Psicologia Contemporanea, num. 205, Gennaio-Febbraio 2008
Formazione e lavoro: un incontro possibile?
Il ruolo dell'orientamento scolastico e professionale
A cura di Guido Sarchielli
Secondo statistiche presentate in modo forse un po' troppo trionfalistico, cresce
nei giovani la voglia di formazione superiore e in particolare di università. Non è
chiaro, però, se le matricole sono attratte dalle lauree "brevi" che promettono
professionalizzazione in tempi ridotti, oppure dalla prospettiva di un più o meno
comodo "parcheggio" alternativo alla disoccupazione, problema antico ma
purtroppo sempre attuale. Il lavoro, invece, stando ai dati di recenti indagini, per
i nostri adolescenti resta sempre più un "oscuro oggetto del desiderio", vago e
sfuggente:e come potrebbe non esserlo, se neppure gli economisti sono più in
grado di fare proiezioni attendibili? Se poi si chiede ai datori di lavoro, il prodotto
della formazione risulta un oggetto altrettanto oscuro quanto lo è il lavoro per gli
aspiranti lavoratori. Non capiscono le riforme del sistema scolastico e
universitario, non sanno che farsene di giovani che si aspettano tutt'altro
rispetto a quello che loro vogliono e possono offrire.
Negli ultimi decenni i cambiamenti nel mondo del lavoro hanno riguardato — sul
piano strutturale — un incremento dell'instabilità occupazionale con effetti di
sottoutilizzazione delle risorse, specie giovanili, e modifiche dei significaci del
lavoro e dell'impegno in esso. Il lavoro è cambiato riguardo alle forme
contrattuali: è finito il mito del "posto di ruolo", prevalgono le mansioni precarie
o "flessibili", i contratti a termine, il lavoro "in affitto". Sono note le difficoltà di
inserimento delle fasce giovanili sotto i trent'anni, le necessità di riconversione
delle mansioni, l'incertezza relativa ai pensionamenti.
Anche nei contesti lavorativi le esigenze di ristrutturazione di aziende, sia
private che pubbliche, e la trasformazione degli stili gestionali hanno prodotto
conflitti personali e organizzativi, con contraccolpi difficili da assorbire nel breve
e medio termine e con conseguenze sul piano della diffusione di fenomeni di
stress e burnout.
Un problema particolare è quello del lavoro delle donne: ad un incremento
quantitativo degli accessi corrisponde una persistenza di differenze di
retribuzione, di status, di rilievo sociale delle professioni tipicamente "femminili".
Un altro problema ancora, che diventa sempre più rilevante, riguarda
l'inserimento lavorativo delle minoranze di stranieri immigrati, che assieme ai
rischi di conflitti comporta una ridefinizione dei confini dell'in group e dell' out
group — per usare termini cari agli psicologi sociali — sia dei residenti che degli
immigrati.
Tutti questi cambiamenti comportano nuove prospettive nella formazione in
servizio (nell'ottica sempre più diffusa del life-long learning o apprendimento
lungo tutto l'arco di vita), nella riconversione lavorativa, oggi sempre più
frequentemente richiesta, ma soprattutto a monte, cioè nella preparazione
all'inserimento professionale. Sempre più la formazione deve essere in grado di
mediare tra l'acquisizione di un'indispensabile "cultura" di base e la
finalizzazione a ciò che il lavoro richiede.
La distinzione fra conoscenze e competenze, fra saperi teorici e saperi d'azione
o, più tradizionalmente, fra "sapere","saper fare" e "saper essere", per certi
versi si sfuma e per altri si complica nell'integrazione delle abilità "trasversali",
mescolanza di acquisizioni formali e pratica esperienziale, saperi procedurali,
organizzativi e metodologici, apprendimenti cognitivi, motivazionali, emozionali
e relazionali al tempo stesso. Per restare alla distinzione fra competenze "di
base","tecniche" (know-how) e "trasversali", queste ultime diventano di sempre
maggior rilievo per il mondo del lavoro. Si pensi alla flessibilità cognitiva e
motivazionale, all'uso di un problem solving efficace, all'autonomia e
indipendenza di giudizio e di azione, alla capacità di mantenere positive
relazioni interpersonali e sociali e di lavorare in team in modo efficiente.
L'acquisizione di metodologie e di esperienze concrete viene valutata dalle
aziende più delle conoscenze specifiche, in quanto consente di connettere tra di
loro le diverse conoscenze, di costruire conoscenze nuove e appropriate allo
specifico contesto, di cercare attivamente le soluzioni di problemi e
sperimentarle lavorando in gruppo, di integrare le innovazioni gestendo la
crescente complessità che le mansioni richiedono.
Ma queste abilità "trasversali", e le capacità di connettere metodi ed
esperienze, dove vengono apprese? Chi le insegna? Il collegamento tra
insegnamento formale e apprendimento dall'esperienza è un problema che
pedagogisti e psicologi pongono da lungo tempo ma senza grandi risultati. Così
l'idea di una formazione finalizzata al lavoro e di una formazione "di base",
separata da quella professionale, divergono sempre più. Bisogna addestrare il
futuro lavoratore, oppure costruire la persona che poi sarà capace di adattare e
progettare
il
proprio
lavoro?
Il
dilemma
era
presente
nell'antica
contrapposizione fra istruzione tecnica e professionale — che addestra agli
specifici lavori — e licei che approfondiscono i fondamenti culturali, ripresa ed
enfatizzata nel doppio canale formativo della riforma scolastica per il momento
"congelata". Nell'università il dilemma si ripropone tra un primo livello che pretende di essere"professionalizzante", e un secondo di approfondimento verso
l'acquisizione di un livello specialistico o — nella nuova dizione —"magistrale".
Considerato che gran parte della formazione resta ancorata a principi, contenuti
e metodi lontani dalla realtà lavorativa, che intanto si evolve a ritmi vertiginosi, i
due mondi sembrano allontanarsi sempre più. Ma da più parti si fa strada l'idea
che questa scissione non sia del tutto negativa. Ad esempio, alcuni sociologi si
chiedono se è ancora utile usare la continuità come parametro di riferimento, o
se invece lo scollamento tra formazione e occupazione può forzare il sistema
formativo a riscoprire la sua funzione fondamentale, quella di "insegnare ad
apprendere". Certo, al di là della riduttiva opzione tra formazione per un lavoro
e formazione del lavoratore, occorre un progetto preciso per collegare
formazione e lavoro, che non pare affatto chiaro nel sistema scolastico e in
quello universitario. Questo progetto rientra fra i compiti dell'orientamento
psicologico come elemento cardine della formazione alle scelte: esso si colloca
all'intersezione fra le percezioni del lavoro e delle professioni, le prese di
decisione rispetto ai propri interessi e ai processi formativi da intraprendere, le
effettive opzioni rispetto all'accesso all'occupazione, tra le quali non manca —
anzi, ha una valenza essenziale — l'identità di genere con le sue persistenti
ambivalenze.
II lavoro di orientamento andrebbe potenziato proprio per rispondere alla
(inevitabile?) discontinuità tra formazione e lavoro. Dovrebbe trovare vie nuove
inserite non solo a monte (nella scelta del tipo di formazione) o solo a valle
(nella frequente riconversione richiesta dalla "flessibilità" del lavoro), ma
all'interno dei processi formativi.
Pensiamo all'alternanza istruzione-lavoro, stages, tirocini, parole d'ordine delle
riforme del sistema formativo in senso professionalizzante", che dovrebbero
costituire ponti per evitare il salto nel buio verso il lavoro. In realtà, questi aspetti
professionalizzanti dei momenti formativi sono al tempo stesso occasioni per
modellare la forma della mente: la proposta di contenuti e metodi specifici
diventa strumento per costruire una persona in grado di scegliere, di perseguire
e proseguire l'auto-formazione, in una parola di orientarsi proficuamente verso il
lavoro, anziché addestrarsi ad un certo lavoro piuttosto che ad un altro.
Formare non solo mano d'opera, ma teste ben fatte (nella terminologia di
Montaigne ripresa da Edgar Morin) piuttosto che ben piene, vuol dire aprire le
menti dei giovani ad un futuro lavorativo che non discende solamente o direttamente dai contenuti appresi durante il processo formativo, ma dalla forma
mentis che la formazione dovrebbe dare per progettare il futuro lavorativo,
costruendo le premesse e attuando le strategie necessarie per perseguirlo con
efficienza e senza dispersioni.