GENTE VENETA | Opinioni Venerdi, 9 Giugno 2006 | Riflessioni sull'aumento del ricorso agli psicofarmaci Gli psicofarmaci: tra terapia e magia In questi anni medici di base e farmacisti denunciano un aumento esponenziale del ricorso agli psicofarmaci. Ormai quasi in ogni casa, in fondo al cassetto delle medicine, c?è un flaconcino di gocce contro l?ansia o una astuccio di sonniferi. Un po? per sicurezza, perché non si sa mai: la vita oggi è così stressante che può accadere a tutti di aver bisogno, di tanto in tanto, di un aiutino per prender sonno o affrontare meglio un certo impegno che preoccupa più del dovuto! Oppure perché in famiglia c?è qualcuno che fa abitualmente uso, spesso da anni, di tranquillanti e sonniferi per calmare l?ansia o indurre il sonno. Le case farmaceutiche assicurano che i moderni psicofarmaci hanno effetti collaterali molto modesti, sono ben tollerati dall?organismo: niente a che fare, insomma, con i barbiturici di un tempo. Male che vada, creano un po? di dipendenza: tutto non si può avere dalla vita! Ma dopo un po? di tempo, quasi senza accorgersene, la dipendenza arriva a fare da padrona e molti si ritrovano nella situazione di quella giovane donna della quale in questo numero raccontiamo la storia. Aumenta il male di vivere? o cresce a dismisura la tendenza a risolvere col farmaco le difficoltà che qualche volta irrompono nella psiche e nello spirito rendendo più difficile il vivere? Indubbiamente, in società frammentata e povera di riferimenti forti come l?attuale, il male di vivere si fa più intenso, con tutte le sue manifestazioni: lo stress, l?ansia, l?insonnia, la depressione. Ma mi pare sia altrettanto vero che l?approccio ai problemi dell?animo si fa sempre più consumistico. Nella cultura del ?tutto e subito?, dove si tende ad anestetizzare anche le normali fatiche della vita, il ricorso allo psicofarmaco spesso rappresenta una scorciatoia per affrontare gli ostacoli che si incontrano. Sembra dare un aiuto facile ed immediato, perché non chiede di compiere un serio lavoro su se stessi e di accettare la fatica di un vero cammino psicologico e spirituale. Alla fine, però, non paga: crea dipendenze, fa da palliativo. Non risolve alla radice i problemi: solo, appunto, li anestetizza. Intendiamoci: noi non siamo contrari a priori all?utilizzo degli psicofarmaci A volte sono indispensabili per far fronte a patologie non risolvibili in altro modo, come le gravi depressioni, o a sostegno di terapie psicologiche. Ma è l?abuso ? quello che i farmacisti e i medici denunciano e del quale spesso, loro malgrado, sono complici ? a far paura. Perché l?abuso della sostanza psicoattiva, anche quando è nella veste di farmaco, rischia di trasformare la terapia in magia. Nella vita dell?uomo la magia s?impone quando le parole non aiutano più: non servono più a manifestare e attenuare il disagio. Quando perdono significato, non creano comunicazione. Quando, cioè, le relazioni umane non riescono più a guarire il male di vivere e i suoi derivati. Allora si delega al farmaco ? come un tempo si delegava allo stregone o al mago - quel compito di guarigione che spetterebbe in buona parte alle parole e alle relazioni vitali. Il farmaco non parla: non chiede di costruire un ponte tra se stessi, il proprio disagio e gli altri. Si comporta proprio come le formule magiche, fatte di parole senza senso, che vengono ripetute meccanicamente con l?illusione di ottenere rapidamente un beneficio. Non per costruire relazioni che guariscono. Sandro Vigani Articolo pubblicato su Gente Veneta http://www.genteveneta.it/public/articolo.php?id=2841 Copyright 2017 © CID SRL P.Iva 02341300271