Lezione 1 Elementi di statistica descrittiva Insegnamento: Statistica Corso di Laurea Magistrale in Matematica Facoltà di Scienze, Università di Ferrara E-mail: [email protected] 1 Contenuti del corso Cenni di statistica descrittiva: Calcolo delle probabilità Distribuzioni di frequenza Indici statistici di posizione Indici statistici di variabilità Teoria delle variabili aleatorie Modelli di variabili aleatorie Statistica inferenziale Teoria degli stimatori Metodi di costruzione degli stimatori Teoria dei test Test parametrici e non parametrici 2 Principali Riferimenti Bibliografici Levine, Krehbiel, Berenson (2006): Statistica, II edizione, Apogeo. Piccolo D., (2000): Statistica, II edizione, il Mulino, Bologna. 3 La statistica: concetti di base Definizione: la Statistica è la scienza che si occupa della trattazione dei dati rilevati su fenomeni misurabili allo scopo di 1. rappresentare e sintetizzare i fenomeni di interesse STATISTICA DESCRITTIVA: lo scopo è quello di introdurre i metodi di analisi dei dati, i principali tipi di grafici ed il concetto di variabile 2. prendere delle decisioni in merito ad ipotesi di interesse STATISTICA INFERENZIALE Statistica: teoria e metodo per la raccolta, l’interpretazione dei dati e la scelta decisionale 4 La statistica: concetti di base Alcune definizioni: Popolazione: aggregati di individui non necessariamente viventi o materiali (ad es. se si effettua un certo numero di misure, l’insieme dei risultati costituisce una popolazione). Popolazioni presentano delle variazioni al loro interno origine aleatoria. Fenomeno aleatorio: fenomeno in cui è presente in modo essenziale un elemento di casualità. Unità statistica (soggetto): elemento di base della popolazione sul quale viene effettuata la rilevazione o la misurazione di uno o più fenomeni oggetto dell’indagine 5 La statistica: concetti di base Variabili (o caratteri): è il fenomeno oggetto dello studio, rilevato o misurato sulle unità statistiche. Dalla variabile oggetto di studio otteniamo un insieme di n osservazioni registrate che costituiscono i dati da analizzare. Modalità: espressione concreta del carattere nelle unità statistiche, cioè il numero (variabili quantitative) o l’attributo (variabili qualitative). Frequenza: numero di volte che una determinata modalità si verifica nel collettivo di riferimento. Se la frequenza è un intero non negativo si parla di frequenza assoluta; quando invece è rapportata al totale delle unità statistiche della popolazione si parla di frequenza relativa. 6 I tipi di dati Variabile numerica: se assume per modalità dei numeri. Variabile numerica discreta: se l’insieme dei valori che può assumere a priori è finito o numerabile. Variabile numerica continua: se l’insieme dei valori che può assumere a priori è l’insieme dei numeri reali o un intervallo di numeri reali. Variabile non numerica: se assume per modalità degli attributi non numerici della più varia natura. 7 La frequenza: definizione e motivazione La distribuzione di frequenza è una organizzazione dei dati in forma tabellare tale che ad ogni modalità di una certa variabile (quantitativa o qualitativa) si fa corrispondere la rispettiva frequenza (assoluta o relativa). DEFINIZIONE (per le variabili numeriche) Frequenza: conteggio del numero di unità statistiche che cadano in un certo intervallo di valori, detto classe. DEFINIZIONE (per le variabili categoriali) Frequenza: conteggio del numero di unità statistiche che assumono una data modalità. Lo studio della frequenza ci fornisce una fondamentale informazione sulla distribuzione della variabile di interesse: il modo in cui (ossia dove e come) i valori della variabile si distribuiscono nell’intervallo di variazione (variabili numeriche) o tra le diverse modalità 8 (variabili categoriali). Esempio Si consideri il voto espresso in trentesimi di due studenti (A e B) in 21 esami: A 30 18 18 24 28 30 30 30 28 27 30 24 28 27 30 30 30 26 30 28 30 B 30 18 18 20 21 20 30 18 18 27 30 24 18 22 22 30 20 26 20 22 30 Raggruppiamo i voti dei due laureandi “conteggiando” la frequenza di ciascuno dei voti compresi tra 18 e 30 ed escludiamo dall’elenco delle modalità quelle non osservate nei due casi: Voti 18 20 21 22 24 26 27 28 30 Totale Esami A 2 0 0 0 2 1 2 4 10 21 B 5 4 1 3 1 1 1 0 5 21 Emerge che il profitto di A è globalmente più elevato di quello di B. 9 Le distribuzioni di frequenza per variabili discrete Se in una popolazione composta da n elementi, una variabili X assume k modalità distinte x1,...,xk in modo tale che la modalità x1 si presenta n1 volte,....la modalità xk si presenta k volte allora possiamo rappresentare queste informazioni in forma tabellare mediante la distribuzione di frequenza: Modalità della variabile X Frequenze Assolute Frequenze Relative x1 n1 n1/n x2 n2 n2/n ... ... ... ... ... ... xi ni ni/n ... ... ... xk nk nk/n Totale n 1 10 Esempio Si vuole esaminare le distribuzioni di frequenza (assolute e relative) delle famiglie della Lombardia e della Calabria in rapporto alla variabile “Numero di componenti” (Censimento 1981 della popolazione italiana – Istat 1994) Lombardia Calabria Numero di Componenti Freq. Assoluta Freq. Relativa Freq. Assoluta Freq. Relativa 1 591.927 0.1921 105.823 0.1700 2 743.032 0.2411 132.552 0.2130 3 747.740 0.2426 111.192 0.1787 4 665.163 0.2158 129.278 0.2077 5 233.871 0.0759 79.952 0.1285 6 e più 100.054 0.0325 63.516 0.1021 Totale 3.081.787 1.0000 622.313 1.0000 11 Rappresentazione grafica delle distribuzioni di frequenza per variabili discrete Per variabili discrete è preferibile rappresentare la distribuzione di frequenza mediante un diagramma a barre: diagramma cartesiano in cui i valori di ascissa corrispondono ai valori delle modalità ed in ordinata le rispettive frequenze Diagramma a barre - -Distribuzione di frequenza della Variabile Numero di componenti 0.3000 Lombardia Calabria 0.2500 0.2000 0.1500 0.1000 0.0500 0.0000 1 2 3 4 5 6 12 Le distribuzioni di frequenza per variabili continue Modalità della variabile X Frequenze Assolute Frequenze Relative x0 x x1 n1 n1/n x 2 x x3 n2 n2/n ... ... ... ... ... ... xi 1 x xi ni ni/n ... ... ... xk 1 x xk nk nk/n Totale n 1 Rappresentazione grafica: Istogramma di frequenza (Karl Pearson 1895) Per ogni classe si disegna un rettangolo di area ni (ovvero ni/n) – la cui base misura (xi-xi-1) e l’altezza misura hi=ni/(xi-xi-1). La quantità hi è anche detta densità di frequenza. 13 La frequenza per variabili continue Numero di classi: da un minimo di 5 ad un massimo di 15: k n oppure k 1 3.322 log 10 n Estremi delle classi: devono facilitare la lettura e l’interpretazione dei dati. Ampiezza delle classi: si calcolano secondo la seguente formula: NOTA BENE Elementi di soggettività nel calcolo della classi Una diversa definizioni del numero e/o degli estremi e/o dell’ampiezza delle classi genera una differente espressione della frequenza, che può essere anche sensibile se la numerosità dei dati è scarsa. Rappresentazione della frequenza: la frequenza può essere rappresentata FORMA FORMATO Tabella Grafico Frequenza assoluta Frequenza relativa 14 Tabella e Istogramma di frequenza assoluta e relativa Fondi di investimento a capitalizzazione integrale Fondi di investimento a capitalizzazione integrale Istogramma di frequenza relativa Frequenza relativa percentuale Istogramma di frequenza assoluta Frequenza 20 10 0 20 25 30 35 40 45 50 40 30 20 10 0 20 25 30 35 40 45 50 Rendimenti a un anno Rendimenti a un anno 15 Il poligono: un’alternativa all’istogramma di frequenza Frequenza % Anche nel caso del poligono l’asse orizzontale rappresenta il fenomeno oggetto dell’analisi, mentre sull’asse verticale viene indicato il numero, la percentuale o la frequenza relativa di osservazioni per ogni intervallo di raggruppamento. Il poligono si costruisce scegliendo il punto medio Fondi di investimento a Capitalizzazione Integrale: Poligono di frequenza % di ciascuna classe a 50% rappresentare tutte le osservazioni che cadono 40% nella classe stessa, e 30% congiungendo poi la 20% sequenza dei punti medi 10% alla percentuale di 0% 20-25 25-30 30-35 35-40 40-45 45-50 osservazioni nella classe Rendimento annuo corrispondente. 16 La funzione di ripartizione empirica Consideriamo la distribuzione delle modalità ordinate di una variabile X, rilevate sulle n unità della popolazione (non necessariamente tutte distinte) x1 x2 x3 xi xn È possibile attribuire a ciascuna di esse frequenza assoluta 1 e frequenza relativa 1/n. Nella popolazione la frazione 1/n di unità statistiche presenta valori di X minori o uguali a x1, la frazione 2/n di unità statistiche presenta valori di X minori o uguali a x2.........la frazione n/n di unità statistiche (cioè tutte) presenta valori inferiori o uguali a xn. Funzione di ripartizione empirica (distribution function) := funzione che associa ad ogni valore reale x0 la frazione delle unità che sono inferiori o uguali a x0. # ( X x0 ) F ( x0 ) freq. relativa delle unità con modalità x 0 n • • • • 0≤F(x)≤1 F(x) è non decrescente F(-∞)=0; F(+∞)=1; F(x) è continua da destra 17 Esempio Calcoliamo la funzione di ripartizione empirica di X = “numero di componenti delle famiglie residenti” in Lombardia ed in Calabria (Censimento Istat 1981) Lombardia Calabria Numero di Componenti Freq. Relative Funz. Ripartizione Freq. Assoluta Freq. Relativa 1 0.1921 0.1921 105.823 0.1700 2 0.2411 0.4332 132.552 0.2130 3 0.2426 0.6758 111.192 0.1787 4 0.2158 0.8916 129.278 0.2077 5 0.0759 0.9675 79.952 0.1285 6 e più 0.0325 1.000 63.516 0.1021 Totale 1.0000 622.313 1.0000 18 Indici statistici di sintesi Per trarre delle indicazioni adeguate quando si considerano dati quantitativi, non è sufficiente rappresentare i dati mediante tabelle ed grafici di frequenza. Una buona analisi dei dati richiede anche che le caratteristiche principali delle osservazioni siano sintetizzate con opportune misure, dette Indici Statistici, e che tali misure siano adeguatamente analizzate e interpretate. Tipi di indici: Misure di tendenza centrale (Indici di posizione) Misure di Variabilità (Indici di dispersione) Misure di Forma 19 Misure di Tendenza Centrale Nella maggior parte degli insiemi di dati, le osservazioni mostrano una tendenza a raggrupparsi attorno a un valore centrale. Obiettivo di una misura di posizione (location index) è quello di sintetizzare in un singolo valore l’intera distribuzione di frequenza per effettuare confronti nel tempo, nello spazio o tra circostanze differenti. Tale valore descrittivo è una misura di posizione o di tendenza centrale. Tipi di misure di tendenza centrale: Media Mediana Moda 20 Misure di Tendenza Centrale: la Media La media aritmetica (anche chiamata semplicemente media) è la misura di posizione più comune. Si calcola dividendo la somma dei valori osservati per il numero totale di osservazioni. 21 Misure di Tendenza Centrale: la Media La media è sempre compresa tra il minimo ed il massimo delle modalità della variabile La somma degli scarti dalla media ( ( xi )) è sempre nulla, per cui la media costituisce il “baricentro” di una distribuzione di frequenza. Il calcolo della media si basa su tutte le osservazioni (X1, X2, X3, . . . , Xn) dell’insieme di dati, proprietà questa che non è presentata da nessun’altra misura di posizione comunemente usata. Se una variabile X presenta media µ allora la variabile α+βX presenta media α+β µ (linearità della media) La media aritmetica è l’unico valore che rende minimo la 2 somma degli scarti al quadrato ( ( xi ) ) 22 Misure di Tendenza Centrale: la Media Commento: quando usare la Media Aritmetica Proprio perché il calcolo della media si basa su tutte le osservazioni, tale misura di posizione risulta influenzata da valori estremi. In presenza di valori estremi, la media aritmetica fornisce una rappresentazione distorta dei dati ed è pertanto opportuno in questi casi ricorrere ad altre misure di posizione. Se dal campione rimuoviamo il fondo Mentor Merger (rendimento = 10.0) che possiamo considerare come un outlier (dato anomalo), ricalcolando la media otteniamo un valore pari a 31.11. 23 Misure di Tendenza Centrale: la Mediana La mediana (Galton 1883) è il valore centrale in un insieme di dati ordinati dal valore più piccolo al più grande (cioè in ordine non decrescente). Commento: La mediana non è influenzata dalle osservazioni estreme di un insieme di dati: nel caso di osservazioni estreme è quindi opportuno descrivere l’insieme di dati con la mediana piuttosto che con la media. 24 Misure di Tendenza Centrale: la Mediana Per trovare la posizione occupata dal valore mediano nella serie ordinata delle osservazioni si usa l’equazione (3.2) secondo una delle due regole seguenti: REGOLA 1. Se l’ampiezza del campione è un numero dispari, la mediana coincide con il valore centrale, vale a dire con l’osservazione che occupa la posizione (n+1)/2 nella serie ordinata delle osservazioni. REGOLA 2. Se l’ampiezza del campione è un numero pari, la mediana allora coincide con la media dei valori corrispondenti alle due osservazioni centrali. 25 Misure di Tendenza Centrale: la Mediana 26 Misure di Tendenza Centrale: la Moda La moda è il valore più frequente in un insieme di dati. A differenza della media, la moda non è influenzata dagli outlier. Tuttavia tale misura di posizione viene usata solo per scopi descrittivi, poiché è caratterizzata da maggiore variabilità rispetto alle altre misure di posizione (piccole variazioni in un insieme di dati possono far variare in modo consistente la moda). La moda può non esistere o non essere unica, se unica la distribuzione è detta unimodale, quando ci sono più mode diverse è detta bimodale o multimodale. 27 Misure di Tendenza Centrale: la Moda NOTA: un insieme di dati può non avere moda, se nessuno valore è “più tipico”. 28 Misure di Tendenza Centrale: i Quartili Mentre la mediana è un valore che divide a metà la serie ordinata delle osservazioni, i quartili sono misure descrittive che dividono i dati ordinati in quattro parti. 29 Misure di Tendenza Centrale: i Quartili Tre sono le regole usate per il calcolo dei quartili. REGOLA 1. Se il punto di posizionamento è un numero intero, si sceglie come quartile il valore dell’osservazione corrispondente. REGOLA 2. Se il punto di posizionamento è a metà tra due numeri interi, si sceglie come quartile la media delle osservazioni corrispondenti. REGOLA 3. Se il punto di posizionamento non è né un intero né a metà tra due numeri interi, una regola semplice consiste nell’approssimarlo per eccesso o per difetto all’intero più vicino e scegliere come quartile il valore numerico dell’osservazione corrispondente. 30 Misure di Tendenza Centrale: i Quartili 31 Misure di dispersione Una seconda caratteristica importante di un insieme di dati è la variabilità. La variabilità è la quantità di dispersione presente nei dati. Due insiemi di dati possono differire sia nella posizione che nella variabilità; oppure possono essere caratterizzati dalla stessa variabilità, ma da diversa misura di posizione; o ancora, possono essere dotati della stessa misura di posizione, ma differire notevolmente in termini di variabilità. 32 Misure di dispersione Le misure più utilizzate per misurare la dispersione sono: Intervallo di variazione (range) Intervallo di variazione (range) Interquartile Varianza Scarto Quadratico Medio Coefficiente di variazione 33 Misure di dispersione: il Range Il range (o intervallo di variazione) è la differenza tra l’osservazione più grande e quella più piccola in un insieme di dati. NOTA: un limite del range consiste nel fatto che non tiene conto di come i dati si distribuiscono effettivamente tra il valore più piccolo e quello più grande. Per questo motivo, in presenza di osservazioni estreme,34 risulta una misura inadeguata della variabilità. Misure di dispersione: il Range Interquartile Il range (o intervallo) interquartile è la differenza tra il terzo e il primo quartile in un insieme di dati. NOTA: Questa misura di variabilità sintetizza la dispersione del 50% delle osservazioni che occupano le posizioni centrali, e non è pertanto influenzata da valori estremi. 35 Misure di dispersione: la Varianza Sebbene il range sia una misura della dispersione totale e il range interquartile della dispersione centrale, nessuna di queste due misure tiene conto di come le osservazioni si distribuiscano o si concentrino intorno a una misura di tendenza centrale, come ad esempio la media. Due misure della variabilità che forniscono questo tipo di informazione sono la varianza e la sua radice quadrata, lo scarto quadratico medio. Queste misure sintetizzano la dispersione di valori osservati attorno alla loro media. 36 Misure di dispersione: la Varianza Varianza e la sua radice quadrata, lo scarto quadratico medio, invece sintetizzano la dispersione dei valori osservati attorno alla loro media. 37 Misure di dispersione: lo Scarto Quadratico Medio 38 Interpretazione della Varianza e dello Scarto Quadratico Medio La varianza e lo scarto quadratico medio misurano la dispersione “media” attorno alla media: sono ottenute “valutando’’ come le osservazioni più grandi oscillano sopra la media e come le osservazioni più piccole si distribuiscono al di sotto della media. La varianza possiede alcune importanti proprietà matematiche; tuttavia, la sua unità di misura coincide con il quadrato dell’unità di misura dei dati dati – lire al quadrato, metri al quadrato e così via. Mentre lo scarto quadratico medio è espresso nell’unità di misura originaria dei dati – lire o metri. 39 Interpretazione della Varianza e dello Scarto Quadratico Medio Lo scarto quadratico medio ci aiuta a stabilire se e quanto i dati sono concentrati o dispersi intorno alla loro media. Per quasi tutti gli insiemi di dati, la maggior parte dei valori osservati si trova nell’intervallo centrato sulla media e i cui estremi distano dalla media per 1 scarto quadratico medio. 40 Capire la variabilità dei dati 41 Misure di dispersione: il Coefficiente di Variazione A differenza delle altre misure di variabilità, il coefficiente di variazione è una misura relativa, espressa come una percentuale e non nell’unità di misura dei dati. Il coefficiente di variazione, indicato con CV, misura la dispersione nell’insieme di dati relativamente alla media. 42 Misure di dispersione: il Coefficiente di Variazione NOTA: Il coefficiente di variazione è particolarmente utile quando si confrontano le variabilità di due o più insiemi di dati che sono espressi in unità di misura diverse. 43 Misure di forma La terza caratteristica dei dati che prendiamo in considerazione è la forma della loro distribuzione, cioè il modo in cui si distribuiscono. La distribuzione dei dati può essere simmetrica o meno. Se la distribuzione dei dati non è simmetrica, si dice asimmetrica oppure obliqua. Tipi di misure di forma: Asimmetria 44 Forma della distribuzione: Simmetrica o Obliqua Per descrivere la forma della distribuzione è sufficiente confrontare la media con la mediana. Se queste due misure sono uguali, la distribuzione è considerata simmetrica. media < mediana: asimmetria negativa o distribuzione obliqua a sinistra media = mediana: simmetria media > mediana: asimmetria positiva o distribuzione obliqua a destra 45 Misure di sintesi descrittive per una popolazione Finora abbiamo preso in considerazioni diverse statistiche che sintetizzano le informazioni contenute in un campione. In particolar modo, abbiamo usato queste statistiche per descrivere le caratteristiche di posizione, di variabilità e di forma. Supponiamo ora che l’insieme di dati che abbiamo a disposizione non sia un campione, ma una raccolta di misurazioni numeriche da una intera popolazione. Quando si considera un’intera popolazione, le misure di sintesi descrittive corrispondenti alla media aritmetica, alla varianza e allo scarto quadratico medio sono i parametri della popolazione. 46 Misure di sintesi descrittive per una popolazione La media della popolazione viene indicata con il simbolo , la lettera minuscola dell’alfabeto greco mu. 47 Misure di sintesi descrittive per una popolazione La varianza della popolazione si indica con il simbolo 2, la lettera minuscola dell’alfabeto greco sigma elevato al quadrato (si legge “sigma quadro”) e lo scarto quadratico medio della popolazione si indica con il simbolo . NOTA: Osserviamo che le formule per il calcolo della varianza e quadratico popolazione dello scarto medio della differiscono da quelle della varianza e dello scarto quadratico medio campionari per il termine (n - 1) che compare al denominatore di S2 e S che è sostituito da N per il calcolo di 2 e . 48 Misure di sintesi descrittive per una popolazione Quando la distribuzione dei dati non è caratterizzata da una forte asimmetria e le osservazioni sono concentrate intorno a media e mediana, possiamo usare la cosiddetta regola empirica per esaminare la variabilità dei dati e per analizzare più approfonditamente il significato dello scarto quadratico medio. NOTA: Pertanto lo scarto quadratico medio ci aiuta a capire come le osservazioni si distribuiscono al di sotto e al di sopra della media, e a individuare e segnalare osservazioni anomale (gli outlier). 49 Misure di sintesi descrittive per una popolazione Tabella 3.6 La dispersione dei valori intorno alla media 50 Analisi esplorativa dei dati Tabella 3.7 Relazioni tra i cinque numeri di sintesi e la forma della distribuzione 51 I cinque numeri di sintesi Un approccio che mira a sintetizzare opportunamente le diverse caratteristiche dei dati consiste neI considerare i cinque numeri di sintesi: Xmin Q1 Mediana Q3 Xmax A partire da questi numeri è possibile ottenere due misure di posizione (la mediana, la media interquartile) e due misure di variabilità (il range interquartile e il range), che consentono di effettuare un’“analisi esplorativa dei dati” per avere un’idea più precisa della forma della distribuzione. 52 Il diagramma a “Scatola e Baffi” (o Boxplot) Il diagramma scatola e baffi o (o boxplot) fornisce una rappresentazione grafica dei dati sulla base dei cinque numeri di sintesi. Linea verticale al centro della scatola mediana Linea verticale a sinistra della scatola Q1 Linea tratteggiata a sinistra minimo Linea verticale a destra della scatola Q3 Linea tratteggiata a destra massimo 53 Il diagramma a “Scatola e Baffi” (o Boxplot) Figura 3.7 Diagrammi a scatola e baffi relativi ai rendimenti nel 2003 dei fondi a basso, medio e alto rischio 54 Il diagramma a “Scatola e Baffi” (o Boxplot) Per valutare la relazione che sussiste tra i metodi di analisi esplorativa dei dati, come il diagramma scatola e baffi, e le rappresentazioni grafiche, come i poligoni, consideriamo la Figura, nella quale sono riportati i diagrammi scatola e baffi e i poligoni relativi a quattro ipotetiche distribuzioni. NOTA: l’area sottostante a ciascuna curva è divisa nei quartili corrispondenti ai cinque numeri di sintesi su cui si basa55il diagramma scatola e baffi. La covarianza ed il coefficiente di correlazione Diagramma di dispersione o scatterplot: diagramma utile a valutare l’eventuale dipendenza tra due variabili, nei punti di ascissa si pongono i dati relativi ad una variabile ed in ordinata quelli relativi all’altra e si rappresentano con punti le singole osservazioni. In questo paragrafo introduciamo la covarianza ed il coefficiente di correlazione, che misurano la forza della relazione lineare tra due variabili. La covarianza è una misura che sintetizza la forza della relazione lineare tra due variabili numeriche (X e Y). La covarianza campionaria n cov( X , Y ) (X i 1 i X )(Yi Y ) (3.16) n 1 56 La covarianza ed il coefficiente di correlazione Ad esempio, si può calcolare la covarianza tra il rendimento nel 2003 e le spese dei fondi comuni ad alto rischio specializzati in aziende di piccole dimensioni. 57 La covarianza ed il coefficiente di correlazione Figura 3.9 Foglio di Microsoft Excel con i calcoli necessari per ottenere la covarianza tra le spese e i rendimenti 2003 dei fondi ad alto rischio specializzati in aziende di piccole dimensioni 9.579 cov( X , Y ) 1.19738 9 58 La covarianza ed il coefficiente di correlazione Un limite della covarianza è che questa misura può assumere un qualunque valore, e non è quindi possibile fare riferimento ad essa per valutare la forza della relazione lineare in termini relativi. A questo scopo bisogna riferirsi al coefficiente di correlazione. Il coefficiente di correlazione misura l’intensità della relazione lineare tra due variabili quantitative. I valori del coefficiente di correlazione variano tra −1 nel caso di una relazione lineare inversa (o negativa) perfetta e +1 nel caso di una relazione lineare diretta (o positiva) perfetta. Una relazione lineare si dice perfetta quando i punti del diagramma di dispersione possono essere uniti l’uno 59 all’altro con una linea retta. La covarianza ed il coefficiente di correlazione Ovviamente, nel caso si abbiano dati campionari, si calcolerà il coefficiente di correlazione campionaria, che viene indicato con r. Con dati campionari è praticamente impossibile osservare coefficienti di correlazioni uguali a −1 o a +1. 60 La covarianza ed il coefficiente di correlazione 61 La covarianza ed il coefficiente di correlazione E’ importante sottolineare che la correlazione di per sé stessa non può essere utilizzata per trarre conclusioni sull’esistenza di un nesso causa-effetto tra due variabili. Il coefficienti di correlazione campionario cov( X , Y ) r S X SY n cov( X , Y ) (X i 1 (X i 1 X )(Yi Y ) n 1 n n SX i (3.17) i X) n 1 2 SY 2 ( Y Y ) i i 1 n 1 62 La covarianza ed il coefficiente di correlazione Figura 3.12 Foglio di Microsoft Excel con i calcoli necessari per ottenere le correlazioni tra le spese e i rendimenti 2003 dei fondi ad alto rischio specializzati in aziende di piccole dimensioni r cov( X , Y ) 1.19738 0.3943786 S X SY (0.287663)(10.554383) 63