon andamento, inteso come principio di efficienza e come complesso di
esigenze strumentali alla soddisfacente realizzazione dei compiti amministrativi.
I canoni di buon andamento appartengono all’ambito delle tecniche
dell’amministrazione – quali regole di azione non giuridiche – dovendo
ispirare l’azione dei pubblici poteri in modo da garantirne l’economicità, la
tempestività, la snellezza e l’adeguatezza ai casi concreti.
La dottrina (Sandulli) ha acutamente osservato che il principio di buon andamento “esige che l’azione amministrativa sia necessariamente esplicata
in vista della realizzazione di una amministrazione efficiente ed appropriata
(congrua)”.
Funzione
dei canoni
di buon
andamento
L’autore ha osservato che, nel rispetto della legge, l’interesse collettivo generale e
l’interesse pubblico specifico perseguito dalla pubblica amministrazione nella fattispecie concreta devono essere soddisfatti, da un lato, operando un ragionato confronto tra tutti gli interessi pubblici presenti nella vicenda e, dall’altro, osservando
quelle regole (non giuridiche) di condotta le quali – tratte dalla tecnica o dall’esperienza – delineano il modo più adatto per raggiungere gli obiettivi prefissati.
Di conseguenza, l’inosservanza di tali regole non comportava una violazione di legge, in quanto la loro applicazione era riservata all’amministrazione: il loro mancato
rispetto integrava un vizio di merito che poteva essere fatto valere in sede di ricorso
amministrativo (vedi Cap. 14, par. 4).
Capitolo 2
Complessivamente la valutazione di buon andamento investe il rapporto
tra obiettivi affidati e risultati raggiunti, ossia i profili di congruità della
tipologia di attività concretamente compiuta.
Prima della riforma della P.A. avviata con la L. n. 142/1990 e con la L. n.
241/1990, le regole di buona amministrazione riguardavano essenzialmente
il merito dell’azione amministrativa, quali norme non appartenenti all’ordinamento giuridico generale ma unicamente recepite nell’ordinamento di
settore della P.A.
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IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Recepimento in norme
di legge
L’attrazione del principio di buon andamento nell’ambito del merito dell’azione amministrativa non escludeva, tuttavia, possibili risvolti di illegittimità sotto il profilo dell’eccesso di potere, cui l’inosservanza delle regole
di buon andamento poteva essere ricondotta quale figura sintomatica: esse,
quindi, ottenevano un primo indiretto riconoscimento giuridico nell’ordinamento generale.
In una fase ulteriore le regole di buon andamento sono state recepite direttamente nel sistema giuridico generale attraverso specifici provvedimenti
legislativi, che hanno elevato a norma di legge i canoni organizzativi, funzionali e procedurali propri delle tecniche efficientistiche.
Oggi, pertanto, il mancato rispetto delle regole discendenti dal principio del
buon andamento non integra un esclusivo vizio di merito ma viene riportato
ad un vizio di legittimità sotto il profilo dell’eccesso di potere.
Dato che l’art. 1 della L. n. 241/1990 richiama l’efficacia e l’economicità quali principi
informatori dell’azione amministrativa, è stato evidenziato il rischio di forzare oltre
ogni limite ragionevole il sindacato sull’arbitrarietà del giudizio logico dell’amministrazione: se la valutazione del principio si coglie in relazione all’attività, intesa come
funzionalità ed adeguatezza del mezzo al fine, si può determinare uno sviamento
dell’ottica tradizionale del giudizio sul piano dei principi – dato che il giudice non
garantirebbe più solo l’uso corretto della discrezionalità, ma l’uso migliore – e soprattutto un’invasione della sfera di iniziativa e di responsabilità dell’amministratore
da parte del giudice, in violazione del principio di divisione dei poteri.
Parte I
Buon
andamento
e controlli
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Tenendo conto degli sbocchi che una qualificazione del principio di buon
andamento può produrre sul piano del controllo del giudice, buona parte degli studiosi si è soffermata ad approfondire le sue caratteristiche sostanziali,
valorizzando le regole dell’adeguamento dei mezzi impiegati al risultato da
raggiungere, dell’economicità complessiva dell’azione compiuta, della snellezza, tempestività e celerità nel conseguimento degli scopi istituzionali.
L’affermazione del concetto di buon andamento ha altresì coinciso con la crisi
del sistema dei controlli sugli atti amministrativi. Si è compiuto un processo
evolutivo che ha condotto a superare l’idea tradizionale del controllo come
espressione della classica funzione di garanzia – da realizzare con un riscontro
di legittimità o di opportunità (controllo formale sugli atti cd. di freno) – a
favore di un’attività di indirizzo, sollecitatoria, diretta a migliorare la qualità
dell’azione amministrativa (controllo cd. di impulso): nel quadro di questa
nuova forma di verifica, l’oggetto del sindacato non è più l’atto amministrativo
singolarmente considerato ma tutta la gestione amministrativa globalmente
intesa, in vista del perseguimento di determinati risultati.
IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LA COSTITUZIONE
Sono stati così mutuati dal management privato i concetti di “efficacia”, che attiene
alla relazione tra l’attività compiuta e lo scopo da raggiungere, e di “efficienza”, che
dipende dal rapporto tra risorse impiegate e risultati raggiunti.
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Il principio di imparzialità
L’art. 97 Cost. valorizza, accanto al principio del buon andamento, quello
di imparzialità.
Le amministrazioni ed i pubblici dipendenti operano al servizio della
collettività, secondo il principio dettato dall’art. 98, 1° comma, della
Costituzione, il quale afferma che “I pubblici impiegati sono al servizio
esclusivo della Nazione”, ossia agiscono super partes.
L’imparzialità è una regola prettamente giuridica relativa al modus operandi
della pubblica amministrazione, la quale persegue i propri fini istituzionali,
principali e subordinati, anche se interferiscono o contrastano con opposti
interessi vantati dai privati, i quali tuttavia non devono essere danneggiati
(o avvantaggiati) in via arbitraria ed ingiustificata: la scelta finale deve cioè
costituire il risultato di un armonico contemperamento dei vari interessi
coinvolti (sull’amministrazione per accordi si rinvia al Cap. 29).
L’esigenza di imparzialità da parte dell’amministrazione si manifesta in maniera evidente quando il fine pubblico può essere indifferentemente soddisfatto in più modi e la soluzione da ricercare è la migliore tra quelle ugualmente legittime, con possibile sacrificio di uno o più interessi dei soggetti
privati che si imbattono nell’azione amministrativa.
Bilanciamento degli
interessi
Capitolo 2
La regola dell’imparzialità è un corollario di un altro principio fondamentale contenuto nell’art. 3 della Costituzione, quello di uguaglianza: secondo
quest’ultimo la P.A. ha il dovere di trattare in modo eguale fattispecie eguali
ed in modo diverso fattispecie diverse.
Pertanto, l’azione amministrativa deve contemplare un’adeguata ponderazione comparativa tra gli interessi pubblici e gli interessi privati
coinvolti nella vicenda concreta, avendo sempre di mira il soddisfacimento
dell’interesse pubblico generale con il minor sacrificio possibile dell’interesse privato (in questo modo si finisce, tra l’altro, per esprimere il concetto di
discrezionalità amministrativa, sulla quale si rinvia al Cap. 16, par. 1).
L’applicazione del principio di imparzialità comporta l’illegittimità degli atti
emanati senza un preventivo raffronto e bilanciamento dei diversi interessi
correlati: alla realizzazione di tale esigenza sono preordinate le garanzie del
procedimento amministrativo, in particolare l’audizione e il contraddittorio
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IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
degli interessati (cd. giusto procedimento), nonché la possibilità per tutti i
soggetti pubblici e privati coinvolti dall’emanando provvedimento di presentare alle autorità competenti le loro osservazioni e le loro opposizioni
in proposito, determinando nell’amministrazione l’obbligo di valutarle ove
siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
Dall’applicazione del principio di imparzialità deriva inoltre che i servizi pubblici – siano gestiti direttamente dalle amministrazioni ovvero da soggetti privati o da Società
miste (a partecipazione pubblica) – devono essere erogati a tutti i soggetti aventi
titolo senza alcuna discriminazione.
Parte I
Separazione
dei ruoli
tra organi
politici e
burocratici
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Una particolare applicazione del principio di imparzialità attiene all’articolazione organizzativa degli Enti pubblici e specialmente alla distinzione dei
compiti tra gli organi politici e gli organi burocratici.
L’ordinamento delle enti pubblici ha in effetti subìto – con una serie significativa di riforme realizzate dal 1990 ad oggi – una radicale modifica nella
di-stribuzione delle competenze tra gli organi politici e la dirigenza. I primi
passi del riassetto delle reciproche attribuzioni sono stati percorsi con la L. n.
142/1990 per gli enti locali e, immediatamente dopo, con il D.Lgs. n. 29/1993
(oggi D. Lgs. 165/2001) riguardante tutte le amministrazioni pubbliche.
Il principio guida espresso dai citati provvedimenti legislativi sancisce la netta
separazione tra le funzioni di indirizzo politico spettanti agli organi elettivi e le attribuzioni gestionali demandate ai funzionari: i primi, infatti, fissano “a monte” le linee generali dell’azione amministrativa mediante l’adozione di direttive e l’elaborazione di programmi ed al contempo esercitano “a
valle” il controllo sull’attività svolta e sul raggiungimento degli obiettivi prestabiliti; i secondi assumono tutte le iniziative a rilevanza esterna esplicando
autonomi poteri di gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa.
Il nuovo assetto dei poteri negli enti pubblici è in definitiva improntato ad una
rigida ed effettiva separazione dei rispettivi ruoli tra gli organi politici e gli
organi burocratici.
Non si può negare che un apparato organizzativo, distinto e funzionalmente
indipendente dall’organo di espressione politica, assicuri una maggiore
imparzialità dell’azione amministrativa, in particolare dopo la fallimentare
esperienza pratica delle strutture pubbliche negli ultimi decenni, caratterizzati da ritardi, disfunzioni ed inefficienze che hanno indotto il legislatore ad
intervenire con scelte incisive.
Si rileva tuttavia come sia stata messa in luce da più parti la ricorrenza di un ostacolo
all’applicazione del principio di separazione: si tratta del cosiddetto “spoil system
strisciante”, con una presenza sempre maggiore di dirigenti di diretta espressione
e nomina politica, la quale rende difficile evitare una gestione appiattita sull’organo
politico o comunque compiacente da parte dell’apparato burocratico.
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