ESTIMO IL VALORE ECONOMICO DEI BENI IL VALORE ECONOMICO DEI BENI Si dice “bene e/o servizio” il mezzo capace, o reputato tale, di soddisfare un “bisogno” (necessità). I beni e/o i servizi, in realtà, hanno un’utilità, cioè soddisfano bisogni, solo in quanto il loro consumo (utilizzo) risulta in grado di realizzare una determinata funzione (soluzione di un dato problema; creazione di benessere, soddisfazione). ESEMPIO: nessuno compra il bene trapano per il solo gusto di comprare un trapano, ma per il servizio che il trapano stesso svolge: quello di fare dei buchi. Se venisse immesso sul mercato un bene “nuovo” in grado di fare buchi con una tecnologia più “pulita” (ad esempio, una pistola laser in grado di fare buchi senza fare polvere e senza fare rumore), il trapano verrebbe progressivamente soppiantato dal nuovo bene in grado di produrre un servizio analogo (bene sostituto o succedaneo), in ragione della riduzione del differenziale di prezzo tra il “nuovo bene” e il “vecchio” trapano, a parità si servizio offerto. Se, cioè, i due beni avessero lo stesso prezzo, nessun consumatore “razionale” comprerebbe il trapano. A tale riguardo, è opportuno distinguere tra i concetti di: BISOGNO, DESIDERIO e DOMANDA • Bisogno: è uno stato in cui si avverte la mancanza (tensione o carenza) di un dato bene o di un servizio (bisogni naturali, spontanei, di base: fame, sete, freddo, sicurezza …) • Desiderio: si riferisce a specifici beni e/o servizi in grado di soddisfare determinati bisogni. Es: si ha bisogno di cibo e si desidera una pizza. Quindi, attiene alla modalità con la quale è possibile soddisfare il/i bisogno/i (manifestazione del/i bisogno/i). • Domanda: identificazione (individuazione come scelta) di prodotti specifici (beni e/o servizi) accompagnata dalla capacità e disponibilità a pagare per acquistarli (reddito come vincolo nelle decisioni di acquisto). BISOGNO CONCETTO PSICOLOGICO DOMANDA CONCETTO ECONOMICO SEQUENZA BASE BISOGNO DESIDERIO DOMANDA GLI ELEMENTI DELLA FUNZIONE E DELLA LOGICA ECONOMICA DI ACQUISTO PROCESSO di SCELTA dei PRODOTTI (beni e/o servizi) Si parte dall’individuazione di un BISOGNO che, secondo la percezione del consumatore, può essere scomposto in un insieme finito di CARATTERI, secondo una data gerarchia (urgenza) e con una data intensità (grado di avvertenza del carattere). Per soddisfare il bisogno l’individuo ricerca un PRODOTTO (il “più adatto” o semplicemente quello “accettabile”, a seconda della situazione in analisi). I prodotti vengono così percepiti come un INSIEME di ATTRIBUTI tangibili e intangibili (servizi, stile, immagine, marca, ecc..). Il GIUDIZIO che viene espresso dal consumatore sul prodotto è frutto del POSIZIONAMENTO degli attributi che egli riconosce presenti nel prodotto, ciascuno con particolare intensità (grado di percezione degli attributi di un prodotto da parte del soggetto consumatore; gerarchia soggettiva delle preferenze e della scelta dei prodotti). Quindi, per un dato consumatore il VALORE del prodotto risulta proporzionale all’abilità percepita del prodotto di aiutarlo a risolvere i propri problemi e a far fronte alle proprie necessità (soggettività del giudizio). Un bene si dice “economico” quando è contemporaneamente: . utile cioè in grado di soddisfare un bisogno (necessità); . scarso ovvero disponibile in quantità limitata (rilevanza della variabile prezzo di acquisto di un bene e/o di un servizio; costo d’uso, recupero di una risorsa). I beni economici si distinguono in pubblici e privati. Un bene economico si dice PRIVATO quando sia anche appropriabile, ovvero a consumo individuale. Un bene privato, dunque, è caratterizzato dal fatto che il suo consumo da parte di un individuo è incompatibile, o meglio rivale, con il consumo da parte di uno o più altri individui. Un bene è privato se, cioè, è perfettamente divisibile tra i consumatori. Detta X la quantità totale consumata di un certo bene (o servizio), in un determinato istante temporale di riferimento e X1, X2, X3 …. Xn le quantità consumate singolarmente dagli n individui, per il bene privato X si avrà: X = X1 + X2 + X3 …. Xn I beni privati, essendo appropriabili, hanno un prezzo di mercato. I beni privati d'interesse estimativo si possono inoltre classificare: · Secondo la destinazione in: a) beni di consumo: rivolti a soddisfare direttamente un bisogno; b) beni di produzione (o strumentali o capitali): rivolti a produrre nuova ricchezza e cioè nuovi beni. · Secondo la durata in: a) beni a fecondità semplice: sono quelli che esauriscono la loro utilità con l'impiego di una sola volta; b) beni a fecondità ripetuta: soggetti con l'uso a solo logorio parziale, e cioè capaci di soddisfare più volte lo stesso bisogno. · Secondo la natura in: a) beni materiali: gli oggetti e le cose tangibili in genere; b) beni immateriali o servizi: sono quelli originati dall'intelletto e dall'attività dell'uomo. Un bene economico si dice COLLETTIVO o PUBBLICO o a consumo collettivo, se è caratterizzato dal fatto che il consumo dello stesso da parte di un individuo è compatibile, o meglio non rivale, con il consumo dello stesso da parte di altri individui. In altri termini, per un bene collettivo si avrà: X = X1 = X2 = … = Xn Se, inoltre, un bene collettivo è anche non-escludibile (nonappropriabile) ovvero è caratterizzato dalla difficoltà o impossibilità da parte di un individuo di escludere altri individui dall'uso di tale bene, allora si è in presenza di un bene pubblico. La non-escludibilità può essere di natura tecnica (i.e. non è tecnicamente possibile escludere alcuni individui dal godimento del bene come nel caso della difesa nazionale) ovvero economica (l'esclusione sarebbe troppo costosa e quindi non conveniente dal punto di vista economico, come nel caso dell'accesso ad una montagna, una spiaggia, un tratto di mare, ecc.). Un esempio di un bene pubblico è appunto la difesa nazionale, in quanto un pacifista o un obbiettore fiscale è difeso come gli altri, non può esserne escluso. Esempi di beni collettivo ma non pubblici sono dati dalla strada e dai servizi scolastici: una strada è un bene a consumo relativamente non rivale (salvo le situazioni di congestione), tuttavia è tecnicamente ed economicamente possibile escludere alcuni dal suo consumo, facendo pagare un prezzo (pedaggio) a coloro che la vogliono utilizzare; una lezione scolastica può essere ascoltata contemporaneamente da più persone (è dunque un bene a consumo non rivale) ma è agevole stabilire che vi possono accedere solo coloro che pagano una tassa d'iscrizione. Un bene pubblico, non essendo appropriabile, non ha un prezzo di mercato, e quindi il settore privato non ha convenienza economica a produrlo: esso deve essere necessariamente prodotto dal settore pubblico (salvo nel caso delle risorse naturali). Si badi bene che la mancanza di prezzo dei beni pubblici non è connessa al fatto che essi non sono scarsi. Stiamo infatti parlando di beni economici, ossia disponibili in quantità limitata, che, tuttavia non hanno prezzo in quanto non-appropriabili e nonescludibili. L'aria (risorsa naturale) non ha prezzo non solo perchè abbondante, come erroneamente si crede, ma perchè non escludibile; infatti, l'aria pulita sta diventando sempre più scarsa (sta quindi diventando un bene economico) e, tuttavia, il mercato, da solo, non è in grado di regolamentare questa scarsità proprio perchè si tratta di un bene non appropriabile. E‘ necessario quindi l'intervento pubblico per correggere questo "fallimento" del mercato e imporre un "prezzo" all'aria pulita, ad es. mediante tasse sull'inquinamento atmosferico o l'obbligo alle imprese di utilizzare filtri e depuratori. In relazione al tipo di beni da sottoporre al giudizio di stima, si è soliti dividere l'Estimo in: · micro-estimo: che comprende riguardano soggetti privati e, soprattutto beni privati; quei giudizi che di conseguenza, · macro-estimo: relativo ai giudizi di stima che riguardano l'intera collettività e, quindi, in prevalenza, beni pubblici. I TIPI DI VALORE DI INTERESSE ESTIMATIVO Tutti i beni economici - cioè i beni utili e disponibili in quantità limitata - hanno un certo valore. Non tutti, come abbiamo visto, hanno però un prezzo. Il valore di un bene economico viene quindi determinato, in generale, dalla sua utilità e dalla sua scarsità. I tipi di valore d'interesse estimativo sono: il valore d'uso, il valore di scambio e il valore di stima. Il valore d'uso è rappresentato dalla quantità di soddisfazione che è possibile trarre da un bene in ragione della sua diretta utilizzazione. Esso rappresenta la capacità di un bene di soddisfare i bisogni e dipende quindi dalla sua utilità per un dato individuo. Con le parole del Michieli*, "il valore d'uso non rappresenta il valore intrinseco di un bene e, pertanto, riferendosi ad un particolare stato d'animo dell'uomo, sfugge di conseguenza ad ogni misurazione economica. L'utilità di un bene, infatti, è diversa da individuo a individuo e, per lo stesso individuo, quantità successive dello stesso bene forniscono via via utilità minori. Ne deriva che il valore d'uso, per lo stesso bene, può essere diverso da individuo a individuo". Il valore d'uso, in definitiva, è un concetto di scarsa applicazione pratica, in quanto non misurabile, mentre le preferenze del consumatore possono essere più agevolmente rilevate attraverso il suo comportamento effettivo sul mercato ovvero attraverso le scelte che si nella domanda che egli fa per i diversi beni economici. E' sempre sul mercato che le imprese esprimono la loro offerta di beni ed è dall'incontro tra domanda e offerta che si fissa il prezzo e avviene lo scambio. * Michieli I. (1993), Trattato di Estimo, Edagricole, Bologna. Il valore di scambio, pertanto, è dato dal rapporto con cui un bene si scambia con gli altri beni;nelle economie monetarie, esso è dato dalla quantità di moneta che si scambia con un dato bene. Il valore di scambio, contrariamente al valore d'uso,è dunque misurabile. Il pensiero della scuola economica classica, infatti, riteneva che il valore dei beni si misurasse in termini oggettivi e che, quindi, il valore delle merci dovesse essere ricondotto alla quantità di lavoro chè è contenuto in esse (teoria del valore-lavoro di Smith, Ricardo e Marx). In sostanza se per i neoclassici il valore di scambio coincide con il prezzo di mercato dei beni, per i classici il valore di un bene è in qualche modo riconducibile al suo costo di produzione. Il valore di stima è semplicemente un giudizio di valore, espresso in moneta, intorno ad un dato bene, in un dato momento (principio di attualità) e per determinate finalità (principio di dipendenza). Il valore di stima rappresenta "il più probabile" valore di scambio e deve essere il più possibile "oggettivo", in quanto il giudizio di stima non deve esprimere né l'opinione delle persone direttamente interessate al caso di stima, né quella del perito, e deve quindi riferirsi alla generalità degli operatori che risultano essere anche i più frequenti (principio dell'ordinarietà). Come tale, il valore di stima non può e non deve riguardare il cosiddetto valore d'uso, che è di natura individuale e soggettiva. Anche il valore di scambio, tuttavia, come il valore d'uso, non è assoluto. Mentre, infatti, il valore d'uso è relativo alla soddisfazione che un dato individuo ne può trarre, il valore di scambio di un bene è relativo invece alla quantità di altri beni che si possono avere in cambio di esso. In realtà il concetto di valore di scambio così come lo conosciamo oggi è stato introdotto dalla scuola neoclassica, che riteneva l'utilità di un bene economico non una componente qualitativa (oggettiva) del bene stesso, ma un rapporto tra un oggetto (il bene) e un soggetto (il consumatore) il quale ha per obbiettivo la massimizzazione della soddisfazione fornita dal bene (approccio utilitaristico e marginalista di Jevons). Questo schema di analisi può essere approfondito, tuttavia, per il momento, si osservi come tale approccio alla misurazione del valore non sia stato sempre uguale. Il pensiero della scuola economica classica, infatti, riteneva che il valore dei beni si misurasse in termini oggettivi e che, quindi, il valore delle merci dovesse essere ricondotto alla quantità di lavoro che è contenuto in esse (teoria del valore-lavoro di Smith, Ricardo e Marx). In sostanza se per i neoclassici il valore di scambio coincide con il prezzo di mercato dei beni, per i classici il valore di un bene è in qualche modo riconducibile al suo costo di produzione. Come vedremo, il valore di stima potrà, di volta in volta, essere ricondotto in larga massima a una di queste due concezioni apparentemente alternative del valore di scambio di un bene. Il valore di stima è semplicemente un giudizio di valore, espresso in moneta, intorno ad un dato bene, in un dato momento (principio di attualità) e per determinate finalità (principio di dipendenza). Il valore di stima rappresenta "il più probabile" valore di scambio e deve essere il più possibile "oggettivo", in quanto il giudizio di stima non deve esprimere né l'opinione delle persone direttamente interessate al caso di stima, né quella del perito, e deve quindi riferirsi alla generalità degli operatori che risultano essere anche i più frequenti (principio dell'ordinarietà). Come tale, il valore di stima non può e non deve riguardare il cosiddetto valore d'uso, che è di natura individuale e soggettiva. N.B. Estimo come “pacchetto” di strumenti (tecniche, misurazioni, modelli e formule) funzionale all’analisi e all’interpretazione completa del “problema economico” Dunque, i tipi di valore di interesse estimativo sono: a. in ambito micro-estimativo: 1. VALORE DI MERCATO Il valore di mercato di un bene è il più probabile valore che con ogni probabilità si potrebbe realizzare in una libera contrattazione di compravendita su un determinato mercato e in un dato momento. Ovviamente tale valutazione è possibile solo se esiste un mercato del bene da stimare e il giudizio di stima risulterà tanto più obiettivo e verosimile quanto maggiore sarà l'estensione di quel particolare mercato e quanto più frequenti saranno gli scambi all'interno di esso. 2. VALORE DI COSTO DI PRODUZIONE O RIPRODUZIONE Il valore di costo di un bene è dato dalla somma di tutte le reintegrazioni di capitali e di remunerazioni che un'impresa dovrebbe sostenere per produrre o riprodurre un dato bene economico in un dato momento. Tale valutazione è possibile anche in assenza di un mercato per il bene oggetto di stima, purchè esistano i mercati dei beni di produzione (fattori) utilizzati per attuare il processo produttivo. 3. VALORE DI RENDIMENTO O CAPITALIZZAZIONE Il valore di rendimento di un bene è il valore che corrisponde alla somma algebrica, resa attuale al momento di stima, di tutti i redditi futuri forniti da un bene. Tale valore, naturalmente, può essere attribuito soltanto ai beni a fecondità ripetuta, e può coincidere o meno col più probabile valore di mercato. 4. VALORE DI TRASFORMAZIONE Il valore di trasformazione rappresenta il valore che si può attribuire ad un bene in vista della sua trasformazione e si ricava per differenza tra il valore di mercato del bene trasformato e le spese che un'impresa dovrebbe sostenere per trasformare il bene stesso (costo di trasformazione). Ovviamente tale giudizio di valore si può determinare, in via generale, soltanto per quei beni la cui trasformazione sia tecnicamente possibile, economicamente conveniente e legalmente ammessa. 5. VALORE DI SURROGAZIONE Il valore di surrogazione consiste nel costo che si deve sostenere per "surrogare" il bene oggetto di stima con un altro capace di soddisfare gli stessi bisogni, assumendo, per base della valutazione, il prezzo di mercato del surrogato. Tale valutazione è possibile solo se il bene da stimare sia, effettivamente, sostituibile con altri beni e che questi, a loro volta, siano capaci di soddisfare gli stessi bisogni o di svolgere le stesse funzioni del bene da stimare. Si ricorre in pratica al valore di surrogazione quando non esiste un mercato per il bene oggetto di stima. 6. VALORE COMPLEMENTARE Il valore complementare di un bene o di una sua parte è il valore che detto bene o porzione assume nei confronti del bene originario nella sua unità economica o produttiva. In pratica si fa ricorso al valore complementare quando si tratta di determinare "il contributo che una parte ben precisata di un tutto reca al valore del tutto" (Medici). Le circostanze che rendono opportuno il ricorso a tale metodo di stima sono, ad esempio, l'espropriazione parziale di un fondo rustico o di un immobile urbano, la stima oggetti ed opere d'arte difficilmente riproducibili che costituiscono parte integrante dell'arredamento di un edificio storico, soprattutto nel caso della stima per danni). Il valore complementare si ottiene per differenza tra il valore di mercato del bene intero e il valore di mercato della porzione residua del bene stesso, concepita staccata e separatamente vendibile. b. in ambito macro-estimativo: 7. VALORE ECONOMICO TOTALE o VALORE SOCIALE Un tentativo di sistematizzare le questioni relative al valore di beni pubblici è stata effettuata da Pearce e Turner (1990) e da Pearce e Moran (1994), che hanno introdotto il concetto di valore economico totale. Il valore economico totale (Vet) di un bene pubblico territoriale o ambientale (ad es. una foresta, un parco) può essere suddiviso in due componenti principali: Vet = Vut + Vi dove con valore d'uso totale (Vut) ci si riferisce al valore di beni e servizi cui l'individuo è disposto a rinunciare ovvero al valore della ‘’disponibilità a pagare’’ per poter fruire personalmente della risorsa sia ora che nel futuro. Tale valore è associato al beneficio derivante all'uso concreto che viene fatto della risorsa e coincide quindi con il concetto di costo opportunità. A sua volta il Vut può essere scomposto in valore d'uso reale (Vur) e valore di opzione (Vo). Vut = Vur + Vo II primo è a sua volta dato dalla somma dei valori relativi ai beni e servizi direttamente consumabili (c.d. valori d’uso diretti: ad esempio il legno ricavato da una foresta) e dei valori d'uso indiretti; questi sono, ad esempio, quelli relativi all’uso del bene a scopo turistico/ricreativi, e in generale agli usi non appropriativi e non distruttivi. Il valore d'opzione (Vo) è invece interpretabile come il valore degli usi potenziali futuri di una data risorsa, contrapposto quindi al valore d’uso in atto. Il Vo indica quindi la spesa addizionale che ogni agente è disposto ad affrontare per potersi garantire anche nel futuro l'utilizzo della risorsa, oltre che dei beni e servizi da essa prodotti. Nel caso di risorse ambientali e territoriali rispetto alle quali si hanno ancora scarse informazioni diventa poi rilevante il valore di quasi opzione (Vqo). Con tale concetto ci si riferisce al valore dell’opzione di conservazione di una risorsa per usi potenziali futuri sulla base di una qualche aspettativa di incremento delle conoscenze necessario alla sua valorizzazione. Si pensi ad esempio ai possibili impieghi in campo farmaceutico delle piante selvatiche. La perdita di ambienti naturali provocata dal consumo di risorse ambientali e territoriali associata alla crescita economica può portare all’estinzione di una specie o varietà prima che sia stato possibile metterne in evidenza le caratteristiche utili a fini terapeutici. Ai benefici certi e facilmente quantificabili derivanti dallo sviluppo agricolo, industriale o urbano dell’area in oggetto, si contrappone un beneficio incerto associato alla protezione della stessa area. La seconda componente principale del Vet è il valore intrinseco o non d’uso (Vi) delle risorse dato a sua volta dalla somma del valore di eredità (Vb) e di quello di esistenza (Ve). Vi = Vb + Ve In particolare con il primo ci si riferisce al valore attribuito all'opportunità che le generazioni future possano fruire della risorsa, mentre il secondo deriva dal sapere che la risorsa esiste e continuerà ad esistere ed è un concetto completamente separato da qualsiasi considerazione circa l’uso presente o futuro della risorsa stessa. Un esempio di quest'ultimo tipo di valore è riscontrabile nell’importanza attribuita alle specie, animali o vegetali, in via di estinzione ma anche a determinate opere di rilevanza paesaggistica e/o culturale, al di là del fatto che si faccia effettivo uso di questi beni da parte di molti soggetti, che durante il corso della loro vita non vedranno mai nemmeno un lupo o non avranno l’occasione di visitare il museo del Louvre o il parco di Yellowstone. Il valore intrinseco è quello che più degli altri si riallaccia alla teoria “verde” del valore e all’importanza economica dell’altruismo. Il valore intrinseco, enfatizzato anche dai sostenitori della cosiddetta “ecologia del profondo” (deep ecology) è un valore che non è legato all’uso da parte dell’uomo-consumatore (non-preference-related valuei) né è costituito dal valore apportato dall’uomo-produttore. Le funzioni e le potenzialità degli ecosistemi sono una ricca fonte di valore intrinseco, valore che esisterebbe anche se gli esseri umani fossero estinti. Inoltre, tale valore non è semplicemente la somma dei valori delle singole funzioni delle parti di un ecosistema; esiste, infatti, un sovrappiù, un plusvalore sistemico associato al valore economico dell’ecosistema nella sua complessità e globalità. Normalmente il valore di mercato non è in grado di “catturare” il valore intrinseco di un bene: semplicemente non è lo strumento adatto. Inoltre, anche il valore economico totale, che rappresenta la somma della disponibilità a pagare totale per quel bene, è comunque una sottostima del “vero” valore economico, in quanto non tiene conto di quel plusvalore sistemico che difficilmente viene riconosciuto fino a quando non av- vengono eventi catastrofici, come ad esempio una frana causata dalla deforestazione. L’uomo, valutando anche ‘per conto’ delle altre specie, è dunque in grado di tenere conto di parte del valore intrinseco, che è dunque espressione di una qualche forma di altruismo – avere a cuore altri esseri viventi, umani e non – che assume rilevanza economica. L’altruismo economico è al centro dell’ipotesi di Gaia, dal nome della dea greca della terra. Tale ipotesi (Lovelock, 1979) sostiene che la terra va considerata come un vero e proprio organismo vivente, qualcosa di più della somma delle varie parti che la compongono; questa ipotesi organica e sistemica significa anche che la sopravvivenza dell’organismo è qualcosa di assai più importante della sopravvivenza dei singoli individui che lo compongono. I bisogni individuali devono essere, pertanto, sacrificati a questo “bene comune”, così come del resto fanno le famiglie nel contesto umano. E’ facile osservare che mano a mano che ci si sposta dalla prima componente (Vur) verso il valore di opzione e i valori non d’uso dimi - nuisce la “tangibilità” dei benefici generati dalla risorsa stessa, il che rende necessario l'impiego di tecniche di valutazione ad hoc. Inoltre, mentre le motivazioni altruistiche associabili al concetto di eredità, di dono alle generazioni future, hanno ancora un contenuto di valore d’uso – seppure legato al consumo delle generazioni a venire e non a quella presente, il valore di esistenza è riconducibile a un concetto di empatia verso gli altri esseri viventi o verso i prodotti dello ‘spirito’ umano (come le opere d’arte uniche) che è assolutamente scollegato all’uso – presente o futuro – del bene da valutare. Il concetto di valore che è stato fino a qui illustrato rappresenta il cosiddetto valore (economico) sociale dei beni pubblici ambientali, culturali e territoriali, ovvero il valore che si ottiene quando si considera l’effetto complessivo, presente e futuro, sul benessere di tutti gli individui che compongono la collettività. Il problema della “pianificazione” e “gestione” delle risorse ambientali, culturali e territoriali, nonché della valutazione delle opere che producano modificazioni nella qualità e quantità disponibile di tali risorse, risiede principalmente nella NON COINCIDENZA tra valore di mercato (se esiste) e valore economico totale di tali risorse, ovvero nella difficoltà di determinazione di un “valore sociale” in termini esclusivamente monetari. A questo punto, il processo di valutazione può essere sintetizzato utilizzando, ad esempio, una rappresentazione grafica del tipo a diagramma di flusso “valutazione – decisione” come esposto nella figura 1. Figura 1 Diagramma di flusso del processo di valutazione Oggetto della Valutazione Criterio(i) Metodo(i) Giudizio di valore In sostanza si parte dalla volontà di determinare il valore di un bene che non ha trovato espressione nel mercato, sia perché il bene non è stato ancora oggetto di scambio (è il caso di un bene privato per il quale non è stato ancora rilevato un prezzo), sia perché non esiste un mercato per tale bene (per il quale non è quindi possibile rilevare un prezzo: è il caso dei beni pubblici). Per valore qui non s’intende necessariamente “valore espresso in moneta”, anche se questa è spesso la rappresentazione più comune del valore in ambito economico. Gli elementi essenziali del processo di valutazione sono due: · il criterio (i criteri) di valutazione; · il metodo di valutazione. Per quanto riguarda i criteri, questi sono misure, regole e/o standard che guidano il processo di valutazione e dipendono strettamente dagli obiettivi fissati dal valutatore. Nel caso di valutazione monetaria, il criterio è dato, quasi sempre, dall’utilità attribuita dall’individuo al bene oggetto di valutazione, utilità intesa come “misura del benessere”. Tale utilità non è tuttavia necessariamente correlata all’effettivo uso del bene da parte dell’individuo-valutatore (funzione del valutatore complessa, multi-obiettivo). La determinazione del criterio o dei criteri trova la sua espressione nel metodo di valutazione, che indica la “ricetta” (intesa come processo sequenziale di operazioni) per arrivare alla formulazione di un “giudizio di valore”. Il passaggio dall’ambito della valutazione a quello della decisione è piuttosto lineare: il problema decisionale è un problema di valutazione, che si rende necessario in presenza di vincoli al raggiungimento degli obiettivi. Il processo di valutazione, anche se spesso riferito a beni economici, cioè la cui disponibilità (assoluta e/o relativa) è scarsa, in realtà non presuppone l’esistenza di vincoli al raggiungimento degli obiettivi per potersi concepire; in assenza di limiti al raggiungimento di determinati obiettivi, o in presenza di vincoli non limitanti per determinati beni, per utilizzare una terminologia in uso nell’ambito della ricerca operativa, il processo di valutazione porterà ad attribuire un valore nullo o comunque molto basso, in presenza, ad esempio, di asimmetrie informative, al bene in questione. Un “problema decisionale” è, in sostanza, un problema di scelta composto di tre elementi: · uno o più decisori (decision maker); · un vettore di scelte possibili; · uno o più criteri decisionali, in rappresentanza di altrettanti obiettivi (target). La decisione si attua valutando il vettore delle scelte sulla base dei criteri/obiettivi assunti dai/l decisori/e e stabilendo un ordine di priorità delle varie opzioni possibili sulla base di ciascun criterio. Se vi sono due o più criteri, e se questi vengono considerati in modo simultaneo, si è in presenza di un problema di “decisione multicriteriale”, un problema complesso, la cui soluzione appare, spesso, non priva di “conflittualità” tra gli obiettivi prefissati. Quando la decisione (scelta della/e soluzioni) comporta la risoluzione di conflitti, l’ausilio delle tecniche multi-criteriali può aiutare il/i decisore/i ad esplicitare tali conflitti e le loro conseguenze per i vari attori coinvolti nel processo decisionale. In termini generali si potrà avere: 1. APPROCCI MONO-CRITERIALI: ANALISI COSTIBENEFICI (ACB) L’ACB può essere definita come un metodo coerente di organizzare le informazioni inerenti i vantaggi (benefici) e gli svantaggi (costi), sia privati che sociali in termini di una “comune unità di misura monetaria”. Così, ad esempio, la costruzione di una nuova infrastruttura stradale comporterà costi di costruzione, costi di manutenzione e costi sotto forma di incremento della rumorosità in alcune zone (magari a beneficio di altre da cui il traffico è stato distolto), inquinamento atmosferico, deturpazione del paesaggio e aumento del numero e gravità degli incidenti (a causa, ad esempio, della maggiore velocità raggiungibile sulla nuova strada e sulle altre a cui il traffico è stato sottratto). I benefici consisteranno in una riduzione dei tempi di trasporto per gli utenti della nuova strada, riduzione dei tempi di percorrenza, della rumorosità e dell’inquinamento atmosferico sulle strade da cui il traffico è stato distolto, aumento complessivo degli utenti con effetti indotti sulle economie locali (riorganizzazione e razionalizzazione dei flussi). Le valutazioni dei benefici e dei costi che non sono forniti dai prezzi di mercato sono ottenute, sostanzialmente, grazie a stime della disponibilità a pagare (DAP) per ottenere un beneficio o della dispo- nibilità ad accettare una compensazione (DAA) per tollerare un costo da parte degli individui; l’obiettivo della valutazione è quello della massimizzazione del benessere sociale che tenga conto di criteri di equità intra ed inter-generazionale, opportunamente pesati dal decisore pubblico, cui spetta il compito di raccogliere, organizzare ed esprimere le preferenze collettive (governance delle decisioni). In altre parole, la situazione finale (dopo la realizzazione dell’opera) deve risultare migliore di quella iniziale. Il termine “migliore” può essere controverso e ingenerare qualche confusione; il primo ad enunciare una nozione di “ottimo sociale” che permettesse di valutare diverse situazioni costituita da grandezze eterogenee e perciò incomparabili, fu Pareto, con il famoso criterio detto appunto di Pareto: il benessere sociale associato a un certo progetto è ottimale quando è impossibile migliorare la posizione di benessere di qualche individuo senza peggiorare quella di qualcun altro. Si capisce immediatamente, tuttavia, che il criterio paretiano non è di alcun aiuto nei casi in cui, come nell’ACB, è necessario valutare benefici per alcuni e costi per altri. Soccorre quindi l’estensione attribuita a Kaldor e Hicks, secondo i quali ci si può ritenere in una situazione di ottimo paretiano quando coloro che vengono avvantaggiati da un progetto sono in grado di “compensare” coloro che ne sono danneggiati e, tuttavia, ottenere ancora un beneficio netto. In definitiva, tale tecnica, non appare esente da “difficoltà” di applicazione, legate alla valutazione di molteplici fattori, quali, ad esempio: a. equità intra-inter generazionale (spazio-temporale); b. divergenza tra punto di vista sociale e punto di vista individuale; c. problemi nella quantificazione degli effetti legati a determinate alternative e scelte; d. determinazione del saggio di sconto (saggio utilizzato per attualizzare i flussi di costo e beneficio prodotti da un investimento); e. asimmetria di informazione, incertezza degli scenari e delle scelte... 2. TECNICHE DI VALUTAZIONE INDIRETTA: Le tecniche di valutazione indiretta cercano di determinare il valore che gli individui attribuiscono ai beni ambientali basandosi su transazioni di mercato per beni che sono complementi o sostituti dei beni che si intendono stimare (condizione di complementarità debole). ALCUNI ESEMPI: · il metodo dei prezzi edonici (Hedonic Price Approach); · il metodo dei costi di viaggio. Secondo il metodo dei prezzi edonici, per esempio, il valore di un appezzamento di terra è legato al flusso di benefici (beneficio fondiario) che si può ottenere da esso. Tra questi, vanno compresi anche i benefici connessi alla qualità ambientale della zona. Pertanto è possibile ottenere una stima del valore dei benefici ambientaliNe territoriali sulla base delle differenze misurabili nel valore dei singoli appezzamenti di terra, ceteris paribus. Utilizzando poi tecniche statistiche ed econometriche appropriate è possibile separare nei valori rilevati sui mercati immobiliari, la parte del prezzo di un terreno o altro bene immobile che è da attribuire alle sue qualità ambientali, ovvero stimare la somma che i cittadini sono disposti a pagare per migliorare la qualità dell'ambiente in cui abitano e/o che i circonda (+/-Δ valore del/i terreno/i per la presenza/assenza di verde, prati, campi coltivati, bosco/frutteto, siepi, filari, aree verdi, orti giardini …). Il metodo dei costi di viaggio si basa su un’estensione della teoria della domanda in cui viene data particolare enfasi al valore del tempo da investire ed alla scelta (o non scelta) di visitare un determinato luogo (ad es. museo o parco naturale, sito archeologico, riserva, area naturale protetta, area ad alto valore naturale, sic, zps …). Il metodo, proposto inizialmente da Clawson (1959) sulla base di un precedente lavoro di Hotelling (1949) viene utilizzato in presenza di due condizioni: a) è possibile osservare costi correlati al consumo di beni culturali o ambientali da parte di individui appartenenti a una data collettività sociale; b) i beni consumati sono beni per i quali non esiste un prezzo di mercato. In altre parole vengono osservati i comportamenti degli individui per ricavarne elementi sui costi che sono disposti a sostenere per fruire di un bene ambientale, territoriale o culturale e si considerano questi costi come rappresentativi della loro disponibilità a pagare per quel bene. Nonostante il metodo prenda il nome dai costi di perché questa è di solito la principale delle voci sostenute per recarsi a visitare un dato luogo, in riferimento principale è piuttosto il valore del tempo per la visita, visto come costo opportunità rispetto impiegabile in attività remunerate. trasporto di spesa realtà, il impiegato al tempo L’essenza del metodo sta nella rilevazione del numero di visitatori del bene (culturale o ambientale che sia), delle loro provenienze e del mezzo di trasporto, della frequenza delle visite, delle spese sostenute nel viaggio, nonché del tempo impiegato e l’attività a cui si è rinunciato per effettuare la visita stessa. La somma di tutti questi valori per i diversi visitatori, più quella delle spese sostenute in loco per la visita, fornisce una stima lorda della domanda monetaria della collettività per l’uso di quel dato bene. 3. TECNICHE DI VALUTAZIONE DIRETTA: LA VALUTAZIONE CONTINGENTE La tecnica di valutazione più diffusa per i beni pubblici è la valutazione contingente (VC). Si tratta dell’unico approccio in grado di stimare i valori non d’uso o intrinseci di tali beni. Essa aggira il problema dell’assenza del mercato creando una sorta di mercato artificiale. Il metodo consiste in una indagine diretta sul pubblico per determinare quanto gli individui sono disposti a pagare per fruire di un bene ambientale (o, al contrario, quanto domandano per rinunciare a fruirne). Tale metodo di valutazione simula una situazione di scelta (choice) individuale tra diverse alternative: gli agenti dichiarano le proprie preferenze e la loro disponibilità a pagare; i dati così raccolti servono ad approssimare una curva di domanda per un dato bene ambientale. Esistono diversi modi per costruire una valutazione contingente, ma i principali sono il questionario, il referendum e l’asta. La tecnica più utilizzata consiste nell’utilizzo di un questionario diretto, nel quale si chiede agli interessati quanto sarebbero disposti a pagare per quel bene o servizio se per esso esistesse un mercato (o a quanto venderebbero un diritto sullo stesso bene). In alternativa, si possono realizzare degli esperimenti (referendum o asta) in cui gli interrogati vengono posti in situazioni che simulano la scelta individuale in condizioni reali. Qui di seguito si illustrano alcuni dei problemi più frequenti che si riscontrano con il metodo della valutazione contingente: 1. errori e/o distorsioni nella valutazione da parte degli agenti; 2. errori e/o distorsioni informazioni; nella raccolta e gestione delle 3. scelta del metodo di misura dei benefici... E ancora, sempre nell’ambito della stima del valore economico dell’ambiente, si veda la tabella di sintesi di seguito riportata. IL VALORE ECONOMICO DELL’AMBIENTE 4. APPROCCI MULTI-CRITERIALI: Si basano sul fatto che il “decisore” non sempre è interessato alla soluzione in funzione di un “unico criterio od obiettivo”, ma può invece mirare all’individuazione del “miglior compromesso” fra diversi obiettivi anche conflittuali. ALCUNI ESEMPI: · la valutazione di impatto ambientale (via); · lo strategic environmental assessment (sea); · la sostenibilità nella valutazione dei progetti; · ... ... - NOTA BENE Le tecniche multi-criteriali costituiscono una vasta famiglia di approcci per l’ottimizzazione simultanea di diversi obiettivi; ogni soluzione alternativa viene descritta da un “vettore di attributi” che rappresentano la minore o maggiore realizzazione degli obiettivi del decisore. Generalmente sono basate sulla valutazione degli elementi/componenti attraverso la costruzione di una specifica “matrice” atta a valutare complessivamente gli effetti di ogni singola alternativa. OPERAZIONI UTILI: - Normalizzazione. L’operazione di normalizzazione (o standardizzazione) consente di relativizzare i risultati di ogni criterio, in modo da evitare i problemi di calcolo connessi alla presenza, nella matrice, di differenti e specifiche unità di misura. - Ponderazione. Esso riflette il “peso” inteso come l’importanza relativa che si intende attribuire ai criteri adottati, e di conseguenza ai rispettivi risultati. -Serie di concordanza e serie di discordanza. Queste serie vengono ricavate in base ad una comparazione a coppie di progetti alternativi. In pratica: i risultati (e i corrispondenti criteri di decisione) relativi ai progetti vengono divisi in due serie, quella di concordanza e quella di discordanza. - Matrice di concordanza e matrice di discordanza. - Indice sintetico discordanza. di concordanza; Indice sintetico di - Eliminazione e selezione. La procedura esposta ai punti precedenti può essere utilizzata sia per l’eliminazione dei progetti privi di rilevanza sia per la selezione del progetto più appropriato. Nel primo caso è sufficiente scartare le alternative caratterizzate da un basso valore di concordanza e da un elevato valore di discordanza. Nel secondo caso è invece necessario istituire un collegamento tra le classifiche di concordanza e di discordanza e stabilire un opportuno criterio di selezione. ANCORA ALTRI METODI: · l'approccio gerarchico analitico di Saaty: L’approccio del processo analitico gerarchico (Analytic Hierarchy Process – AHP) di Saaty (1980) richiede la costruzione di un grafo ad albero, gerarchico, degli attributi rilevanti del problema. Quindi, mediante confronti binari, si determina l’importanza relativa dei criteri (pesi) nonché il punteggio da attribuire a ciascun criterio. Il grafo ad albero è lo strumento per individuare sia i criteri da utilizzare nell’analisi che le alternative da utilizzare nella decisione. Per la strutturazione della gerarchia Saaty suggerisce di utilizzare congiuntamente un approccio top-down (a partire dall’obiettivo dell’analisi) e bottom-up (a partire dalle alternative decisionali o progettuali) fino a quando i rami del grafo si congiungono in modo da rendere possibili i confronti. · l’approccio fuzzy di Yager: La scelta tra diverse alternative decisionali o progettuali caratterizzate in base ad un insieme di criteri (attributi, obiettivi, dimensioni, impatti, ecc.) è un momento centrale di qualsivoglia approccio di analisi multi-criteri. Spesso alcuni di questi criteri possono essere espressi soltanto mediante giudizi di valore, per loro natura soggettivi e, quindi, vaghi, imprecisi, dai confini incerti. L’esplicito riconoscimento della “natura vaga” e imprecisa di molti giudizi di valore - basati sul linguaggio naturale - è alla base dello sviluppo metodologico che qui brevemente si presenta e che fa riferimento alla logica polivalente e alla teoria degli insiemi fuzzy (insiemi sfocati o aperti). La teoria degli insiemi fuzzy o sfocati nasce proprio dall’esigenza di trovare una strumentazione logico-matematica che unisca le capacità proprie del linguaggio naturale a rappresentare la polivalenza e l’indeterminazione, con i vantaggi della formalizzazione algebrica e della rappresentazione numerica (logica matematico-formale). (assenza di definizione univoca, lessicale linguistica, classica; negazione delle sole due categorie antitetiche: vero, falso; appartiene vs non appartiene; bianco, nero ….. Introduzione della componente intermedia; il colore “grigio”; confine/bordo indefinito (aperto) - impreciso, polivalente vs bivalente…..).