Medea: analisi del film di Pasolini - Blog-ER

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PIER PAOLO PASOLINI, Medea, 1970
Analisi elaborata utilizzando
M. FUSILLO, La Grecia secondo Pasolini, Firenze 1996.
Contenuto delle sequenze
Campionatura dell’educazione di
Giasone da parte del Centauro: il
parlato consiste sempre nel discorso
del Centauro, ma Giasone compare
prima come bambino di cinque anni,
poi come adolescente di quindici; il
Centauro passa dalla forma mista, che
racconta l’antefatto mitico, alla forma
umana, che spinge il ragazzo ad
aspirare al trono.
Frase del C. Non c’è nessun dio;
stacco netto (inquadratura di una
pecora); passaggio a sintagma
descrittivo che presenta il paesaggio
della Colchide
Informazioni tecniche
Commento culturale
Sequenza ad episodi: una
serie di brevi scene
rappresentative di un
processo più ampio
Primo
elemento
di
contrasto è il silenzio.
Il
paesaggio
della
Colchide è quello delle
rovine del cristianesimo
primitivo in Cappadocia.
E’ una delle scene più
impressionanti del cinema
pasoliniano.
Un silenzio profondo
avvolge questo universo
sacrale colto nella sua
attesa del rito con un uso
insistente di primi piani:
Medea, Apsirto, il ragazzo
destinato al sacrificio.
Le varie fasi del sacrificio
Il rito termina con una festa orgiastica sono filmate in tempo
in cui la folla, fra cui alcune grosse reale.
figure mascherate, mima una sorta di
detronizzazione della famiglia reale, La sequenza è stata girata
oggetto di un rituale sputo in faccia: in Turchia fra gli abitanti
Medea viene crocifissa, mentre di Goreme, quindi con
molti
attori
non
Apsirto viene frustato con dei rami.
professionisti: è un caso
di
“cinema
antropologico”.
Sacrificio umano officiato da Medea:
la vittima viene prima spalmata con
olio colorato per essere consacrata, poi
uccisa per soffocamento; le sue
membra sono
quindi squartate
(σπαραγμός): se ne estraggono le
viscere, che vengono sotterrate ,
mentre il suo sangue viene usato per
aspergere le foglie e le ceneri vengono
disperse fra i campi.
I vari atti rituali simboleggiano
la restituzione dello spirito
vitale alla terra per ottenerne la
fertilità.
Pasolini stesso indicò tra le
fonti di questo film il Trattato
di storia delle religioni di
MIRCEA ELIADE (cfr. cap.
IX, in cui hanno grande rilievo
i sacrifici umani), un libro che
lo aveva molto colpito e da cui
trasse l’idea che la civiltà
agraria sia fondata su una
temporalità ciclica, legata alla
seminagione come ciclo di
morte e resurrezione, elemento
sintetizzato nell’unica frase
pronunciata da Medea “ Dà
vita al seme e rinasci con il
seme”.
Il particolare dello sputo in
faccia con le percosse alla
famiglia dei regnanti richiama
da vicino il concetto di
detronizzazione ( parte vitale
del
rovesciamento
carnevalesco, secondo Bachtin)
Pelia impone a G. la conquista del
Vello
Il film ha inizio dunque con la presentazione di due mondi in antitesi, perché giustappone due
serie simboliche di eventi: l’educazione di Giasone e il rito officiato da Medea.
Mondo di Giasone
Mondo di Medea
E’ dominato dalla parola, desacralizzato,
pragmatico, con una temporalità lineare,
Il mondo della Colchide è immerso fin
dall’inizio in una atemporalità mitica in una sorta
di temporalità ciclica, che rinnova ogni anno i
riti di fecondazione della terra; è un mondo
dominato dal sacro, che racchiude in sé anche la
violenza.
Si esprime non con la parola razionale, ma con il
GRIDO RITUALE ( in questo caso di Medea).
orientata verso la maturazione razionalistica che
dovrebbe portare G. a riappropriarsi del potere.
Di Medea non viene rappresentata nessuna
evoluzione: Maria Callas (l’attrice) compare fin
dall’inizio nella sua piena sacralità di
sacerdotessa.
A livello figurativo nel mondo di Giasone
dominano geometria, linearità (vd. scena in cui si A livello figurativo l’universo colchico è
schierano gli Argonauti).
raffigurato tramite immagini curvilineari,
oblique, CIRCOLARI (movimento circolare di
Medea e delle donne nella visione).
L’antitesi fra questi due mondi diventa particolarmente incisiva nel momento in cui
essi vengono a contatto per la prima volta.
Contenuto delle sequenze
Un breve primo piano della zattera
sintetizza la lunga navigazione degli
Argonauti.
L’approdo in Colchide è raccontato
invece diffusamente:
gli Argonauti sono raffigurati come
una banda di giovani predoni arroganti
che rubano tesori e cavalli; G. lascia
una moneta a una vittima derubata
dicendole: “Prega per noi!”
Scena di vita quotidiana nella
Colchide colta nei suoi ritmi di società
Informazioni tecniche
Commento culturale
Pasolini ha eliminato
tutta la parte avventurosa
del viaggio, elemento
presente in interpretazioni
hollywoodiane di questo
mito.
Esso rappresenta la violazione
di un universo arcaico da parte
di uno moderno e pragmatico.
Il film esalta il mondo arcaico
come un mondo dotato di una
agraria: viene dipinto soprattutto il
lavoro collettivo delle donne che
cantano in coro
diversa temporalità, di un suo
pensiero peculiare: un mondo
che viene violato
dall’aggressione colonialista di
Giasone, dettata da cinico
pragmatismo.
Strutturazione tutta visiva L’eros, un violento eros fisico,
Primi piani sulla famiglia reale che sta dell’episodio (sfiducia di sarà la forza dirompente che
per addormentarsi: M. appare già Pasolini
nella distruggerà l’equilibrio fra
turbata.
comunicazione verbale)
Medea e il suo mondo; perciò a
livello espressivo tutto il
racconto
comincia
a
focalizzarsi sul punto di vista
di M.
M. in preda a turbamento decide di
recarsi al tempio : durante il tragitto
L’immagine del FUOCO, oltre
si slancia URLANDO verso dei
ad essere qui una sorta di
FUOCHI accesi dalle donne.
premonizione magica (poco
M. prega sola nel tempio dove è
dopo M. vedrà G.) ha un valore
appeso il Vello d’oro: vediamo entrare
metaforico, in quanto fra la
G. che si avvicina con un’espressione
protagonista e il fuoco c’è un
carezzevole.
rapporto simbolico che culmina
Dopo uno sguardo prolungato M.
nel finale.
sviene: l’innamoramento scaturisce
senza alcuno scambio verbale, come
una forza sovrumana.
Sgomento
di M. : la vediamo Tace per la prima volta la Desacralizzazione provocata
guardare il paesaggio, il Vello, i musica che accompagna
dall’eros, che comporta una
poveri arredi sacri con un’espressione M.; la sceneggiatura dice: perdita di senso della realtà.
quasi incredula.
“tutto resta muto, isolato,
L’angoscia poi si trasforma in un indecifrabile”
nuovo strano sorriso: M. tenta allora di
strappare dall’albero sacro il Vello, Pasolini
adotta
un
quindi di aiutare G.
racconto ellittico: non è
stata rappresentata la
richiesta del Vello da
parte di Eeta: lo spettatore
sa che quello è lo scopo
del viaggio solo dal
dialogo con Pelia e vede
ora M. che cerca di
strappare l’oggetto sacro
in preda ad una sorta di
trance,di innamoramento
scaturito dall’apparizione
del CORPO di G.
Senza nessun accordo con G. Medea
Medea continua ad apparire in
decide di rubare il Vello e coinvolge il
preda a una forza inconscia,
fratello Apsirto.
oscura, che non conosce
motivazioni verbali e razionali,
ma solo la logica fisica
dell’emozione.
M. raggiunge G. per consegnargli il
Vello.
Decide poi di uccidere Apsirto per
bloccare
l’inseguimento
degli
Argonauti: si ripete il rito dello URLO RITUALE della
smembramento (per la versione del madre di Apsirto.
fratricidio, cfr. OVIDIO).
Fuga e inseguimento.
Primo approdo: gli Argonauti piantano
le tende, mentre M., in preda a un
raptus, urla contro di loro perché non
consacrano prima il luogo, non
cercano il centro; gli eroi reagiscono
ironici, incapaci di comprenderla,
mentre Orfeo suona qualche nota.
M. si isola e percorre con un
movimento CIRCOLARE il terreno,
rivolgendosi alla terra come in un
“folle monologo”( Fammi sentire la
tua voce. Non ricordo più la tua voce),
la sole, alle pietre, mentre gli
Argonauti consumano il loro pasto.
Il rito , ora che Medea si è
sradicata dal suo contesto,
perde il suo significato
originario e ne assume uno
molto più sinistro.
Torna l’antitesi fra i due
mondi: vengono giustapposte
la ricerca di autosalvazione da
parte degli Argonauti e il senso
sacrale dei Colchi, che
raccolgono le membra di
Apsirto.
Ritorna l’antitesi fra i due
mondi.
La sceneggiatura dice:
“M. cerca il sacro che ha
abbandonato
nella
Colchide
e
il
cui
sentimento è cessato di
colpo con l’apparizione
carnale di G.” proprio nel
luogo in cui era custodito
il Vello .
G. torna da Pelia e gli offre il Vello,
ma il re non mantiene la promessa.
M. viene vestita come una donna Importante la presenza
greca.
della musica e delle varie
donne.
CORINTO: G. reincontra, all’esterno
della reggia, il Centauro da cui era Alla domanda di G.
stato educato nel duplice aspetto.
“Come mai sei qui?” la
G. chiede allora se si tratti di una voce fuori campo del
visione e il Centauro umano gli Centauro risponde “Vuoi
risponde: “ Se lo è sei tu che la dire ‘come mai siamo
produci: noi due siamo infatti dentro qui?’”; a questo punto lo
di te”. E G. : “ Ma io ho conosciuto un spettatore, a cui è stato
solo Centauro”, a cui il Centauro: trasmesso finora solo il
“No, ne hai conosciuti due: uno sacro, punto di vista di G.,
quando eri bambino, uno sconsacrato, scopre assieme al suo
quando sei diventato adulto...” E a personaggio, che entrambi
proposito del Centauro doppio si i Centauri sono presenti,
precisa:
“
Esso
non
parla, impersonati dallo stesso
naturalmente, perché la sua logica è attore.
La VESTIZIONE qui è rituale
MAGICO e opera collettiva.
Il
Vecchio
Centauro
rappresenta, quindi, l’infanzia,
il sacro, ma anche l’inconscio
rimosso di G. (rapporto
freudiano Es/Ego)
così diversa dalla nostra che non si
potrebbe intendere (...) E’ sotto il suo
segno che tu - al di fuori dei tuoi
calcoli e della tua interpretazione ami Medea”.
G. : “Io amo Medea?”
Centauro: “Sì. Ed inoltre hai pietà di
lei e comprendi la sua catastrofe
spirituale . . . il suo disorientamento di
donna antica in un mondo che non
crede in nulla di ciò in cui lei ha
sempre creduto . . la poverina ha
avuto una conversione alla rovescia.
Pianto finale di G.
Interno della casa di M.: la donna
decide di recarsi a Corinto e si fa
accompagnare dalle ancelle.
All’esterno della reggia la protagonista
assiste a una danza maschile fra G. e
alcuni ragazzi del luogo
Si tratta di un dialogo
molto importante, in una
cesura della narrazione (il
passaggio dalla sezione
dedicata al viaggio a
quella che si svolge a
Corinto) in un film
dominato dalla poetica del
silenzio.
Con uno stacco netto la
camera inquadra un gatto
che beve latte; ha inizio
ora un sintagma narrativo
lineare.
La scena all’esterno della
reggia è stata girata a Pisa
(Piazza dei miracoli),
mentre le altre scene
ambientate a Corinto sono
state girate in una città
siriaca, Alep: eclettismo
pasoliniano.
Essa è rappresentata dal
punto di vista di M.,
alternando però immagini
in soggettiva di G.
guardato da M. a primi
piani del volto di M. che
lo guarda in lacrime.
La conversione alla rovescio
di M. è il suo essere passata di
colpo, solo per effetto di un
eros tutto fisico, da un mondo
magico a uno pragmatico.
L’errore di G. , a livello
psicologico,
consiste
nel
rimuovere l’istanza dell’Es non
riconoscendo l’amore per M.; a
livello antropologico, è l’errore
della società razionalistica che
vuole eliminare il sacro dalla
nuova dinamica sociale.
Pasolini con questa visione
personalizzata sintetizza tutta
la tematica della frustrazione e
dell’esclusione di M. dal
mondo di G., aggiungendovi
forse una certa sfumatura
omoerotica.
Breve scena con le ancelle:
apprendiamo che sono passati dieci
anni dalla fuga dalla Colchide; M. si
sente svuotata, “ un vaso pieno di
sapere non mio”. Si ritira quindi nella
propria camera.
M. appare distesa a occhi chiusi: la sua
visione consiste in un breve dialogo
col Sole, riconosciuto subito come il
padre di suo padre, il quale le dice: “E
allora cosa aspetti? coraggio!”,
mentre il primo piano dell’eroina,
nell’incontro magico con la sua stirpe,
si fa radioso.
Il passaggio a questa unità
non avviene col solito
stacco netto, ma con la
sovrimpressione del volto
di M. e dello splendido
paesaggio della Colchide
(sempre la Cappadocia),
mentre comincia a sentirsi
la
musica
barbarica,
sempre
associata
all’universo colchico.
Questa sovrapposizione, oltre a
fornire un raccordo con la
scena successiva, suggerisce
anche l’identità fra M. e il suo
universo arcaico, dopo che il
film ha alluso alla sua
emarginazione.
La visione continua: ha inizio una
scena che contiene una serie di
citazioni dal dialogo fra M. e il coro
(vv. 764-823): lo spettatore del film, a
differenza di quello della tragedia, fino
a questo punto non sa nulla del
progetto di matrimonio fra G. e
Glauce, così come non sa nulla del
bando di esilio emanato da Creonte,
cioè non conosce i presupposti
dell’azione
drammatica,
le
motivazioni del desiderio di vendetta.
Pasolini inoltre elimina tutti i
riferimenti concreti all’uccisione dei
bambini e della sposa, lasciando solo
dei cenni generici al coraggio per
compiere queste azioni e al dolore che
ne scaturirà.
Nuova sovrapposizione: il
volto di Medea in lacrime
si sovrappone, stavolta,
all’immagine delle donne
della
sua
casa,
all’universo femminile,
che
è
l’unico
suo
sostegno, a Corinto.
Il dialogo quindi è nel
film meno interlocutorio;
M. e le donne, del resto,
ripetono
come
un
ritornello di preghiera la
triplice invocazione a
Zeus, a Dike e a Helios e
lo fanno girando in cerchi
più volte, mentre risuona
la
musica
barbarica:
dominano qui la funzione
emotiva e quella poetica
del linguaggio.
Con questo riaggancio
alla scena precedente
(vestito e luce sono gli
stessi) Pasolini sembra
volere
riprodurre
la
temporalità multipla del
sogno.
La scena termina con l’incarico alla
nutrice di andare a chiamare G., poi si
ritorna per un attimo al dialogo con il
Sole, il quale pronuncia ancora una
frase allusiva: “ Nelle tue vecchie
spoglie, Medea, nelle tue vecchie
spoglie”.
M. è solitaria nella sua stanza.
La macchina da presa
riprende prima il FUOCO
poi il diadema, che è
un’immagine
con
funzione prolettica, in
Scena fra G. e M. che ripropone la quanto
prelude
finta riconciliazione del IV° episodio all’uccisione magica di
di Euripide, sempre in forma Glauce.
abbreviata.
Da notare il presentimento del dolore Scena più emotiva che
che M. prova guardando i figli, che referenziale rispetto al
però qui è solo un’allusione oscura.
modello euripideo.
Quello che in Euripide è un
dialogo orientato verso l’azione
qui è un momento di
ritualià magica, in cui la parola
non è il segno dominante, ma è
equiparata alla musica e al
gesto: è una parola che non
espone lucidamente il piano di
vendetta, ma ne esprime il
desiderio.
G. si incammina verso la reggia
giocando allegramente coi bambini
inghirlandati a festa.
I doni vengono consegnati alla
principessa che poi viene vestita.
Morte di Glauce.
Anche questa sequenza è
demarcata
dalla
sovrimpressione.
Vengono
presentati
parallelamente, in forma
molto
espressiva,
l’interno della reggia,
dove Glauce si guarda
allo
specchio
con
espressione
fortemente
angosciata, e l’esterno,
dove si succedono la
danza gioiosa di G.
insieme ai figli, scene
quotidiane (bambini che
mangiano
angurie),
momenti rituali (donne
che accendono fuochi e
intrecciano corone), il
tutto enfatizzato da una
musica
particolarmente
intensa.
Continua
l’alternanza,
stavolta fra la reazione
sgomenta di Creonte
all’interno
e
la
consunzione della giovane
all’esterno,
proprio
accanto alla casa di
Medea, con un primi
piano
simbolico
sul
FUOCO, che consuma poi
anche Creonte.
Una
breve
sovrimpressione (il volto
di M. in lacrime) rimanda
di nuovo al carattere
visionario del racconto.
Un piano autonomo su
Medea che piange da sola
nella stanza (che richiama
l’inizio della visione) e
l’immagine di Glauce
viva con cui inizia la
scena
successiva
confermano
allo
spettatore che tutta questa
lunga serie narrativa non
era reale, ma apparteneva
alla visione immaginaria
prodotta dall’angoscia di
La scena della VESTIZIONE
di Glauce ha un carattere di
RITUALITA’ MAGICA.
Nel testo di Euripide Glauce è,
invece, ὑπερχαίρουσα.
M.
Lo spettatore, soprattutto
se alla prima visione del
film non decodifica come
visione tutto il lungo
segmento che abbiamo
analizzato, resta sorpreso
nel vedere Glauce viva
dopo averne visto la
morte.
Glauce appare in preda ad angoscia: si
guarda allo specchio, si fa asciugare le
lacrime dalla nutrice, finché entra il
padre Creonte, che cerca di esorcizzare
il silenzio con una battuta sull’abito da
sposa e poi esce turbato.
Scena fra M. e Creonte.
Il testo della tragedia è
seguito
in
forma
abbastanza fedele, con gli
abituali sfoltimenti, che
rendono qui Creonte
meno aggressivo. La sua
battuta “. . . pur sentendo
di
sbagliare,
voglio
concederti ciò che mi
chiedi”
presenta
un’aggiunta significativa:
“. . . non è per odio verso
di te, né per sospetto per
la tua diversità di
barbara, arrivata alla
nostra città coi segni di
un’altra razza, che ho
paura . . . Ma è per amore
di mia figlia, che si sente
colpevole verso di te e,
sapendo il tuo dolore,
prova un dolore che non
dà pace, tanto che per lei
Alla fine di questo dialogo M. sviene queste nozze sono ragione
(come già nel tempio in Colchide dopo di lutto anziché di felicità.
avere visto G.).
E’ perché tu, senza colpa
non la opprima con la tua
presenza che io voglio,
disumanamente, cacciarti
dalla mia terra.”
Scena fra G. e M.
Il dialogo è ridotto ad
alcune battute molto
essenziali rispetto alla
veemenza del testo greco;
è
interessante
il
Cfr. Euripide, vv. 271-356
Questa interpolazione al testo
greco chiarisce l’orientamento
generale dell’interpretazione
pasoliniana: il dramma di
Creonte e di sua figlia è un
dramma psicologico, dominato
dal senso di colpa (nella
sceneggiatura, a proposito del
senso di colpa di Glauce si
parla di “nevrosi”)
Cfr. Euripide, vv. 446-626
Nella tragedia greca la frase su
rifacimento della risposta
di G. (vv. 526-544) che
nel film ha parole molto
più crude: “devo solo a
me stesso la buona
riuscita
delle
mie
imprese; anche se tu non
lo vorrai mai riconoscere,
se hai fatto per me
qualche cosa l’hai fatto
solo per amore del mio
corpo . . . ti ho dato
infine più di quanto ho
ricevuto”.
Eros
ha
una
funzione
antropologica:
deresponsabilizzare
M.,
motivando tutti i suoi atti con
una forza trascendente e
invincibile come Eros; nel film
è eliminato ogni riferimento
divino, sostituito con una più
diretta motivazione sessuale e
con una sottolineatura tutta
pasoliniana del corpo. Il vanto
poi di dovere tutto a se stesso è
paradossale, proprio perché
nella versione pasoliniana G.
deve tutto a M. per quanto
concerne la sua impresa: il suo
cinismo risulta amplificato.
Ultimo rapporto fisico fra M. e G.
Tecnica dello “sguardo in Si concretizza il tema della
macchina”.
sessualità
cui
ha
fatto
Scena
d’amore riferimento prima G.
teneramente ambigua.
Ripresa della vendetta di M., già Il dialogo si ripete in
raccontata dalla visione.
forma
assolutamente
letterale, il che costituisce
certo una soluzione ardita.
Proprio questa identità
narrativa
spinge
lo
spettatore a cogliere le
varianti di ordine stilistico
e figurativo:
 nella sequenza in cui
M. affida i doni ai
bambini
 la macchina da presa è
versione
“reale”
molto meno mobile ed La
rispetto
alla
è quasi sempre fissa su dell’evento,
visione, è più scarna, oggettiva,
M.
 i due bambini non quasi documentaria.
vengono inghirlandati;
 la
sequenza
che
riprende il tragitto
verso la reggia non è
più così ludica e ricca
di movimento;
 dall’incontro
con
Glauce
sono
stati
eliminati il primo La VESTIZIONE perde il
piano su Creonte solo e carattere di RITUALITA’
l’intervento
della MAGICA enfatizzata dalla
nutrice che sconsiglia musica, non si proietta più
verso
tutto
il
mondo
di accettare i doni
anziché l’alternanza quasi
ossessiva esterno/interno
qui c’è un unico stacco
che alterna la stanza di
Glauce e quella di
Creonte
(tutto
è
all’interno della reggia).
Glauce si suicida lanciandosi dall’alto Abbiamo con questa
delle mura, seguita dall’angosciato soluzione tecnica due
Creonte.
varianti della vendetta di
M.: la prima, onirica,
mitica, con uno stile
poetico
e
magico
(alternanza,
sovrimpressione, simboli
visivi e uditivi come il
sole,
il
paesaggio
colchico, il FUOCO, la
musica);
al
seconda
razionale,
“realistica,
dominata da un uso
denotativo della parola e
del dialogo, basata su una
dinamica
interiore,
raccontata in forma più
spoglia e prosastica.
M. con espressione serena chiama il
primo figlio per farlo andare a
dormire, gli fa un bagno che è già un Primo piano de coltello,
rito di passaggio, lo veste di una veste che allude all’uccisione,
bianca e lo culla teneramente.
la quale, a differenza del
sacrificio umano e del
fratricidio, non viene
rappresentata.
Ritorna il primo piano del
Per il secondo figlio M. ripete lo coltello, in questo caso
stesso rituale.
macchiato del sangue del
Nella stanza attigua c’è il pedagogo primo figlio.
che interrompe il canto, il che dà un Per due volte viene
segnale angoscioso.
inquadrato il FUOCO del
camino, la prima quando
il pedagogo vi soffia
sopra, la seconda alla fine
della sequenza.
circostante, ma diventa un
elemento intimo, chiuso nella
reggia; non è opera collettiva
delle donne, ma movimento
individuale della ragazza.
Tutto ciò prelude al diverso
finale sulla morte di Glauce.
La variante, ispirata dal
dramma Lunga notte di Medea
di Alvaro, eliminando dalla
giovane i tratti di rivale, gioca
sull’identificazione ra le due
donne.
Si può dire che Pasolini o
ritualizza il testo euripideo per
renderlo più arcaico (si è
parlato
di
recupero
di
un’arcaicità eschilea), come
nella visione, o lo modernizza
con aggiunte psicologiche,
come nel racconto realistico
della vendetta.
Come in Euripide il tema
dell’amore materno si esprime
con plastica fisicità.
Viene però eliminata, rispetto
al testo tragico, ogni forma di
conflittualità: l’infanticidio è
conseguenza
dello
sradicamento di M. dal suo
ambiente sacro; non c’è
conflitto
fra
istanze
sentimentali, ma conflitto fra
culture: la colpa di G. è non
avere sentito la diversità
culturale di M.
Il FUOCO è il motivo
simbolico che connota sempre
l’universo
di
M.
(in
opposizione all’universo di G.
Dialogo fra M. e G.
A un certo punto M. dice: “Perché
cerchi di passare attraverso il
FUOCO? Non potrai farlo. E’ inutile
tentare. Se vuoi parlami, puoi farlo,
ma senza avermi vicino né toccarmi”.
legato
alla
mobilità
dell’acqua); ma
qui forse
l’immagine prelude anche alla
distruzione della casa che M.
attuerà poco dopo proprio con
il FUOCO qui inquadrato ed
esso costituirà la barriera che
dividerà M. e G. nel finale. Il
FUOCO,
quindi,
connota
l’universo sacrale di M.,
dall’altro esprime il suo potere
di distruzione e di morte con
un richiamo prolettico anche
alla scena finale, dove vale
come
simbolo
di
incomunicabilità.
Nel testo di Euripide M. appare
in alto sulla scena, come un
deus ex machina, sul carro
alato di Helios, mentre G. tenta
invano di scardinare la porta
per seppellire i suoi figli, senza
però riuscire ad entrare in
contatto con M.: anche in quel
caso la scena si svolge dall’alto
verso il basso.
M. compare nell’alto della
casa, mentre G. accorre
dalla strada: sembra un
chiaro richiamo all’altro
dialogo fra i due, in cui G.
aveva
dichiarato
paradossal- mente di
dovere solo a se stesso il
suo successo: entrambe le
scene sono costituite da
primi piani, ma mentre in
quella scena precedente
G. aveva la posizione di
potere, qui la situazione è Questo rovesciamento spaziale
rovesciata.
alto/basso rispetto al dialogo
precedente del film sembra
segnare la vendetta di M. per
l’emarginazione subita; rispetto
però al testo euripideo Pasolini
ha eliminato la sua “salvazione
spettacolare”.
Ultima immagine del film: sole che L’immagine è in una zona
sorge, già con la scritta “fine”.
di paratesto più che di
testo; è stata da molti
associata a quella iniziale
del film (sempre sui titoli
di testa).
L’immagine è variamente
interpretata: a qualcuno sembra
una lezione positiva della
storia, quindi l’espressione di
un aspetto costruttivo del
sacrificio di M.; per altri
l’immagine finale del sole
ripropone la temporalità ciclica
tipica dell’universo magico di
M.
Per interpretare Giasone viene scelto un attore non professionista, ma un atleta. Si vuole
rappresentare un ragazzo incosciente, che vive soprattutto la sua fisicità, come molti personaggi
pasoliniani.
E’ il razionalismo che lo spinge a rimuovere l’amore per M.: tutta la curva drammaturgica del film
vuole visualizzare l’assurdità di questa rimozione, senza sfociare nella morte, ma ribadendo solo il
punto di non ritorno a cui porta l’abbandono del mitico, del barbarico; con questo Pasolini
probabilmente non vuole far trionfare la cultura arcaica e demonizzare quella moderna, ma
mostrare l’unilateralità ingenua di una società che crede di avere superato il sacro e di avere
controllato le passioni.
Giasone e Medea rappresentano quindi da una parte una cultura primitiva, magica e sacrale,
dall’altra una cultura moderna, razionalistica e borghese (vista comunque nel suo formarsi); a
questa bipolarità se ne sovrappone una psicoanalitica tra Es ed Ego e una politica fra Occidente e
Terzo Mondo.
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