PIER PAOLO PASOLINI, Medea, 1970 Analisi elaborata utilizzando M. FUSILLO, La Grecia secondo Pasolini, Firenze 1996. Contenuto delle sequenze Campionatura dell’educazione di Giasone da parte del Centauro: il parlato consiste sempre nel discorso del Centauro, ma Giasone compare prima come bambino di cinque anni, poi come adolescente di quindici; il Centauro passa dalla forma mista, che racconta l’antefatto mitico, alla forma umana, che spinge il ragazzo ad aspirare al trono. Frase del C. Non c’è nessun dio; stacco netto (inquadratura di una pecora); passaggio a sintagma descrittivo che presenta il paesaggio della Colchide Informazioni tecniche Commento culturale Sequenza ad episodi: una serie di brevi scene rappresentative di un processo più ampio Primo elemento di contrasto è il silenzio. Il paesaggio della Colchide è quello delle rovine del cristianesimo primitivo in Cappadocia. E’ una delle scene più impressionanti del cinema pasoliniano. Un silenzio profondo avvolge questo universo sacrale colto nella sua attesa del rito con un uso insistente di primi piani: Medea, Apsirto, il ragazzo destinato al sacrificio. Le varie fasi del sacrificio Il rito termina con una festa orgiastica sono filmate in tempo in cui la folla, fra cui alcune grosse reale. figure mascherate, mima una sorta di detronizzazione della famiglia reale, La sequenza è stata girata oggetto di un rituale sputo in faccia: in Turchia fra gli abitanti Medea viene crocifissa, mentre di Goreme, quindi con molti attori non Apsirto viene frustato con dei rami. professionisti: è un caso di “cinema antropologico”. Sacrificio umano officiato da Medea: la vittima viene prima spalmata con olio colorato per essere consacrata, poi uccisa per soffocamento; le sue membra sono quindi squartate (σπαραγμός): se ne estraggono le viscere, che vengono sotterrate , mentre il suo sangue viene usato per aspergere le foglie e le ceneri vengono disperse fra i campi. I vari atti rituali simboleggiano la restituzione dello spirito vitale alla terra per ottenerne la fertilità. Pasolini stesso indicò tra le fonti di questo film il Trattato di storia delle religioni di MIRCEA ELIADE (cfr. cap. IX, in cui hanno grande rilievo i sacrifici umani), un libro che lo aveva molto colpito e da cui trasse l’idea che la civiltà agraria sia fondata su una temporalità ciclica, legata alla seminagione come ciclo di morte e resurrezione, elemento sintetizzato nell’unica frase pronunciata da Medea “ Dà vita al seme e rinasci con il seme”. Il particolare dello sputo in faccia con le percosse alla famiglia dei regnanti richiama da vicino il concetto di detronizzazione ( parte vitale del rovesciamento carnevalesco, secondo Bachtin) Pelia impone a G. la conquista del Vello Il film ha inizio dunque con la presentazione di due mondi in antitesi, perché giustappone due serie simboliche di eventi: l’educazione di Giasone e il rito officiato da Medea. Mondo di Giasone Mondo di Medea E’ dominato dalla parola, desacralizzato, pragmatico, con una temporalità lineare, Il mondo della Colchide è immerso fin dall’inizio in una atemporalità mitica in una sorta di temporalità ciclica, che rinnova ogni anno i riti di fecondazione della terra; è un mondo dominato dal sacro, che racchiude in sé anche la violenza. Si esprime non con la parola razionale, ma con il GRIDO RITUALE ( in questo caso di Medea). orientata verso la maturazione razionalistica che dovrebbe portare G. a riappropriarsi del potere. Di Medea non viene rappresentata nessuna evoluzione: Maria Callas (l’attrice) compare fin dall’inizio nella sua piena sacralità di sacerdotessa. A livello figurativo nel mondo di Giasone dominano geometria, linearità (vd. scena in cui si A livello figurativo l’universo colchico è schierano gli Argonauti). raffigurato tramite immagini curvilineari, oblique, CIRCOLARI (movimento circolare di Medea e delle donne nella visione). L’antitesi fra questi due mondi diventa particolarmente incisiva nel momento in cui essi vengono a contatto per la prima volta. Contenuto delle sequenze Un breve primo piano della zattera sintetizza la lunga navigazione degli Argonauti. L’approdo in Colchide è raccontato invece diffusamente: gli Argonauti sono raffigurati come una banda di giovani predoni arroganti che rubano tesori e cavalli; G. lascia una moneta a una vittima derubata dicendole: “Prega per noi!” Scena di vita quotidiana nella Colchide colta nei suoi ritmi di società Informazioni tecniche Commento culturale Pasolini ha eliminato tutta la parte avventurosa del viaggio, elemento presente in interpretazioni hollywoodiane di questo mito. Esso rappresenta la violazione di un universo arcaico da parte di uno moderno e pragmatico. Il film esalta il mondo arcaico come un mondo dotato di una agraria: viene dipinto soprattutto il lavoro collettivo delle donne che cantano in coro diversa temporalità, di un suo pensiero peculiare: un mondo che viene violato dall’aggressione colonialista di Giasone, dettata da cinico pragmatismo. Strutturazione tutta visiva L’eros, un violento eros fisico, Primi piani sulla famiglia reale che sta dell’episodio (sfiducia di sarà la forza dirompente che per addormentarsi: M. appare già Pasolini nella distruggerà l’equilibrio fra turbata. comunicazione verbale) Medea e il suo mondo; perciò a livello espressivo tutto il racconto comincia a focalizzarsi sul punto di vista di M. M. in preda a turbamento decide di recarsi al tempio : durante il tragitto L’immagine del FUOCO, oltre si slancia URLANDO verso dei ad essere qui una sorta di FUOCHI accesi dalle donne. premonizione magica (poco M. prega sola nel tempio dove è dopo M. vedrà G.) ha un valore appeso il Vello d’oro: vediamo entrare metaforico, in quanto fra la G. che si avvicina con un’espressione protagonista e il fuoco c’è un carezzevole. rapporto simbolico che culmina Dopo uno sguardo prolungato M. nel finale. sviene: l’innamoramento scaturisce senza alcuno scambio verbale, come una forza sovrumana. Sgomento di M. : la vediamo Tace per la prima volta la Desacralizzazione provocata guardare il paesaggio, il Vello, i musica che accompagna dall’eros, che comporta una poveri arredi sacri con un’espressione M.; la sceneggiatura dice: perdita di senso della realtà. quasi incredula. “tutto resta muto, isolato, L’angoscia poi si trasforma in un indecifrabile” nuovo strano sorriso: M. tenta allora di strappare dall’albero sacro il Vello, Pasolini adotta un quindi di aiutare G. racconto ellittico: non è stata rappresentata la richiesta del Vello da parte di Eeta: lo spettatore sa che quello è lo scopo del viaggio solo dal dialogo con Pelia e vede ora M. che cerca di strappare l’oggetto sacro in preda ad una sorta di trance,di innamoramento scaturito dall’apparizione del CORPO di G. Senza nessun accordo con G. Medea Medea continua ad apparire in decide di rubare il Vello e coinvolge il preda a una forza inconscia, fratello Apsirto. oscura, che non conosce motivazioni verbali e razionali, ma solo la logica fisica dell’emozione. M. raggiunge G. per consegnargli il Vello. Decide poi di uccidere Apsirto per bloccare l’inseguimento degli Argonauti: si ripete il rito dello URLO RITUALE della smembramento (per la versione del madre di Apsirto. fratricidio, cfr. OVIDIO). Fuga e inseguimento. Primo approdo: gli Argonauti piantano le tende, mentre M., in preda a un raptus, urla contro di loro perché non consacrano prima il luogo, non cercano il centro; gli eroi reagiscono ironici, incapaci di comprenderla, mentre Orfeo suona qualche nota. M. si isola e percorre con un movimento CIRCOLARE il terreno, rivolgendosi alla terra come in un “folle monologo”( Fammi sentire la tua voce. Non ricordo più la tua voce), la sole, alle pietre, mentre gli Argonauti consumano il loro pasto. Il rito , ora che Medea si è sradicata dal suo contesto, perde il suo significato originario e ne assume uno molto più sinistro. Torna l’antitesi fra i due mondi: vengono giustapposte la ricerca di autosalvazione da parte degli Argonauti e il senso sacrale dei Colchi, che raccolgono le membra di Apsirto. Ritorna l’antitesi fra i due mondi. La sceneggiatura dice: “M. cerca il sacro che ha abbandonato nella Colchide e il cui sentimento è cessato di colpo con l’apparizione carnale di G.” proprio nel luogo in cui era custodito il Vello . G. torna da Pelia e gli offre il Vello, ma il re non mantiene la promessa. M. viene vestita come una donna Importante la presenza greca. della musica e delle varie donne. CORINTO: G. reincontra, all’esterno della reggia, il Centauro da cui era Alla domanda di G. stato educato nel duplice aspetto. “Come mai sei qui?” la G. chiede allora se si tratti di una voce fuori campo del visione e il Centauro umano gli Centauro risponde “Vuoi risponde: “ Se lo è sei tu che la dire ‘come mai siamo produci: noi due siamo infatti dentro qui?’”; a questo punto lo di te”. E G. : “ Ma io ho conosciuto un spettatore, a cui è stato solo Centauro”, a cui il Centauro: trasmesso finora solo il “No, ne hai conosciuti due: uno sacro, punto di vista di G., quando eri bambino, uno sconsacrato, scopre assieme al suo quando sei diventato adulto...” E a personaggio, che entrambi proposito del Centauro doppio si i Centauri sono presenti, precisa: “ Esso non parla, impersonati dallo stesso naturalmente, perché la sua logica è attore. La VESTIZIONE qui è rituale MAGICO e opera collettiva. Il Vecchio Centauro rappresenta, quindi, l’infanzia, il sacro, ma anche l’inconscio rimosso di G. (rapporto freudiano Es/Ego) così diversa dalla nostra che non si potrebbe intendere (...) E’ sotto il suo segno che tu - al di fuori dei tuoi calcoli e della tua interpretazione ami Medea”. G. : “Io amo Medea?” Centauro: “Sì. Ed inoltre hai pietà di lei e comprendi la sua catastrofe spirituale . . . il suo disorientamento di donna antica in un mondo che non crede in nulla di ciò in cui lei ha sempre creduto . . la poverina ha avuto una conversione alla rovescia. Pianto finale di G. Interno della casa di M.: la donna decide di recarsi a Corinto e si fa accompagnare dalle ancelle. All’esterno della reggia la protagonista assiste a una danza maschile fra G. e alcuni ragazzi del luogo Si tratta di un dialogo molto importante, in una cesura della narrazione (il passaggio dalla sezione dedicata al viaggio a quella che si svolge a Corinto) in un film dominato dalla poetica del silenzio. Con uno stacco netto la camera inquadra un gatto che beve latte; ha inizio ora un sintagma narrativo lineare. La scena all’esterno della reggia è stata girata a Pisa (Piazza dei miracoli), mentre le altre scene ambientate a Corinto sono state girate in una città siriaca, Alep: eclettismo pasoliniano. Essa è rappresentata dal punto di vista di M., alternando però immagini in soggettiva di G. guardato da M. a primi piani del volto di M. che lo guarda in lacrime. La conversione alla rovescio di M. è il suo essere passata di colpo, solo per effetto di un eros tutto fisico, da un mondo magico a uno pragmatico. L’errore di G. , a livello psicologico, consiste nel rimuovere l’istanza dell’Es non riconoscendo l’amore per M.; a livello antropologico, è l’errore della società razionalistica che vuole eliminare il sacro dalla nuova dinamica sociale. Pasolini con questa visione personalizzata sintetizza tutta la tematica della frustrazione e dell’esclusione di M. dal mondo di G., aggiungendovi forse una certa sfumatura omoerotica. Breve scena con le ancelle: apprendiamo che sono passati dieci anni dalla fuga dalla Colchide; M. si sente svuotata, “ un vaso pieno di sapere non mio”. Si ritira quindi nella propria camera. M. appare distesa a occhi chiusi: la sua visione consiste in un breve dialogo col Sole, riconosciuto subito come il padre di suo padre, il quale le dice: “E allora cosa aspetti? coraggio!”, mentre il primo piano dell’eroina, nell’incontro magico con la sua stirpe, si fa radioso. Il passaggio a questa unità non avviene col solito stacco netto, ma con la sovrimpressione del volto di M. e dello splendido paesaggio della Colchide (sempre la Cappadocia), mentre comincia a sentirsi la musica barbarica, sempre associata all’universo colchico. Questa sovrapposizione, oltre a fornire un raccordo con la scena successiva, suggerisce anche l’identità fra M. e il suo universo arcaico, dopo che il film ha alluso alla sua emarginazione. La visione continua: ha inizio una scena che contiene una serie di citazioni dal dialogo fra M. e il coro (vv. 764-823): lo spettatore del film, a differenza di quello della tragedia, fino a questo punto non sa nulla del progetto di matrimonio fra G. e Glauce, così come non sa nulla del bando di esilio emanato da Creonte, cioè non conosce i presupposti dell’azione drammatica, le motivazioni del desiderio di vendetta. Pasolini inoltre elimina tutti i riferimenti concreti all’uccisione dei bambini e della sposa, lasciando solo dei cenni generici al coraggio per compiere queste azioni e al dolore che ne scaturirà. Nuova sovrapposizione: il volto di Medea in lacrime si sovrappone, stavolta, all’immagine delle donne della sua casa, all’universo femminile, che è l’unico suo sostegno, a Corinto. Il dialogo quindi è nel film meno interlocutorio; M. e le donne, del resto, ripetono come un ritornello di preghiera la triplice invocazione a Zeus, a Dike e a Helios e lo fanno girando in cerchi più volte, mentre risuona la musica barbarica: dominano qui la funzione emotiva e quella poetica del linguaggio. Con questo riaggancio alla scena precedente (vestito e luce sono gli stessi) Pasolini sembra volere riprodurre la temporalità multipla del sogno. La scena termina con l’incarico alla nutrice di andare a chiamare G., poi si ritorna per un attimo al dialogo con il Sole, il quale pronuncia ancora una frase allusiva: “ Nelle tue vecchie spoglie, Medea, nelle tue vecchie spoglie”. M. è solitaria nella sua stanza. La macchina da presa riprende prima il FUOCO poi il diadema, che è un’immagine con funzione prolettica, in Scena fra G. e M. che ripropone la quanto prelude finta riconciliazione del IV° episodio all’uccisione magica di di Euripide, sempre in forma Glauce. abbreviata. Da notare il presentimento del dolore Scena più emotiva che che M. prova guardando i figli, che referenziale rispetto al però qui è solo un’allusione oscura. modello euripideo. Quello che in Euripide è un dialogo orientato verso l’azione qui è un momento di ritualià magica, in cui la parola non è il segno dominante, ma è equiparata alla musica e al gesto: è una parola che non espone lucidamente il piano di vendetta, ma ne esprime il desiderio. G. si incammina verso la reggia giocando allegramente coi bambini inghirlandati a festa. I doni vengono consegnati alla principessa che poi viene vestita. Morte di Glauce. Anche questa sequenza è demarcata dalla sovrimpressione. Vengono presentati parallelamente, in forma molto espressiva, l’interno della reggia, dove Glauce si guarda allo specchio con espressione fortemente angosciata, e l’esterno, dove si succedono la danza gioiosa di G. insieme ai figli, scene quotidiane (bambini che mangiano angurie), momenti rituali (donne che accendono fuochi e intrecciano corone), il tutto enfatizzato da una musica particolarmente intensa. Continua l’alternanza, stavolta fra la reazione sgomenta di Creonte all’interno e la consunzione della giovane all’esterno, proprio accanto alla casa di Medea, con un primi piano simbolico sul FUOCO, che consuma poi anche Creonte. Una breve sovrimpressione (il volto di M. in lacrime) rimanda di nuovo al carattere visionario del racconto. Un piano autonomo su Medea che piange da sola nella stanza (che richiama l’inizio della visione) e l’immagine di Glauce viva con cui inizia la scena successiva confermano allo spettatore che tutta questa lunga serie narrativa non era reale, ma apparteneva alla visione immaginaria prodotta dall’angoscia di La scena della VESTIZIONE di Glauce ha un carattere di RITUALITA’ MAGICA. Nel testo di Euripide Glauce è, invece, ὑπερχαίρουσα. M. Lo spettatore, soprattutto se alla prima visione del film non decodifica come visione tutto il lungo segmento che abbiamo analizzato, resta sorpreso nel vedere Glauce viva dopo averne visto la morte. Glauce appare in preda ad angoscia: si guarda allo specchio, si fa asciugare le lacrime dalla nutrice, finché entra il padre Creonte, che cerca di esorcizzare il silenzio con una battuta sull’abito da sposa e poi esce turbato. Scena fra M. e Creonte. Il testo della tragedia è seguito in forma abbastanza fedele, con gli abituali sfoltimenti, che rendono qui Creonte meno aggressivo. La sua battuta “. . . pur sentendo di sbagliare, voglio concederti ciò che mi chiedi” presenta un’aggiunta significativa: “. . . non è per odio verso di te, né per sospetto per la tua diversità di barbara, arrivata alla nostra città coi segni di un’altra razza, che ho paura . . . Ma è per amore di mia figlia, che si sente colpevole verso di te e, sapendo il tuo dolore, prova un dolore che non dà pace, tanto che per lei Alla fine di questo dialogo M. sviene queste nozze sono ragione (come già nel tempio in Colchide dopo di lutto anziché di felicità. avere visto G.). E’ perché tu, senza colpa non la opprima con la tua presenza che io voglio, disumanamente, cacciarti dalla mia terra.” Scena fra G. e M. Il dialogo è ridotto ad alcune battute molto essenziali rispetto alla veemenza del testo greco; è interessante il Cfr. Euripide, vv. 271-356 Questa interpolazione al testo greco chiarisce l’orientamento generale dell’interpretazione pasoliniana: il dramma di Creonte e di sua figlia è un dramma psicologico, dominato dal senso di colpa (nella sceneggiatura, a proposito del senso di colpa di Glauce si parla di “nevrosi”) Cfr. Euripide, vv. 446-626 Nella tragedia greca la frase su rifacimento della risposta di G. (vv. 526-544) che nel film ha parole molto più crude: “devo solo a me stesso la buona riuscita delle mie imprese; anche se tu non lo vorrai mai riconoscere, se hai fatto per me qualche cosa l’hai fatto solo per amore del mio corpo . . . ti ho dato infine più di quanto ho ricevuto”. Eros ha una funzione antropologica: deresponsabilizzare M., motivando tutti i suoi atti con una forza trascendente e invincibile come Eros; nel film è eliminato ogni riferimento divino, sostituito con una più diretta motivazione sessuale e con una sottolineatura tutta pasoliniana del corpo. Il vanto poi di dovere tutto a se stesso è paradossale, proprio perché nella versione pasoliniana G. deve tutto a M. per quanto concerne la sua impresa: il suo cinismo risulta amplificato. Ultimo rapporto fisico fra M. e G. Tecnica dello “sguardo in Si concretizza il tema della macchina”. sessualità cui ha fatto Scena d’amore riferimento prima G. teneramente ambigua. Ripresa della vendetta di M., già Il dialogo si ripete in raccontata dalla visione. forma assolutamente letterale, il che costituisce certo una soluzione ardita. Proprio questa identità narrativa spinge lo spettatore a cogliere le varianti di ordine stilistico e figurativo: nella sequenza in cui M. affida i doni ai bambini la macchina da presa è versione “reale” molto meno mobile ed La rispetto alla è quasi sempre fissa su dell’evento, visione, è più scarna, oggettiva, M. i due bambini non quasi documentaria. vengono inghirlandati; la sequenza che riprende il tragitto verso la reggia non è più così ludica e ricca di movimento; dall’incontro con Glauce sono stati eliminati il primo La VESTIZIONE perde il piano su Creonte solo e carattere di RITUALITA’ l’intervento della MAGICA enfatizzata dalla nutrice che sconsiglia musica, non si proietta più verso tutto il mondo di accettare i doni anziché l’alternanza quasi ossessiva esterno/interno qui c’è un unico stacco che alterna la stanza di Glauce e quella di Creonte (tutto è all’interno della reggia). Glauce si suicida lanciandosi dall’alto Abbiamo con questa delle mura, seguita dall’angosciato soluzione tecnica due Creonte. varianti della vendetta di M.: la prima, onirica, mitica, con uno stile poetico e magico (alternanza, sovrimpressione, simboli visivi e uditivi come il sole, il paesaggio colchico, il FUOCO, la musica); al seconda razionale, “realistica, dominata da un uso denotativo della parola e del dialogo, basata su una dinamica interiore, raccontata in forma più spoglia e prosastica. M. con espressione serena chiama il primo figlio per farlo andare a dormire, gli fa un bagno che è già un Primo piano de coltello, rito di passaggio, lo veste di una veste che allude all’uccisione, bianca e lo culla teneramente. la quale, a differenza del sacrificio umano e del fratricidio, non viene rappresentata. Ritorna il primo piano del Per il secondo figlio M. ripete lo coltello, in questo caso stesso rituale. macchiato del sangue del Nella stanza attigua c’è il pedagogo primo figlio. che interrompe il canto, il che dà un Per due volte viene segnale angoscioso. inquadrato il FUOCO del camino, la prima quando il pedagogo vi soffia sopra, la seconda alla fine della sequenza. circostante, ma diventa un elemento intimo, chiuso nella reggia; non è opera collettiva delle donne, ma movimento individuale della ragazza. Tutto ciò prelude al diverso finale sulla morte di Glauce. La variante, ispirata dal dramma Lunga notte di Medea di Alvaro, eliminando dalla giovane i tratti di rivale, gioca sull’identificazione ra le due donne. Si può dire che Pasolini o ritualizza il testo euripideo per renderlo più arcaico (si è parlato di recupero di un’arcaicità eschilea), come nella visione, o lo modernizza con aggiunte psicologiche, come nel racconto realistico della vendetta. Come in Euripide il tema dell’amore materno si esprime con plastica fisicità. Viene però eliminata, rispetto al testo tragico, ogni forma di conflittualità: l’infanticidio è conseguenza dello sradicamento di M. dal suo ambiente sacro; non c’è conflitto fra istanze sentimentali, ma conflitto fra culture: la colpa di G. è non avere sentito la diversità culturale di M. Il FUOCO è il motivo simbolico che connota sempre l’universo di M. (in opposizione all’universo di G. Dialogo fra M. e G. A un certo punto M. dice: “Perché cerchi di passare attraverso il FUOCO? Non potrai farlo. E’ inutile tentare. Se vuoi parlami, puoi farlo, ma senza avermi vicino né toccarmi”. legato alla mobilità dell’acqua); ma qui forse l’immagine prelude anche alla distruzione della casa che M. attuerà poco dopo proprio con il FUOCO qui inquadrato ed esso costituirà la barriera che dividerà M. e G. nel finale. Il FUOCO, quindi, connota l’universo sacrale di M., dall’altro esprime il suo potere di distruzione e di morte con un richiamo prolettico anche alla scena finale, dove vale come simbolo di incomunicabilità. Nel testo di Euripide M. appare in alto sulla scena, come un deus ex machina, sul carro alato di Helios, mentre G. tenta invano di scardinare la porta per seppellire i suoi figli, senza però riuscire ad entrare in contatto con M.: anche in quel caso la scena si svolge dall’alto verso il basso. M. compare nell’alto della casa, mentre G. accorre dalla strada: sembra un chiaro richiamo all’altro dialogo fra i due, in cui G. aveva dichiarato paradossal- mente di dovere solo a se stesso il suo successo: entrambe le scene sono costituite da primi piani, ma mentre in quella scena precedente G. aveva la posizione di potere, qui la situazione è Questo rovesciamento spaziale rovesciata. alto/basso rispetto al dialogo precedente del film sembra segnare la vendetta di M. per l’emarginazione subita; rispetto però al testo euripideo Pasolini ha eliminato la sua “salvazione spettacolare”. Ultima immagine del film: sole che L’immagine è in una zona sorge, già con la scritta “fine”. di paratesto più che di testo; è stata da molti associata a quella iniziale del film (sempre sui titoli di testa). L’immagine è variamente interpretata: a qualcuno sembra una lezione positiva della storia, quindi l’espressione di un aspetto costruttivo del sacrificio di M.; per altri l’immagine finale del sole ripropone la temporalità ciclica tipica dell’universo magico di M. Per interpretare Giasone viene scelto un attore non professionista, ma un atleta. Si vuole rappresentare un ragazzo incosciente, che vive soprattutto la sua fisicità, come molti personaggi pasoliniani. E’ il razionalismo che lo spinge a rimuovere l’amore per M.: tutta la curva drammaturgica del film vuole visualizzare l’assurdità di questa rimozione, senza sfociare nella morte, ma ribadendo solo il punto di non ritorno a cui porta l’abbandono del mitico, del barbarico; con questo Pasolini probabilmente non vuole far trionfare la cultura arcaica e demonizzare quella moderna, ma mostrare l’unilateralità ingenua di una società che crede di avere superato il sacro e di avere controllato le passioni. Giasone e Medea rappresentano quindi da una parte una cultura primitiva, magica e sacrale, dall’altra una cultura moderna, razionalistica e borghese (vista comunque nel suo formarsi); a questa bipolarità se ne sovrappone una psicoanalitica tra Es ed Ego e una politica fra Occidente e Terzo Mondo.