L`autonomia scolastica: uno scenario in

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Comune di Modena
Settore Istruzione – Cde – Cdh
Provveditorato agli Studi di Modena
2° salone di idee e servizi per la scuola
Modena 6 – 10 settembre 1999
In collaborazione con
Provincia di Modena
Emilia Romagna Teatro
L’autonomia scolastica: uno scenario in evoluzione.
Autonomia: la scuola alla ricerca di un pensiero ...
Giancarlo Cerini
Ispettore Ministero Pubblica Istruzione
E’ positivo registrare un interesse crescente nel mondo della scuola attorno ai temi dell’autonomia.
Stilando i primi bilanci delle riforme in cantiere si cominciano ad intravedere prospettive più chiare
di sviluppo "qualitativo" del nostro sistema scolastico. Va infatti ricordato che molti avevano
espresso perplessità e dubbi nei confronti dell’accelerazione impressa dal "quartier generale" al
processo di realizzazione dell’autonomia.
In fondo la legge madre dell’autonomia, la legge 15 marzo 1997, n. 59 è appena di tre anni fa, ma
contiene al suo interno un meccanismo operativo serrato (con il conferimento di deleghe al
Governo per l’emanazione di numerosi regolamenti) che ha determinato una tabella di marcia, che
porterà alla piena attuazione dell’autonomia al primo settembre 2000. Si tratta di un periodo
transitorio estremamente contenuto, all’interno del quale stanno avvenendo molti processi. Molte
disposizioni normative sono già state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, in particolare il
Regolamento attuativo dell’autonomia organizzativa e didattica, con il Dpr 8 marzo 1999, n. 275;
molte iniziative ed anche consistenti risorse (compatibilmente con il quadro finanziario destinato
alla pubblica istruzione) sono state messe in campo.
Maliziosamente, qualcuno potrebbe anche chiedersi se per caso non ci sia troppa enfasi
sull’autonomia; se, cioè, non si stia perdendo il rapporto tra l’autonomia, che è solo uno dei tasselli
della riforma e gli altri elementi necessari di questo processo; se, quindi, l’autonomia di per sé sia
una leva sufficiente per cambiare la scuola. L’autonomia, infatti, non è il "fine" dell’innovazione in
atto, ma uno strumento per consentire alla scuola di svolgere bene i propri compiti educativi e
culturali. E’ già un risultato importante che l’autonomia consenta a noi operatori scolastici, ma
soprattutto alla società "civile", di interrogarsi a fondo sul ruolo della formazione (e non solo della
scuola) nel nostro paese.
Si sta facendo strada, anche se a fatica, l’idea che il compito fondamentale della scuola sia quello
di promuovere nei ragazzi i "saperi di cittadinanza e responsabilità" e non semplicemente di
caratterizzarsi come un luogo di socializzazione o di accoglienza. Questa è la produttività che
viene oggi richiesta all’istituzione scuola. Si tratta, come afferma la legge 59/97, di una produttività
eminentemente "culturale", che attiene cioè alla formazione culturale delle nuove generazioni,
all’interno di un orizzonte di valori e di significati condivisi. Possiamo leggere in questa piattaforma
un riferimento a Bruner (il valore formativo dell’incontro con i sistemi simbolico-culturali) e a Dewey
(la dimensione etica e sociale dell’esperienza educativa).
Dare un senso all’autonomia
La marcia di avvicinamento alla piena autonomia è assai scadenzata. Già dal 1° settembre 2000
entrerà in vigore il Regolamento sull’autonomia organizzativa e didattica (DPR 8 marzo 1999, n.
275). Questi anni sono stati dedicati ad alcune prove tecniche di autonomia. Importanti decreti
sono stati varati per sostenerne l’avvio anticipato (fondamentale risulta il DM 29 maggio 1998, n.
251) e, addirittura, una legge è stata varata (la legge 18 dicembre 1997, n. 440) per costituire un
"salvadaio" utile a finanziare l’innovazione. Di fronte alle tante scadenze operative dell’autonomia
(come non ricordare, qui, l’impegno di ogni scuola ad elaborare un proprio piano dell’offerta
formativa —il POF- , sollecitato dalle norme sulla sperimentazione per il 1999/2000) e alle sue
prime realizzazioni provvisorie, è sempre più necessario chiedersi il senso di tutto questo. E’
giustificata l’enfasi che viene posta sull’autonomia? Qual è il vero obiettivo dell’autonomia? Qual è
il progetto culturale che deve realizzare una scuola dotata di autonomia?
Al di là delle nuove regole del gioco (in fondo l’evento giuridico "autonomia" comporta un
cambiamento di regole e di procedure), al di là del nuovo linguaggio della cultura organizzativa
(con il prevalere di un gergo vagamente aziendalistico), serve soprattutto un progetto culturale,
cioè un programma formativo centrato sull’incontro con i saperi, ma anche una struttura adeguata
(i nuovi cicli), grazie a cui questo incontro possa effettivamente avvenire (e quindi produrre
"successo formativo").
Le interpretazioni dell’autonomia
In quest’ottica l’autonomia, giustamente, viene ridimensionata ad un problema di regole, di
flessibilità, di creatività. In fondo è un’autonomia strumentale. C’è un valore nell’autonomia, ma il
suo valore è soprattutto negli obiettivi culturali di fondo che si intendono raggiungere con lo
strumento autonomia.
Ecco perché è importante dare un senso ed uno scopo "nobile" all’autonomia, per evitare una
interpretazione efficientistica. Il valore di fondo dell’autonomia non è quello mercantile, della
competitività, dell’offerta di un prodotto alla clientela, ma è soprattutto quello di una scuola
affidabile ed autorevole, di una struttura culturale, formativa, sociale che fa da trama alla
democrazia, alla cittadinanza, allo sviluppo.
E’ bene ribadirlo, perché spesso dell’autonomia sono prevalse interpretazioni alquanto malevole.
Qualcuno, utilizzando a piè sospinto un certo gergo aziendalistico, ha associato la cultura
dell’autonomia all’esaltazione dell’efficienza fine a se stessa, all’elogio della flessibilità e della
modularità.
Pensiamo, ad esempio, a molte parole che troviamo nella normativa: efficienza, efficacia, risorse
umane, produttività, qualità, ecc. Non possiamo farci condizionare o impressionare da questo
linguaggio; a noi, operatori della scuola, compete ricostruire una interpretazione corretta anche di
questi termini, riviverli alla luce dei nostri valori disinteressati. Non c’è spazio, neppure nella
normativa, per una "lettura" tecnocratica dell’autonomia, come non c’è spazio per una
interpretazione curtense, cioè un’autonomia intesa come autarchia, come processo di isolamento e
di autosufficienza. Non possiamo nemmeno avvallare l’idea consumeristica di una autonomia vista
come soddisfazione dell’utente, come orientamento ai bisogni ed al gusto del cliente, quasi una
luccicante vetrina in cui mettere in mostra i "prodotti" o le "offerte" della scuola.
C’è qualche cosa di più profondo dietro l’autonomia. In fondo, qui è pertinente ricordare che
l’autonomia scolastica, di cui si parla all’articolo 21 della legge 59/97, è inserita all’interno di una
legge molto più ampia, di forte respiro istituzionale, come è la legge Bassanini del 1997.
Si tratta di una legge che mette in campo un problema di riforma dello Stato e delle Istituzioni, non
certo del commercio… Con la legge 59/97 si intende costruire un rapporto diverso tra istituzioni e
cittadini, più ravvicinato, improntato alla credibilità e alla affidabilità. Sappiamo che oggi non basta
più disporre della carta intestata con il simbolo della Repubblica, per dire che le istituzioni sono
legittimate.
Il problema è proprio quello di riconquistarsi una legittimazione, giorno per giorno, con i processi
effettivi che avvengono nelle istituzioni, con i risultati che si ottengono, con il tipo di dialogo e di
rapporto che si riesce a stabilire con i cittadini.
E’ confortante che l’autonomia della scuola stia all’interno di questo processo di natura
istituzionale; che venga riconfermato proprio questo approccio istituzionale, culturale, forte, alto. Si
tratta di una autonomia che, prima ancora che al plurale - cioè le autonomie delle singole scuole
che cercano di interpretare la domanda degli utenti e di organizzare le loro offerte- sia
un’autonomia al singolare, nel senso di una capacità del sistema scuola di proporre un suo
pensiero, una sua ipotesi, un suo progetto nei confronti delle tante spinte che giungono alla scuola
dal mercato, dalle forze sociali, dalle forze produttive, dal mondo della cultura, dagli enti locali.
La scuola e la comunità: un rapporto di interazione
Certamente la scuola deve avere la capacità di leggere una domanda formativa che oggi è
complessa, veloce, globale; una domanda così condizionante che ci mette sulla difensiva, quasi ad
interpretare il ruolo di chi fa resistenza di fronte al cambiamento. E’ vero, spesso ci tiriamo fuori dai
clamori del mondo, ma come scrive il Cardinale Martini, la scuola è "un luogo istituzionalmente
appartato" rispetto ai flussi dei tanti messaggi che giungono dall’esterno; la scuola non deve
inseguire tutti i saperi del mondo. Abbiamo diritto al rispetto dei nostri tempi di sedimentazione, al
nostro pensiero "lento", al nostro dovere di rilanciare un progetto disinteressato, fatto di ideali e
valori aperti, nei confronti della comunità e del territorio in cui operiamo.
Molto spesso si dice che la scuola dell’autonomia dovrà rispondere con più prontezza ai bisogni
del territorio. C’è del vero in questo, ma non potremo limitarci a rispondere passivamente a
domande e bisogni qualsiasi, perchè dovremo promuovere lo sviluppo (sociale civile) di una
comunità. Non si tratta semplicemente di saldare la scuola con il territorio, perché se la comunità
fosse un ambiente sociale con prospettive ristrette, probabilmente ci sarebbe bisogno di rilanciare,
di riallargare gli orizzonti, di porsi di fronte a quella comunità, a quelle domande e a quei bisogni,
avendo in mente un’ipotesi culturale più ampia e convincente.
Anche le società ad alto sviluppo tecnologico come quelle occidentali (ormai definite società della
"conoscenza" o dell’"apprendimento") non richiedono di per sé un elevato livello culturale per tutti i
loro membri. E’ sufficiente il 10 % di membri con alte capacità cognitive, per dirigerla e orientarne i
processi culturali ed informativi. Gli altri potrebbero trasformarsi in semplici fruitori di consumi
materiali e culturali (accendere la spina, cliccare sulla tastiera, collegare il cavetto, ecc.), senza più
intervenire consapevolmente sulle scelte, a meno che … attraverso la formazione e la
scolarizzazione non si produca un valore aggiunto, un sapere consapevole, una cittadinanza
attiva. La formazione non è dunque una variabile neutrale di fronte alle scelte di sviluppo di una
società, perché si trasforma in una scelta "politica" nel senso più alto del termine.
Anche l’autonomia della scuola non sfugge a questo dilemma: il suo significato sta nelle finalità
che la società intende attribuire alla scuola, in termini nazionali e locali. In fondo, la scuola è
fondativa dell’identità nazionale e locale (ed oggi, potremmo dire, anche europea).
Il curricolo di scuola
Questo principio è ben evidenziato nel meccanismo di costruzione del progetto culturale della
scuola dell’autonomia, cioè nel curricolo di scuola (detto in altri termini, piano dell’offerta formativa
o progetto di istituto). Non si tratta di adottare sigle e formule che sembrano del tutto transeunti
(PEI, POF, ecc.). Il problema vero per ogni scuola, come afferma il Regolamento dell’autonomia, è
quello di darsi una precisa identità progettuale e culturale, dotandosi di una capacità di pensiero di
lungo respiro.
Avere autonomia non significa andare incontro al territorio e al mercato ad armi nude, isolati nel
proprio piccolo o grande contesto professionale. L’autonomia della scuola si inserisce in un
processo culturale molto più ampio. Il progetto culturale di ogni scuola, l’offerta formativa, si
alimenta in un quadro culturale di carattere nazionale.
Il piano dell’offerta formativa consente alla scuola di costruire un proprio curricolo di scuola, che
però trova i suoi fondamenti ed i suoi capisaldi negli indirizzi di carattere nazionale, cioè nei saperi
e nelle discipline che si ritengono fondamentali per le nuove generazioni. Questo principio
determina l’equilibrio che si trova delineato nel regolamento dell’autonomia.
Nel curricolo obbligatorio di ogni scuola una quota è di carattere nazionale (provvisoriamente è
fissata nell’85 % del tempo disponibile) ed è destinata alle discipline o attività fondamentali; la
quota restante, al momento il 15 %, è riservata alle scelte locali (curricolo elettivo o opzionale).
Esiste poi la possibilità di aggiungere una fascia di arricchimento o di ampliamento dell’offerta
formativa, in termini facoltativi. Una simile composizione, tra discipline fondamentali, discipline
opzionali/elettive (però obbligatorie) e attività facoltative, rappresenta bene il quadro dello sviluppo
curricolare che si sta prospettando nella scuola dell’autonomia.
Non siamo in presenza di un "fai da te", con casualità di approcci e di proposte, ma ad un progetto
culturale coerente e affidabile, di carattere pubblico e nazionale. Afferma Mario Reguzzoni, un
profondo studioso di sistemi formativi comparati, che l’autonomia italiana è del tutto diversa da
quella americana, dove il consiglio di amministrazione, in cui sono rappresentati i proprietari della
scuola o i suoi finanziatori, intervengono direttamente sulle finalità e le caratteristiche del processo
formativo. Si decide, nella scuola autonoma americana, se impostare il curricolo di scienze in
termini di evoluzionismo o di creazionismo, magari a colpi di maggioranza nel consiglio di
amministrazione.
La autonomia scolastica, in Italia, si qualifica per le forti garanzie pubbliche, per gli indirizzi culturali
che garantiscono l’unitarietà dell’intero sistema formativo. Siamo di fronte ad una autonomia di
comportamenti, come la chiama Mario Reguzzoni, che aumenta la discrezionalità dei professionisti
nella costruzione effettiva dell’offerta formativa all’interno della propria scuola.
Qui sta il senso della maggioranza attribuita alle componenti scolastiche, anche nel consiglio
d’istituto, che è l’organo collegiale più "esterno". La maggioranza spetta agli insegnanti, al
personale amministrativo al dirigente scolastico, perché sono i soggetti che devono costruire, con
professionalità e affidabilità, il progetto educativo. Il progetto culturale di una scuola non può
essere affidato a momentanei colpi di mano di maggioranze o di minoranze, ma deve essere
garantito, sotto il profilo tecnico e culturale, dagli operatori scolastici. Questo principio naturalmente
carica di forti responsabilità la scuola e pone anche numerosi vincoli. Un’autonomia di
comportamenti (e, quindi, non la privatizzazione della scuola), inserita in un quadro nazionale che
garantisce coesione, richiede l’accettazione di determinate regole del gioco.
Si tratta della gestione delle risorse umane (il personale docente e non), della scelta dei docenti e
delle loro caratteristiche di professionalità, del riferimento a standard di funzionamento. In questi
campi servono punti di riferimento chiari, essenziali; forse meno regole, ma regole evidenti;
purtroppo, come afferma Sabino Cassese, nel nostro paese ci troviamo di fronte a troppe regole e
—di conseguenza- a tante deroghe.
L’autonomia dovrà comportare meno regole, limitandosi ad alcune indicazioni di massima, ma con
un senso preciso, che diano la capacità ad ogni realtà di operare con molta creatività e originalità.
In fondo, questo è un aspetto non secondario che carica di motivazione verso l’autonomia,
disponendo comunque di un quadro di riferimento culturale ed istituzionale in cui collocarla con
sicurezza.
Alla ricerca del "core" curriculum
Le regole di costruzione dell’offerta formativa che si cominciano a delineare all’interno dei
regolamenti, ed anche nella sperimentazione, fanno intravedere questo punto di equilibrio, che ci
rassicura sulle direzioni e sulle prospettive dell’autonomia. Il processo, tuttavia, si rivela ancora
molto complesso e lungo.
E’ vero che dal primo settembre 2000 si attuerà il nuovo regolamento, ma sono ancora da definire i
contenuti più importanti del documento normativo, in particolare va scritto interamente l’art. 8 in cui
sono previsti gli indirizzi culturali nazionali, gli standard di riferimento, le discipline fondamentali, gli
orari obbligatori di ogni ciclo scolastico, ecc.
Le competenze dei ragazzi, che diventano la filigrana del processo culturale formativo, sono
dimensioni che devono essere individuate, e per le quali certamente non è sufficiente la prima
"sgrossatura" avvenuta ad opera di autorevoli rappresentanti del mondo della cultura (i c.d.
"saggi"). Infatti, i saperi essenziali proposti dai Saggi delineano un primo quadro culturale, sono
l’anima dell’autonomia, ma non sono ancora sufficienti.
E’ necessario costruire progetti formativi sostenibili a partire dalla scuola, dai ragazzi, dagli
insegnanti, cioè bisogna passare dai saperi (come enunciazioni generali) ai curricoli (ai percorsi
praticabili), per poter giungere alle competenze dei ragazzi (cioè ai traguardi formativi da
perseguire).
Questa è la scommessa fondamentale dell’autonomia nei prossimi anni. Per evitare una deriva
organizzativistica, bisogna entrare nel "core curriculum". Non si può più aggirare l’autonomia,
pensando che si riduca a qualche progetto educativo di carattere integrativo o facoltativo. Nella
fase iniziale della sperimentazione dell’autonomia ha spesso prevalso una logica di tipo aggiuntivo,
l’idea che si potesse realizzare l’autonomia aggiungendo alcune attività, organizzando alcuni
percorsi innovativi spesso facoltativi. Va comunque ricordato che ci sono grossi vincoli di tipo
giuridico per entrare, ora, nelle dimensioni curricolari della scuola.
Progettare l’offerta formativa non significa incrementare l’offerta di tipo aggiuntivo, ma piuttosto
reinterrogarsi sul curriculum, sui compiti formativi della scuola, sugli obiettivi forti, sulle competenze
dei ragazzi, sugli obiettivi formativi che ci proponiamo di realizzare.
Nella scuola, in fondo, un bambino, un adolescente, un ragazzo, deve incontrare i saperi della
società degli adulti. Questa è anche l’ipotesi epistemologica sottesa al documento dei Saggi. Ma
come si incontrano i saperi, per diventare competenti? Come si riesce ad organizzare un incontro
coinvolgente, emozionante, con una mediazione forte da parte della scuola, degli insegnanti. Se
l’autonomia è un’ipotesi pedagogica, dunque, ci vuole un’interpretazione pedagogica, piuttosto che
semplicemente giuridica, amministrativo o organizzativa.
L’autonomia è la capacità di costruire una buona ambientazione didattica per favorire l’incontro dei
bambini, dei ragazzi, degli adolescenti con i saperi, perché oggi troppo spesso, questo incontro
non avviene. Troppe volte i saperi restano lontani dalla possibilità di coinvolgere i ragazzi.
Questo è il senso che noi dobbiamo dare ai prossimi mesi di ricerca, di sviluppo dell’autonomia:
entrare nel merito del curricolo, cominciare a costruire ipotesi di ricerca sul valore formativo delle
discipline. Andrebbe sempre ricordato che una delle qualificazioni forti dell’autonomia è proprio
l’autonomia di ricerca e di sviluppo. Significa che la scuola si fa delle domande importanti: "cosa
sono i saperi ? cos’è l’apprendimento di un ragazzo ? perché non c’è apprendimento ? come
coinvolgere ed appassionare i ragazzi all’esperienza conoscitiva ?".
La scuola dell’autonomia ha bisogno di supporti, per potersi impegnare in questa ricerca
importante, per riscoprire il senso delle domande profonde sulla conoscenza, sull’apprendimento,
sui valori. C’è bisogno - certamente - di buoni strumenti giuridici ed amministrativi, di indicazioni dal
centro, di finanziamenti, ma soprattutto di sostenere un processo di sviluppo professionale degli
operatori. Serve un forte investimento sugli insegnanti. In fondo se l’autonomia si qualifica per una
interpretazione pedagogica, cioè se l’autonomia è un processo di tipo culturale, c’è bisogno di
rendere protagonisti di questo processo gli insegnanti, trasformando l’autonomia in una occasione
di crescita e di sviluppo professionale.
Per realizzare questi obiettivi servono risorse e idee in ogni scuola: un budget per la formazione;
uno staff per sostenere un processo di sviluppo organizzativo; la possibilità (anche economica) di
attingere a servizi di consulenza tecnica, sullo sviluppo del curricolo e dell’organizzazione. Nel
territorio dovrebbe svilupparsi un rete di servizi e di risorse di aiuto alla scuola. Ecco allora che il
grande tema, didattico, culturale, professionale, dell’autonomia, si reinnesta di nuovo nel grande
alveo della trasformazione istituzionale della scuola, della riforma dell’amministrazione e dell’intero
quadro ordinamentale.
AUTONOMIA: LE NOVITA’ in libreria
Approfondimenti bibliografici:
G.Cerini-D.Cristanini (a cura di), A scuola di autonomia. Dal PEI al POF, Tecnodid, Napoli, 1999
G.Domenici, Progettare e governare l’autonomia scolastica, Tecnodid, Napoli, 1999
P.Romei, Autonomia e progettualità, La Nuova Italia, Firenze, 1995
L.Ribolzi, Il sistema ingessato. Autonomia, scelta e qualità nella scuola italiana, La Scuola,
Brescia, 1997
A.Pajno, G.Chiosso, G.Bertagna, L’autonomia delle scuole, La Scuola, Brescia, 1997
E.Barbieri, La scuola dell’autonomia, Giunti, Firenze, 1999
I documenti da conoscere:
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Legge 15 marzo 1997, n. 59 (art. 21)
Dpr 8 marzo 1999, n. 275 (Regolamento per l’autonomia organizzativa e didattica)
Dpr 18 giugno 1998, n. 233 (Regolamento per il dimensionamento degli istituti)
Dpr 30 giugno 1998, n. 233 (Riforma degli organi collegiali territoriali)
D.lvo 30 marzo 1998, n. 112 (Decentramento di funzioni alle Regioni e agli Enti locali)
D.lvo 30 luglio 1998, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del governo)
D.M. n. 179 del 19 luglio 1999 (Sperimentazione dell’autonomia)
C.M. n. 194 del 4 agosto 1999 (Finanziamenti per la sperimentazione dell’autonomia)
BDP-Ministero P.I., Rapporto sulla sperimentazione dell’autonomia, BDP, Firenze, 1999
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