Società e cultura rinascimentale

Società e cultura nell’età rinascimentale
Mutamenti sociali
• Trasformazioni economiche
• Nascita oligarchie cittadine
• Scontri sociali e rivolte
L’intellettuale umanista
• La novità dell’Umanesimo
• Ruolo sociale dei letterati
• Il principio di imitazione
Vita a Palazzo
• Il mecenatismo dei principi
• Il cortegiano di Castiglione
• Gli intellettuali a corte
A cura del prof. Luigi O. Rintallo
Società e cultura
nell’età rinascimentale
Dalla crisi demografica del ’300 alle
ristrutturazioni agricolo-commerciali
Dopo i milioni di morti causati dalle
epidemie della seconda metà del sec.
XIV, si assiste nel ’400 a una rapida
ripresa demografica.
La crisi comporta tuttavia un regresso
economico, con riduzione degli spazi
coltivati e calo della produzione
tessile, determinando inoltre il
fallimento di diverse imprese
commerciali (Bardi, Peruzzi).
Per farvi fronte, si procede a una
ristrutturazione che interessa vari
settori: dalla ricerca di colture più
redditizie alla diffusione
dell’allevamento. Dove si realizza il
maggior progresso è nelle miniere, il
cui aumento produttivo è favorito dalla
richiesta di armi e dalla
diversificazione dei metalli estratti (al
carbone si aggiungono argento e
allume).
Sebbene positivo nel lungo periodo,
questo processo di ristrutturazione ha
effetti negativi sull’occupazione e sugli
assetti sociali. Ad esempio, le
bonifiche e le conversioni di colture
nella Pianura Padana aumentano lo
sfruttamento dei contadini,
peggiorandone le condizioni di vita.
Mutamenti sociali
Come si trasforma la borghesia urbana?
Dal Trecento in poi la borghesia mercantile perde il suo slancio e si stacca dai ceti popolari
per saldarsi con i nobili in un sistema di conservazione. Ciò favorisce il nascere di un nuovo
ordine feudale/borghese, che realizza una ricomposizione sociale contraddistinta dalle
manovre della nuova classe proveniente dai ceti mercantili che domina nelle città: il
Patriziato. Questi ultimi, posti fra l’aristocrazia feudale e la borghesia in ascesa,
favoriscono la formazione di regimi politici forti a protezione dei loro interessi. Pur
conservando il controllo economico, essi rinunciano dapprima all’esercizio diretto del
potere politico per affidarlo a chi offre loro garanzie. Si assiste così progressivamente a uno
svuotamento delle istituzioni comunali che darà luogo alla nascita delle corti signorili.
Quali sono i cambiamenti dell’assetto politico italiano?
Termina il periodo di contrasti fra autorità religiose e civili, mentre si accentua il divario
fra centro-nord e sud dell’Italia: a settentrione dello Stato della Chiesa vanno affermandosi
le corti signorili, mentre il Regno delle due Sicilie resta uno Stato feudale. Roma è capitale
della Chiesa e di uno Stato, dove nel Rinascimento si avrà una profonda riorganizzazione
dell’ordinamento ecclesiastico e, contemporaneamente, si costituisce un vero e proprio
Stato regionale. A Firenze, dopo il declino delle famiglie Strozzi e Albrizzi, prevalgono i
Medici a partire dal rientro in città di Cosimo nel 1434. Dal 1469 al 1492 si ha il governo del
nipote, Lorenzo il Magnifico. Quando il figlio Piero II cede al re francese Carlo VIII, a
Firenze si forma una Repubblica guidata dal monaco ferrarese Girolamo Savonarola, finito
sul rogo nel 1498. Dal 1502, la repubblica fiorentina è retta da un gonfaloniere a vita, Pier
Soderini, sino al 1512 quando una coalizione ispano-pontificia restaurerà la signoria dei
Medici. L’ordinamento repubblicano contraddistingue anche Venezia, retta da un Doge
coadiuvato soltanto da un Consiglio ducale essendo nel 1425 abolita l’Assemblea popolare.
Che fisionomia assume lo scontro di classe nel Rinascimento?
Le rivolte contadine e le sollevazioni popolari durante il regime signorile sono fenomeni
abbastanza consueti e – nell’interpretazione di Hilton e Bloch – sono paragonabili agli
scioperi nella società capitalista. Alla crisi economica dei secc. XIV-XVI, i contadini
risposero o ripiegando nell’accattonaggio e nel banditismo, o con vere rivolte. Queste
ultime si distinguono a seconda del periodo storico, avendo ora motivazioni economiche
(Tumulto dei Ciompi del 1378) e ora religiose (la guerra dei contadini in Germania,
durante la riforma luterana del 1524-25).
Società e cultura
nell’età rinascimentale
Chi è l’umanista?
A partire dal ’400, con questo termine
si identifica soprattutto l’insegnante di
lettere. Oltre che storico-filosofico, il
suo insegnamento ha carattere
retorico. La materia di insegnamento è
la letteratura volgare, giudicata ormai
alla pari di quella classica. Dalla
seconda metà del sec. XVI, si dicono
“umanisti” tutti coloro che si dedicano
agli STUDIA HUMANITATIS (grammatici,
poeti), una volta che si impone la
distinzione fra “Arti liberali” e “Scienze
naturali”.
Nel Quattrocento si assiste invece a una
mescolanza fra le discipline, che rompe
la gerarchia del mondo antico e dà
luogo a una decompartimentazione del
sapere, per cui si hanno intellettuali
sempre più eclettici e “universali”.
Accade così che per tutti gli ordini di
studi sia fondamentale la conoscenza
della “retorica”, intesa come capacità
di comunicazione necessaria alla
diffusione del sapere.
Col Rinascimento si diffonde il genere
del trattato, con l’intento sia di
educare, sia di divulgare le pratiche
relative alle cosiddette arti meccaniche
(architettura, pittura, scultura). Sotto
la definizione di “Arti” si attua una
unificazione delle stesse condotte di
vita (arte di morire, del cortigiano,
della politica).
L’intellettuale umanista
Come cambia la figura sociale dell’intellettuale nel Rinascimento?
Nel ’300 aveva prevalso il modello dell’intellettuale comunale, legato alla realtà politica
municipale pur senza essere organico a una classe specifica. Per lo più laico, fa uso del
volgare. Con l’affermarsi delle Signorie, dal sec. XV gli intellettuali sono esclusi dalla
direzione di governo e operano al servizio dei principi. Il loro è un sapere separato dalla
società; tornano a usare il latino, mentre il volgare diviene sempre più una lingua
letteraria. Nel contesto delle signorie, l’intellettuale vive ora la libertà come un fatto
privato e la scelta di farsi chierico tende a essere se non obbligata, sempre più consueta.
Quali diversità e divaricazioni vi sono tra gli intellettuali rinascimentali italiani?
La prima distinzione fra gli umanisti italiani è di tipo storico-geografico: nelle città del
nord (Milano, Mantova, Ferrara) prevale il modello dell’intellettuale signorile; mentre in
Toscana resiste il modello dell’intellettuale comunale. Gli umanisti fiorentini, in
particolare, non promuovono solo un programma educativo ma anche un sistema di valori e
se è vero che il potere rimaneva in mano a un’oligarchia, è anche vero che a Firenze essa
era abbastanza ampia. In questo senso, l’umanesimo in Toscana appare comunque
progressivo e fa di Firenze un modello, promuovendo l’ideale repubblicano di Roma antica.
La seconda distinzione riguarda la tipologia degli intellettuali, che si dividono fra quanti
sono integrati nella nuova struttura sociale e coloro che la contestano, assumendo una
posizione “ribelle”. Infine, va ricordata divaricazione di natura psicologica, che registra lo
sdoppiamento fra vita pubblica e privata di ciascuno.
L’importanza del principio di “imitazione” nel programma umanista.
Per educare, agli umanisti appare centrale il principio teorico e pratico dell’ “imitazione”.
Sia l’immaginazione letteraria che la riflessione filosofico-politica, sono dominate dalla
ricerca di “modelli”. La metafora petrarchesca su come le api producono il miele,
fondendo i vari elementi dei fiori, fa da scuola all’Umanesimo rinascimentale: ogni
originalità tende a fissarsi in una norma, a divenire “esemplare”. Nel ’400 con Poliziano,
Pico e i neo-platonici i modelli tendono a essere differenziati e prevale una posizione
eclettica, fiduciosa nella libera elaborazione stilistica. Nel ’500 con Bembo si afferma
invece una posizione più normativa, che crede solo nel valore esemplare dei modelli. Nel
primo caso, il rapporto col passato si basa su una “memoria storica” dei propri valori; nel
secondo, questa si trasforma in una “memoria ontologica”, che trasforma il passato in un
valore assoluto e superiore.
Società e cultura
nell’età rinascimentale
Vita a Palazzo
Cosa caratterizza la Corte in Italia?
E’ il simbolo della collettività retta dal
principe e s’identifica fisicamente nel
Palazzo signorile. Rispetto allo Stato,
risulta discontinua perché legata alle
sorti del singolo sovrano. Dal punto di
vista sociale, rappresenta fasce più
ristrette (nobili, famiglia del Signore)
che non lo Stato.
Nella Corte si organizza il consenso al
potere: per questo, vi è la necessità di
svolgere una politica culturale tesa a
magnificare i suoi detentori a
cominciare dalla famiglia signorile.
A tal fine, i principi radunano attorno a
sé un folto numero di intellettualicortigiani, che offrono i loro servizi per
la propaganda dinastica. E’ il
fenomeno del mecenatismo, che
contraddistingue fra ’400 e ’500 le
corti italiane: da quella fiorentina di
Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico,
a quella ferrarese di Alfonso D’Este.
E’ nelle corti che si afferma l’idea
della “figura” umana, dell’individualità
spiccata, con caratteri di originalità
tali da permettere la sua
trasfigurazione in “esemplare”.
Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione: un testo esemplare
A ritrarre magistralmente la vita di corte, fu Baldassarre Castiglione (1478-1529) nell’opera
Il Cortegiano. Dopo un primo abbozzo del 1508, Castiglione compila il testo a Roma fra il
1513 e il 1516. Lo riprende nel 1520/21 per ultimarlo con gli ultimi ritocchi nell’edizione
del 1528.
Si tratta di un dialogo in quattro libri attorno alla figura e alle qualità del perfetto uomo di
corte. Gli argomenti dei quattro libri sono i seguenti: 1) Doti fisiche e morali; 2) modi e
occasioni per darne prova; 3) la perfetta gentildonna; 4) i rapporti con il Principe.
Il dialogo si immagina svolto nel 1506 a Urbino presso la corte dei Montefeltro, alla
presenza della duchessa Elisabetta Gonzaga ed Emilia Pio. A interloquire tra loro sono
famosi cavalieri del tempo: Giuliano de’ Medici, Federico Fregoso, Ludovico da Canossa,
Cesare Gonzaga e Pietro Bembo.
Il modello proposto da Castiglione spiazzato dai mutamenti intervenuti nel ’500
Mentre veniva elaborando il suo modello di vita cortigiana, Castiglione deve tener conto
delle profonde modifiche che intervenivano.
Quello proposto era basato sulle esigenze delle corti signorili e sulle carriere, ispirato agli
ideali morali forniti dalla cultura classica. Tuttavia, ben presto il Cortegiano si trovò
spiazzato dai mutamenti dell’assetto sociale e politico degli Stati italiani, travolti dalla
crisi del Cinquecento.
Al posto del modello ideale, va delineandosi una figura di cortigiano assai meno suggestiva.
Prevale, infatti, una nuova tipologia di personale burocratico e politico funzionale al
monarca assoluto che si afferma con la seconda metà del sec. XVI.