Art. 555 c.p.c. 1. Premessa. Il capo IV del titolo II del libro III del c.p.c.

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Art. 555 c.p.c.
1. Premessa.
Il capo IV del titolo II del libro III del c.p.c. è dedicato all’espropriazione
immobiliare. Segnatamente nella sezione I del medesimo capo è dettata la disciplina
del pignoramento avente, appunto, ad oggetto beni immobili.
Nondimeno, allorquando oggetto del pignoramento è una quota ideale di una res,
anche immobile, indivisa, oggetto, quindi, di comunione, il complesso normativo cui
occorre riferirsi è quello di cui agli artt. 599 - 601 c.p.c. [Il capo V del titolo II del libro
III del c.p.c. è intitolato “dell’espropriazione dei beni indivisi”. Al riguardo si veda Trib.
Piacenza 12.10.2011, in Fam. Pers. Succ., 2012, 7, 509, secondo cui deve ritenersi
inespropriabile la quota del coniuge in comunione legale, con la conseguenza che il creditore
personale del coniuge deve pignorare l’intero cespite in comunione, con facoltà peraltro di
soddisfarsi solo sul ricavato nei limiti della quota spettante al coniuge obbligato, mentre
l’interesse del coniuge non obbligato è tutelato dal diritto di far propria la rimanente parte del
cinquanta per cento del ricavato].
L’art. 555 c.p.c., rubricato “forma del pignoramento”, al 1° co., recita
testualmente “il pignoramento immobiliare si esegue mediante notificazione al
debitore e successiva trascrizione di un atto nel quale gli si indicano esattamente, con
gli estremi richiesti dal Codice civile per l’individuazione dell’immobile ipotecato, i
beni e i diritti immobiliari che si intendono sottoporre ad esecuzione, e gli si fa
l’ingiunzione prevista nell’art. 492”.
Evidentemente ad integrare il disposto normativo anzidetto concorre il dettato
dell’art. 492 c.p.c., parimenti rubricato “forma del pignoramento”, ma inserito nel
corpo della sezione II - ove è dettata la disciplina del pignoramento in generale - del
capo I – dedicato all’espropriazione forzata in generale – del titolo II del libro III.
Si tenga conto, per altro verso, che la disciplina fuoriuscita dalla “riforma” si
applica, ex art. 2, co. 3 sexies, dec. leg. 14.3.2005, n. 35 [Decreto legge convertito con
modificazioni nella legge n. 80 del 14.5.2005], come sostituito dall’art. 1, 6° co., legge
28.12.2005, n. 263, anche alle procedure espropriative iniziate in epoca antecedente al
1° marzo 2006, data di entrata in vigore, ex art. 39 quater dec. leg. 30.12.2005, n. 273
[Articolo - aggiunto dalla legge di conversione n. 51 del 23.2.2006 - che ha modificato l’art. 1,
6° co., cit.], delle novelle disposizioni codicistiche.
Occorre puntualizzare, tuttavia, che le norme abrogate continuano, evidentemente
in via “ultrattiva”, ad applicarsi, ex art. 39 quater cit., ai subprocedimenti di vendita
già avviati, pur con delega ad un notaio, alla data del 1° marzo 2006 nell’ambito di
procedure pendenti a tal ultimo dì.
In ogni caso, giacché l’espressione “vendita”, di cui all’art. 2, co. 3 sexies, cit.,
deve essere intesa in un’ampia accezione, deve opinarsi nel senso che le disposizioni
già vigenti disciplinino l’intero subpercorso liquidatorio e non già solo ed unicamente
quel dato specifico incanto in atto alla data del 1° marzo 2006 [In senso contrario cfr. G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 1035, secondo cui “in tutti i casi in cui sia
venuta meno l’ordinanza di vendita già emanata, nel senso che ad essa non abbia fatto seguito la
liquidazione del compendio staggito – la nuova e successiva ordinanza di vendita debba essere
<confezionata> dal giudice dell’esecuzione secondo la nuova disciplina in vigore dal 1° marzo
2006”. In senso contrario cfr., altresì, A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova,
2012, 698, secondo cui, tuttavia, “per il procedimento di vendita instaurato prima della vigenza
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della riforma, nel quale non è stata emessa una ordinanza di autorizzazione alla vendita ma una
ordinanza di delega al notaio, sembra preferibile ritenere che il procedimento di vendita
introdotto con la delega resti disciplinato dalla normativa pregressa fino alla adozione di una
nuova ordinanza di delega a cura del giudice dell’esecuzione”].
2. L’atto di pignoramento: natura e struttura.
L’insegnamento tradizionale è nel senso che il pignoramento immobiliare integra
gli estremi di un atto complesso, del creditore pignorante e dell’ufficiale giudiziario, a
formazione progressiva [Cfr. in tal senso Cass. 16.5.2008, n. 12429. “La nozione di
pignoramento come atto è venuta ad incrinarsi quando si è iniziato a considerare che la struttura
del pignoramento, oltre a variare notevolmente in relazione alla natura del bene che ne è oggetto,
consta generalmente di una serie di atti diversi. Di qui l’affermarsi dell’opinione secondo la
quale il pignoramento andrebbe rettamente considerato non come un semplice atto, bensì come il
prodotto di un’attività complessa: sia in senso oggettivo, come somma di attività materiale volta
alla esatta individuazione dei beni e di attività giuridica volta alla creazione del vincolo di
indisponibilità sui beni stessi; sia in senso soggettivo, come progressione di atti posti in essere
alcuni dal creditore procedente, altri dall’ufficiale giudiziario, altri dal giudice dell’esecuzione,
altri ancora dal terzo e così via”: così B. CAPPONI, Pignoramento, in Enciclopedia giuridica,
XXIII, Roma, 1990, 1], che, quantunque determini la pendenza dell’espropriazione sin
dal momento della sua notificazione, notificazione che ne segna al contempo il
perfezionamento nei confronti del debitore [Cfr. a tal ultimo riguardo Cass. 30.1.2009, n.
2473], si compie mediante la sua trascrizione. La trascrizione, quindi, ha senza dubbio
valenza costitutiva [Del resto è innegabile che “il giudice dell’esecuzione non potrebbe
decidere sull’istanza di vendita ove l’atto di pignoramento non fosse stato previamente
trascritto”: così B. CAPPONI, Pignoramento, in Enciclopedia giuridica, XXIII, cit., 4. Per altro
verso si è assunto in ordine alla trascrizione che “meglio sarebbe se, anziché essere posteriore
alla notificazione dell’atto, fosse anteriore per coordinarsi alla forma del sequestro conservativo
immobiliare che, nell’essere preparatorio del pignoramento, prima si trascrive e poi, occorrendo,
si notifica”: P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2006,
560].
Più esattamente concorrono ad integrarne la struttura plurimi distinti momenti,
taluni riservati al medesimo creditore pignorante - è il caso della scelta e
dell’individuazione del bene immobile da vincolare, a costui [A differenza di quel che,
giusta la previsione dell’art. 513 c.p.c., accade sul terreno dell’espropriazione mobiliare], senza
dubbio riservata [Ovviamente opera il limite di cui all’art. 2911 c.c.] - taluni riservati
all’ufficiale giudiziario - è il caso dell’ingiunzione ex art. 492 c.p.c. che “l’ufficiale
giudiziario fa al debitore di astenersi…..” nonché della stessa notificazione dell’atto di
pignoramento - taluni, infine, riservati, su sollecitazione del medesimo ufficiale
giudiziario o del creditore pignorante, al competente conservatore dei registri
immobiliari - è il caso della trascrizione nei pubblici registri immobiliari, trascrizione
che vale ad assicurarne l’opponibilità ai terzi.
3. Il contenuto dell’atto di pignoramento: le parti, il credito, il titolo.
Innanzitutto l’atto di pignoramento deve contenere la precisa indicazione del
creditore, recte della parte creditrice, e del debitore, recte della parte debitrice.
Evidentemente le medesime indicazioni devono essere riprodotte nella nota di
trascrizione.
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In secondo luogo l’atto di pignoramento deve contenere enunciazione del credito
per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto; ciò quanto meno in
applicazione analogica dell’art. 543, 2° co., n. 1), c.p.c. [Cfr. in tal senso P. CASTORO, Il
processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, 556; altresì, G. GIUSTI, Il
pignoramento nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18
giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, Bologna, 2009, 556].
Ancora l’atto di pignoramento deve contenere l’invito rivolto al debitore di cui al
2° co. dell’art. 492 c.p.c. nonché l’avvertimento, concernente il beneficio della
conversione, di cui al 3° co. del medesimo anzidetto articolo [Al riguardo cfr. Cass.
12.4.2011, n. 8408, secondo cui, in tema di forma del pignoramento immobiliare, la mancanza
dell’avviso ad eleggere domicilio o a dichiarare la residenza e dell’avvertimento della facoltà e
dei termini per proporre istanza di conversione di cui, rispettivamente, al 2° ed al 3° co. dell’art.
492 c.p.c. determinano mere irregolarità, non essendo prevista la nullità dell’atto o della
procedura, comunque impedita dal raggiungimento dello scopo previsto dalla legge].
4. Il contenuto dell’atto di pignoramento. Segue: l’immobile ovvero il diritto
immobiliare che ne costituisce l’oggetto.
L’atto di pignoramento immobiliare deve inoltre recar puntuale identificazione sia
del bene immobile sia del diritto reale sul medesimo cespite che ne costituiscono
l’oggetto [In tal senso cfr. A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 702].
Siccome premesso l’art. 555 c.p.c. rinvia al codice civile, segnatamente all’art.
2826 c.c., che recita testualmente “nell’atto di concessione dell’ipoteca l’immobile
deve essere specificamente designato con l’indicazione della sua natura, del comune
in cui si trova, nonché dei dati di identificazione catastale; per i fabbricati in corso di
costruzione devono essere indicati i dati di identificazione catastale del terreno su cui
insistono”.
Del pari le medesime indicazioni devono essere riprodotte nella nota di
trascrizione.
5. Il contenuto dell’atto di pignoramento. Segue: l’ingiunzione.
Si è anticipato che l’atto di pignoramento immobiliare ha da recare l’ingiunzione
che l’ufficiale giudiziario rivolge al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a
sottrarre dalla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano
all’espropriazione e i frutti di essi [“L’ingiunzione è di competenza esclusiva dell’ufficiale
giudiziario che procede alla notificazione dell’atto e ne sottoscrive la relazione”: così P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 556].
“L’ingiunzione costituisce requisito essenziale di ogni forma di pignoramento, in
quanto mezzo idoneo a portare a conoscenza del debitore, ad opera dell’ufficiale
giudiziario, la natura e le formalità dell’atto” [Così G. ARIETA – F. DE SANTIS,
L’esecuzione forzata, I, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G.
Arieta, Padova, 2007, 603].
Si tenga presente che, a norma dell’art. 492, 7° co., ult. parte, c.p.c., l’ufficiale
giudiziario ha facoltà di richiedere l’assistenza della forza pubblica, qualora lo reputi
necessario [“Viene qui riaffermato in termini generali un principio già introdotto per alcune
forme di pignoramento: si pensi all’art. 513, comma secondo, c.p.c. in materia di pignoramento
mobiliare”: così G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, I, in Trattato di diritto
processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 602 s.].
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Controverso è tuttavia il regime dell’invalidità che inficia l’atto di pignoramento
che risulti privo dell’estremo dell’ingiunzione.
Si è talora opinato nel senso della giuridica inesistenza del pignoramento affetto
dalla omissione de qua in dipendenza del rilievo centrale che l’ingiunzione riveste
[Cfr. Cass. 17.7.1997, n.6580; Cass. 21.6.1995, n. 7019], talora nel senso che la medesima
omissione ne cagiona la nullità assoluta, rilevabile in ogni stato del procedimento,
ancorché sia decorso il termine per la proposizione dell’opposizione di cui all’art. 617
c.p.c., salva, comunque, l’applicazione dell’art. 2929 c.c. [Cfr. Cass. 10.3.1999, n. 2082],
talora, in epoca più recente, nel senso che trattasi di nullità relativa da far valere con
l’opposizione ex art. 617 c.p.c., da proporsi non oltre il termine perentorio di venti
giorni a far data dalla celebrazione, nell’espropriazione immobiliare, dell’udienza ex
art. 569 c.p.c. [Cfr. Cass. 1.2.2002, n. 1308; Cass. 30.1.2009, n. 2473]. Evidentemente tal
ultimo indirizzo esegetico reputa l’omissione de qua agitur alla stregua di una nullità
sanabile, qualora l’atto, in virtù della generale previsione dell’art. 156, 3° co., c.p.c.,
abbia raggiunto lo scopo cui era diretto.
6. La sottoscrizione dell’atto di pignoramento.
Ai sensi dell’art. 170 disp. att. c.p.c., rubricato “atto di pignoramento
immobiliare”, “l’atto di pignoramento di beni immobili previsto nell’articolo 555 del
Codice deve essere sottoscritto, prima della relazione di notificazione, dal creditore
pignorante a norma dell’art. 125 del Codice”.
Ai sensi dell’art. 125, 1° co., c.p.c., rubricato “contenuto e sottoscrizione degli atti
di parte”, “salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa,
il controricorso, il precetto debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le
ragioni della domanda e le conclusioni o l’istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle
copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio
personalmente, oppure dal difensore”.
Dal combinato disposto delle norme surriferite l’insegnamento giurisprudenziale e
dottrinale oramai prevalente ha desunto che l’atto di pignoramento - che, giusta la
previsione dell’art. 491 c.p.c., senz’altro segna l’inizio dell’espropriazione
immobiliare - deve, avendo valenza di domanda giudiziale, introduttiva del processo
di espropriazione, esser sottoscritto, pur nella copia da notificare, da un difensore
munito di procura generale o speciale conferita con le modalità di cui all’art. 83 c.p.c.
[Cfr. in tal senso Cass. 7.2.2012, n. 1687; Cass. 22.2.2008, n. 4652; Cass. 5.4.2003, n. 5368;
Cass. 27.1.2003, n. 1186; Cass. 27.7.1997, n. 7017; Cass. 3.4.1982, n. 2069. La parte istante
deve avvalersi di un difensore non solo per iniziare l’esecuzione, ma anche per proseguirla: cfr.
in tal senso Cass. 22.2.2008, n. 4652]. Ovviamente, qualora il creditore pignorante abbia
la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice
competente, nulla osta, in ossequio al disposto dell’art. 86 c.p.c., a che l’atto di
pignoramento sia sottoscritto personalmente dal creditore pignorante [Cfr. in tal senso
Cass. 7.2.2012, n. 1687].
In ogni caso è senz’altro valido l’atto di pignoramento immobiliare sottoscritto dal
difensore al quale il creditore abbia conferito procura alle liti nell’atto di precetto o
per il processo di cognizione con espresso riferimento all’eventuale fase esecutiva
[Cfr. in tal senso Cass. 7.2.2012, n. 1687; Cass. 14.12.2007, n. 26296; Cass. 17.3.2006, n. 5910.
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In senso contrario, limitatamente alla procura rilasciata a margine dell’atto di precetto, cfr. Cass.
19.12.2005, n. 27943].
L’atto di pignoramento privo della sottoscrizione del difensore munito di procura
è affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio ovvero su opposizione ex art. 617
c.p.c. della parte interessata, opposizione esperibile pur dopo che sia decorso il
termine perentorio di venti giorni [Cfr. in tal senso Cass. 22.2.2008, n. 4652; Cass. 8.5.2006,
n. 10497; Cass. 26.7.1997, n. 7017].
7. La notificazione dell’atto di pignoramento.
“La notificazione del pignoramento immobiliare si fa personalmente al debitore a
norma degli artt. 137” [Così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico,
cit., 557. Si veda Cass. 6.12.1979, n. 6344, in ordine alla possibilità di notificazione ai sensi
dell’art. 143 c.p.c.]. E’ valida la notificazione dell’atto di pignoramento a mezzo del
servizio postale [Cfr. Cass. 14.6.1972, n. 1887].
Per la notificazione dell’atto di pignoramento è competente l’ufficiale giudiziario
del luogo ove risiede il debitore e sono ubicati gli immobili staggiti ovvero, in caso di
divergenza fra la residenza dell’esecutato ed il sito di ubicazione dei cespiti, l’ufficiale
dell’uno o dell’altro luogo [Cfr. al riguardo Cass. 14.5.1991, n. 5375. “L’ufficiale giudiziario
che procede alla notificazione può e non deve essere munito del titolo esecutivo e del precetto.
Per questo non egli provvede a depositarli in cancelleria, ma il creditore pignorante, a norma
dell’art. 557. Nondimeno l’ufficiale giudiziario deve accertarsi dell’esistenza di tali documenti, e
a questo scopo se li fa esibire dal creditore procedente, che ha l’onere relativo”: così P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 557].
Il pignoramento eseguito da ufficiale giudiziario territorialmente incompetente è
inficiato da nullità, nullità da farsi valere col rimedio dell’opposizione agli atti
esecutivi [Cfr. Cass. 9.4.2003, n. 5583. Cfr., inoltre, Cass. 11.1.1978, n. 99, secondo cui è nullo
il pignoramento privo della sottoscrizione del competente ufficiale giudiziario]. Parimenti sono
nulli e non già inesistenti gli atti di esecuzione compiuti dall’aiutante ufficiale
giudiziario [Cfr. Trib. Milano 16.5.2005, in Corr. mer., 2005, 1021].
Avverso il rifiuto dell’ufficiale giudiziario di eseguire il pignoramento non è
esperibile il rimedio dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.; piuttosto può essere sollecitato
il giudice dell’esecuzione onde riscontrare la legittimità del medesimo rifiuto ai fini
ed in vista dell’eventuale affermazione di responsabilità ex art. 60 c.p.c. [Cfr. Trib.
Alessandria 11.10.2002, in Giur. mer., 2003, 695; Trib. Napoli 3.1.2002, in Giur. nap., 2002,
381].
Qualora la notificazione sia nulla, il giudice dell’esecuzione ne può senz’altro
ordinare la rinnovazione [In tal senso cfr. A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata,
cit., 701, che fa leva a tal fine sulla previsione dell’art. 291 c.p.c.].
In caso di omessa rinnovazione la nullità si propaga agli atti successivi e deve
esser fatta valere con opposizione ex art. 617 c.p.c.; in mancanza la nullità si sana.
In parte qua rileva l’art. 14, co. 1 bis, dec. leg. 31.12.1996, n. 669, convertito
nella legge 28.2.1997, n. 30, secondo cui “.. gli atti di pignoramento devono essere
notificati all’ente pubblico presso la struttura territoriale di quest’ultimo nella
circoscrizione ove risiedono i soggetti privati interessati…”.
Ai fini della notificazione esplica valenza la previsione dell’art. 519 c.p.c.,
rubricata “tempo del pignoramento”, scritta in tema di espropriazione mobiliare
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presso il debitore, ma applicabile analogicamente sul terreno dell’espropriazione
immobiliare [Cfr. in tal senso P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico,
cit., 556].
Nei confronti del debitore il pignoramento spiega i suoi effetti sin dal momento
della notificazione; ovviamente la validità di tali effetti è subordinata alla condizione
che alla notificazione segua la trascrizione.
Segnatamente il pignoramento non fa venir meno, neppure provvisoriamente, il
diritto di proprietà che sull’immobile staggito compete al debitore, almeno fino a che
il medesimo cespite non è venduto o assegnato [A tal riguardo cfr. Cass. 25.9.2006, n.
20764]; nondimeno il pignoramento dà vita ad un vincolo provvisorio in forza del
quale il medesimo debitore è privato di talune essenziali facoltà ricomprese nel suo
diritto, in primo luogo della facoltà di disporre del cespite gravato [Cfr. in tal senso P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 158].
Con la notificazione dell’atto di pignoramento è, inoltre, interrotto, a norma
dell’art. 2943, 1° co., c.c., il corso della prescrizione.
“L’efficacia interruttiva della prescrizione….. ha carattere permanente, ai sensi
del combinato disposto degli artt. 2943, primo comma, e 2945, secondo comma, c.c.,
e si protrae, in quanto tale, sino al momento in cui la procedura giunge ad uno stadio
che può considerarsi l’equipollente di ciò che l’art. 2945 cit. individua, per la
giurisdizione cognitiva, nel passaggio in giudicato della sentenza che definisce il
giudizio, cioè allorché il processo esecutivo ha fatto conseguire al creditore
procedente l’attuazione coattiva del suo diritto…” [Così G. ARIETA – F. DE SANTIS,
L’esecuzione forzata, I, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G.
Arieta, cit., 634. Cfr. nello stesso senso Cass. 25.3.2002, n. 4203].
Sin dal dì della notifica dell’atto di pignoramento e, quindi, non già dal
susseguente momento della trascrizione, ancora, il debitore è ope legis costituito
custode dell’immobile, sicché, quantunque perduri, il suo possesso è teleologicamente
caratterizzato dalla finalità della soddisfazione delle ragioni del pignorante e degli
eventuali creditori intervenuti.
8. La trascrizione dell’atto di pignoramento.
A norma del 2° co. dell’art. 555 c.p.c. “immediatamente dopo la notificazione
l’ufficiale giudiziario consegna copia autentica dell’atto con le note di trascrizione al
competente conservatore dei registri immobiliari che trascrive l’atto e gli restituisce
una delle note”.
Il 3° co. soggiunge che “le attività previste nel comma precedente possono essere
compiute anche dal creditore pignorante, al quale l’ufficiale giudiziario, se richiesto,
deve consegnare gli atti di cui sopra”.
Senza soluzione alcuna di continuità rispetto al momento della notificazione,
dunque, deve farsi luogo alla trascrizione dell’atto presso la conservatoria dei registri
immobiliari del luogo ove l’immobile pignorato è collocato [Cfr. al riguardo l’art. 2663
c.c., a tenor del quale “la trascrizione deve essere fatta presso ciascun ufficio dei registri
immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni”. Per la trascrizione del pignoramento è in
ogni caso competente l’ufficiale giudiziario del luogo ove è ubicato l’immobile: cfr. in tal senso
G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1052 s.].
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La predisposizione in duplice esemplare della nota di trascrizione è atto
dell’ufficiale giudiziario; l’ufficiale, pertanto, le redige e le sottoscrive [“La nota di
trascrizione del pignoramento immobiliare consiste in un atto scritto che l’ufficiale giudiziario
redige in doppio originale e sottoscrive, prima di farne la consegna”: così P. CASTORO, Il
processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 559].
Il conservatore, a sua volta, eseguita la trascrizione, restituisce all’ufficiale
giudiziario uno dei due esemplari [Il conservatore inoltre è tenuto agli ulteriori adempimenti
di cui all’art. 2664 c.c.]. Beninteso in sede di trascrizione il conservatore ha da attendere
solo ed esclusivamente a riscontri di tipo estrinseco [Ai sensi del 1° co. dell’art. 2674 c.c.
il conservatore può ricusare di ricevere le note e i titoli, se non sono in carattere intelligibile e
non può riceverli quando il titolo non ha i requisiti stabiliti dagli artt. 2657, 2660, 1° co., 2821,
2835, e 2837 c.c. o non è presentato con le modalità previste dall’art. 2658 e quando la nota non
contiene le indicazioni previste dagli artt. 2659, 2660 e 2839, nn. 1), 3), 4) e 7), c.c.].
Qualora, viceversa, intenda avvalersi della facoltà accordatagli dal 3° co., il
creditore pignorante richiederà all’ufficiale giudiziario, che deve comunque
provvedere alla predisposizione ed alla sottoscrizione della nota di trascrizione in
doppio originale, la materiale disponibilità delle note medesime, indi ne curerà
personalmente la consegna al competente conservatore dei registri immobiliari.
“La trascrizione del pignoramento immobiliare si fa secondo le norme ordinarie.
Ma per la nota di trascrizione e per le relative omissioni o inesattezze si ha riguardo,
in quanto è possibile, non alle disposizioni degli artt. 2659 e 2665 del codice civile,
che non regolano se non casi di atti del tutto diversi dal pignoramento immobiliaare (e
perciò non richiedono alcuna indicazione del credito a garanzia del quale si fa il
pignoramento), bensì alle disposizioni degli artt. 2839 e 2841 del detto codice, che
regolano casi simili o materie analoghe, per via del vincolo….. e per via altresì della
pubblicità” [Così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 558 s.;
in senso analogo cfr. G. GIUSTI, Il pignoramento nell'espropriazione immobiliare, in La nuova
esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, Bologna, 2009,
557].
Segnatamente la nota di trascrizione deve recar indicazione
1) del nome, del luogo e della data di nascita, del codice fiscale e del regime
patrimoniale delle persone fisiche del creditore e del debitore, se coniugate; della
denominazione, della ragione o denominazione sociale, della sede e del codice fiscale
del creditore e del debitore, qualora soggetti collettivi; in tal ultima evenienza,
ovviamente, occorrerà menzionare anche le esatte generalità delle persone fisiche che
ne hanno la legale rappresentanza;
2) il titolo esecutivo, con specificazione della relativa data, in forza del quale si
domanda la trascrizione;
3) il nome del pubblico ufficiale che ha ricevuto l’atto o autenticato le firme o
dell’autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza;
4) il pignoramento di cui si chiede la trascrizione, la sua data, il nome dell’ufficiale
giudiziario che lo ha notificato;
5) l’importo della somma o del credito per cui si procede e si trascrive il
pignoramento;
6) la natura (rustica od urbana) e la situazione dell’immobile pignorato con gli estremi
richiesti dall’art. 2826 c.c. per l’individuazione dell’immobile.
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9.1. L’efficacia della trascrizione dell’atto di pignoramento.
In dipendenza della disposizione dell’art. 2666 c.c., rubricato “limiti soggettivi
dell’efficacia della trascrizione”, la trascrizione ed, ovviamente, la trascrizione del
pignoramento immobiliare, da chiunque si faccia, giova a tutti coloro che vi hanno
interesse.
In virtù, quindi, della riferita disposizione codicistica la trascrizione del
pignoramento apre il concorso dei creditori sul bene staggito, concorso la cui
regolamentazione si rinviene all’art. 493 c.p.c., ove è disciplinato il pignoramento
contemporaneo e successivo del medesimo immobile, ed all’art. 499 c.p.c., ove è
dettata la disciplina dell’intervento degli altri creditori nell’esecuzione pendente.
La previsione codicistica di cui all’art. 2666 c.c., inoltre, si specifica in relazione
al disposto degli artt. 2913, 2914, 2915, 2916 c.c. [Quivi ed ancora agli artt. 2917 e 2918
c.c. sono disciplinati i cosiddetti effetti sostanziali o materiali del pignoramento. Ai essi sono
giustapposti i cosiddetti effetti processuali del pignoramento, identificati nel diritto di provocare i
singoli atti espropriativi, nel diritto di partecipare all’espropriazione del bene pignorato, nel
diritto all’attribuzione della somma ricavata o a partecipare alla distribuzione della medesima:
cfr. in tal senso P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 170], alla
cui stregua non hanno effetto, oltre che in pregiudizio del creditore pignorante, altresì
dei creditori che intervengono nell’esecuzione [A tal ultimo riguardo cfr. Cass. 6.8.1996, n.
7214, secondo cui il principio enunciato dall’art. 2913 c.c. opera anche nei confronti dei creditori
intervenuti dopo la trascrizione dell’atto di alienazione, sempreché questo sia successivo al
pignoramento], gli atti aventi ad oggetto l’alienazione, a titolo oneroso ovvero a titolo
gratuito, dei beni immobili [E mobili registrati] sottoposti a pignoramento [“Per essere
una diretta emanazione della legge, l’inefficacia delle alienazioni non richiede, agli effetti della
prosecuzione del processo, una analoga declaratoria del giudice. Ove essa venga contestata,
provvede il giudice dell’esecuzione, quando l’accertamento è incidenter tantum, …”: così P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 164. Cfr. Cass. 5.8.1987, n.
6748, secondo cui gli atti di disposizione del bene staggito sono inefficaci de iure rispetto
all’intero processo esecutivo in corso, stante il preminente rilievo attribuito all’interesse pubblico
alla conservazione della garanzia patrimoniale nella sua interezza ed all’interesse privato al
soddisfacimento della pretesa creditoria], gli atti che in relazione ai medesimi beni
importano vincoli di indisponibilità [In tema cfr. Cass. 19.11.1999, n. 12864, secondo cui la
costituzione del fondo patrimoniale, di cui all’art. 167 c.c., deve essere ricompresa tra le
convenzioni matrimoniali e, pertanto, è soggetta alle medesime disposizioni dell’art. 162 c.c.,
circa le forme delle convenzioni medesime, ivi inclusa quella del 4° co., che ne condiziona
l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio,
mentre la trascrizione del vincolo stesso, ai sensi dell’art. 2647 c.c., con riferimento agli
immobili che ne siano oggetto, resta degradata a mera pubblicità - notizia, inidonea ad assicurare
detta opponibilità. Ne consegue che, come in ogni caso in cui la legge dispone che per
l’opponibilità di determinati atti è necessaria una certa forma di pubblicità, la forma di pubblicità
costituita dalla suddetta annotazione non ammette deroghe o equipollenti e che resta anche
irrilevante l’effettiva conoscenza della costituzione del fondo che il terzo abbia altrimenti potuto
conseguire, pur dovendosi escludere che l’annotazione predetta assuma in tal modo una funzione
costitutiva, giacché l’unico effetto che condiziona è l’opponibilità ai terzi, mentre non incide a
qualunque altro effetto sulla validità ed efficacia dell’atto. Si veda altresì Cass. 24.1.2012, n.
933, secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale è opponibile ai terzi esclusivamente a
partire dalla data di annotazione a margine dell’atto di matrimonio negli appositi registri dello
stato civile, non potendosi far retrodatare la produzione degli effetti alla data di proposizione
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della domanda di annotazione od anticiparli alla data della trascrizione effettuata ex art. 2647 c.c.
ed avente la precipua funzione di pubblicità notizia. Ne discende che se il procedimento
immobiliare è eseguito nelle forme di cui all’art. 555 c.p.c., prima della predetta annotazione, la
costituzione del fondo de quo è inefficace nei confronti del creditore pignorante e di quelli che
intervengono nell'esecuzione, stante quanto disposto dall’art. 2913 c.c.. Ciò accade anche
nell'ipotesi in cui il pignoramento sia successivo all'annotazione, ma l’ipoteca sia stata iscritta
precedentemente, atteso che con l'iscrizione sorge immediatamente per il creditore, ex art. 2808
c.c., il potere di espropriare il bene con prevalenza rispetto ai vincoli successivi ] gli atti e le
domande che del pari con riferimento agli stessi cespiti esplicano efficacia nei
confronti dei terzi in quanto trascritti, le ipoteche ed i privilegi che analogamente in
relazione ai beni de quibus siano state iscritte o siano sorti dopo il pignoramento [Per i
mobili non iscritti in pubblici registri viceversa sono salvi gli effetti del possesso di buona fede.
In ogni caso, qualora il processo esecutivo si estingua, l’atto di alienazione acquista efficacia nei
confronti sia del pignorante che dei creditori intervenuti: cfr. in tal senso Cass. 10.11.1992, n.
13164].
Ovviamente, siccome del resto si evince dal chiaro tenore degli artt. 2913, 2914,
2915, 2916 c.c., per i beni immobili [E per i mobili registrati] “l’anteriorità della
notificazione del pignoramento… non basta se non si aggiunge l’anteriorità della
trascrizione di esso; diversamente è come se tali alienazioni e altri atti di disposizione
abbiano luogo anteriormente al pignoramento” [Così P. CASTORO, Il processo di
esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 561 s.].
9.2. L’efficacia della trascrizione dell’atto di pignoramento. Segue: gli artt.
2668 bis e 2668 ter c.c..
L’art. 62 della legge 18.6.2009, n. 69, ha disposto l’inserimento nel Capo I del
Titolo I del Libro IV del c.c. degli artt. 2668 bis e 2668 ter, rubricati, rispettivamente,
“durata dell’efficacia della trascrizione della domanda giudiziale” e “durata
dell’efficacia della trascrizione del pignoramento immobiliare e del sequestro
conservativo sugli immobili” [I novelli articoli si allineano, dunque, alla previsione dell’art.
2847 c.c., scritto in materia di ipoteca ed alla cui stregua l’iscrizione ipotecaria conserva il suo
effetto per venti anni dalla sua data; il medesimo art. 2847 c.c. soggiunge che l’effetto cessa se
l’iscrizione non è rinnovata prima che scada detto termine. Ovviamente restano impregiudicate le
previsioni dell’art. 2668 c.c., degli artt. 497 e 630 c.p.c. e degli artt. 669 octies e 669 novies
c.p.c., in relazione, rispettivamente, alla cancellazione della trascrizione delle domande
giudiziali, alla cancellazione della trascrizione del pignoramento, alla cancellazione della
trascrizione del sequestro conservativo].
Più esattamente l’art. 2668 bis, 1° co., c.c. dispone che “la trascrizione della
domanda giudiziale conserva il suo effetto per venti anni dalla sua data. L’effetto
cessa se la trascrizione non è rinnovata prima che scada detto termine” [Il 4° co. del
menzionato articolo statuisce, inoltre, che, “se al tempo della rinnovazione gli immobili a cui si
riferisce il titolo risultano dai registri delle trascrizioni passati agli eredi o aventi causa di colui
contro il quale venne eseguita la formalità, la rinnovazione deve essere fatta anche nei confronti
degli eredi o aventi causa e la nota deve contenere le indicazioni stabilite dall’articolo 2659, se
queste risultano dai registri medesimi”.].
A sua volta l’art. 2668 ter c.c. si limita a sancire che “le disposizioni di cui
all’articolo 2668 bis si applicano anche nel caso di trascrizione del pignoramento
immobiliare e del sequestro conservativo sugli immobili”.
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Con precipuo riferimento al pignoramento, quindi, l’efficacia della relativa
trascrizione, in virtù dell’espressa volontà legislativa, non è più cronologicamente
illimitata [La ratio dell’innovazione è stata puntualmente individuata nell’aspirazione “a
chiudere gli spazi di incertezza e a realizzare un sistema affidabile che garantisca i terzi, che
abbiano necessità di compiere ispezioni nei registri immobiliari, da ipotetici rischi, in precedenza
non evitabili se non attraverso indagini estese ad epoche assai più remote”: così A. M. SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 718 s.].
E’ fuor di dubbio che il termine ventennale de quo agitur è termine di decadenza,
sicché, rilevando il mero decorso del tempo, non vi è possibilità alcuna di sospenderne
o interromperne il corso se non mercé il compimento tempestivo, giusta il disposto
dell’art. 2966 c.c., della rinnovazione della trascrizione [Cfr. in senso analogo A. M.
SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 719. L’A. precisa ulteriormente che la
rinnovazione della trascrizione del pignoramento è necessaria anche quando l’esecuzione sia in
corso “sino al momento in cui non si sia esaurita la fase liquidatoria del bene con l’emissione e
successiva trascrizione del decreto di trasferimento recante l’ordine di cancellazione dei
gravami… ovvero sino a quando non sia stata integralmente versata la somma determinata dal
giudice per la conversione del pignoramento poiché in tale ultima ipotesi il bene subastato deve
intendersi liberato dal vincolo pignoratizio”].
E’ ben possibile, ovviamente, che alla rinnovazione della trascrizione del
pignoramento il creditore procedente ovvero un qualsivoglia creditore intervenuto
munito di titolo, da considerarsi in pari misura legittimato [ Si reputa legittimato per
giunta l’aggiudicatario del cespite staggito], non vi abbiano per nulla atteso ovvero che vi
abbiano atteso scaduto il ventennio dal dì dell’originaria trascrizione.
Con riferimento alla prefigurata duplice evenienza appare senza dubbio
preferibile, in dipendenza del rilievo per cui l’art. 2668 ter c.c. contempla un’ipotesi
di caducazione della trascrizione del pignoramento e non già di estinzione del
processo esecutivo, la soluzione secondo cui, per un verso, il medesimo processo cada
in una sorta di quiescenza e secondo cui, per altro verso, il giudice dell’esecuzione
possa comunque accordare al pignorante - ed, evidentemente, a qualsivoglia creditore
intervenuto munito di titolo - il termine di centoventi giorni di cui al secondo periodo
dell’art. 567, 3° co., c.p.c., onde consentir loro la rinnovazione dell’originaria
trascrizione e l’allegazione di documentazione ex art. 567, 2° co., c.p.c. integrativa nella seconda evenienza, della sola documentazione ipocatastale integrativa - relativa,
cioè, al periodo intercorrente tra la data a decorrere dalla quale è cessata l’efficacia
dell’iniziale trascrizione e la data in cui il medesimo creditore ha provveduto a
rinnovarla [Si è, di contro, evidenziato che “non si vede per quale ragione debba prevalere
l’interesse del creditore la cui inerzia nei termini fissati dal codice è, di regola, sanzionata con
l’estinzione del processo”: così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 721 s.. L’A.
soggiunge che l’opinione in questa sede condivisa “esporrebbe, inoltre, i terzi al rischio di non
poter sapere mai con certezza se un pignoramento oggetto di trascrizione inefficace possa
rivivere in futuro sebbene in virtù di un nuova formalità”; e conclude nel senso che “sembra,
quindi, più convincente la tesi secondo la quale il giudice dell’esecuzione, nell’esercizio del
potere - dovere di verificare se la trascrizione del pignoramento sia efficace, quando rileva
(decidendo sull’istanza di vendita o compiendo qualsiasi atto successivo fino all’intervenuta
trascrizione del decreto di trasferimento), la sopravvenuta inefficacia della trascrizione del
pignoramento debba prendere atto che tale inefficacia impedisce il compimento di qualunque
atto esecutivo (finanche l’emissione del decreto di trasferimento, pur quando il bene sia stato nel
frattempo aggiudicato) e debba dichiarare l’estinzione del processo in corso”].
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Conseguentemente il giudice dell’esecuzione non potrà che dichiarare, ai sensi
dell’art. 567, 3° co., c.p.c., l’inefficacia del pignoramento e, susseguentemente,
disporre la cancellazione dell’originaria trascrizione e l’estinzione del processo
esecutivo, qualora, nel termine accordatogli, il pignorante o un qualsivoglia “titolato”
intervenuto non abbiano ottemperato a quanto ad essi prescritto; non potrà che
respingere l’istanza di vendita, ancorché il pignorante o un qualsivoglia “titolato”
intervenuto abbiano puntualmente ottemperato alle prescrizioni ad essi rivolte,
qualora constati l’eseguita trascrizione nel periodo “scoperto” di un atto di diposizione
avente ad oggetto l’immobile subastato [In simile eventualità le ragioni del terzo acquirente
dell’immobile pignorato prevalgono di certo sulle ragioni del creditore pignorante]; non potrà
che assicurare ulteriore corso alla procedura esecutiva, qualora rilevi che medio
tempore nessun atto di disposizione in relazione all’immobile staggito sia stato
trascritto.
Va debitamente aggiunto che, sulla scorta di un’interpretazione
costituzionalmente orientata della disciplina transitoria di cui all’art. 58 della legge n.
69/2009, disciplina alla cui stregua le disposizioni di cui agli artt. 2668 bis e 2668 ter
c.c. si applicano anche alle procedure esecutive pendenti alla data del 4.7.2009, dì
dell’entrata in vigore della medesima legge n. 69/2009, si reputa che la trascrizione
del pignoramento immobiliare o del sequestro conservativo eseguita nei vent’anni
antecedenti all’entrata in vigore dell’anzidetta legge n. 69/2009 o, addirittura, in epoca
precedente, conserva la sua originaria efficacia, se rinnovata entro i dodici mesi
successivi al 4.7.2009 e, quindi, entro il 4.7.2010.
10.1. Oggetto del pignoramento. Rilievi generali.
Tutti i beni immobili ed i diritti reali immobiliari suscettibili di alienazione, ossia
la proprietà, la nuda proprietà, l’usufrutto, la superficie, l’enfiteusi, possono essere
oggetto di pignoramento, salvo, ben vero, il disposto dell’art. 2911 c.c. [Cfr. G.
GIUSTI, Il pignoramento nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo
la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 552, secondo cui “nell’espropriazione
immobiliare, diversamente da quanto accade nell’espropriazione mobiliare, è il creditore
procedente a scegliere il bene o i beni immobili”. In tema, inoltre, si veda Cass. 15.9.1997, n.
9190, secondo cui il diritto sulla cappella, gentilizia o familiare - costruita, previa concessione ai
sensi degli artt. 90 e 92 d.p.r. 10.9.1990, n. 285, sopra o sotto un’area cimiteriale – è, a differenza
dello jus supulchri (che è di natura personale), di natura reale, assimilabile al diritto di superficie,
e, come tale, può essere oggetto di esecuzione forzata, mentre la sua temporaneità ed
estinguibilità da parte della concedente pubblica amministrazione per ragioni di pubblico
interesse, incide soltanto sulla sua valutazione patrimoniale. Va rimarcato, d’altro canto, che le
parti che concorrono a formare il singolo immobile “non possono essere pignorate se non
insieme con questo, in un tutt’uno inscindibile”: così P. CASTORO, Il processo di esecuzione
nel suo aspetto pratico, cit., 562].
Si è specificato che “il diritto reale di cui il debitore è titolare può essere
espropriato esclusivamente nella sua reale consistenza poiché non è concesso al
creditore di costituire diritti reali parziari non esistenti o frazionare la quota del diritto
facente capo al soggetto passivo dell’esecuzione. In questa prospettiva non è possibile
pignorare ai danni del debitore che sia pieno proprietario del bene il diritto di
usufrutto o di nuda proprietà ovvero una quota indivisa del diritto sul bene diversa da
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quella di cui questi sia titolare” [Così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit.,
703].
Il riferito assunto, in verità, segnatamente in relazione a tal ultimo profilo, desta
perplessità: così come è legittimo che il creditore circoscriva l’iniziativa esecutiva ad
uno o più dei molteplici cespiti, se del caso immobiliari, ricompresi nel patrimonio del
debitore, è da reputare in pari misura legittimo che il creditore sottoponga al vincolo
del pignoramento non già l’intera quota indivisa della piena proprietà - o di altro
diritto reale egualmente pignorabile - di cui il debitore sia titolare, bensì una quota
minore.
Si verte del resto sul terreno di interessi rigorosamente privatistici, rimessi
integralmente alla libera determinazione dei diretti titolari. D’altro canto non è da
escludere che, pignorata la quota indivisa di un bene o diritto in comunione che al
debitore sia riferibile, il giudice dell’esecuzione, reputandola di valore
significativamente eccedente il complessivo importo dei crediti da soddisfare, possa
disporre ex art. 496 c.p.c. la riduzione del vincolo, sì da circoscriverlo ad una frazione
ideale di minore consistenza.
Qualora, comunque, sia stata correttamente pignorata la nuda proprietà,
nondimeno la procedura può proseguire senz’altro per la liquidazione della proprietà
piena della res staggita, se nel corso dell’esecuzione, antecedentemente alla pronuncia
del decreto di trasferimento, decede l’usufruttuario; la proprietà cioè riassume la sua
naturale configurazione [Ovviamente, se l’usufruttuario decede dopo la pronuncia del decreto
di trasferimento, il diritto di proprietà si riespande a vantaggio dell’aggiudicatario acquirente].
All’uopo è sufficiente acquisire il certificato di morte dell’usufruttuario [ Cfr. Cass.
22.7.1991, n. 8166. Nuda proprietà e piena proprietà costituiscono comunque diritti diversi,
sicché il giudice non può ex art. 496 c.p.c. correggere il pignoramento riducendo la piena
proprietà alla nuda proprietà: cfr. Trib. Reggio Calabria 30.5.2006].
Si ammette, inoltre, che “nulla osti a configurare la pignorabilità della quota di
multiproprietà ed il suo assoggettamento alle regole dell’espropriazione immobiliare”
[Così G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale
civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 1046. L’art. 69, 1° co., dec. lgs.
6.9.2005, n. 206 - c.d. “codice del consumo” - nel testo quale sostituito dall’art. 2, 1° co., dec.
lgs. 23.5.2011, n. 79, definisce “contratto di multiproprietà” “un contratto di durata superiore a
un anno tramite il quale un consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento
ripartito su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di occupazione”; il 2° co.
dell’art. 69 cit. soggiunge che “nel calcolo della durata di un contratto di multiproprietà o di un
contratto relativo a un prodotto per le vacanze di lungo termine, quale definito al comma 1,
rispettivamente alle lettere a) e b), si tiene conto di qualunque disposizione del contratto che ne
consenta il rinnovo tacito o la proroga”].
Limitatamente all’usufrutto si tenga conto, per un verso, che l’usufrutto legale di
cui all’art. 324 c.c. non può, a norma dell’art. 326 c.c., “essere oggetto di alienazione,
di pegno o di ipoteca né di esecuzione da parte dei creditori”, per altro verso, che, a
norma dell’art. 979 c.c., “la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita
dell’usufruttuario” e che, a norma dell’art. 980, 1° co., c.c., “l’usufruttuario può
cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è
vietato dal titolo costitutivo” [Al riguardo cfr. Trib. Milano 22.2.2001, in Gius., 2002, 2369,
secondo cui, non essendo possibile lo scorporo del diritto di abitazione da quello di usufrutto, è
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legittimo il pignoramento del diritto di usufrutto su di un immobile anche se l’intenzione
dell'usufruttuario era quella di garantirsi esclusivamente il diritto di abitare l'unità immobiliare].
Non sono pignorabili le servitù prediali ed i diritti d’uso e di abitazione, giacché
non sono autonomamente trasferibili.
In particolare “la servitù è insuscettibile di autonoma cessione ma si trasferisce
automaticamente a seguito dell’alienazione del fondo dominante” [Così C.M. Bianca,
Diritto civile 6 la proprietà, Milano, 1999, 664]. A norma dell’art. 1024 c.c. “i diritti di uso
e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione”.
La nozione di beni immobili è fornita dall’art. 812 c.c..
Più esattamente sono beni immobili, alla stregua del 1° co., “il suolo, le sorgenti e
i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a
scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato
al suolo”.
Sono reputati immobili, alla stregua del 2° co., “i mulini, i bagni e gli altri edifici
galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all’alveo e sono destinati ad
esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione” [Il 3° co. dell’art. 812 c.c.
soggiunge che “sono mobili tutti gli altri beni”].
In ogni caso non possono essere pignorati i beni immobili che non sono in
commercio.
Dunque non sono pignorabili i beni demaniali ed i beni del patrimonio
indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici, territoriali e non territoriali [In
ordine all’impignorabilità dei beni del patrimonio indisponibile cfr. Cass. 20.11.1997, n. 11564.
In tema cfr., altresì, Cass. 21.7.1981, n. 4696, secondo cui fanno parte del patrimonio disponibile
e sono pertanto pignorabili i beni (nella specie: immobili destinati alla locazione) appartenenti ad
un ente comunale di assistenza i quali, avendo a norma dell’art. 4 della legge n. 847/1937
carattere meramente strumentale, in quanto produttivi di rendita da utilizzare per l'espletamento
del pubblico servizio di assistenza, non sono oggetto di quella destinazione immediata e diretta al
medesimo, che rappresenta per legge (artt. 826 e 830 c.c.) il connotato tipico dei beni
patrimoniali indisponibili. Cfr., ancora, Cass. 6.8.1987, n. 6755, secondo cui gli immobili
appartenenti al patrimonio degli enti pubblici debbono ritenersi impignorabili solo quando esista,
in relazione ad essi, un vincolo legale di destinazione a servizio pubblico direttamente costitutivo
della loro indisponibilità, senza che l’attività amministrativa di natura provvedimentale, esplicata
prima o dopo il pignoramento, sia sufficiente a sottrarre all’espropriazione gli immobili del
patrimonio disponibile, conferendo loro una destinazione a servizi pubblici da attuare in futuro;
tuttavia, i suddetti immobili, appartenenti al patrimonio disponibile e privi di specifica
destinazione a servizi pubblici all’epoca del pignoramento, si sottraggono allo stesso quando tale
destinazione ricevano in concreto nel corso del processo esecutivo, per effetto della costruzione
di un’opera pubblica comportante la conversione della natura giuridica del bene staggito con il
passaggio dal patrimonio disponibile a quello indisponibile dell’ente (indipendentemente dalla
legittimità dell’iniziativa e da un successivo atto formale confermativo), non essendo applicabile
il principio della priorità della costituzione del vincolo, ma dovendosi privilegiare sull’interesse
privatistico del creditore procedente di ottenere il soddisfacimento del suo credito, quello
pubblicistico di soddisfare le esigenze della generalità dei cittadini, conservando al bene la
destinazione impressagli ad ufficio o servizio di pubblica utilità. Con riguardo agli immobili
appartenenti ad università agrarie - che, incluse quelle costituite nelle province dell’ex stato
pontificio, hanno natura di enti pubblici non economici – cfr. Cass. sez. un. 24.7.1986, n. 4749,
secondo cui la controversia promossa per sentir riconoscere la nullità di atti di disposizione e la
non assoggettabilità dei beni medesimi ad espropriazione forzata, per effetto della loro inclusione
nel demanio di uso civico, è devoluta alla competenza giurisdizionale del commissario regionale
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per gli usi civici, anche per la parte in cui si richieda l’adozione di provvedimenti cautelari quale
il sequestro giudiziario, atteso che tale competenza giurisdizionale, a norma degli art. 29 e 30
della legge 16.6.1927, n. 1766, si estende alle questioni sulla indisponibilità di detti immobili
come conseguenza della loro demanialità, ed inoltre non trova deroga nel disposto dell’art. 615
c.p.c., circa la devoluzione al giudice dell’esecuzione delle cause dirette a contestare la
pignorabilità di un bene, il quale opera nel presupposto della spettanza delle cause stesse alla
giurisdizione del giudice ordinario. Non possono essere oggetto di pignoramento i beni immobili
gravati da uso civico: cfr. in tal senso Cass. 28.9.2011, n. 19791].
Rilevano, in particolare, gli artt. 822 ss. c.c..
Segnatamente “la condizione giuridica del demanio pubblico è stata precisata
nell’art. 823 nel senso che i beni che fanno parte del demanio pubblico sono
inalienabili (e perciò anche inespropriabili) e non possono formare oggetto di diritti a
favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano” [Così
P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 152].
La condizione giuridica dei beni del patrimonio indisponibile è affermata all’art.
828, 2° co., c.c., ove è sancito che “i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile
non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi
che li riguardano”.
La condizione giuridica dei beni degli enti pubblici non territoriali destinati ad un
pubblico servizio è definita dall’art. 830, 2° co., c.c. mercé il rinvio al 2° co. dell’art.
828 c.c..
Si è specificato che “la destinazione di beni a un pubblico servizio va intesa non in
via transitoria od occasionale, ma con una certa stabilità, vale a dire in modo
durevole” [Così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 153].
Si tenga conto che, a norma dell’art. 831, 2° co., c.c., gli edifici destinati
all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartenenti a privati, non possono
essere sottratti alla loro destinazione neppure a seguito di alienazione, fino a quando
la loro destinazione non sia venuta meno in conformità alle leggi che li riguardano.
10.2. Oggetto del pignoramento. Segue: gli alloggi di edilizia popolare ed
economica.
Gli alloggi anzidetti possono essere pignorati unicamente allorché, con l’integrale
pagamento del prezzo, entrino in via definitiva nel patrimonio dell’assegnatario o
siano ceduti senza riserva di proprietà [Cfr. in senso analogo G. GIUSTI, Il pignoramento
nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n.
69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 551, secondo cui gli immobili de quibus, “una volta ceduti
senza riserva di proprietà agli assegnatari,… divengono invece pignorabili e possono essere
venduti a qualsiasi partecipante, anche se non abbia i requisiti per la cessione originaria di quei
medesimi alloggi”. Cfr. Cass. 5.8.1987, n. 6748, secondo cui gli alloggi di edilizia economica e
popolare assegnati e ceduti senza riserva di proprietà possono essere oggetto di pignoramento da
parte dei creditori degli assegnatari e, quindi, possono essere anche venduti all’asta, a chiunque
partecipi alla gara a conclusione della procedura esecutiva, ancor prima che sia trascorso il
decennio di cui agli artt. 29 legge 14.2.1963, n. 60, e 28, 5° co., legge 8.8.1977, n. 513,
indipendentemente dal possesso, da parte dell’acquirente, dei requisiti per la cessione originaria
di quei medesimi alloggi. Cfr., ancora, Cass. 9.10.1990, n. 9912, secondo cui in tema di
espropriazione forzata immobiliare non è suscettibile di pignoramento, in danno
dell’assegnatario, l’alloggio di edilizia popolare ed economica per il quale non sia stato
corrisposto integralmente il prezzo, sia che il pagamento debba essere effettuato in forma rateale
14
che in unica soluzione (artt. 15 e 16 d. p. r. 17.1.1959, n. 2), perché prima di detto pagamento
l’alloggio non si trasferisce in proprietà al detto assegnatario ma rimane nella disponibilità
dell’ente concedente ed è vincolato nella sua destinazione alle finalità che la legge persegue nel
quadro dell’esigenza di assicurare la disponibilità di un alloggio a determinate categorie - e solo
a quelle - di beneficiari, con la conseguenza che l’immobile deve ritenersi compreso tra i beni
patrimoniali indisponibili dell’ente cui appartiene ai sensi degli artt. 828 ed 830 c.c. e, quindi,
non suscettibile di essere sottoposto ad esecuzione forzata; tale principio trova applicazione
anche nel caso in cui l’assegnatario abbia corrisposto quindici annualità dei ratei, giacché tale
fatto non determina l’anticipato trasferimento della proprietà dell’immobile ma soltanto, una
volta che sia stato corrisposto integralmente il prezzo - e sia quindi avvenuto il trasferimento
della proprietà - l’esonero dal vincolo decennale di inalienabilità].
10.3. Oggetto del pignoramento. Segue: gli immobili di interesse storico –
artistico.
La notificazione, a norma dell’art. 15 del dec. lgs. n. 42 del 22.1.2004, intitolato
“codice dei beni culturali e del paesaggio”, della dichiarazione, di cui all’art. 13 dello
stesso decreto legislativo, con la quale sia stata accertata relativamente ad un dato
immobile, la sussistenza dell’interesse di cui all’art. 10, 3° co., dell’anzidetto
medesimo testo legislativo [L’art. 10, rubricato “beni culturali”, del dec. lgs. n. 42/2004
recita, al 1° co., che “sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle
regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a
persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico; recita,
tra l’altro, al 3° co., “sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista
dall’articolo 13: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da
quelli indicati al comma 1;…. d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che
rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia
politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della
cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni
pubbliche, collettive o religiose; recita, tra l’altro, al 4° co., “sono comprese tra le cose indicate
al comma 1 e al comma 3, lettera a):….. f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse
artistico o storico; recita, al 5° co., “salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono
soggette alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al comma 1 che siano opera di autore
vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni,
se immobili, nonché le cose indicate al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore
vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni”. L’art. 15, rubricato “notifica
della dichiarazione”, del dec. lgs. n. 42/2004 dispone, al 1° co., che “la dichiarazione prevista
dall’articolo 13 è notificata al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che
ne forma oggetto,….”; dispone, al 2° co., che “ove si tratti di cose soggette a pubblicità
immobiliare o mobiliare, il provvedimento di dichiarazione è trascritto, su richiesta del
soprintendente, nei relativi registri ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario,
possessore o detentore a qualsiasi titolo”], non vale a preclude la pignorabilità dello stesso
immobile [Al riguardo cfr. Cass. sez. un. 27.6.1986, n. 4282, secondo cui in tema di cose di
interesse artistico e storico, con la notifica del vincolo di cui all’art. 2 legge 1.6.1939, n. 1089, il
bene non diviene impignorabile né cessa la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria. Si
veda anche Cass. 20.3.2012, n. 4378, secondo cui in tema di esecuzione forzata se, dopo il
pignoramento di un immobile, la P.A. adotti un provvedimento che incide sulla disponibilità o
sulla gestione di esso (nella specie, vincolo di inseparabilità da un immobile di rilievo storico –
artistico delle collezioni d’arte ivi contenute), tale provvedimento non rende nullo il
15
pignoramento, ma – essendo suscettibile di incidere sul valore dell’immobile – di esso si deve
tener conto nella stima del bene nonché darne atto sia nell’ordinanza che nell’avviso di vendita].
Più semplicemente implica l’obbligo di dar notizia del vincolo storico - artistico
nell’avviso di vendita, il dovere di far denuncia alla Pubblica Amministrazione del
pignoramento, la subordinazione del trasferimento del bene al mancato esercizio della
prelazione da parte della medesima P.A. [Cfr., ancora, Cass. 24.11.1995, n. 12166, secondo
cui le norme di cui agli artt. 826 e 828 c.c. e 23 legge 1.6.1939, n. 1089, che tutelano il
patrimonio artistico nazionale sancendone la indisponibilità, non si applicano ai beni di interesse
storico ed artistico appartenenti a Stato estero presenti in Italia; ne consegue che, prima della
convenzione di Parigi del 14 novembre 1970, ratificata dall’Italia con l. 30 ottobre 1975 n. 873
ed entrata in vigore il 2 gennaio 1979 (essendo avvenuto il 2 ottobre 1978 il deposito dello
strumento di ratifica presso l'Unesco), i privati che abbiano acquistato in buona fede beni storici
e artistici appartenenti a Stato estero (nella specie Stato francese) ne sono divenuti legittimi
proprietari a norma degli artt. 1147 e 1153 c.c.; in siffatta ipotesi lo Stato estero, ai sensi dell'art.
7 - B, II della citata convenzione, può solo agire per la restituzione dei beni predetti previo
versamento di un equo indennizzo a chi ne detiene legalmente la proprietà].
Più esattamente a norma dell’art. 59 del dec. lgs. n. 42/2004 l’aggiudicatario è
obbligato a denunciare il trasferimento alla P.A., onde consentire alla medesima P.A.,
entro i successivi 60 giorni, l’esercizio del diritto di prelazione [L’art. 59, rubricato
“denuncia di trasferimento”, del dec. lgs. n. 42/2004 dispone, al 1° co., che “gli atti che
trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili, la
detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero”; dispone, al 2° co., tra l’altro, che la
denuncia è effettuata entro trenta giorni dall’acquirente, in caso di trasferimento avvenuto
nell'àmbito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che
produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso; dispone, al 3° co., che “la
denuncia è presentata al competente soprintendente del luogo ove si trovano i beni”; dispone, al
4° co., che “la denuncia contiene: a) i dati identificativi delle parti e la sottoscrizione delle
medesime o dei loro rappresentanti legali; b) i dati identificativi dei beni; c) l’indicazione del
luogo ove si trovano i beni; d) l’indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di
trasferimento; e) l’indicazione del domicilio in Italia delle parti ai fini delle eventuali
comunicazioni previste dal presente Titolo; dispone, al 5° co., che “si considera non avvenuta la
denuncia priva delle indicazioni previste dal comma 4 o con indicazioni incomplete o
imprecise”. In argomento cfr. Cass. 1.6.1992, n. 6612, secondo cui l’esercizio del diritto di
prelazione da parte dello Stato, di cui agli artt. 31 e 32 legge 1.6.1939, n. 1089, sulla tutela delle
cose di interesse artistico e storico, con riferimento ad un decreto di trasferimento coattivo di un
bene soggetto a vincolo emanato nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare,
determina l'inefficacia del decreto medesimo ab origine, escludendo il trasferimento del bene
all'aggiudicatario, per il quale, correlativamente, sorge il diritto alla restituzione della somma
versata con provvedimento nell'ambito del processo esecutivo secondo le modalità per la
restituzione delle somme versate da un aggiudicatario quando, per qualsiasi motivo, non si possa
procedere alla pronuncia del decreto di trasferimento in suo favore, mentre nell'amministrazione
dei beni culturali sorge l'obbligazione di corrispondere il prezzo dell'incanto attraverso un
versamento che - essendo destinato a fungere da equivalente pecuniario del bene assoggettato a
pignoramento immobiliare - rimane assoggettato, nei limiti della compatibilità, alla disciplina
prevista dall’art. 495 c.p.c. senza che, per contro, nessun diritto di rimborso sorga a favore
dell'aggiudicatario direttamente nei confronti dell'amministrazione che ha esercitato il diritto di
prelazione].
10.4. Oggetto del pignoramento. Segue: gli immobili destinati a posti auto e
parcheggi.
16
L’art. 41 sexies 17.8.1942, n. 1150, quale aggiunto dall’art. 18 della legge
6.8.1967, n. 765 [Cosiddetta “legge – ponte”], dispone testualmente che “nelle nuove
costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono essere
riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per
ogni venti metri cubi di costruzione” [La riferita proporzione è stata successivamente
modificata dall’art. 2, 2° co., della legge 24.3.1989, n. 122, che ha provveduto a stabilirla in un
metro quadrato per ogni dieci metri cubi di costruzione].
Al cospetto della enunciata indicazione positiva l’elaborazione del giudice del
diritto è stata nel senso che l’art. 41 sexies cit. sostanzia una norma imperativa ed
inderogabile, in correlazione degli interessi pubblicistici da essa perseguiti, che opera
non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e l’autorità
competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti
spazi, nel senso di imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che
stabilmente occupano le costruzioni o ad esse abitualmente accedono. Il che – ha
proseguito l’elaborazione del giudice di legittimità - comporta, in ipotesi di fabbricato
condominiale, qualora il godimento dello spazio per parcheggio non sia assicurato in
favore del proprietario del singolo appartamento in applicazione dei principi
sull’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio o delle sue pertinenze a causa ed in
dipendenza dell’esistenza di un titolo contrattuale che attribuisca ad altri la proprietà
dello spazio medesimo, che deve affermarsi la nullità di tale contratto nella parte in
cui sottrae lo spazio per parcheggio alla suddetta inderogabile destinazione e,
conseguentemente, deve ritenersi il contratto stesso integrato ope legis con il
riconoscimento di un diritto reale di uso di quello spazio in favore di detto
condomino, salva restando la possibilità delle parti di ottenere, anche giudizialmente,
un riequilibrio del sinallagma contrattuale, alterato dalla indicata integrazione
dell’oggetto di una delle prestazioni [Cfr. in tal senso Cass. sez. un. 17.12.1984, n. 6600. In
senso analogo cfr. Cass. 8.5.1996, n. 4271, secondo cui l’art. 41 sexies cit., quale aggiunto
dall’art. 18 della “legge - ponte”, pone un vincolo pubblicistico di destinazione che non può
subire deroga negli atti privati di disposizione degli spazi stessi; ciò non esclude, tuttavia, la
negoziabilità separata delle aree di parcheggio, con l’unico limite della permanenza del vincolo
reale di destinazione; tale principio - prosegue la Corte - è rimasto immutato anche dopo l’entrata
in vigore della legge 28.2.1985, n. 47, il cui art. 26, ult. co., nello stabilire che gli spazi di cui
all’art. 18 cit. costituiscono pertinenze delle costruzioni (artt. 817, 818, 819 c.c.), non ha portata
innovativa, ma interpretativa della precedente disposizione. Si tenga conto che l’art. 26 cit. è
stato espressamente abrogato dall’art. 136, 2° co., lett. f), del d.p.r. 6.6.2001, n. 380, recante il
testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia].
Da quanto esposto discende che i posti auto ed i parcheggi ex art. 41 sexies cit.
sono pertinenze dell’immobile abitativo o commerciale cui ineriscono.
Ed, ulteriormente, che sono, sì, pignorabili separatamente dall’unità immobiliare
cui accedono, tuttavia che, nonostante la coattiva aggiudicazione a terzi, resta
impregiudicato il vincolo pertinenziale a favore (del proprietario) dell’unità cui sono
asserviti.
In relazione al quadro ricostruttivo testé delineato va in primo luogo debitamente
specificato che i posti auto ed i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo spazio
minimo richiesto dall’art. 41 sexies cit. non sono soggetti a vincolo pertinenziale a
favore delle unità immobiliari del fabbricato cui accedono [Cfr. in tal senso Cass. sez. un.
15.6.2005, n. 12793; altresì Cass. 15.12.2008, n. 29344].
17
Il che fa sì che nessuna limitazione è destinata a prefigurarsi in ipotesi di
espropriazione forzata di siffatti “eccedenti” posti auto e parcheggi [E’ stato
opportunamente precisato che “l’esperto nominato nel processo esecutivo, laddove sia chiamato
ad effettuare la stima del <parcheggio>, dovrà accertare se quest’ultimo sia o meno ascrivibile
tra quelli che superano la soglia minima onde evidenziare se sia o meno gravato da vincolo di
legge”: così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2012, 712 s.].
In relazione all’enunciato quadro ricostruttivo va in secondo luogo
necessariamente soggiunto che l’art. 41 sexies cit. ha registrato l’addizione, per effetto
dell’art. 12, 9° co., della legge 28.11.2005, n. 246, di un ulteriore comma, il 2°, alla
cui stregua i parcheggi e posti auto di cui al 1° co. del medesimo art. 41 sexies “non
sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta né da diritti d’uso a favore dei proprietari
di altre unità immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse”.
In dipendenza della menzionata novità il sistema, a decorrere dal 16.12.2005, data
di entrata in vigore della menzionata legge n. 246/2005, è attualmente improntato alla
più ampia liberalizzazione del regime di circolazione e trasferimento delle aree
destinate a parcheggi e posti auto.
Pur tuttavia la Suprema Corte ha chiarito che l’art. 12, 9° co., cit. trova
applicazione soltanto per il futuro, vale a dire per le sole costruzioni non realizzate o
per quelle per le quali, al momento della sua entrata in vigore, non erano ancora state
stipulate le vendite delle singole unità immobiliari; l’efficacia retroattiva della norma ha proseguito la Corte - va infatti esclusa, in quanto, da un lato, non ha natura
interpretativa, per mancanza del presupposto necessario a tal fine, costituito dalla
incertezza applicativa della disciplina anteriore, e, dall’altro, perché le leggi che
modificano il modo di acquisto dei diritti reali o il contenuto degli stessi non incidono
sulle situazioni maturate prima della loro entrata in vigore [Cfr. in tal senso Cass.
13.1.2010, n. 378; Cass. 24.2.2006, n. 4264].
In relazione al quadro ricostruttivo dianzi tracciato va in terzo luogo
imprescindibilmente aggiunto che, in virtù della previsione del 5° co. dell’art. 9 della
legge 24.3.1989, n. 122 [Cosiddetta “legge Tognoli”], i parcheggi realizzati ai sensi del
medesimo art. 9 della citata legge non possono essere ceduti separatamente dall’unità
immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale [ La norma puntualizza che “i
relativi atti di cessione sono nulli”].
Ne discende senz’altro che i parcheggi e posti auto di tal ultima species possono
unicamente esser pignorati unitamente all’immobile di cui sono pertinenza, al cui
servizio accedono.
10.5. Oggetto del pignoramento. Segue: gli immobili abusivi.
Ai sensi dell’art. 46, 1° co., d.p.r. 6.6.2001, n. 380 [D.p.r. recante il testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. L’art. 46 cit. riproduce in parte gli
artt. 17 e 40 della legge 28.2.1985, n. 47] gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in
forma privata, aventi per oggetto il trasferimento o la costituzione o lo scioglimento
della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è
iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi
non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o
del permesso in sanatoria [Va puntualizzato che il co. 5 bis del menzionato art. 46 - comma
aggiunto dall’art. 1, 1° co., lett. s), dec. lgs. 27.12.2002, n. 301 - precisa che le disposizioni del
18
medesimo art. 46 si applicano anche agli interventi edilizi realizzati mediante denuncia di inizio
attività ex art. 22, 3° co., qualora nell’atto non siano indicati gli estremi della stessa denuncia].
Nondimeno, ai sensi del 5° co. del medesimo articolo, la nullità non si applica agli
atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. In tal
caso, prosegue il 5° co., l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni
previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare
domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto
emesso dalla autorità giudiziaria.
In dipendenza specificamente di tal ultima previsione legislativa la situazione
urbanistico - edilizia dell’immobile staggito deve essere compiutamente accertata
dall’esperto e puntualmente descritta nell’ordinanza di vendita. Della medesima
situazione e delle somme che l’aggiudicatario dovrà versare a titolo di condono,
inoltre, dovrà tenersi conto in sede di determinazione del prezzo base.
Se la situazione urbanistico - edilizia dell’immobile non è indicata nell’ordinanza
di vendita, l’aggiudicatario, che non ne abbia avuto comunque conoscenza, può
esercitare l’azione ex art. 1489 c.c. [Al riguardo cfr. Cass. 13.5.2003, n. 7294, secondo cui
in tema di esecuzione per espropriazione forzata, qualora l’immobile aggiudicato risulti gravato
da diritti reali non apparenti né indicati negli atti della procedura, senza che l’aggiudicatario sia a
conoscenza della situazione reale, deve riconoscersi a questo non il diritto a far valere la garanzia
per evizione, limitata al solo diritto di proprietà, ma a far valere le garanzie di cui all’art. 1489
c.c. secondo le regole comuni, tenuto conto che tali regole incontrano una deroga nella vendita
forzata solo con riguardo alla garanzia per vizi, esclusa dall’art. 2922, 1° co., c.c.]
In ogni caso permane il dubbio circa la possibilità di pignorare e successivamente
alienare immobili abusivi non suscettibili di sanatoria.
Al riguardo si è ritenuto che, “se si considera il testo dell’art. 46 cit… si dovrebbe
desumere che l’immobile abusivo è tout court pignorabile, salvo poi a verificare la
sussistenza delle condizioni per la sanatoria da parte dell’aggiudicatario” [ Così G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 1044].
Negli stessi termini opina, dal canto suo, la giurisprudenza di merito. Più
esattamente si è assunto che il privato può acquistare nell’ambito delle procedure
esecutive un immobile altrimenti incommerciabile ed il creditore ipotecario può
rivalersi sul ricavato della vendita, ma ciò non comporta limiti alla p.a. la quale,
constatato l’abuso e rilevato che l’illecito edilizio non rientra tra quelli condonabili
può procedere all’acquisizione al patrimonio comunale anche nei confronti
dell’aggiudicatario acquirente [Cfr. in tal senso Trib. Roma 23.12.2005, in Giur. Merito,
2006, 7 – 8, 1673. Si veda al contempo Consiglio di Stato 23.5.2000, n. 2973, secondo cui il
condono degli abusi edilizi ai sensi della legge 28.2.1985, n. 47, non è precluso, stante l’art. 43
della legge stessa, dall’acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune avvenuta
prima della presentazione della domanda di sanatoria: non sono infatti preclusivi al rilascio del
condono edilizio l’avvenuta trascrizione del provvedimento sanzionatorio e la semplice presa di
possesso del bene senza modificazione della sua consistenza e destinazione da parte del Comune;
l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera abusiva e della relativa area di sedime
determina una situazione incompatibile con la sanatoria solo quando all’immissione in possesso
siano seguite la demolizione dell’immobile abusivo ovvero la sua utilizzazione a fini pubblici per
cui legittimamente l’amministrazione comunale può respingere la domanda di condono edilizio
presentata successivamente].
19
Non può tacersi, tuttavia, che suscita significative perplessità la possibilità di
attendere al pignoramento e susseguentemente alla vendita, per giunta per il tramite
dell’autorità giudiziaria, di una res la cui realizzazione costituisce senza dubbio ex art.
44 d.p.r. n. 380/2001 un illecito, di una res che ex art. 31, 3° co., d.p.r. n. 380/2001 è
destinata ad essere acquisita di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune,
qualora il responsabile dell’abuso non provveda alla demolizione e al ripristino dello
stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione di cui all’art. 31, 2° co.,
cit. [Cfr. Cass. pen. 28.11.2007, n. 4962, in materia edilizia, la acquisizione al patrimonio
comunale del manufatto e dell’area di sedime conseguente all’inottemperanza all’ordine di
demolizione delle opere abusive impartito al contravventore dallo stesso ente comunale si
verifica ope legis alla inutile scadenza del termine di giorni novanta fissato per detta
ottemperanza, senza che possa avere rilievo l’ulteriore adempimento della notifica all’interessato
dell'accertamento formale dell’inottemperanza, unicamente idoneo a consentire all'ente
l’immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari del titolo dell'acquisizione;
cfr., ancora, Cass. pen. 28.11.2007, cit., secondo cui, in materia edilizia, il manufatto abusivo
dissequestrato dopo che il responsabile non abbia ottemperato all’ingiunzione comunale di
demolizione dello stesso, va restituito non già al privato responsabile, quand’anche egli sia
ancora in possesso del bene, bensì allo stesso ente comunale, ormai divenutone proprietario a
tutti gli effetti a seguito dell’inutile decorso del termine di legge di cui all’art. 31 dec. lgs. n.
380/2001], di una res che, in quanto tale, si caratterizza, almeno in proiezione, come
res extra commercium. [Al riguardo si veda Cass. 26.1.2006, n. 1693, secondo cui l’ordinanza
di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del Comune della costruzione eseguita in
totale difformità o assenza della concessione, emessa dal Sindaco ai sensi dell’art. 7 della legge
n. 47/1985, che si connota per la duplice funzione di sanzionare comportamenti illeciti e di
prevenire perduranti effetti dannosi di essi, dà luogo ad acquisto a titolo originario, con la
conseguenza che l’ipoteca e gli altri eventuali pesi e vincoli preesistenti vengono caducati
unitamente al precedente diritto dominicale, senza che rilevi l’eventuale anteriorità della relativa
trascrizione e/o iscrizione. La fattispecie è assimilabile al perimento del bene, ipotesi nella quale
si estingue l’ipoteca, giacché l’immobile abusivo è destinato al “perimento giuridico”,
normalmente conseguente alla demolizione, salva la eccezionale acquisizione al patrimonio
comunale, che lo trasforma irreversibilmente in res extra commercium sotto il profilo dei diritti
del debitore e dei terzi che vantino diritti reali limitati sul bene].
11. L’estensione del pignoramento [art. 2912 c.c.].
Ai sensi dell’art. 2912 c.c. “il pignoramento comprende gli accessori, le
pertinenze e i frutti della cosa pignorata”.
In dipendenza dunque della previsione dell’art. 2912 c.c. il pignoramento si
estende senz’altro agli accessori, alle pertinenze ed ai frutti della cosa pignorata,
qualora la descrizione del bene stesso non contenga elementi tali da far ritenere che in
sede di vendita si sia inteso escludere la suddetta estensione [Cfr. in tal senso Cass.
28.4.1993, n. 5002].
“La nozione di accessorio è presente nella legge positiva” [Così C. M. BIANCA,
Diritto civile 6 La Proprietà, Milano, 1999, 78; l’A. soggiunge che “essa rileva, precisamente, in
tema di alienazione, dove trova applicazione il principio di massima secondo il quale
l’accessorio segue il principale”].
Nondimeno il codice non ne fornisce una puntuale definizione.
Comunque accessorio può qualificarsi il bene che, sebbene abbia una sua propria
autonoma individualità, è in rapporto, ancorché non durevole, di connessione
20
funzionale con altro bene, detto principale, sicché il primo segue le sorti del secondo
[“Sono accessori le cose che accedono alla cosa principale integrandola; quindi anche le unioni,
le piantagioni, in quanto elemento integrante del fondo cui accedono, le costruzioni e le opere,
quando accedendo al suolo, non presentano un diverso grado di autonomia economico –
giuridica”: così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 159 s.].
Species del più lato rapporto di accessorietà è certamente il vincolo pertinenziale
[Cfr. in tal senso C. M. BIANCA, Diritto civile 6 La Proprietà, cit., 78, secondo cui la nozione
di accessorio “comprende quella di pertinenza (tutte le pertinenze sono accessori) ma è più
ampia perché attiene a qualsiasi entità materiale o giuridica che si ponga in funzione di un’altra a
prescindere da un atto di destinazione”].
E’ l’art. 817, 1° co. 1, c.c. che fornisce la nozione di pertinenze, tali qualificando
le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa. Il 2° co.
del medesimo articolo, a sua volta, precisa che legittimato ad effettuare la
destinazione è il proprietario della cosa principale ovvero colui che sulla cosa
principale vanti un diritto reale di godimento.
L’elaborazione giurisprudenziale ha da tempo chiarito che il vincolo pertinenziale
postula un elemento oggettivo, consistente nella durevole funzione di un bene, la res
accessoria, al servizio o all’ornamento di un altro bene, la res principale [La durevole
funzione di servizio o ornamento della pertinenza è, quindi, il collegamento valevole a conferire
alla cosa principale una qualsiasi utilità od un qualsiasi abbellimento. Le pertinenze possono
essere materialmente connesse alla cosa principale o distaccate. Ben vero, in relazione alla
connessione materiale, il rapporto pertinenziale è escluso dall’unione e dall’incorporazione, in
quanto la cosa unita o incorporata diviene parte integrante di un bene composto: cfr. in tal senso
C. M. BIANCA, Diritto civile 6 La Proprietà, cit., 71. Qualora la pertinenza sia distaccata, deve
sussistere la vicinanza necessaria perché si realizzi la funzione di utilità o di abbellimento. La
destinazione della pertinenza al servizio ovvero all’ornamento della cosa principale deve esser
durevole; il che, per un verso, non vuol dire perpetuità, per altro verso, implica che la
destinazione realizzata per soddisfare esigenze del tutto occasionali non comporta l’insorgere del
vincolo pertinenziale], ed un elemento soggettivo, costituito dalla destinazione, recte
dalla rispondenza della destinazione all’effettiva volontà di colui che ha diritto di
creare il suddetto vincolo di strumentalità e complementarietà funzionale [Cfr. in tal
senso Cass. 10.6.2011, n. 12855, secondo cui, ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale
tra bene principale e bene accessorio è necessaria la presenza del requisito soggettivo
dell’appartenenza di entrambi al medesimo soggetto nonché del requisito oggettivo della
contiguità, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale è necessario che il bene
accessorio arrechi una “utilità” al bene principale e non al proprietario di esso; nella specie, la
S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva escluso la pertinenzialità tra un immobile
condominiale ed un’autorimessa privata in quanto appartenenti a lotti diversi. Cfr. altresì Cass.
30.7.2004, n. 14559, secondo cui per potersi ravvisare il vincolo pertinenziale tra due beni, tra
loro distinti ed autonomi, è necessario che il proprietario della cosa principale abbia la piena
disponibilità anche della cosa accessoria. La legittimazione del proprietario si spiega tenendo
conto che la destinazione si risolve in un atto di disposizione della res, che come tale senza
dubbio spetta al proprietario; la legittimazione di colui che vanta sulla res un diritto reale di
godimento, si spiega tenendo conto che tale soggetto ha il potere di apportare alla cosa
miglioramenti di fatto e di diritto: cfr. in tal senso C. M. BIANCA, Diritto civile 6 La Proprietà,
cit., 67. La destinazione operata dal non legittimato è tamquam non esset, ossia è inidonea a far
sorgere il vincolo pertinenziale. Nondimeno il proprietario e, in genere, il soggetto legittimato
possono far propria la connessione funzionale realizzata da colui che non aveva diritto di
stabilirla. Si è assunto che “nell’ipotesi di cosa appartenente al condominio la destinazione può
21
essere deliberata dalla maggioranza qualificata dei condòmini, trattandosi di innovazione volta al
maggior rendimento della cosa comune (art. 1120, co. 1, c.c.) (es. vano adibito a ripostiglio). In
tal caso i vincoli pertinenziali intercorrono tra i singoli appartamenti e la corrispondente quota di
comproprietà sulla cosa accessoria”: così C. M. BIANCA, Diritto civile 6 La Proprietà, cit., 67
(in nota). Del resto il giudice di legittimità ha opinato - il riferimento è a Cass. 8.11.2000, n.
14528 - nel senso che è ammissibile una pertinenza in comunione al servizio di più immobili
appartenenti in proprietà esclusiva ai condomini della pertinenza stessa; l’asservimento reciproco
del bene comune (accessorio) consente di ritenere implicitamente sussistente la volontà dei
comproprietari di vincolare i beni accessori comuni a favore delle rispettive proprietà esclusive
(beni principali)].
Il collegamento funzionale che in questa sede specificamente rileva è ovviamente
quello che può intercorrere tra una cosa immobile ed altra cosa immobile [E’ il caso del
locale adibito a parcheggio e della casa di abitazione; del cortile e dell’edificio; della cantina e
dell’appartamento. Con precipuo riferimento alla cantina cfr. Cass. 8.1.1980, n. 109, ove si
afferma che la cantina, quale bene dotato di autonoma e propria individualità, può costituire
pertinenza ai sensi dell’art. 817 c.c., ove venga, per volontà del proprietario, stabilmente
destinata al servizio di un bene].
In ogni caso la disciplina delle pertinenze si articola in tre regole fondamentali.
In primo luogo le pertinenze seguono la sorte della res principale a meno che non
sia diversamente disposto [A norma dell’art. 818, 1° co., c.c. “gli atti ed i rapporti giuridici
che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è
diversamente disposto”; a norma dell’art. 818, 2° co., c.c. “la cessazione della qualità di
pertinenza non è opponibile ai terzi i quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa
principale”. Cfr. al riguardo Cass. 23.7.1994, n. 6873, secondo cui, per il disposto degli artt. 817
e 818 c.c., la relazione pertinenziale tra due cose determina automaticamente l’estensione alla
pertinenza degli effetti degli atti e rapporti giuridici aventi ad oggetto la cosa principale, salvo
che il rapporto strumentale sia cessato anteriormente all’atto concernente la cosa principale
ovvero da questo risulti espressamente la volontà del proprietario di escludere la pertinenza come
oggetto dello stesso; cfr. nello stesso senso Cass. 12.4.1999, n. 3574. Conseguentemente la
vendita della cosa principale comprende anche le pertinenze (art. 1477, 2° co., c.c.); la cosa
legata deve essere prestata al legatario con tutte le sue pertinenze (art. 667, 1° co., c.c.)].
Espressione di siffatto principio è evidentemente la regola di cui all’art. 2912 c.c..
A tal specifico proposito si tenga conto che il pignoramento di un terreno si estende,
in difetto di espressa previsione contraria, al fabbricato che insiste sul terreno
medesimo, ove tale fabbricato manchi di autonomia economica (possibilità di
separazione dal suolo), o di autonomia giuridica (spettanza della proprietà a soggetto
diverso dal proprietario del suolo), sì da costituire parte integrante di un’unica entità
immobiliare [Cfr. in tal senso Cass. 10.10.1987, n. 7522]. Altresì, che anche il terreno
latistante o circondante un edificio pignorato può, in concrete circostanze, essere
considerato unica cosa con il bene pignorato, e quindi soggetto allo stesso
pignoramento, ancorché non esplicitamente indicato, al pari delle costruzioni che
siano in rapporto di accessorietà o pertinenziale con il bene principale sottoposto
all’esecuzione [Cfr. in tal senso Cass. 28.4.1993, n. 5002; altresì Cass. 16.11.2000, n. 14863].
Inoltre, che le scorte di un fondo agricolo, in quanto appartenenti al proprietario e
destinate al servizio del fondo stesso, sono pertinenze alle quali si estende il
pignoramento dell’immobile; ne consegue che dette scorte devono essere comprese
nella valutazione del bene, al fine della determinazione del prezzo di vendita in sede
di espropriazione forzata [Cfr. in tal senso Cass. 16.5.1986, n. 3242, ove si puntualizza che
22
l’omissione di tale valutazione, ove ascrivibile a fatto illecito del terzo - nella specie:
occultamento delle scorte medesime da parte del custode - può implicare responsabilità
risarcitoria dell’autore del fatto per il danno derivante dalla realizzazione di un minor prezzo di
vendita].
In secondo luogo le pertinenze possono essere oggetto di separati atti o rapporti
giuridici [Art. 818, 2° co., c.c.] e, quindi, pur di un autonomo pignoramento [Beninteso,
limitatamente a tal ultima possibilità, a condizione che non risulti in precedenza staggito
l’immobile, il cui pignoramento ope legis si estende alle sue pertinenze]. Qualora oggetto di
distinti atti, viene senz’altro meno la qualità di pertinenza.
In terzo luogo la disposizione della cosa principale non pregiudica i preesistenti
diritti dei terzi sulle pertinenze. Invero l’art. 819 c.c. fa salvi i diritti dei terzi sulle
cose destinate a pertinenza.
Di conseguenza può insorgere conflitto tra coloro che abbiano acquistato la cosa
principale od i loro creditori ed i terzi acquirenti con separato atto delle pertinenze.
In siffatta ultima evenienza il conflitto è risolto nei termini seguenti.
Se la pertinenza è un bene immobile in base al regime della pubblicità
immobiliare; prevalgono, cioè, le ragioni di colui che per primo ha trascritto il proprio
titolo d’acquisto [Al riguardo cfr. Cass. 31.3.1987, n. 3098]. Al riguardo, ovviamente,
occorre tener presente che la trascrizione dell’atto avente ad oggetto la cosa
principale, ha effetto anche relativamente alle pertinenze.
Se la pertinenza è un bene mobile in base al criterio della priorità temporale;
prevalgono, cioè, le ragioni di colui che per primo ha conseguito la disponibilità
materiale della pertinenza.
Tuttavia se la cosa principale è un immobile [Ovvero un bene mobile registrato] i
diritti dei terzi sulle pertinenze sono opponibili all’acquirente di buona fede della cosa
principale solo quando risultino da scrittura privata avente data certa anteriore al titolo
dell’acquirente della res principale [Si veda l’art. 819, seconda parte, c.c.].
Dei frutti trattano gli artt. 820 e 821 c.c..
In particolare, a norma dell’art. 820 c.c., “sono frutti naturali quelli che
provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo.... Finché non
avviene la separazione i frutti formano parte della cosa…. Sono frutti civili quelli che
si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono
gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il
corrispettivo delle locazioni”
Sia i frutti naturali che quelli civili “rientrano in una generale nozione di frutti,
quali normali proventi economici” [Così C. M. BIANCA, Diritto civile 6 La Proprietà, cit.,
91].
Su tale scorta appare inevitabile, con specifico riferimento ai frutti provenienti o
ritratti dall’immobile pignorato per il periodo successivo al pignoramento, recepire la
nozione di “provento economico” in termini lati, più esattamente al netto delle
passività che al “provento” inevitabilmente ineriscono o, comunque, si
accompagnano.
Del resto, a norma dell’art. 821, 2° co., c.c., “chi fa propri i frutti deve nei limiti
del loro valore rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto”
[In questi termini non appare irragionevole far operare analogicamente sul terreno
dell’espropriazione immobiliare la previsione di cui all’art. 42, 2° co., l.fall., in virtù della quale
23
“sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento,
dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi”].
Va comunque rimarcato che, ai sensi del 1° co. del medesimo art. 821 c.c., “i
frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce, salvo che la loro
proprietà sia attribuita ad altri. In quest’ultimo caso la proprietà si acquista con la
separazione” [Del resto, a norma dell’art. 1472, 1° co., seconda parte, c.c., “se oggetto della
vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono
tagliati o i frutti sono separati”. Al contempo, l’art. 516, 1° co., prima parte, c.p.c., dispone che “i
frutti non ancora raccolti o separati dal suolo non possono essere pignorati separatamente
dall’immobili cui accedono”].
Conseguentemente i terzi che abbiano acquistato diritti sui frutti naturali ancora
pendenti, non possono opporre il loro titolo d’acquisto a chi abbia conseguito il diritto
di godimento sulla cosa “madre” in epoca antecedente alla separazione dei frutti.
Occorre tuttavia tener conto che, ai sensi del già menzionato art. 516, 1° co.,
prima parte, c.p.c., il pignoramento dei frutti non ancora raccolti o separati dal suolo
separatamente dall’immobile cui ineriscono, è possibile nelle sei settimane
antecedenti al tempo ordinario della loro maturazione; in simile evenienza il diritto
del terzo che abbia atteso al pignoramento dei soli frutti, è senz’altro opponibile a
colui che abbia conseguito in epoca successiva, ancorché precedente alla maturazione
– separazione, il diritto di godimento sulla res “madre” o che abbia pignorato la res
“madre”.
12. L’erronea identificazione dei riferimenti soggettivi ed oggettivi del
pignoramento.
E’ ben possibile, ovviamente, che il pignoramento, e nell’una e nell’altra frazione
ovvero in una sola delle due frazioni di cui si compone, sia inficiato da errori, errori
afferenti all’identificazione degli elementi soggettivi ed oggettivi che concorrono ad
integrarne il contenuto [“E’ invalido il pignoramento che, pur facendo riferimento al diritto,
manchi della compiuta indicazione del bene o il pignoramento che, pur indicando il bene, non
precisi quale sia il diritto sottoposto ad esecuzione”: così A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 702. Cfr., altresì, Trib. Trani 5.9.2008, secondo cui in tema di
espropriazione immobiliare la mancata indicazione nell’atto di pignoramento di un bene indiviso
della quota spettante al comunista debitore non comporta l’inesistenza del pignoramento. Lo
stesso vale per la nota di trascrizione del pignoramento. Infatti, il pignoramento immobiliare di
un bene indiviso è compiuto con la notificazione dell’atto contenente l’individuazione del bene
nel suo intero e secondo le indicazioni contenute nell’art. 555 c.p.c.. La specificazione che il
bene appartiene ad una pluralità di soggetti non tutti debitori non attiene alla validità del
pignoramento o della sua trascrizione, ma allo svolgimento ulteriore della procedura esecutiva].
Così come è possibile che risulti pignorato un immobile od un diritto immobiliare
impignorabile.
Al riguardo si è in linea di principio correttamente evidenziato che “a differenza di
quanto avviene per l’atto di precetto, nel codice di rito manca una norma specifica che
disciplini l’invalidità del pignoramento: ciò ha spinto la dottrina e la giurisprudenza a
fare applicazione dei principi generali in materia di nullità degli atti processuali, pur
nella consapevolezza delle particolarità proprie del processo esecutivo e, soprattutto,
dell’esistenza di uno specifico strumento di rilievo dei vizi formali, rappresentato
dall’opposizione agli atti esecutivi, nonché di un altro strumento per eccepire
24
impignorabilità dei beni ed attuale inesistenza del diritto di procedere in executivis,
quale l’opposizione all’esecuzione” [Così G. GIUSTI, Il pignoramento in generale, in La
nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, Bologna,
2009, 90 s.]
Qualora, quindi, l’oggetto del pignoramento sia impignorabile, l’esecutato è senza
dubbio legittimato ad esperire ex art. 615, 2° co., c.p.c. il rimedio dell’opposizione
all’esecuzione. Nondimeno nulla osta a che il giudice dell’esecuzione ex officio rilevi
con propria ordinanza l’impignorabilità dell’immobile ovvero del diritto immobiliare
staggito [Cfr. in tal senso G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di
diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1679 s.. Gli AA. soggiungono
che l’ordinanza del g.e. “costituisce un atto esecutivo e, in quanto tale, è impugnabile solo con
l’opposizione agli atti esecutivi (nel termine perentorio previsto dall’art. 617 c.p.c.)”].
Qualora, invece, il pignoramento sia affetto da errori concernenti l’identificazione
degli elementi soggettivi ed oggettivi che ne integrano il contenuto, le soluzioni che si
delineano, appaiono alquanto articolate.
Si tende a degradare il vizio al rango di mera irregolarità, allorché la possibilità di
univoca identificazione dell’elemento non risulti pregiudicata [Cfr. Trib. Roma
31.5.2010, secondo cui nessuno degli elementi richiesti dall’art. 555 c.p.c. e dall’art. 2826 c.c. è
di per sé indispensabile alla funzione del pignoramento, a meno che la sua mancanza o
indicazione erronea, non comporti incertezza assoluta sul bene pignorato; cfr. ancora Cass.
18.7.2011, n. 15729. Cfr. A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 702, secondo cui
“perché rilevi nella procedura esecutiva, non è sufficiente l’omissione (o l’erronea descrizione)
di un elemento identificativo dell’oggetto del pignoramento, ma occorre che si riscontri un
difetto descrittivo tale da comportare una reale incertezza nella individuazione del diritto e del
bene”; cfr., altresì, P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 559,
secondo cui “l’omissione o l’inesattezza di alcuna delle indicazioni nella nota non nuoce alla
validità della trascrizione, salvo che induca incertezza sulla persona del creditore o del debitore,
ovvero sull’ammontare del credito o sulla persona del proprietario dell’immobile pignorato, o
infine sull’identità dell’immobile medesimo (arg. ex art. 2841 c.c.). In questi casi la trascrizione
è nulla e la nullità comporta quella del pignoramento immobiliare”. Cfr., ancora, G. GIUSTI, Il
pignoramento nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18
giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 553, secondo cui, “qualora l’atto di
pignoramento immobiliare sia incompleto, sotto il profilo della identificazione del bene, la sua
inesistenza potrà essere rilevata in ogni stato e grado del processo solo nel caso in cui essa
determini la totale incertezza circa il bene sottoposto a vincolo”] ovvero, al più, ad intendere
il vizio in termini di nullità sanabile da far valere rigorosamente nel termine
perentorio prefigurato per l’opposizione agli atti esecutivi [Cfr. al riguardo Cass.
4.9.1985, n. 4612, secondo cui l’individuazione dell’immobile pignorato attraverso i soli dati
catastali, senza gli altri elementi richiesti dall’art. 555 c.p.c., configura una semplice nullità
sanabile, da far valere nei cinque giorni successivi al compimento dell’atto].
Si configura, viceversa, una vera e propria ragione di invalidità, allorché la
possibilità di univoca identificazione dell’elemento risulti compromessa [Cfr. Cass.
16.5.2008, n. 12429, secondo cui l’erronea identificazione del creditore, dei creditori, del
debitore, dei debitori ne determina l’invalidità, qualora si produca una situazione di assoluta
incertezza ai fini della corretta individuazione delle parti; cfr. Cass. 2.10.2003, n. 14675, ove,
seppur con riferimento all’ipoteca, si precisa che la relativa iscrizione è nulla ogni volta che si
verifichi una omissione, una inesattezza o una incertezza nei titoli o nelle note di iscrizione
ipotecaria, che determini a sua volta incertezza sulla identità degli immobili gravati; cfr. Trib.
Cassino 11.3.1996, in Foro it., 1997, I, 3039, secondo cui è da considerare nullo l’atto di
25
pignoramento immobiliare quando l’erronea indicazione nella nota di trascrizione dei dati di
identificazione catastale ingenera una reale, seria ed obiettiva situazione di incertezza
sull’identità di uno degli immobili staggiti. Si badi che le ragioni di nullità correlate alla erronea
identificazione della persona del debitore sono tanto più significative, se si tien conto che le
indagini nei registri immobiliari sono da effettuare su base personale ]. Ed, in tale evenienza,
si ammette non solo la rilevabilità ex officio della ragione di nullità, ma la sua
deducibilità coll’opposizione ex art. 617 c.p.c. nonostante il decorso del termine
perentorio previsto per l’esperibilità di siffatto rimedio [Cfr. in tal senso Cass. 4.9.1985,
n. 4612, secondo cui l’omessa individuazione dell’immobile pignorato comporta al contrario
l’assoluta inidoneità funzionale del pignoramento, come tale rilevabile d’ufficio e opponibile in
qualsiasi momento, senza vincolo di termine perentorio].
Va evidenziato, al contempo, che, a seguito della legge 27.2.1985, n. 52, con cui
si è disposta la meccanizzazione delle conservatorie dei registri immobiliari, la nota di
trascrizione del pignoramento - ed, ovviamente, l’atto di pignoramento - devono
individuare l’immobile staggito mercé gli identificativi catastali che valgono a
contraddistinguerlo alla data della trascrizione del medesimo vincolo.
Nei termini esposti può correttamente opinarsi, per un verso, nel senso che
l’erronea identificazione dei dati catastali, ingenerando oggettiva incertezza
nell’identificazione dell’immobile, rende radicalmente nullo l’atto di pignoramento
[Cfr., in senso analogo, A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 706; l’A.
correttamente soggiunge che “deve ritenersi che il pignoramento sia invalido anche quando
descriva il bene immobile sottoposto ad esecuzione utilizzando i dati catastali che, sebbene
soppressi, avevano in precedenza identificato il bene tanto da essere stati validamente riportati
nella nota di iscrizione ipotecaria redatta a cura del creditore poi pignorante”; altresì, che,
“qualora il pignoramento sia eseguito in relazione al terreno, menzionando i dati catastali di
quest’ultimo, nonostante sullo stesso insista un fabbricato già autonomamente accatastato, il
pignoramento dovrà ritenersi invalido”]; per altro verso, che l’erronea indicazione
dell’indirizzo o della partita catastale integrano una mera irregolarità [Cfr., in senso
analogo, A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 706]; per altro verso ancora,
che la variazione dei dati catastali successiva alla trascrizione del pignoramento è
irrilevante [Cfr., in senso analogo, A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 707],
ancorché sia opportuno che il giudice dell’esecuzione ne riscontri, per il tramite
dell’esperto all’uopo nominato, la continuità con i dati catastali enunciati nell’atto di
pignoramento.
Il giudice dell’esecuzione, legittimato a rilevare ex officio la ragione di nullità
insanabile che eventualmente infici il pignoramento, è abilitato in ogni caso a
disporne la rinnovazione.
Occorre nondimeno distinguere a seconda che la ragione di nullità inerisca all’una
e all’altra frazione in cui si articola il pignoramento ovvero al solo atto notificato al
debitore ovvero ancora alla sola nota di trascrizione.
E’ fuor di dubbio che nella prima evenienza l’atto di pignoramento debba essere
rinnovato integralmente. Gli effetti nei confronti del debitore e dei terzi si
produrranno, rispettivamente, dal dì della novella notificazione, dal dì della novella
trascrizione. Conseguentemente gli atti trascritti ed iscritti medio tempore sono
senz’altro opponibili al creditore procedente ed ai creditori intervenuti.
Nella seconda evenienza, ovvero allorquando ad esser affetto da nullità insanabile
sia il solo atto notificato al debitore, si è assunto che “l’atto di pignoramento è,
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comunque, invalido e deve essere del tutto rinnovato” [Così A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 705; l’A. soggiunge che “resta del tutto inefficace e insuscettibile di
sanatoria il pignoramento invalido precedentemente eseguito” e che “in relazione al secondo
pignoramento dovrà… formarsi un nuovo fascicolo e l’espropriazione potrà svolgersi ove i
creditori depositino tempestivamente tanto l’istanza di vendita che la documentazione
ipocatastale”].
Non può negarsi, tuttavia, che la riferita soluzione suscita perplessità, tenuto conto
che alla stregua delle risultanze della nota di trascrizione del pignoramento i terzi
hanno, in simile ipotesi, la possibilità di rilevare esattamente l’identità del soggetto, di
individuare puntualmente il bene e la natura del diritto sul medesimo bene per i quali
si è prodotto ed opera il vincolo di indisponibilità.
In siffatta evenienza pertanto vi è margine perché, senza attendere alla formazione
di un nuovo fascicolo ed al più mercé il deposito di una nuova istanza di vendita, si
reputi sufficiente la sola rinnovazione dell’atto notificato al debitore, con salvezza
degli effetti, delle ragioni di inopponibilità, correlate alla pregressa trascrizione della
nota di per sé esente da errori ed imprecisioni, già prodottesi nei confronti dei terzi
[Del resto, sulla scia dell’insegnamento del giudice del diritto (il riferimento è a Cass. 5.3.2007,
n. 5028; a Cass. 1.6.2006, n. 13137; a Cass. 28.11.1998, n. 12098), la dottrina testé citata rimarca
che, “per stabilire se ed in quali limiti un atto trascritto sia opponibile ai terzi, deve aversi
riguardo esclusivamente alle indicazioni riportate nella nota di trascrizione”: così A. M. SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 716. In senso contrario cfr., tuttavia, Cass. 16.5.2008, n.
12429, secondo cui l’esecuzione del pignoramento immobiliare delineata dall’art. 555 c.p.c. ha
natura unitaria, benché a formazione progressiva, e si attua attraverso la fase della notifica
dell'atto e quella della sua trascrizione. Pertanto, la successiva rettifica, ovvero la rinnovazione di
trascrizione carente o erronea, non è sufficiente alla sanatoria dell’invalidità, perché la semplice
notifica dell’atto di pignoramento non ha rilevanza autonoma, indipendentemente dalla natura
costitutiva o meramente dichiarativa della trascrizione stessa; soltanto la rinnovazione sia della
notifica che della trascrizione tutela in modo coerente e completo il contraddittorio nell’ambito
del processo esecutivo, atteso che il debitore esecutato è in tal modo in grado di conoscere per
intero tutti gli elementi necessari alla corretta definizione del processo esecutivo e lo stesso
aggiudicatario del bene staggito beneficia della tutela prevista dall'art. 2929 c.c., che sarebbe,
invece, esclusa nelle ipotesi di illegittimità dell'esecuzione].
Nella terza evenienza, ovvero allorquando ad esser inficiata da nullità insanabile
sia la sola nota di trascrizione, appare corretto circoscrivere la necessità della
rinnovazione unicamente alla medesima nota [In senso analogo cfr. A. M. SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 705 s.].
Nondimeno, pur in simile ipotesi, quantunque non appaia necessario attendere alla
formazione di un nuovo fascicolo ed al deposito di una seconda istanza di vendita, gli
atti medio tempore trascritti ed iscritti sono senz’altro opponibili al creditore
procedente ed ai creditori intervenuti.
E’ imprescindibile, quindi, ai fini della rituale prosecuzione della procedura, che
siano riscontrate le risultanze dei registri immobiliari e delle visure catastali con
riferimento al periodo temporale antecedente e coevo alla trascrizione della nota
all’uopo rinnovata.
Nulla osta, quindi, a che il giudice dell’esecuzione accordi al pignorante - ed,
evidentemente, a qualsivoglia creditore eventualmente intervenuto munito di titolo - il
termine di centoventi giorni di cui al secondo periodo dell’art. 567, 3° co., c.p.c., onde
consentir loro la rinnovazione dell’originaria trascrizione e l’allegazione della
27
documentazione ex art. 567, 2° co., c.p.c. integrativa, rappresentativa, cioè, delle
risultanze dei registri immobiliari e delle visure catastali sino al dì della trascrizione
della rinnovata nota di trascrizione del pignoramento [Conseguentemente il giudice
dell’esecuzione non potrà che dichiarare, ai sensi dell’art. 567, 3° co., c.p.c., l’inefficacia del
pignoramento e, susseguentemente, disporre la cancellazione dell’originaria trascrizione e
l’estinzione del processo esecutivo, qualora, nel termine ad essi accordato, il pignorante o un
qualsivoglia “titolato” intervenuto non abbiano ottemperato a quanto ad essi prescritto; non potrà
che respingere l’istanza di vendita, ancorché il pignorante o un qualsivoglia “titolato”
intervenuto abbiano puntualmente ottemperato alle prescrizioni ad essi rivolte, qualora constati
l’eseguita trascrizione nel periodo intermedio di un atto di diposizione avente ad oggetto
l’immobile subastato; non potrà che assicurare ulteriore corso alla procedura esecutiva, qualora
rilevi che medio tempore nessun atto di disposizione in relazione all’immobile staggito sia stato
trascritto].
ART. 556 c.p.c.
Ai sensi dell’art. 556, 1° co., c.p.c. “il creditore può fare pignorare insieme
coll’immobile anche i mobili che lo arredano, quando appare opportuno che
l’espropriazione avvenga unitamente” [“L’ipotesi in commento è distinta da quella di cui
all’art. 483 c.p.c.. Infatti, quest’ultima si riferisce al caso in cui il creditore esperisca diversi
mezzi di esecuzione nei confronti del medesimo creditore ed a tutela del medesimo credito, ma
con atti esecutivi separati non contestuali”: così G. GIUSTI, Il pignoramento nell'espropriazione
immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G.
Demarchi, Bologna, 2009, 561].
E’ fin troppo evidente la ratio sottesa alla riferita disposizione: la celebrazione
congiunta dell’espropriazione e dell’immobile e dei mobili che ne costituiscono
l’arredo, rende maggiormente “appetibile” l’intero complesso patrimoniale e, quindi,
è verosimilmente idonea ad assicurare un prezzo di alienazione superiore a quello che
il disgiunto esercizio dell’una e dell’altra azione pur varrebbe a garantire.
La ratio legis costituisce, al contempo, la misura dei motivi di opportunità che
devono guidare la scelta del creditore pignorante. Difficile immaginare, comunque,
che la scelta del creditore si presti ad esser censurata tout court sul piano della mera
opportunità con l’opposizione ex art. 617 c.p.c..
Si è specificato che “mobili che arredano l’immobile sono le cose che servono a
fornire di arredi la casa di abitazione o altro immobile. Un albergo, ad esempio, o un
negozio, escluse le merci destinate alla vendita” [Così P. CASTORO, Il processo di
esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2006, 565. Al riguardo cfr. Cass. 20.3.2012, n. 4378,
secondo cui in tema di esecuzione forzata gli arredi e le suppellettili di un immobile non
costituiscono di norma pertinenze dello stesso e non sono, perciò, ricompresi nel pignoramento
di quest’ultimo. Cfr., altresì, Cass. 10.3.1979, n. 1492, secondo cui, nell’ipotesi di pignoramento
di un immobile destinato ad albergo, eseguito da un creditore, e di successivo pignoramento dei
mobili arredanti l’albergo, eseguito da altro creditore, il primo creditore, chiedendo, con ricorso
al giudice dell’esecuzione mobiliare, dichiararsi che le pertinenze dell’immobile pignorato
destinato ad albergo, essendo comprese nel pignoramento immobiliare, non potevano formare
oggetto del pignoramento mobiliare e dichiararsi di conseguenza nullo quest’ultimo
pignoramento, propone un’opposizione all’esecuzione per impignorabilità dei mobili assoggettati
alla seconda esecuzione ai sensi dell’art. 615, 2° co., c.p.c.; se, poi, in appello, il detto creditore,
senza più insistere nella domanda di declaratoria di “nullità” del pignoramento mobiliare, chiede
dichiararsi che i mobili non potevano formare oggetto di distinta separata esecuzione, siffatta
28
richiesta si traduce in un istanza di riunione dei pignoramenti ai sensi dell'art. 524 c.p.c., che
andava proposta al giudice dell’esecuzione mobiliare].
La possibilità di cui alle disposizioni in esame non si estende ai mobili costituenti
l’arredo già in precedenza staggiti nelle forme dell’esecuzione mobiliare, giacché non
ne è possibile altro pignoramento se non con le medesime modalità [Cfr. in tal senso P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 565]. Né si estende alle res
mobiles costituenti pertinenze dell’immobile staggito, in quanto ricomprese nel
pignoramento immobiliare a norma dell’art. 2912 c.c. [Cfr. in tal senso G. GIUSTI, Il
pignoramento nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18
giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 560. In tema cfr. Cass. 29.9.1993, n. 9760,
secondo cui il rapporto che lega i vari beni organizzati in azienda è, in linea di principio, di
assoluta parità, nel senso che, per definizione, nessuno di essi assume la funzione di bene
principale, restando a carico di chi intende giovarsi del particolare regime collegato alla
pertinenzialità l’onere di provare la sussistenza di tale vincolo; ne consegue che in mancanza
l’ipoteca iscritta sull’immobile aziendale (nella specie, azienda alberghiera) non si estende
automaticamente ai beni mobili che l'arredano, e che, stante l'autonomia funzionale dei singoli
beni organizzati, per iniziare l'esecuzione forzata sui beni medesimi è necessario eseguire
separati pignoramenti per gli immobili e per i mobili, salvo il ricorso all’art. 556 c.p.c., con la
conseguenza che, anche in caso di esecuzione congiunta, il creditore assistito da una causa di
prelazione relativa solo al bene immobile, non può pretendere di essere soddisfatto con
prelazione anche sul ricavato imputabile all’esecuzione forzata mobiliare].
Ai sensi dell’art. 556, 2° co., c.c., nell’evenienza di cui al 1° co. di questo
medesimo articolo, l’ufficiale giudiziario attende alla formazione di due distinti atti
di pignoramento, l’uno per l’immobile l’altro per i mobili, e provvede a depositarli
unitamente nella cancelleria del tribunale competente ratione loci.
Nondimeno l’espropriazione, inesorabilmente destinata a svolgersi nelle forme del
processo immobiliare [Cfr. in tal senso A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata,
Padova, 2012, 252], è senz’altro unica ed unico, conseguentemente, è il fascicolo della
procedura: “espropriare unitamente immobili e mobili significa non soltanto
pignorarli insieme, ma insieme anche venderli e distribuire la somma ricavata dalla
loro espropriazione” [Così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico,
cit., 565].
La possibilità di dar corso ad un’unica esecuzione impone in ogni caso la
necessità di tener distinta la frazione immobiliare dalla frazione mobiliare nel prezzo
base, nelle offerte d’acquisto, nell’acquisto medesimo ed, ovviamente, nella somma
complessivamente ricavata dalla liquidazione. Ciò al chiaro scopo di assicurare la
corretta operatività dei titoli di prelazione immobiliari e mobiliari. Ovviamente la
necessità della separazione può prospettarsi pur in relazione a singoli determinati beni
mobili, onde garantire la puntuale operatività di prelazioni correlate specificamente a
taluna delle molteplici res mobiles pignorate [Cfr. in tal senso P. CASTORO, Il processo di
esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 565].
Si è precisato, per altro verso, che “la custodia dei beni oggetto delle esecuzioni
connesse è regolata dall’art. 559 e quindi il custode dell’immobile è anche il custode
dei mobili che lo arredano” [Cfr. in tal senso G. GIUSTI, Il pignoramento
nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n.
69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 561].
29
Art. 557 c.p.c.
A norma dell’art. 557, 1° co., c.p.c. “l’ufficiale giudiziario che ha eseguito il
pignoramento deve depositare immediatamente nella cancelleria del tribunale
competente per l’esecuzione l’atto di pignoramento e, appena possibile, la nota di
trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari”.
A norma dell’art. 557, 2° co., c.p.c. “il creditore pignorante deve depositare il
titolo esecutivo ed il precetto entro dieci giorni dal pignoramento e, nell’ipotesi di cui
all’art. 555, ultimo comma, la nota di trascrizione appena restituitagli dal conservatore
dei registri immobiliari”.
A norma dell’art. 557, 3° co., c.p.c. “il creditore al momento del deposito dell’atto
di pignoramento forma il fascicolo dell’esecuzione”.
Le riferite disposizioni non abbisognano di un peculiare sforzo esegetico.
Giudice competente ratione materiae per l’espropriazione forzata è in ogni caso il
tribunale; tribunale competente ratione loci è il tribunale del luogo ove l’immobile si
trova [Art. 26, 1° co., c.p.c.. Qualora gli atti suindicati siano depositati presso un ufficio
giudiziario diverso da quello competente, ne è disposta senz’altro, d’ufficio o su istanza di parte,
la trasmissione al tribunale competente]. Occorre tener conto comunque, ai fini della
determinazione della competenza territoriale, della previsione dell’art. 21, 1° co.,
seconda parte, c.p.c. [Quivi si legge testualmente: “qualora l’immobile sia compreso in più
circoscrizioni giudiziarie è competente il giudice della circoscrizione nella quale è compresa la
parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato; quando non è sottoposto a tributo, è competente
ogni giudice nella cui circoscrizione si trova una parte dell’immobile”], cui l’art. 26, 1° co.,
seconda parte, c.p.c. espressamente rinvia.
L’avverbio “immediatamente”, di cui al 1° co. dell’articolo in disamina, va inteso
senza soluzione alcuna di continuità.
D’altro canto la Suprema Corte ha costantemente ribadito che il termine di dieci
giorni di cui all’art. 557, 2° co., c.p.c. non è perentorio, sibbene ordinatorio, sicché la
sua inosservanza non è causa di nullità dell’ordinanza di vendita, se titolo esecutivo e
precetto sono allegati al fascicolo dell’esecuzione in un momento successivo [Cfr.
16.12.1997, n. 12722; Cass. 17.3.2006, n. 5906; Cass. 22.3.2007, n. 6957. Si veda, altresì, Cass.
24.4.2008, n. 10654, secondo cui, qualora avverso l’ordinanza di assegnazione di crediti sia stata
proposta opposizione agli atti esecutivi fondata sulla mancanza delle condizioni e dei presupposti
per l’assegnazione, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione avverso la sentenza di
rigetto dell’opposizione con il quale si deduca che la procedura esecutiva è stata iniziata e
completata senza che fosse depositato agli atti il titolo esecutivo costituito dalla sentenza, così
come previsto dall’art. 557, 2° co., c.p.c., trattandosi di irregolarità - peraltro non comportante la
nullità dell’ordinanza di vendita ove tale atto venga allegato al fascicolo dell’esecuzione in un
momento successivo a quello disposto dalla suddetta norma - non attinente all'atto esecutivo
specificamente impugnato. Si veda, inoltre, Cass. 17.3.2009, n. 6426, secondo cui in tema di
esecuzione forzata il deposito del titolo esecutivo, prescritto dall’art. 557, 2° co., c.p.c., è volto a
consentire al giudice dell’esecuzione di accertare che la parte istante, come affermato nel
precetto e nel pignoramento, ha diritto di procedere all'espropriazione immobiliare, ed in
mancanza di esso il debitore può far valere, con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c., la nullità
degli atti successivi, entro il termine di decadenza decorrente dalla conoscenza legale di ciascuno
di essi; non essendo peraltro previsto un termine per tale adempimento, l’effettuazione del
deposito nel corso del giudizio di opposizione impedisce la pronuncia della nullità, in quanto
l'intervenuta dimostrazione del possesso del titolo da parte del creditore istante consente di
ritenere raggiunto lo scopo perseguito dalla regola violata].
30
“Il titolo esecutivo che si deposita si intende in originale o in copia esecutiva,
secondo i casi, salvo il disposto dell’art. 488. Il precetto si intende soltanto in
originale ma, occorrendo, può essere sostituito con copia autentica” [Così P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 567].
In ogni caso il dies a quo del termine anzidetto si identifica propriamente con il dì
della notificazione del pignoramento [Cfr. in tal senso P. CASTORO, Il processo di
esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 567].
Si è tuttavia precisato che prima della pronuncia dell’ordinanza di vendita è
indispensabile che titolo esecutivo e precetto siano depositati nel fascicolo d’ufficio
[Cfr. in tal senso P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 567 s.,
secondo cui “il giudice dell’esecuzione non può conseguentemente provvedere sull’istanza di
vendita o di assegnazione e sugli atti ulteriori”; altresì A. M. Soldi, Manuale dell’esecuzione
forzata, Padova, 2012, 724, che, tuttavia, ammette la possibilità che titolo esecutivo e precetto
siano quanto meno esibiti al giudice dell’esecuzione], ancorché sia sufficiente che agli atti
risulti allegato il titolo esecutivo di un qualsivoglia creditore intervenuto munito di
titolo, come tale abilitato a dare impulso alla procedura.
Si tenga conto che, ai sensi dell’art. 484, 2° co., c.p.c., la nomina del giudice
dell’esecuzione, recte la designazione della persona fisica del giudice dell’esecuzione,
è fatta dal presidente del tribunale su presentazione a cura del cancelliere del fascicolo
della procedura entro due giorni dalla sua formazione; altresì che, a norma dell’art.
488, 1° co., c.p.c., nel fascicolo dell’esecuzione sono inseriti tutti gli atti compiuti dal
giudice, dal cancelliere e dall’ufficiale giudiziario nonché gli atti e documenti
depositati dalle parti e dagli eventuali interessati.
ART. 558 c.p.c.
A norma dell’art. 558 c.p.c. “se un creditore ipotecario estende il pignoramento a
immobili non ipotecati a suo favore, il giudice dell’esecuzione può applicare il
disposto dell’art. 496, oppure può sospendere la vendita fino al compimento di quella
relativa agli immobili ipotecati”.
La disposizione anzidetta si correla a quelle di cui all’art. 2911 c.c.
Quivi è sancito, al 1° co., che “il creditore che ha pegno su beni del debitore non
può pignorare altri beni del debitore medesimo, se non sottopone a esecuzione anche i
beni gravati da pegno. Non può parimenti, quando ha ipoteca, pignorare altri
immobili, se non sottopone a pignoramento anche gli immobili gravati dall’ipoteca”;
al 2° co., che “la stessa disposizione si applica se il creditore ha privilegio speciale su
determinati beni”.
Dal dettato della seconda parte del 1° co. e del 2° co. dell’art. 2911 c.c. discende
che, allorquando si è titolari di un diritto d’ipoteca o di un privilegio speciale
immobiliare, è senz’altro preclusa, in deroga alla previsione di cui al 1° co. dell’art.
2740 c.c. [Alla cui stregua “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i
suoi beni presenti e futuri”], la possibilità di dar corso o di partecipare - rileva, quindi,
pur il mero intervento in un’esecuzione immobiliare da altri intrapresa all’espropriazione di immobili del debitore ulteriori rispetto a quelli sui quali grava il
diritto reale di garanzia o si afferma il privilegio immobiliare, salvo che si
sottopongano in pari tempo ad esecuzione anche gli immobili ipotecati od oggetto del
privilegio. La disposizione de qua, quindi, contempla un’ipotesi di impignorabilità
31
“relativa” con riferimento ai cespiti non assoggettati al diritto reale di garanzia ovvero
al privilegio speciale immobiliare [Cfr. in tal senso G. VERDE, Pignoramento in generale,
in Enciclopedia del diritto XXXIII, Milano, 1983, 789. Controverso è se la violazione del regime
di impignorabilità relativa debba esser fatta valere con il rimedio dell’opposizione all’esecuzione
ovvero agli atti esecutivi; nel primo senso cfr. G. VERDE, Pignoramento in generale, in
Enciclopedia del diritto XXXIII, cit., 789; nel secondo senso Cfr. Cass. 6.3.1995, n. 2604,
secondo cui l’istanza con cui il debitore esecutato, senza contestare il diritto della controparte a
procedere ad esecuzione forzata né dedurre vizi formali della procedura, lamenti che il creditore
abbia proceduto (nella specie sulla base di un titolo esecutivo fino ad allora non azionato, di cui
peraltro era dedotta la connessione con titolo già fatto valere) al pignoramento di un ulteriore
bene immobile, quando invece il credito avrebbe dovuto ritenersi sufficientemente garantito da
un precedente pignoramento immobiliare, integrando una richiesta di limitare i beni sottoposti a
pignoramento va inquadrata tra quelle misure speciali che sono previste dagli artt. 483, 496, 504
e 508 c.p.c., nonché dall’art. 2911 c.c., per evitare eccessi nell’uso del procedimento di
espropriazione forzata, e appartengono alla competenza del giudice dell’esecuzione. Il
provvedimento, negativo o positivo, al riguardo emanato dal giudice dell'esecuzione, in quanto
atto esecutivo, è impugnabile con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. con riferimento sia ad
irregolarità formali che alla sua inopportunità. Più specificamente l’istanza suindicata va
ricondotta non alla previsione di cui all’art. 483 c.p.c., volta a disciplinare il cumulo di “diversi”
mezzi di espropriazione (come, per esempio, il cumulo dell'espropriazione mobiliare con quella
immobiliare), ma alla previsione di cui all’art. 496, la quale sotto la rubrica “riduzione del
pignoramento” disciplina la limitazione dell’espropriazione nell’ambito di uno stesso mezzo di
espropriazione, senza che rilevi la circostanza che i beni siano colpiti con un solo atto di
pignoramento o con più successivi pignoramenti. Cfr., inoltre, Trib. Bologna (ord.) 10.7.2008,
secondo cui, in ordine alla dedotta nullità del pignoramento per asserita violazione degli artt. 558
c.p.c. e 2911 c.c., per non avere il creditore agito esecutivamente sull’immobile (di proprietà del
socio illimitatamente responsabile della società di persone debitrice), gravato da ipoteca
giudiziale a favore dello stesso procedente, deve innanzitutto osservarsi che, nell’ipotesi di
pignoramento eseguito in modo da sottoporvi beni di valore eccedente il credito per cui si
procede, non si ha un caso di azione esecutiva per un credito inesistente: e quindi il mezzo per
dolersi di tale eccesso non è una domanda di opposizione all'esecuzione, da proporsi al giudice
della cognizione, ma una domanda da presentare al giudice dell’esecuzione, in base agli artt. 483
e 496 c.p.c., per ottenere la liberazione dei beni dal pignoramento o la sua riduzione. Cfr.,
ancora, Trib. Novara 18.5.2010, in NovaraIUS.it, 2010, secondo cui l’eventuale eccesso di beni
gravati da pignoramento (o da ipoteca) rispetto al valore del credito da garantire, non può mai
porsi come presupposto di una responsabilità per illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c.; nel nostro
sistema processuale, pertanto, non esiste un principio in ragione del quale può qualificarsi come
illecita una richiesta di pignoramento, da chiunque provenga e comunque sia stata posta in
essere, poiché dall’insieme delle disposizioni codicistiche che accordano al giudice (artt. 483,
496 e 558 c.p.c.) il potere discrezionale di ridurre anche d’ufficio, il pignoramento, ne discende
la non configurabilità di una forma di illegittimità o invalidità del pignoramento; mancando
l’illiceità del fatto non può esservi, di conseguenza, operatività dell’art. 2043 c.c. risultandone
carente un presupposto fondamentale].
Propriamente si ambisce ad evitare che, a tutto scapito degli altri creditori,
evidentemente chirografari, il creditore ipotecario o privilegiato conservi intatto ed
impregiudicato il diritto di prelazione e concorra con i primi in sede di distribuzione
di quanto ricavato dalla vendita coattiva dei cespiti non gravati dal vincolo ipotecario
o dal privilegio, ovviamente imponendo loro una decurtazione della percentuale di
soddisfazione delle rispettive ragioni.
32
Dal disposto dell’art. 558 c.p.c. discende, al contempo, che, pur nell’evenienza in
cui il creditore ipotecario ovvero - in via di applicazione analogica - il creditore
assistito da privilegio immobiliare abbiano prestato ossequio al dettato della seconda
parte dell’art. 2911 c.c. e, dunque, abbiano intrapreso l’azione esecutiva immobiliare
sia con riferimento agli immobili sui quali vantino o su cui si affermi, rispettivamente,
l’ipoteca ed il privilegio speciale sia con riferimento agli ulteriori immobili del
medesimo debitore, la loro iniziativa è inesorabilmente esposta alla possibilità di
ridimensionamento [Cfr. A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2012, 230,
che evidenzia, per un verso, che “la norma contenuta nell’art. 558 c.p.c…. trova… applicazione
con riferimento ai soli creditori ipotecari”, per altro verso, che la disposizione di cui all’art. 558
c.p.c. “opera, dunque, all’interno di un processo esecutivo che in sé è stato legittimamente
instaurato e si riferisce in primo luogo ai casi in cui con il primo pignoramento, ovvero con un
pignoramento successivo, siano stati sottoposti ad esecuzione anche beni non ipotecati”.
“L’estensione del pignoramento non va intesa in senso tecnico o stretto, ma atecnico o ampio.
Non si tratta, in altre parole, di pignorare immobili ipotecati e immobili non ipotecati con unico
atto ma anche con più atti”: così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto
pratico, cit., 570].
Il ridimensionamento può avvenire, in primo luogo, nelle forme di cui all’art. 496
c.p.c., implicanti la possibilità di cancellazione, su istanza del debitore o d’ufficio,
della trascrizione del vincolo pignoratizio, qualora il valore complessivo dei cespiti
staggiti sopravanzi l’importo globale delle spese e dei crediti - comprensivi di capitale
ed interessi - del pignorante ipotecario od assistito dal privilegio speciale immobiliare
e degli intervenuti.
Può avvenire, in secondo luogo, nelle forme, meno incisive e sostanzialmente
interlocutorie, della sospensione della vendita degli immobili pignorati e non gravati
dal vincolo ipotecario o dal privilegio in attesa del compimento della vendita dei
cespiti ipotecati od oggetto della prelazione speciale; la vendita unicamente di tali
ultimi immobili potrebbe invero risultar idonea ad assicurare l’integrale soddisfazione
delle ragioni creditorie. La sospensione perdura finché non sia giunto a compimento il
subprocedimento di vendita dei cespiti ipotecati o gravati dal privilegio [Si è specificato
che “non il pignoramento né gli atti preparatori della vendita o dell’assegnazione, ma
l’emanazione dell’ordinanza di vendita è sospesa fino al compimento dell’espropriazione degli
immobili ipotecati; in secondo luogo la sospensione è disposta, anche d’ufficio, con ordinanza,
sentiti gli interessati, in terzo luogo l’art. 558 si applica anche all’assegnazione”: così V.
ANDRIOLI, Commento, Napoli, 1957, III, 224].
Evidentemente i termini in cui siffatta seconda possibilità risulta sul piano della
disciplina positiva espressamente prefigurata, concorrono a chiarire un aspetto –
apparentemente oscuro - della prima soluzione, soluzione, quest’ultima, da preferire
senz’altro allorché l’ufficio esecutivo riscontri con tutta certezza l’esorbitanza del
valore monetario del complesso immobiliare staggito rispetto al monte globale dei
crediti: la cancellazione nel quadro della previsione dell’art. 496 c.p.c. del vincolo del
pignoramento deve riguardare innanzitutto gli immobili sui quali non grava e, quindi,
estranei alla garanzia ipotecaria ovvero al privilegio [Cfr. al riguardo Cass. 16.1.2006, n.
702, secondo cui la riduzione del pignoramento, purché restino assoggettati ad esecuzione solo
immobili ipotecati, può essere disposta in base all’art. 496 c.p.c. sebbene ciò comporti che ad
essere liberati siano altri beni ipotecati, senza che ciò significhi sottrarre il bene al vincolo della
causa di prelazione (che potrà tornare ad essere fatta valere esclusivamente se il credito risulterà
33
insoddisfatto) Difatti gli artt. 2911 c.c. e 558 c.p.c. perseguono lo scopo che, ad esser pignorati,
siano prima gli immobili ipotecati e poi gli altri immobili, ma, purché nell’espropriazione restino
assoggettati immobili ipotecati, non escludono che altri immobili, ipotecati o meno, vi siano
sottratti, se si delinea una situazione di eccesso nel ricorso all’espropriazione. In senso contrario
cfr. P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 570, secondo cui al
giudice dell’esecuzione “non è tuttavia consentito ridurre il pignoramento quando i beni
pignorati sono tutti ipotecati. La ragione è che al riguardo provvede compiutamente la riduzione
delle ipoteche di cui si parla negli artt. 2872 e segg. c.c.”; in senso contrario cfr., altresì, Cass.
22.6.1967, n. 1488].
In relazione comunque alla previsione della seconda parte del 1° co. dell’art. 2911
c.c. si è puntualmente evidenziato che non è chiara la ragione per cui al creditore
ipotecario e, si aggiunge, al creditore assistito da privilegio speciale immobiliare non
è preclusa la facoltà di sottoporre ad esecuzione i beni mobili del debitore, qualora
non sottopongano ad esecuzione gli immobili ipotecati o oggetto del privilegio [Cfr. in
tal senso P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 569. Al creditore
pignoratizio od assistito da privilegio speciale mobiliare è, viceversa, precluso il pignoramento di
qualsivoglia altro bene del medesimo debitore, se non sottopone a pignoramento anche i beni
oggetto del pegno o del privilegio speciale].
Il giudice del diritto in ogni caso ha chiarito che nessuna preclusione il creditore
ipotecario soffre in relazione all’espropriazione mobiliare [Cfr. in tal senso Cass.
14.3.1978, n. 1294] e, si aggiunge, in relazione all’espropriazione presso terzi: l’art.
2911, 1° co., c.c. tace del tutto al riguardo, ossia delimita la preclusione ai soli
immobili ulteriori del medesimo debitore.
Si è assunto, infine, che “nel provvedere a norma dell’art. 558 il giudice
dell’esecuzione si pronuncia con ordinanza che non può essere modificata o revocata,
in quanto ha effetto immediato (arg. ex art. 487), ma può essere opposta a norma
dell’artt. 617” [Così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 571.
Si è di contro sostenuto che l’ordinanza è revocabile e modificabile: cfr. in tal senso A. M.
SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 230].
ART. 561 c.p.c.
A norma del 1° co. dell’art. 561 c.p.c. “il conservatore dei registri immobiliari, se
nel trascrivere un atto di pignoramento trova che sugli stessi beni è stato eseguito un
altro pignoramento, ne fa menzione nella nota di trascrizione che restituisce”.
A norma del 2° co. del medesimo articolo “l’atto di pignoramento con gli altri
documenti indicati nell’articolo 557 è depositato in cancelleria e inserito nel fascicolo
formato in base al primo pignoramento, se quello successivo è compiuto
anteriormente alla udienza prevista nell’art. 564. In tale caso l’esecuzione si svolge in
un unico processo”.
A norma del 3° co. “se il pignoramento successivo è compiuto dopo l’udienza di
cui sopra, si applica l’articolo 524, ultimo comma”.
L’art. 561 c.p.c. costituisce senza dubbio riflesso, sullo specifico terreno
dell’espropriazione immobiliare, della regola generale dettata all’art. 493 c.p.c., ove
non solo è stabilito, al 1° co, che “più creditori possono con un unico pignoramento
colpire il medesimo bene”, ma, altresì, al 2° co., che “il bene sul quale è stato
compiuto un pignoramento può essere pignorato successivamente su istanza di uno o
34
più creditori” [Il 3° co. soggiunge che “ogni pignoramento ha effetto indipendente, anche se è
unito ad altri in unico processo”].
Le disposizioni dell’art. 561 c.p.c. comunque non postulano un particolare sforzo
interpretativo.
La celebrazione delle plurime iniziative esecutive sul medesimo immobile, sui
medesimi immobili in un unico contesto processuale è assicurata dall’azione
combinata del conservatore dei registri immobiliari e del cancelliere [Si è puntualizzato
che il pignoramento successivo “è uno dei due modi con i quali i creditori concorrono
nell’espropriazione organizzata da altro creditore. L’altro modo consiste nell’intervento”: così P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 580].
L’unicità del processo esecutivo [Cfr. in ogni caso Cass. 5.3.2007, n. 5061, secondo cui
una procedura esecutiva individuale non può essere riunita con una procedura esecutiva
concorsuale, anche qualora i due processi espropriativi abbiano ad oggetto diritti reali gravanti
sul medesimo immobile] è comunque presidiata dal giudice dell’esecuzione, “con atti di
natura ordinatoria, che sono espressione del potere generale di direzione del processo
esecutivo e non sono qualificabili come atti di esecuzione” [Così G. ARIETA – F. DE
SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L.
Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 1058: Si veda anche G. GIUSTI, Il pignoramento
nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n.
69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 558, secondo cui “l’eventuale provvedimento di riunione
emesso dal giudice ha natura amministrativa e non decisoria, pertanto non può essere oggetto di
alcuna opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c.”].
Propriamente, qualora riscontri, sia mercé l’esame della nota di trascrizione del
pignoramento restituita dal conservatore a norma del 2° co. dell’art. 555 c.p.c. sia
mercé la disamina dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile
pignorato, la trascrizione di un precedente pignoramento sul medesimo immobile, il
giudice ha da disporre la riunione del fascicolo al fascicolo già precedentemente
formato ovvero, se molteplici sono le persone fisiche dei giudici dell’esecuzione, la
trasmissione del fascicolo a lui assegnato al presidente del tribunale ovvero al
presidente della sezione, perché provvedano a designare giudice dell’esecuzione la
persona fisica già investita della procedura che ha tratto origine dal pregresso
pignoramento [Verosimilmente ed ancora prima che sia disposta la trasmissione del fascicolo
al presidente è opportuno che il giudice dell’esecuzione faccia onere al creditore pignorante di
dar conto, mediante attestazione o annotazione della cancelleria, dell’eventuale pendenza ovvero
dell'eventuale intervenuta estinzione della procedura esecutiva immobiliare scaturita dal
pregresso pignoramento. Cfr. Cass. 20.12.1985, n. 6549, secondo cui la riunione in un’unica
esecuzione forzata di più pignoramenti sul medesimo immobile, a norma dell’art. 561 c.p.c.,
configura effetto direttamente disposto dalla legge, e da attuarsi mediante l’intervento del
conservatore immobiliare (annotazione del primo pignoramento nella nota di trascrizione relativa
al secondo) e del cancelliere (inserimento del pignoramento successivo nel fascicolo formato con
quello anteriore); qualora, per qualsiasi ragione, non operi l’indicato automatico meccanismo,
spetta al giudice dell’esecuzione di provvedere alla riunione, con atti di natura ordinatoria, che
sono espressione del potere generale di direzione del processo esecutivo e non sono qualificabili
come atti di esecuzione; da ciò consegue che detta riunione non compete soltanto al giudice
dell'esecuzione, e che, in difetto di un suo intervento, può provvedervi anche il tribunale, adito
con opposizione proposta a norma dell’art. 617 c.p.c. contro un atto esecutivo, ove sia rilevante,
al fine della decisione, dare attuazione a quella situazione processuale imposta dalla legge].
35
Il creditore pignorante successivo, la cui iniziativa deve necessariamente esser
incanalata nella procedura esecutiva già instaurata, assume veste di creditore
intervenuto.
Più esattamente il suo intervento ha valenza di intervento tempestivo o tardivo a
seconda che il suo pignoramento sia antecedente o successivo alla chiusura del
verbale della prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per
l’assegnazione [Reputa, viceversa, nonostante la lettera dell’art. 525, 1° co., c.p.c., cui rinvia il
2° co. dell’art. 524 c.p.c., comma, quest’ultimo, cui rinvia il 3° ed ult. co. del medesimo art. 524
c.p.c., che “per prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita si intende quella in cui il
giudice concretamente autorizza, per la prima volta, la vendita medesima”, P. CASTORO, Il
processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 581]. Il carattere tardivo dell’intervento
lo si desume senza equivoci dal rinvio alla previsione dell’ult. co. dell’art. 524 c.p.c..
Ovviamente se il pignoramento successivo colpisce anche altri immobili, per
questi si procede a separata esecuzione. Altresì, se il pignorante successivo è un
creditore ipotecario o assistito da privilegio speciale immobiliare, la tardività del suo
pignoramento non gli pregiudica la possibilità di soddisfarsi a pieno titolo [Ben vero
non già per le “voci” in chirografo del suo complessivo credito].
In dipendenza del disposto dell’ult. co. dell’art. 493 c.p.c. i pignoramenti,
ancorché riuniti in un unico processo, sono tra loro indipendenti, sicché le vicende che
afferiscono specificamente a taluno di essi non si ripercuotono sugli altri [“Infatti,
possono essere oggetto di opposizioni (sia all’esecuzione che da parte di terzo), e si può
verificare il caso in cui un debitore ha interesse a far dichiarare nullo o inefficace il secondo
pignoramento, nella speranza che possa perdere efficacia anche il primo”: G. GIUSTI, Il
pignoramento nell'espropriazione immobiliare, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18
giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 558. Al riguardo in ogni caso è
imprescindibile il riferimento all’insegnamento della Suprema Corte, segnatamente si veda Cass.
13.2.2009, n. 3531, secondo cui in tema di esecuzione forzata, i creditori muniti di titolo
esecutivo hanno la facoltà di scelta tra l’intervento nel processo già instaurato per iniziativa di
altro creditore e l’effettuazione di un nuovo pignoramento del medesimo bene; nel secondo caso,
il pignoramento autonomamente eseguito ha un effetto indipendente da quello che lo ha
preceduto, nonché quello di un intervento nel processo iniziato con il primo pignoramento. Ne
consegue, proprio in base al principio di autonomia dei singoli pignoramenti di cui all’art. 493
c.p.c., che se, da un lato, il titolo esecutivo consente all’intervenuto di sopperire anche
all’eventuale inerzia del creditore procedente, dall’altro lato, tuttavia, la caducazione del
pignoramento iniziale del creditore procedente, in dipendenza della revoca, in corso di
esecuzione, del titolo esecutivo azionato dal medesimo creditore procedente, travolge, qualora
non sia stato “integrato” da pignoramenti successivi, ogni intervento, titolato o meno, ed
impedisce la legittima prosecuzione dell’esecuzione da parte dei creditori muniti di titolo
esecutivo intervenuti anteriormente a detta revoca per realizzare in tale sede la pretesa dagli
stessi vantata in via coattiva. In senso contrario cfr. App. Roma 5.7.2007, secondo cui in materia
di esecuzione forzata, la esistenza di un valido titolo esecutivo, e dunque del credito in esso
accertato, sebbene si pone quale condizione dell’azione esecutiva, non incide sulla validità in sé
dell’atto di pignoramento con il quale tale azione è stata inizialmente esercitata, purché
racchiuda in sé tanto i requisiti formali prescritti dalla legge a pena di nullità, quanto quelli
indispensabili per il raggiungimento dello scopo cui è destinato ex art. 156 c.p.c.. Trattasi di una
distinzione concettuale che, malgrado sia poco rilevante nell’ipotesi in cui la procedura esecutiva
sia stata iniziata e proseguita unicamente dal creditore il cui titolo esecutivo venga invalidato nel
corso della stessa procedura, acquista rilievo nelle ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame,
prima che l’azione esecutiva intrapresa venga meno per la invalidazione del titolo del creditore
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procedente, siano intervenuti altri creditori muniti anch’essi di titolo esecutivo ed in grado di
dare impulso alla procedura in discorso. In tali circostanze, ritenuto che l’atto iniziale della
procedura esecutiva non risulta affetto da invalidità, non sussistono motivi per precludere ai
creditori intervenuti di far valer nell’unica procedura, ex art. 564 c.p.c., l’azione esecutiva ad essi
spettante, posta la irrilevanza di un loro autonomo pignoramento successivo sul medesimo bene
già vincolato con il primo pignoramento].
L’unicità del processo, comunque, comporta che è sufficiente il deposito di
un’unica istanza di vendita, così come ha da essere assunta un’unica ordinanza che
autorizza la vendita.
E’ comunque il primo pignoramento che segna il formale inizio dell’unica
procedura: l’atto dispositivo eventualmente compiuto dal debitore esecutato è
inopponibile, in quanto trascritto successivamente alla trascrizione del primo
pignoramento [Cfr. Cass. 21.4.1990, n. 3348, secondo cui, uniti più pignoramenti relativi agli
stessi beni in un medesimo processo esecutivo, l’unità processuale giova e non nuoce ai singoli
pignoramenti; pertanto, è a partire dall’atto del primo pignoramento, che sono inopponibili ad
ogni creditore pignorante i diritti acquistati da terzi sulla cosa].
L’estinzione della procedura antecedentemente alla vendita o all’assegnazione
richiede la rinunzia di tutti i creditori pignoranti.
Si è puntualizzato che, qualora “non venga realizzata l’unicità del procedimento,
deve ritenersi prevalente il procedimento che per primo si conclude con la trascrizione
del decreto di trasferimento” [Così A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit.,
725].
Nondimeno si è assunto che, qualora dopo la trascrizione del pignoramento il
debitore venda l’immobile, sul quale altro creditore trascriva pignoramento
contro l’acquirente, l’aggiudicatario nella prima espropriazione può rivendicare
il bene dall’aggiudicatario nella seconda esecuzione pur se il decreto di
trasferimento in favore di quest’ultimo sia stato trascritto per primo [Cfr. in tal
senso App. Napoli 2.5.1990, in Riv. dir. proc., 1992, 681].
In ogni caso le disposizioni dell’art. 561 c.p.c. non trovano applicazione allorché
in precedenza sia stato trascritto sul medesimo immobile unicamente provvedimento
di sequestro conservativo [Cfr. in tal senso P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo
aspetto pratico, cit., 582. In tal caso si applica l’art. 158 disp. att. c.p.c.].
Fenomeno diverso da quello contemplato dall’art. 561 c.p.c. è la riunione in un
unico procedimento di più pignoramenti ad istanza di distinti creditori, aventi ad
oggetto beni immobili diversi, ancorché appartenenti al medesimo debitore. Trattasi di
un’ipotesi di connessione meramente soggettiva.
In detta evenienza ciascun pignoramento è a fortiori autonomo ed indipendente
dagli altri: “il giudice dell’esecuzione non può disporre la vendita dei beni che
costituiscono l’oggetto di una di tali procedure, su istanza dei creditori che hanno
pignorato beni diversi o dei creditori intervenuti nelle altre procedure riunite” [Così A.
M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., 725].
ART. 562 c.p.c.
Ai sensi dell’art. 562, 1° co., c.p.c. il pignoramento diviene inefficace, qualora sia
vanamente decorso il termine acceleratorio di cui all’art. 497 c.p.c., ovvero allorché
siano trascorsi novanta giorni dal suo compimento ed il pignorante non abbia
37
domandato né la vendita né l’assegnazione [All’omessa proposizione deve a pieno titolo
essere equiparata la tardiva proposizione dell’istanza di vendita: cfr. in tal senso G. ARIETA – F.
DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L.
Montesano e G. Arieta, cit., 1061].
Il termine anzidetto, in quanto accelaratorio, è senza dubbio perentorio o di
decadenza [Cfr. in tal senso P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico,
cit., 218].
La giurisprudenza di legittimità individua il dies a quo del termine anzidetto nel dì
della notifica dell’atto di pignoramento [Cfr. in tal senso Cass. 16.6.2003, n. 9624; Cass.
16.9.1997, n. 9231; Cass. 20.5.1966, n. 1305; Trib. Torino 30.10.2005. In senso contrario,
ovvero dal dì della trascrizione, cfr. Trib. Asti 25.10.1995, in Giur. it., 1997, I, 2, 112, ed, in
dottrina, P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 218; B.
CAPPONI, Pignoramento, in Enciclopedia giuridica, XXIII, Roma, 1990, 4].
Tuttavia in ipotesi di pignoramento susseguente a sequestro conservativo il
termine decorre dal dì della conversione del sequestro in pignoramento, ovvero, alla
stregua dell’art. 156 disp. att. c.p.c., dal dì del deposito di copia della sentenza di
condanna esecutiva nella cancelleria del giudice competente per l’esecuzione.
Si tenga conto che al termine di cui all’art. 497 c.p.c. si applica la sospensione dei
termini in periodo feriale ex art. 1 legge 7.10.1969, n. 742 [Cfr. in tal senso Cass.
29.7.1986, n. 4841].
A norma dell’art. 628 c.p.c. il termine di cui all’art. 497 c.p.c. resta sospeso anche
in ipotesi di proposizione di opposizione avverso singoli atti esecutivi. Il dies a quo di
tale sospensione coincide con il dì del deposito del ricorso con cui viene spiegata
opposizione a norma del 2° co. dell’art. 617 c.p.c..
Beninteso il creditore pignorante può anche decidere di non avvalersi di siffatta
sospensione, prefigurata a suo esclusivo beneficio. Nondimeno, in simile ipotesi, darà
corso alle operazioni esecutive a “suo rischio”, nel senso che, l’eventuale
accoglimento in via definitiva dell’opposizione, potrà legittimamente vanificarle.
Decorso inutilmente il termine di cui all’art. 497 c.p.c. il giudice dell’esecuzione
pronuncia ordinanza ex art. 630 c.p.c. con cui dichiara l’estinzione del processo e
dispone che sia cancellata la trascrizione del pignoramento [La trascrizione del
pignoramento immobiliare nei registri immobiliari è elemento necessario perché tale atto
produca i suoi effetti, sicché la sua cancellazione, indipendentemente dalla validità o meno del
titolo in base al quale essa è stata effettuata, impedisce di dare seguito all’istanza di vendita del
bene immobile pignorato, giacché la cancellazione medesima opera come autonoma causa di
estinzione della pubblicità, che ne fa venir meno gli effetti rispetto ad ogni interessato: cfr. in tal
senso Cass. 18.8.2011, n. 17367].
L’ordinanza può essere pronunciata su eccezione degli interessati o anche
d’ufficio: ai sensi dell’art. 630, 2° co., c.p.c., come sostituito dall’art. 49, 4° co., della
legge 18.6.2009, n. 69, in vigore dal 4.7.2009, l’estinzione opera di diritto ed è
dichiarata, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza successiva al verificarsi della
stessa [“Il compimento di un atto esecutivo, nonostante la formulazione a cura della parte
interessata della eccezione di estinzione, consente di proporre l’opposizione agli atti esecutivi…..
avverso l’ordinanza di vendita che sia stata emessa nel frattempo”: così A. M. SOLDI, Manuale
dell’esecuzione forzata, cit., 276. In epoca antecedente alla riferita “riforma” la Suprema Corte
aveva opinato per la necessità dell’eccezione di parte: cfr. in tal senso Cass. 16.6.2003, n. 9624;
38
per la rilevabilità d’ufficio, viceversa, cfr. P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo
aspetto pratico, cit., 221].
Ovviamente l’ordinanza va assunta nel rispetto della previsione dell’art. 172 disp.
att. c.p.c., rubricato “cancellazione della trascrizione del pignoramento” ed alla cui
stregua “il giudice dell’esecuzione deve sentire le parti prima di disporre la
cancellazione della trascrizione del pignoramento a norma dell’art. 562 del Codice ed
in ogni altro caso in cui deve dichiarare l’inefficacia del pignoramento per estinzione
del processo”.
Il giudice dell’esecuzione dovrà, pertanto, fissare apposita udienza, nel cui corso
procedere all’audizione delle parti tutte ed all’esito pronunciare, se del caso,
ordinanza di estinzione della procedura.
Avverso l’ordinanza è esperibile reclamo ai sensi dell’art. 630, ult. co., c.p.c. [Si è
debitamente evidenziato che “il reclamo debba essere esperito anche avverso l’ordinanza che,
rigettando la relativa eccezione, non dichiara l’inefficacia del pignoramento e dà i provvedimenti
per la prosecuzione del processo”: così G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II,
in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1061].
Ai sensi del 2° co. del suddetto articolo il competente conservatore dei registri
immobiliari provvede alla cancellazione della trascrizione del pignoramento su
presentazione, ad iniziativa di chiunque abbia interesse, dell’ordinanza di estinzione,
ben vero in quanto la medesima ordinanza rechi certificazione, a cura del cancelliere,
della mancata proposizione del reclamo nel termine di legge ovvero della
sopravvenuta definitività della sentenza che abbia respinto il reclamo ex art. 630 c.p.c.
eventualmente esperito [In tema cfr. Cass. 22.5.1993, n. 5796, secondo cui al pignoramento
immobiliare non è applicabile la cosiddetta cancellazione indicata dall’art. 2668 c.c., la quale
riguarda il solo pignoramento speciale mobiliare; pertanto, per conseguire l’effetto della
cancellazione della trascrizione del pignoramento immobiliare, nel sistema vigente, gli elementi
alternativamente richiesti sono due soltanto: a) l’annotazione della sentenza che riconosca al
terzo di essere proprietario del bene esecutato da data anteriore alla trascrizione del
pignoramento; b) l’annotazione dell’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione dispone la
cancellazione della stessa trascrizione ai sensi del 1° co. dell’art. 562 c.p.c.].
Per altro verso si reputa che la disposizione di cui all’art. 562 c.p.c. costituisca il
fondamento positivo della potestà del giudice dell’esecuzione di ordinare la
cancellazione della trascrizione del pignoramento anche in ipotesi diverse dalla
sopravvenuta inefficacia del vincolo a norma dell’art. 497 c.p.c. [Cfr. in tal senso G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1059 s., secondo cui “la richiamata disciplina deve trovare
applicazione anche in tutti gli altri casi in cui il pignoramento perde efficacia, e cioè nelle ipotesi
di limitazione dell’espropriazione (art. 483 c.p.c.), di conversione e riduzione del pignoramento
(artt. 495 e 496), e, dopo le riforme del 2005, di mancato parziale deposito della documentazione
ipocatastale a corredo dell’istanza di vendita (art. 567, comma 3, c.p.c.)” Gli AA. soggiungono
che l’ordinanza che dichiara l’inefficacia del pignoramento e quindi l’estinzione della procedura
“debba altresì impartire l’ordine al custode di restituire i beni liberati al debitore, al quale dovrà
rendere il conto, che sarà discusso e chiuso dinanzi al giudice dell’esecuzione”].
ART. 570 c.p.c.
ART. 173 ter disp. att. c.p.c.
1. All’udienza fissata giusta il disposto dell’art. 569, 1° co., c.p.c. per la
comparizione delle parti e dei creditori iscritti non intervenuti [Nel corso di tale udienza,
39
a norma del 2° co. del medesimo art. 569 c.p.c., le parti possono formulare osservazioni circa il
tempo e le modalità della vendita e devono proporre a pena di decadenza le opposizioni agli atti
esecutivi, a meno che non siano già decadute dal diritto di proporle] il giudice
dell’esecuzione, se non vi sono opposizioni o su di esse si raggiunge l’accordo delle
parti comparse, dispone con ordinanza la vendita ed all’uopo 1) fissa un termine non
inferiore a 90 giorni e non superiore a 120 giorni entro il quale possono essere
proposte offerte di acquisto ai sensi dell’art. 571 c.p.c., ossia senza incanto; 2)
stabilisce le modalità con cui deve essere prestata la cauzione; 3) fissa al giorno
successivo alla scadenza del termine indicato per la proposizione delle offerte di
acquisto l’udienza, ex art. 572 c.p.c., per la deliberazione, previa audizione delle parti
e dei creditori iscritti, in ordine all’eventuale unica offerta ovvero, qualora siano
acquisite plurime offerte, per la celebrazione della gara di cui all’art. 573 c.p.c. tra i
plurimi offerenti [Si è precisato che, “qualora il giudice – per ragioni diverse (tabellari o anche
di <sovraccarico> del ruolo) – fissi l’udienza in un giorno diverso da quello previsto dalla legge,
ciò non determina la nullità né della vendita, né della successiva eventuale aggiudicazione”, così
G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 1088].
Con la medesima ordinanza [“Tra la vendita senza incanto e quella con incanto non
esiste uno <iato> procedurale”: così G. ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in
Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1081] il giudice
dell’esecuzione provvede a norma dell’art. 576 c.p.c., cioè dispone per la vendita con
incanto “per il caso in cui non siano proposte offerte d’acquisto entro il termine
stabilito, ovvero per il caso in cui le stesse non siano efficaci ai sensi dell’art. 571,
ovvero per il caso in cui si verifichi una delle circostanze previste dall’articolo 572,
terzo comma, ovvero per il caso, infine, in cui la vendita senza incanto non abbia
luogo per qualsiasi altra ragione”.
Ai sensi dell’ult. co. dell’art. 569 c.p.c. fissa il termine entro il quale il medesimo
provvedimento deve, a cura del creditore che ha domandato la vendita o a cura di altro
creditore debitamente autorizzato, essere notificato ai creditori iscritti che non sono
comparsi [L’ordinanza, inoltre, in ipotesi di espropriazione relativa a crediti fondiari, deve
uniformarsi alle prescrizione del dec. lgs. 1.9.1993, n. 385; quivi, in particolare, all’art. 41, 4°
co., è sancito, tra l’altro, che, “con il provvedimento che dispone la vendita o l’assegnazione, il
giudice dell’esecuzione prevede, indicando il termine, che l’aggiudicatario o l’assegnatario, che
non intendano avvalersi della facoltà di subentrare nel contratto di finanziamento prevista dal
comma 5, versino direttamente alla banca la parte del prezzo corrispondente al complessivo
credito della stessa”].
Il sistema di vendita divenuto preferenziale a seguito della “riforma” è, quindi,
sicuramente quello senza incanto [Cfr. C. PUNZI e E. F. RICCI (a cura di), Le nuove norme
processuali e fallimentari, Commento del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e della legge di conversione
14 maggio 2005, n. 80, Padova, 2005, 71, ove si legge “la riforma ha inteso escludere ogni
possibilità di scelta discrezionale fra la vendita con e la vendita senza incanto: si può affermare
che la vendita senza incanto costituisce allo stato una fase preliminare e necessaria per il
successivo esperimento della vendita con incanto…”].
2. Giusta il disposto dell’art. 570 c.p.c. dell’ordine di vendita il cancelliere dà
pubblico avviso a norma dell’art. 490 c.p.c..
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Il dettato dell’art. 570 c.p.c. esplicita il contenuto minimo ed imprescindibile
dell’avviso.
Più esattamente l’avviso deve recar indicazione degli estremi di cui all’art. 555
c.p.c. per la identificazione dell’immobile pignorato, del valore dell’immobile quale
determinato a norma dell’art. 568 c.p.c., del sito internet sul quale è pubblicata la
relativa relazione di stima, del nome e del recapito telefonico del custode nominato in
sostituzione del debitore con l’avvertimento che maggiori informazioni, anche relative
alle generalità del debitore, possono essere fornite dalla cancelleria del tribunale a
chiunque vi abbia interesse [Cfr. Cass. 31.3.2006, n. 7610, secondo cui in tema di
espropriazione forzata immobiliare, realizzata la pubblicità degli avvisi di vendita con incanto ai
sensi dell’art. 490 c.p.c., integra apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità,
ove sorretta da motivazione logica e priva di errori giuridici, la verifica sulla sussistenza di
eventuali vizi ed imprecisioni nella descrizione dell’immobile, come apparsa sugli avvisi, e, in
caso positivo, sulla loro idoneità, o meno, a potersi ritenere causa di nullità del procedimento o
della vendita, tenuto presente, altresì, che - perché possa considerarsi osservato il precetto di
legge, quanto al contenuto degli avvisi di vendita immobiliari - è sufficiente che questi
contengano la corretta descrizione catastale dell’immobile ed il prezzo base fissato dal giudice
dell’esecuzione].
In dipendenza del rinvio al 1° co. dell’art. 490 c.p.c. l’avviso dell’ordine di
vendita deve essere affisso per tre giorni di seguito nell’albo dell’ufficio giudiziario
davanti al quale si svolge il procedimento esecutivo.
In dipendenza del rinvio al 3° co. dell’art. 490 c.p.c. l’avviso dell’ordine di
vendita deve essere inserito almeno quarantacinque giorni prima del termine, recte
della scadenza del termine, per la presentazione delle offerte [Cfr. in tal senso G.
ARIETA – F. DE SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a
cura di L. Montesano e G. Arieta, cit., 1086] ovvero almeno quarantacinque giorni prima
della data dell’incanto, una o più volte, su quotidiani di informazione locali aventi
maggiore diffusione nella zona interessata; qualora sussistano ragioni di opportunità,
l’avviso dell’ordine di vendita deve essere inserito su quotidiani di informazione a
diffusione nazionale e, quando occorrente, deve essere divulgato con le forme della
pubblicità commerciale, ossia mediante affissione di manifesti murali, mediante
distribuzione di volantini, mediante comunicazioni radio - televisive.
Si tenga conto che ai sensi della seconda parte del 3° co. dell’art. 490 c.p.c. che la
divulgazione degli avvisi con mezzi diversi dai quotidiani di informazione deve
intendersi complementare e non alternativa; altresì che sono equiparati ai quotidiani, i
giornali di informazione locale, multisettimanali o settimanali editi da soggetti iscritti
al registro operatori della comunicazione (ROC) e aventi caratteristiche editoriali
analoghe a quelle dei quotidiani che garantiscono la maggior diffusione nella zona
interessata.
In virtù della previsione dell’ultimo periodo del 3° co. dell’art. 490 c.p.c. l’avviso
dell’ordine di vendita non deve contenere alcuna indicazione circa la persona del
debitore.
L’avviso, a norma dell’art. 160 disp. att. c.p.c., va sottoscritto dal cancelliere, che,
prima ancora, provvede a predisporlo [Cfr. P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo
aspetto pratico, Milano, 2006, 142, secondo cui “l’avviso dell’atto esecutivo è di competenza del
cancelliere. Questi lo forma e lo sottoscrive; inoltre ne richiede l’affissione, la inserzione e
l’esecuzione di altra forma pubblicitaria”; l’A. soggiunge che “materialmente l’avviso è affisso
41
dall’ufficiale giudiziario o dall’aiutante ufficiale giudiziario, che ne certifica l’avvenuta
affissione mediante relazione in calce alla copia affissa”].
Il quadro normativo si completa con la previsione dell’art. 173 ter disp. att. c.p.c.,
secondo cui “il Ministro della giustizia stabilisce con proprio decreto i siti internet
destinati all’inserimento degli avvisi di cui all’articolo 490 del codice e i criteri e le
modalità con cui gli stessi sono formati e resi disponibili”.
La previsione dell’art. 173 ter disp. att. c.p.c. ha ricevuto seguito con il decreto del
Ministro della Giustizia del 31 ottobre 2006, recante individuazione dei siti internet
destinati all’inserimento degli avvisi di vendita di cui all’art. 490 c.p.c..
Va soggiunto, da ultimo, che l’art. 13 del dec. lgs. 3.3.2011, n. 28, ha integrato il
disposto dell’art. 6 del dec. lgs. n. 192/2005 con l’aggiunta, tra l’altro, del 2° co.
quater. Più esattamente con tal ultima disposizione si è previsto che a decorrere dall’
1.1.2012 gli annunci commerciali di vendita devono recar espressa menzione
dell’indice di prestazione energetica contenuto nell’attestato di certificazione
energetica in tutti i casi in cui di un immobile si offre il trasferimento a titolo oneroso.
3. Sulla scia di autorevole insegnamento dottrinale [F. CARNELUTTI, Istituzioni di
diritto processuale civile, Roma, 1956, § 772] si spiega solitamente che tanto la vendita
senza incanto quanto la vendita con incanto sono imperniate sulla provocatio ad
offerendum che l’ufficio effettua mediante l’avviso; “questo non costituisce una
proposta di vendita, che senz’altro possa essere accettata, sibbene un invito a trattare
sulla base del prezzo minimo ivi indicato” [Così P. CASTORO, Il processo di esecuzione
nel suo aspetto pratico, cit., 612; l’A. prosegue puntualizzando che “nella vendita con incanto la
proposta di vendita è fatta dall’ufficio con la dichiarazione di apertura e l’offerta maggiore ne
costituisce accettazione…; invece nella vendita senza incanto la proposta di compera è fatta
dall’offerente e l’ufficio l’accetta in quanto ne abbia il potere e comunque ne ravvisi la
convenienza”].
L’omessa pubblicazione dell’avviso dell’ordine di vendita determina
l’improcedibilità, rilevabile d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, della vendita
medesima [Cfr. al riguardo G. P. MACAGNO, La vendita senza incanto, in La nuova
esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, Bologna, 2009,
775, secondo cui non è da escludere, ovviamente, che il giudice rilevi ex officio il vizio
disponendo la rinnovazione della pubblicità, eventualmente differendo la vendita”].
Del resto “senza l’avviso di vendita, senza questo tipico invito ad offrire rivolto al
pubblico non è facile che si raggiunga altrimenti lo scopo dell’atto, né che ne esca
indenne l’efficacia degli atti successivi che lo presuppongono, quali sono, ad esempio,
le offerte di acquisto e l’aggiudicazione al maggior offerente” [Così P. CASTORO, Il
processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 614, che sottolinea, tuttavia, che un limite è
posto dall’art. 2929 c.c., ove, nella prima parte, è sancito che “la nullità degli atti esecutivi che
hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto riguardo all’acquirente o
all’assegnatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente”].
La mancanza dell’avviso, inoltre, può essere fatta valere come motivo di
opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso l’atto esecutivo cui la pubblicità si riferisce [Cfr.
in tal senso P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 142;
l’affermazione è, dall’A., riferita specificamente all’aggiudicazione, tant’è che all’uopo
puntualizza che, prima dell’aggiudicazione, il difetto dell’avviso “può formare oggetto soltanto
di osservazioni al giudice dell’esecuzione”].
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Dal canto suo la giurisprudenza reputa che l’omissione della pubblicità integri
vizio di nullità della procedura, idoneo a riflettersi anche sulla successiva
aggiudicazione, vizio che qualsivoglia interessato è abilitato a far valere con il
rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi nel termine di cui all’art. 617 c.p.c.,
decorrente dalla legale conoscenza dell’aggiudicazione [Cioè dalla data del medesimo
atto di aggiudicazione, se emesso in presenza della parte, dalla sua comunicazione, in caso
diverso] ovvero di un atto successivo che necessariamente la presupponga [Cfr. Cass.
11.12.1995, n. 12653, secondo cui nell’espropriazione forzata immobiliare la nullità derivante
dall’omessa pubblicità straordinaria disposta dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 490
c.p.c. con l’ordinanza che dispone l’incanto, idonea a riverberarsi, con effetti anche per
l’acquirente, sull’atto di aggiudicazione, deve essere fatta valere con opposizione agli atti
esecutivi, ex art. 617 c.p.c., a pena di inammissibilità entro il termine di decadenza di cinque (ora
di venti) giorni dall’atto di aggiudicazione se emesso in presenza delle parti ovvero dalla sua
comunicazione. In senso analogo cfr. Cass. 23.11.1985, n. 5826, ove si precisa altresì che non
trova applicazione l’art. 2929 c.c.; Cass. 31.10.2005, n. 21106; Cass. 18.4.2005, n. 8006].
Si è comunque sostenuto che il termine per il compimento della pubblicità, in
assenza di sanzione, non può considerarsi perentorio, sicché la sua inosservanza non
produce alcun vizio del procedimento di vendita [Cfr. in tal senso Cass. 21.10.2003, n.
15705; Cass. 3.12.1984, n. 6297. In senso contrario cfr. Trib. Lecco 24.4.1982, in Giur. it., 1983,
756. Si veda anche Cass. 16.3.1977, n. 1054, secondo cui non si determina nullità della vendita
quando, “pur avendo ottemperato alla disposizione, contenuta nell’ordinanza che la dispone, di
darne pubblicità nei giornali, il creditore non dia la prova documentale di tale adempimento
poiché esso, che non deve essere documentato nel processo verbale di udienza, può essere
accertato aliunde dal giudice”].
Le spese per la pubblicità devono senz’altro esser anticipate dal creditore
procedente, qualora la procedura non abbia liquidità disponibili. E’ indiscutibile, in
ogni caso, che operi la generale previsione di cui all’art. 95 c.p.c..
ART. 571 c.p.c.
ART. 173 quinques disp. att. c.p.c.
1. Nella vendita senza incanto tutti, tranne il debitore [Univoca in tal senso è la lettera
dell’art. 579, 1° co., c.p.c.], possono formulare offerte di acquisto.
E’ stato scritto che il divieto “muove dalla necessità di tutelare la moralità
pubblica laddove, come nella vendita forzata di un immobile, facile e propizio è il
terreno per frodi e intrighi che conviene prevenire ad ogni costo” [Così P. CASTORO, Il
processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 618].
In ogni caso la ratio si esplicita altresì in dipendenza delle possibilità offerte al
debitore dagli artt. 494 e 495 c.p.c., ovvero, rispettivamente, dalla possibilità di
provvedere al pagamento nelle mani del’ufficiale giudiziario e dalla possibilità di
fruire del beneficio della conversione [Cfr. in tema G. P. MACAGNO, La vendita senza
incanto, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G.
Demarchi, cit., 778, secondo cui “non è condivisibile l’opinione di chi ravvisa la ratio del divieto
nella logica impossibilità di acquistare un bene già proprio, e pertanto la mancanza di causa
nell’offerta stessa: è sufficiente al riguardo osservare che l’art. 604, 2° co., c.p.c. esenta
espressamente dal divieto il terzo proprietario espropriato…”].
Il divieto, ancorché esteso agli eredi del debitore, non ha carattere tassativo [Cfr.
Cass. 16.5.2007, n. 11258, che ha reputato inoperante il divieto con riferimento ad una s.r.l. con
unico socio diverso dal debitore, di cui, comunque, il debitore era amministratore], sicché non
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opera per il coniuge, quantunque in regime di comunione legale dei beni [Cfr. in tal
senso Cass. 2.2.1982, n. 605, ove si precisa che la norma che esclude la legittimazione del
debitore esecutato è eccezionale e, come tale, non suscettibile di applicazione analogica; Cass.
23.7.1979, n. 4407], e per i familiari. A tal ultimo riguardo, tuttavia, non può non
evidenziarsi che la soluzione, se appare senz’altro corretta limitatamente al coniuge in
separazione dei beni, desta perplessità in ordine al coniuge in comunione legale,
comproprietario del cespite staggito, atteso che il suo acquisto, seppur ope legis, si
ripercuote nel patrimonio del debitore.
Ulteriori divieti sono prefigurati dall’art. 1471 c.c. [L’art. 1471 c.c., rubricato “divieti
speciali di comprare” così recita. “non possono essere compratori nemmeno all’asta pubblica, né
direttamente né per interposta persona: 1) gli amministratori dei beni dello Stato, dei comuni,
delle province o degli altri enti pubblici, rispetto ai beni affidati alla loro cura; 2) gli ufficiali
pubblici, rispetto ai beni che sono venduti per loro ministero; 3) coloro che per legge o per atto
della pubblica autorità amministrano beni altrui, rispetto ai beni medesimi; 4) i mandatari,
rispetto ai beni che sono stati incaricati di vendere, salvo il disposto dell’articolo 1395. Nei primi
due casi l’acquisto è nullo; negli altri è annullabile”], le cui previsioni sono da intendere,
ben vero, come rigorosamente circoscritte ai soggetti che operano all’interno della
procedura avente ad oggetto l’immobile cui afferisce l’offerta d’acquisto [In tema cfr.
Cass. 21.8.1985, n. 4464, secondo cui il divieto di comprare stabilito dall’art. 1471, n. 2, c.c.
colpisce tutti coloro i quali, nell’esercizio di una pubblica funzione, prendono parte alla
procedura relativa al trasferimento coattivo di un bene da un soggetto ad un altro soggetto e
pertanto, nel caso di esecuzione forzata, detto divieto si applica anche al custode dei beni
pignorati o sequestrati, il quale, pur non essendo espressamente menzionato, è inquadrabile nella
più generale categoria contemplata al n. 2 di detta norma poiché, essendo un soggetto al quale
viene affidato l’esercizio di una funzione pubblica temporanea da svolgere quale longa manus
degli organi giudiziari, proprio in tale veste partecipa alla procedura esecutiva, provvedendo alla
conservazione dei beni sottoposti a vincolo ed alla relativa amministrazione, eventualmente
necessaria].
La violazione dei divieti de quibus renda nulla l’offerta d’acquisto.
La nullità è deducibile con opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c. avverso
l’ordinanza di aggiudicazione. Non è da escludere, tuttavia, che possa essere rilevata
d’ufficio dal giudice dell’esecuzione [Cfr. in tal senso G. ARIETA – F. DE SANTIS,
L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G.
Arieta, cit., 1094; gli AA. ammettono che “il giudice dell’esecuzione possa, anche d’ufficio,
revocare l’aggiudicazione provvisoria, con ordinanza che provvede ad una nuova
aggiudicazione…. Allorché, però, sia stato emanato il decreto di trasferimento definitivo a
seguito del versamento del prezzo.., ci sembra che non vi sia spazio per l’esercizio del potere
officioso di revoca, ma soltanto per l’opposizione agli atti esecutivi, da sperimentare dentro il
termine previsto dell’art. 617 c.p.c.”].
In questi termini deve tendenzialmente considerarsi nullo, in quanto volto ad
eludere il divieto di cui all’art. 579 c.p.c., il pactum de retrovendendo, ovvero
l’accordo intercorso tra un terzo ed il debitore in virtù del quale il medesimo terzo si
obbliga, qualora aggiudicatario, a trasferire l’immobile al debitore esecutato [Cfr. in tal
senso Cass. 10.6.1988, n. 3952, secondo cui nel caso di vendita con incanto nel procedimento di
espropriazione forzata immobiliare, l’accordo tra il debitore esecutato ed un terzo, che dal primo
sia stato incaricato di acquistare per suo conto l’immobile, configurando un negozio diretto ad
eludere il divieto ex art. 579 c.p.c. gravante sul debitore di effettuare offerte all’incanto, è nullo
anche con riguardo all’eventuale patto con cui il terzo, prima dell’aggiudicazione, si obblighi a
retrocedere (pactum de retrovendendo) l’immobile espropriato al debitore, salvo che si sia in
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presenza di un mero impegno ad una eventuale retrocessione del bene al debitore nel caso in cui,
successivamente, le condizioni economiche di questo ne consentano il riacquisto].
Per altro verso, con riferimento all’ipotesi di partecipazione del debitore al
subprocedimento di vendita, senza che costui si sia reso aggiudicatario, si è assunto
che, “se si considera il divieto di partecipazione come meramente strumentale al
divieto di aggiudicazione per il debitore, sarà sufficiente l’aggiudicazione ad altri per
ritenere il procedimento di vendita regolarmente espletato” [Così G. P. MACAGNO, La
vendita senza incanto, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da
P.G. Demarchi, cit., 781].
Offerente può essere a pieno titolo anche il creditore: assume rilievo in tal senso
l’indicazione positiva di cui all’art. 585, 2° co., c.p.c., ove è riferimento al creditore
ipotecario divenuto aggiudicatario.
2. L’offerta può essere effettuata personalmente o a mezzo di un avvocato a
norma dell’art. 579, ult. co., c.p.c., ove è previsto che unicamente gli avvocati
possono formulare offerte per persona da nominare.
In simile evenienza l’avvocato aggiudicatario per persona da nominare deve
dichiarare in cancelleria, entro il terzo giorno successivo alla comunicazione del
decreto di aggiudicazione, il nominativo della persona, fisica o giuridica, per la quale
ha effettuato l’offerta [Ovviamente nulla osta a che la dichiarazione sia resa nel corso delle
operazioni di vendita e recepita nel relativo verbale], depositando contestualmente la
procura; in mancanza, l’aggiudicazione si consolida e diviene definitiva in capo al
medesimo avvocato [Cfr. in tal senso Cass. 14.4.1994, n. 3518]. Ed analogamente
l’aggiudicazione si perfeziona in capo all’offerente per persona da nominare, qualora
costui non abbia la qualità di avvocato.
Nulla osta a che la procura all’avvocato aggiudicatario per persona da nominare
sia rilasciata successivamente all’aggiudicazione [Del resto l’art. 1402, 2° co., c.c. prevede
che la dichiarazione abbia effetto, pur in assenza di procura anteriore al contratto, qualora ci sia
l’accettazione della persona nominata. In tal senso cfr. Cass.17.9.1980, n. 5145].
Si tende ad escludere, in dipendenza dell’inciso “… personalmente o a mezzo di
procuratore legale…” che figura nel testo del 1° co. dell’art. 571 c.p.c., che possa sul
terreno della vendita senza incanto applicarsi analogicamente l’art. 579, 2° co., c.p.c.
[“Le offerte debbono essere fatte personalmente o a mezzo di mandatario munito di procura
speciale”] scritto in tema di vendita con incanto ed alla cui stregua l’offerta può essere
formulata anche a mezzo di mandatario munito di procura speciale [In tal senso cfr.
Cass. 12.4.1988, n. 2871, secondo cui, in tema di espropriazione immobiliare, la gara
contemplata dall’art. 584 c. p. c., per il caso in cui, dopo l’incanto, vi sia offerta di acquisto, è
soggetta alle modalità fissate dagli artt. 571 e 573 codice di rito per la vendita senza incanto; ne
consegue che la partecipazione alla gara stessa deve avvenire di persona o a mezzo di
procuratore legale, come previsto dal 1° co. del citato art. 571 a pena d’invalidità, non potendosi
ritenere consentita la partecipazione tramite mandatario munito di procura speciale, la quale è
autorizzata dall’art. 579, 2° co., c. p. c., in via di eccezione alle comuni regole processuali, solo
per la diversa ipotesi della vendita con incanto].
La riferita soluzione esegetica, nondimeno, suscita perplessità.
Invero non vi è alcun ostacolo a che l’avverbio “personalmente” che figura al 1°
co. dell’art. 571 c.p.c. sia interpretato estensivamente, in quanto comprensivo non solo
dei meccanismi legali di imputazione ai soggetti incapaci dell’attività giuridica, ma
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pur dei meccanismi negoziali. Del resto, alla stregua della generale previsione dell’art.
77, 1° co., c.p.c., il procuratore generale e quello preposto a determinati affari possono
stare in giudizio per il preponente, quando tale potere è stato loro conferito per iscritto
[Con riferimento alle persone giuridiche si vedano Cass. 3.5.1980, n. 2910, e Cass. 12.12.2005,
n. 27335].
L’offerta d’acquisto deve rivestire forma scritta e deve, evidentemente, palesare in
modo univoco la volontà di rendersi acquirente dell’immobile [Cfr. Trib. Palermo
20.6.1991, in Riv. dir. proc., 1992, 996, secondo cui l’offerta di acquisto si configura quale
dichiarazione di volontà che concreta, in via di intervento, una domanda giudiziale di acquisto
sottoposta al controllo del giudice].
Se l’offerente è coniugato, l’offerta deve recar specificazione del regime
patrimoniale intercorrente tra il medesimo offerente ed il coniuge; se l’offerente è
minore d’età o in varia misura incapace, deve rispondere alle disposizioni del codice
civile.
L’offerta deve contenere l’enunciazione delle esatte generalità [Vanno indicati il
prenome, il cognome, la data ed il luogo di nascita, il codice fiscale, il domicilio e lo stato civile
della persona fisica che formula l’offerta e, se costui è coniugato in regime di comunione legale,
del coniuge] della persona fisica [Solitamente avvalorate dall’allegazione di una semplice
fotocopia del documento d’identità del medesimo soggetto], degli esatti estremi della
persona giuridica [Solitamente avvalorate dall’allegazione, se trattasi di società, di un
certificato rilasciato dall’ufficio del registro delle imprese] cui l’immobile dovrà essere
trasferito, l’indicazione altresì dei dati identificativi dell’immobile per il quale
l’offerta è proposta, del prezzo, del tempo e delle modalità di pagamento e di ogni
altro elemento utile alla sua valutazione.
Nulla osta a che l’offerta sia proposta congiuntamente da più persone che
ambiscano ad acquisire la proprietà dell’immobile per quote eguali o diseguali. E
parimenti nulla osta a che mercé l’offerta, evidentemente da parte di due persone
quanto meno, si ambisca a conseguire separatamente il trasferimento della nuda
proprietà e dell’usufrutto.
Ai sensi dell’art. 174 disp. att. c.p.c. l’offerente deve dichiarare la residenza o
eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione;
in difetto le comunicazioni gli saranno effettuate presso la cancelleria.
L’offerta, ancorché antecedente all’ordinanza di vendita ed all’avviso ex art. 570
c.p.c., è senz’altro valida qualora risulti formulata in vista di una vendita senza
incanto della quale venga sollecitata l’effettuazione; più esattamente l’offerta è
destinata a rimanere valida dopo l’ordinanza e l’avviso, giacché si determina una pura
e semplice inversione del procedimento normale di formazione della fattispecie [Cfr.
in tal senso Cass. 6.12.1999, n. 13619].
L’art. 571, 4° co., c.p.c. stabilisce, a sua volta, che le offerte devono essere
presentate in busta chiusa, all’esterno della quale devono essere annotati, a cura del
cancelliere che la riceve in consegna [Si tenga conto che ai sensi del 3° co. dell’art. 591 bis
c.p.c. - rubricato “delega delle operazioni di vendita” – “nell’avviso di cui all’articolo 570 è
specificato che tutte le attività, che, a norma degli articoli 571 e seguenti, devono essere
compiute in cancelleria o davanti al giudice dell’esecuzione, o dal cancelliere o dal giudice
dell’esecuzione, sono eseguite dal professionista delegato presso il suo studio ovvero nel luogo
indicato nell’ordinanza di cui al primo comma”. Il medesimo 3° co. soggiunge che “all’avviso si
applica l’articolo 173 quater delle disposizioni di attuazione del presente codice”. L’art. 173
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quater disp. att. c.p.c., rubricato “avviso delle operazioni di vendita da parte del professionista
delegato” dispone, tra l’altro, che l’avviso di cui al 3° co dell’art. 591 bis c.p.c. deve contenere
l’indicazione della destinazione urbanistica del terreno risultante dal certificato di destinazione
urbanistica di cui all’art. 30 d.p.r. 6.6.2001, n. 380, nonché le notizie di cui all’art. 46 del citato
d.p.r. e di cui all’art. 40 delle legge 28.2.1985, n. 46, e succ. modif.], il nome di colui,
previamente identificato, che materialmente provvede al deposito, il nome del giudice
dell’esecuzione o del professionista delegato ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c. nonché la
data dell’udienza fissata per l’esame delle offerte. E’ opportuno che il cancelliere
annoti, altresì, la data e l’ora del deposito.
Dal testo del 4° co. dell’art. 571 c.p.c. si desume, quindi, che all’esterno della
busta chiusa contenente l’offerta non va - per evidenti ragioni di riservatezza annotato il numero e l’anno della procedura esecutiva cui l’offerta inerisce. E’ invalsa,
pertanto, in numerosi uffici giudiziari la prassi di inserire nella busta chiusa, recante
all’esterno le prescrizioni di cui all’art. 571, 4° co., c.p.c., una seconda busta con
all’esterno l’indicazione del numero e dell’anno della procedura esecutiva e con
all’interno l’assegno circolare portante la cauzione.
E’ innegabile comunque che le esigenze di segretezza sono destinate ad essere
alquanto frustrate, qualora nel dì dell’udienza fissata per l’esame delle offerte il
giudice dell’esecuzione attenderà alle operazioni di vendita limitatamente ad un’unica
procedura.
L’art. 571, 4° co., c.p.c. stabilisce, altresì, se nell’ordinanza di vendita è sancito
che la cauzione sia versata con assegno circolare, che l’assegno stesso è da inserire
nella busta.
L’art. 571, 4° co., c.p.c. stabilisce, infine, che le buste sono aperte all’udienza
fissata per l’esame delle offerte alla presenza degli offerenti [Unicamente in dipendenza
di siffatta disposizione può considerarsi prefigurato per l’offerente, per gli offerenti l’obbligo di
essere presenti all’udienza].
Rileva al contempo il dettato dell’art. 173 quinques disp. att. c.p.c., come
modificato, da ultimo, dall’art. 25, 2° co., lett. b), legge 12.11.2011, n. 183, articolo
rubricato “ulteriori modalità di presentazione delle offerte d’acquisto, di prestazione
della cauzione e di versamento del prezzo”.
Più esattamente, quivi è sancito, al 1° co., che il giudice, con l’ordinanza di
vendita di cui all’art. 569, 3° co., c.p.c., può disporre che la presentazione dell’offerta
d’acquisto e la prestazione della cauzione ai sensi degli artt. 571, 579, 580 e 584 c.p.c.
possano avvenire con sistemi telematici di pagamento ovvero con carte di debito, di
credito o prepagate o con altri mezzi di pagamento con moneta elettronica disponibili
nei circuiti bancario e postale e mediante la comunicazione, a mezzo posta elettronica
certificata ovvero, quando ciò non è possibile, a mezzo telefax, di una dichiarazione
contenente le indicazioni prescritte dai predetti articoli. Ed è disposto, al 2° co., che il
versamento del prezzo può essere effettuato con le stesse modalità di cui al 1° co. [“La
cd. offerta elettronica è in primo luogo intesa a limitare ulteriormente le occasioni di
inquinamento della riservatezza della fase di presentazione delle offerte, evitando persino il
fisico contatto dell’offerente con la cancelleria o con il luogo di presentazione presso il
delegato”: così G. P. MACAGNO, La vendita senza incanto, in La nuova esecuzione forzata
dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 788; l’A. sottolinea, tuttavia, che
l’effetto che in concreto può prodursi un effetto diametralmente opposto rispetto a quello
immaginato dal legislatore].
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3. L’offerta, ancorché valida, è, ai sensi dell’art. 571, 2° co., c.p.c., inefficace 1) se
perviene oltre il termine stabilito dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 569, 3°
co., c.p.c., ossia oltre il termine massimo di centoventi giorni [Il termine, quindi, ha
natura perentoria quoad effectum], 2) se il prezzo è inferiore al valore di stima, 3) se non è
prestata cauzione con le modalità indicate nell’ordinanza di vendita ovvero se la
cauzione è inferiore ad un decimo del prezzo offerto [Al riguardo cfr. Cass. 13.3.2009, n.
6186, secondo cui, in tema di esecuzione per espropriazione immobiliare con modalità di vendita
senza incanto, qualora uno dei partecipanti alla gara, nel formulare la sua offerta, abbia
depositato la cauzione in una misura inferiore a quella prescritta dall’art. 571, 2° co., c.p.c., gli
altri partecipanti, oltre a poter far constatare al giudice dell’esecuzione tale condizione di
inefficacia, sollecitando l’esercizio dei suoi poteri officiosi, sono tenuti, in mancanza,
nell’eventualità in cui lo stesso giudice provveda ad emettere l'ordinanza di aggiudicazione del
bene in favore dell’offerente che abbia depositato la cauzione in modo incongruo, a proporre
opposizione agli atti esecutivi avverso siffatta ordinanza (alla quale si trasmettono i vizi delle
operazioni inerenti l'espletata vendita senza incanto), nel termine prescritto dall’art. 617 c.p.c.,
decorrente dalla conoscenza legale del provvedimento medesimo (ossia dal giorno della stessa
udienza in cui l'ordinanza sia stata adottata, per le parti che vi abbiano partecipato o che siano
state messe in condizione di parteciparvi, ossia dalla sua comunicazione da parte della
cancelleria, nell'ipotesi di emissione fuori udienza). Cfr., inoltre, Cass. 9.4.1999, n. 3470,
secondo cui, in tema di espropriazione immobiliare, qualora sia stata formulata offerta di
aumento del sesto dopo l'incanto, ai sensi dell’art. 584 c.p.c., ma la prestazione della cauzione sia
avvenuta in misura inferiore al decimo del prezzo proposto (come esige il 2° co. dell’art. 571
c.p.c.), una volta decorso il termine di dieci giorni previsto dal 1° co. dell’art. 584 c.p.c., non è
possibile un'integrazione della cauzione e si determina l'inefficacia dell'offerta, ancorché
l'offerente, nell'offrire l'integrazione, assuma di essere incorso in un mero errore di calcolo ex art.
1430 c.c.. Infatti la prestazione della cauzione si concreta in un "adempimento fattuale" e come
tale esprime soltanto la consegna del denaro ed il titolo in base al quale detta consegna avviene,
mentre non contiene e non esprime la manifestazione degli elementi di determinazione
dell'ammontare della somma versata e, quindi, non consente di individuare l’errore nel quale
l’offerente prestatore della cauzione sia eventualmente incorso].
Le ipotesi di inefficacia sono da reputar tassative.
Conseguentemente “non è previsto che l’offerente sia tenuto al versamento di
un’ulteriore somma corrispondente al presumibile ammontare delle spese di vendita
[Così G. P. MACAGNO, La vendita senza incanto, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18
giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 791; l’A. dà atto, tuttavia, che “alcuni uffici
hanno continuato ad imporre la costituzione di un fondo spese”].
Nell’evenienza in cui l’offerta non rechi specificazione del prezzo offerto, può
nondimeno reputarsi valida ed efficace, qualora il quantum del corrispettivo possa
essere determinato alla stregua di un mero calcolo aritmetico correlato all’importo
della cauzione corrisposta.
Al contempo, non menoma la validità né l’efficacia dell’offerta la circostanza che
la documentazione allegata sia a vario titolo lacunosa; invero ne è ben possibile
l’integrazione all’udienza.
L’offerta, ai sensi dell’art. 571, 3° co., c.p.c. è irrevocabile, salvo che 1) il giudice
dell’esecuzione ordini l’incanto, 2) siano decorsi centoventi giorni dalla sua
presentazione e non sia stata accolta.
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“L’offerta revocata, al di fuori delle previste eccezioni, mantiene la sua efficacia,
con la conseguenza che in caso di aggiudicazione, l’offerente resta responsabile del
pagamento del saldo del prezzo, e in caso di inadempienza è soggetto alle sanzioni
previste dall’art. 587 c.p.c.” [Così G. P. MACAGNO, La vendita senza incanto, in La nuova
esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 793].
D’altro canto, nell’ipotesi in cui sia stato ordinato l’incanto e l’offerente non abbia
revocato la propria offerta, nulla osta ad ammettere, nonostante le diversità
intercorrenti tra le due tipologie di vendita, che la manifestata volontà di rendersi
acquirente dell’immobile staggito conservi a pieno titolo validità ed efficacia pur per
la successiva fase con incanto; in fondo vendita senza e con incanto sono null’altro
che due momenti diversi di un unico iter liquidatorio.
Da ultimo si è evidenziato che “nessuna disposizione, invece, regola il momento
di restituire la cauzione, pur trattandosi di un momento consequenziale, ad esempio,
opportunamente regolato nel procedimento di vendita con incanto, mediante l’art.
580. Non importa. Non occorre un particolare acume per capire che la cauzione si
restituisce quando non e più necessaria per il procedimento (di vendita senza incanto)
che la riguarda” [Così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit.,
619].
ART. 572 c.p.c.
L’art. 572 c.p.c. contempla l’ipotesi in cui sia stata efficacemente formulata
un’unica offerta.
Più esattamente all’udienza fissata, con l’ordinanza di cui all’art. 569, 3° co.,
c.p.c., al giorno [Non imprescindibilmente] successivo alla scadenza del termine ultimo
indicato per la proposizione delle offerte, udienza del cui corso occorre procedere a
debita verbalizzazione [Inevitabile il riferimento agli artt. 126 e 130 c.p.c. nonché agli artt. 46
e 84, 3° co., disp. att. c.p.c.. Al riguardo cfr. Cass. 29.9.2009, n. 20814, secondo cui in tema di
espropriazione immobiliare, la regolarità formale della vendita non dipende dall’intestazione del
verbale che, a rigore, nemmeno costituisce atto di esecuzione, ma dalle modalità con cui essa si
svolge; ne consegue che un errore materiale contenuto nella predetta intestazione - nella specie,
recante la dicitura <vendita di beni con incanto>, mentre il giudice aveva proceduto con il
sistema delle offerte a buste chiuse, (e, dunque, senza incanto) - non rappresenta un vizio che
inficia un atto presupposto dell’aggiudicazione, né comunque configura una violazione della
procedura di vendita suscettibile di censura con l’opposizione ex art. 617 c.p.c.], il giudice
dell’esecuzione provvede all’apertura dell’eventuale unica busta chiusa e, quindi,
all’audizione delle parti - ossia del creditore pignorante, dei creditori intervenuti, del
debitore ed, eventualmente, del terzo assoggettato all’espropriazione - nonché dei
creditori iscritti non intervenuti in ordine all’offerta [Cfr. Cass. 15.9.2008, n. 23683,
secondo cui, in tema di espropriazione immobiliare, la violazione delle procedure di vendita,
segnatamente l’apertura delle buste nella vendita senza incanto prima e fuori dell’udienza, non
costituisce un vizio che determina una nullità insanabile, rilevabile in ogni momento del
processo esecutivo, poiché non si concreta in un vizio che impedisce allo stesso processo di
raggiungere lo scopo cui è preordinato, vale a dire l’espropriazione del bene per il
soddisfacimento delle ragioni creditorie. In tal caso il mezzo di impugnazione dell’atto del
processo esecutivo che ha dato luogo al vizio contestato, si identifica con l’opposizione agli atti
esecutivi, proponibile nel termine di decadenza di cui all’art. 617 c.p.c., il quale, quando il vizio
emerga da verbale di udienza alla quale il debitore sia stato posto nella condizione di comparire,
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ma non sia comparso, decorre dalla data dell’udienza stessa e non da quella dell’effettiva
conoscenza].
Se l’unica offerta è superiore al valore di stima dell’immobile, aumentato di un
quinto, l’offerta è senz’altro accolta, recte deve senz’altro essere accolta; trattasi della
aggiudicazione cosiddetta “necessaria” [“Il legislatore del 2005 sembrerebbe aver introdotto
in questo punto un vero e proprio diritto dell’offerente ad ottenere l’aggiudicazione, con il
conseguente potere di sperimentare l’opposizione agli atti esecutivi contro il provvedimento del
giudice dell’esecuzione che andasse in diversa direzione”: così G. ARIETA – F. DE SANTIS,
L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G.
Arieta, cit., 1092].
Se, viceversa, l’offerta è inferiore al valore di stima aumentato di un quinto, il
giudice dell’esecuzione non può far luogo alla vendita se vi è l’esplicito dissenso del
creditore procedente [In tema cfr. Cass. 11.5.2012, n. 7267, secondo cui la previsione dell’art.
572, 3° co., c.p.c. è dettata unicamente a tutela del creditore procedente; ne consegue che il
debitore esecutato è privo di interesse ex art. 157, 2° co., c.p.c. a dolersi della violazione di essa.
“Il dissenso… non necessita di essere motivato”: così G. P. MACAGNO, La vendita senza
incanto, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G.
Demarchi, cit., 796], cioè del creditore pignorante ovvero del creditore intervenuto munito di titolo - su impulso formale [In dipendenza cioè della proposizione dell’istanza di
vendita] e sostanziale [In dipendenza cioè dell’anticipazione delle spese] del quale la
procedura ha corso [Irrilevante, quindi, è il dissenso di un creditore intervenuto munito di
titolo, ma non procedente], ovvero se il medesimo giudice ritiene che vi è migliore
possibilità di vendita con il sistema dell’incanto [“Le caratteristiche della nuova vendita
senza incanto introdotte dalla riforma… rendono poco verosimile che l’incanto sia in grado di
assicurare il realizzo di un prezzo superiore. Il potere di rigetto deve pertanto essere esercitato
con estrema prudenza, in presenza di offerte anomale, e adeguatamente motivato”: così G. P.
MACAGNO, La vendita senza incanto, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno
2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 797].
In simile evenienza l’incanto ha luogo sulla scorta dell’ordinanza pronunciata a
norma del 3° co. dell’art. 569 c.p.c., ove, tra l’altro, si legge, testualmente, che il
giudice dell’esecuzione provvede ai sensi dell’art. 576 c.p.c. “per il caso in cui si
verifichi una delle circostanza previste dall’art. 572, terzo comma”.
L’ultimo comma dell’art. 572 c.p.c. richiama, tra gli altri, l’art. 577 c.p.c., scritto
in tema di vendita con incanto, rubricato “indivisibilità dei fondi” ed alla cui stregua
“la divisione in lotti non può essere disposta se l’immobile costituisce un’unità
colturale o se il frazionamento ne potrebbe impedire la razionale coltivazione”.
Si tenga conto, in ogni caso, che, a norma dell’art. 161 bis disp. att. c.p.c. “il
rinvio della vendita può essere disposto solo con il consenso dei creditori e degli
offerenti che abbiano prestato cauzione ai sensi degli articoli 571 e 580 del codice”
[“Si tratta di una novità significativa poiché sottrae ai creditori la decisione in ordine
all’espletamento della vendita ed attribuisce un ruolo determinante agli offerenti”: così A. M.
SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2012, 783; l’A. soggiunge che “sarebbe,
d’altro canto, contraria al principio costituzionale della ragionevole durata del processo
un’interpretazione che consentisse al creditore procedente di cagionare il differimento
dell’incanto non presentandosi allo stesso pur dopo averlo richiesto…..”].
ART. 573 c.p.c.
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L’art. 573 c.p.c. contempla, viceversa, l’ipotesi in cui siano state efficacemente
formulate almeno due offerte.
In simile evenienza il giudice dell’esecuzione, ancorché nessuna delle offerte
efficacemente formulata sia superiore al valore di stima dell’immobile aumentato di
un quinto, invita senz’altro gli offerenti presenti “a una gara sull’offerta più alta”.
Si impone evidentemente la corretta esegesi della locuzione “offerta più alta”,
atteso che ciascuna offerta è destinata a connotarsi non solo alla stregua del quantum
del prezzo di cui si prospetta il versamento, sibbene pur con riferimento ai termini ed
alle modalità di pagamento.
Si è assunto che “il dato normativo, confermato dalla possibilità di aggiudicare, in
mancanza di gara, al <maggior offerente>…, impone di privilegiare l’elemento del
prezzo rispetto alle altre condizioni della vendita…” [Così G. P. MACAGNO, La vendita
senza incanto, in La nuova esecuzione forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G.
Demarchi, cit., 798. Si veda anche P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto
pratico, cit., 621, secondo cui “la gara sull’offerta più alta riguarda non il tempo e il modo del
pagamento e ogni altro elemento utile alla valutazione dell’offerta medesima, sibbene il solo
prezzo”].
In ogni caso il codice in alcun modo disciplina lo svolgimento della gara.
Evidentemente non può che provvedervi il medesimo giudice dell’esecuzione, con
l’ordinanza con cui dispone la vendita ovvero, al più tardi, nel corso della medesima
udienza di vendita, all’uopo stabilendo la misura di ogni singolo rilancio ed il tempo
che deve intercorrere tra ciascuna offerta in aumento e la successiva [“L’invito degli
offerenti ad una gara fa pensare ad una offerta palese; non può però escludersi anche la forma
della scheda segreta…”: così P. CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico,
cit., 621].
Verosimilmente il giudice inviterà colui che ha formulato l’offerta di più basso
importo, a rilanciare sull’offerta più elevata ovvero inviterà a rilanciare taluno
indifferentemente degli offerenti, se le offerte sono di pari ammontare.
All’esito della gara ovvero all’esito del vano invito a rilanciare, cioè - giusta il
letterale dettato del 2° co. dell’art. 573 c.p.c. - “se la gara non può avere luogo per
mancanza di adesioni”, il giudice, ai sensi del medesimo 2° co. dell’art. 573 c.p.c.,
fruisce di un’alternativa: o fa luogo alla vendita in favore del maggiore offerente, tal
reputandosi colui che ha offerto il maggior prezzo ovvero colui che, a parità di prezzo,
ha offerto le condizioni di pagamento più convenienti, o fa luogo all’incanto,
evidentemente sulla scorta dell’ordinanza pronunciata a norma del 3° co. dell’art. 569
c.p.c..
Va in ogni caso rimarcato che la possibilità di dar corso alla vendita in favore del
maggior offerente risulta, appunto in dipendenza dell’acquisizione di plurime offerte,
svincolata dalla necessità, imposta dal 2° co. dell’art. 572 c.p.c., che l’offerta più
elevata sia superiore al valore di stima dell’immobile aumentato di un quinto.
Più esattamente, qualora siano state raccolte due o più offerte, il giudice
dell’esecuzione può far luogo alla vendita in favore del maggiore offerente, senza
necessità alcuna di acquisire il consenso del creditore procedente, ancorché la
maggior offerta non sia superiore al valore di stima dell’immobile aumentato di un
quinto. In ogni caso in simile evenienza permane impregiudicata la prerogativa del
giudice di disporre l’incanto [In senso parzialmente difforme cfr. G. ARIETA – F. DE
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SANTIS, L’esecuzione forzata, II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L.
Montesano e G. Arieta, cit., 1093, secondo cui deve ritenersi “che – in caso di gara a seguito di
pluralità di offerte – il nuovo testo normativo non elida non solo il diritto dei creditori di opporsi
all’aggiudicazione al maggior offerente che sia rimasto sotto l’aumento del quinto, ma anche il
potere del giudice dell’esecuzione, al quale continua ad essere affidata ogni valutazione in ordine
alla possibile maggiore fruttuosità della vendita con l’incanto”. Parimenti in senso parzialmente
difforme cfr. P. LICCARDO, I modelli decisionali della vendita coattiva nelle leggi 14 maggio
2005 n. 80, 28 dicembre 2005 n. 263 e 24 febbraio 2006 n. 52: ovvero della qualità delle leggi o
delle leggi senza qualità, in www.judicium.it, § 1, secondo cui, “se si afferma, invece, che la
gara, come concorrenza di offerte formulate in udienza, costituisce luogo e momento privilegiato
di selezione dell’aggiudicatario, al pari di quanto affermato in dottrina sotto la vigenza del codice
del 1942, il giudice deve procedere all’aggiudicazione sull’offerta più alta formulata in udienza
quand’anche non superi il limite del quinto, indicato come ragione giustificatrice di una vendita
necessitata nella sola ipotesi di unicità di offerte”].
E’ ben possibile che tutte le plurime offerte efficacemente formulate siano
esattamente speculari [Ossia di pari importo e prefiguranti le stesse condizioni ed i medesimi
tempi di pagamento] e che nessuno dei plurimi offerenti, invitato a rilanciare, vi
provveda.
In simile evenienza il giudice dell’esecuzione può di certo ordinare l’incanto, in
special modo qualora nessuna delle speculari offerte sia pari al valore di stima
aumentato di un quinto.
Nondimeno, segnatamente allorché il limite di cui al 2° co. dell’art. 572 c.p.c.
risulti superato, deve opinarsi nel senso che il giudice, al fine di scongiurare
intollerabili situazioni di stallo, possa, sulla scorta di un criterio meramente
cronologico, disporre la vendita in favore dell’offerente che abbia depositato
anzitempo la propria offerta di acquisto [Cfr. A. M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione
forzata, cit., 787].
Non è da escludere, tuttavia, che l’aggiudicatario possa essere individuato
mediante una pura e semplice estrazione a sorte.
ART. 574 c.p.c.
Ai sensi dell’art. 574 c.p.c. quando fa luogo alla vendita il giudice dell’esecuzione
dispone con decreto il modo di versamento del prezzo - al netto della cauzione - ed il
termine, decorrente dalla comunicazione del medesimo decreto [O dalla sua adozione, se
pronunciato in udienza, in presenza dell’offerente aggiudicatario] entro il quale il versamento
deve effettuarsi.
A norma del 2° co. dell’art. 173 quinques disp. att. c.p.c. il versamento del prezzo
può essere effettuato con le stesse modalità di cui al 1° co. del medesimo art. 173
quinques disp. att. c.p.c.. Il versamento del prezzo, altresì, può avvenire in conformità
a quanto disposto dal 3° co. dell’art. 585 c.p.c., norma, quest’ultima, scritta in tema di
vendita con incanto, ma senza dubbio applicabile sul terreno della vendita senza
incanto.
In dipendenza del dettato dell’art. 571, 1° co., c.p.c., alla cui stregua l’offerente è
abilitato ad indicare il tempo del pagamento, il giudice dell’esecuzione, se ha reputato
di accogliere l’offerta recante indicazione di un dato termine per il versamento del
saldo, non può che uniformarsi a detta indicazione in sede di pronuncia del decreto ex
art. 574 c.p.c..
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Va sicuramente recepito il rilievo per cui non è ammissibile “la proroga del
termine per il versamento del saldo del prezzo: nella contraria ipotesi si verrebbero ad
alterare ex post le condizioni della vendita, e conseguentemente la parità tra i
partecipanti” [Così G. P. MACAGNO, La vendita senza incanto, in La nuova esecuzione
forzata dopo la l. 18 giugno 2009, n. 69, diretta da P.G. Demarchi, cit., 801].
Avvenuto il versamento del prezzo - al netto della cauzione - il giudice
dell’esecuzione pronuncia il decreto di trasferimento [Cfr. Cass. 15.9.2008, n. 23683,
secondo cui nella vendita senza incanto l’aggiudicazione è definitiva e non è prevista la
possibilità di aumenti di sesto; si applicano le norme in tema di aggiudicazione per persona da
nominare e quelle in tema di effetti conseguenti all’inadempimento dell’offerente; cfr., ancora,
Cass. 13.3.2009, n. 6186].
In caso di mancato versamento del saldo del prezzo il termine normativo di
riferimento, giusta il rinvio operato dal 3° co. dell’art. 574 c.c., è costituito dall’art.
587 c.p.c., scritto in tema di vendita con incanto e rubricato “inadempienza
dell’aggiudicatario”.
Più esattamente il giudice dichiara la decadenza dell’offerente aggiudicatario,
pronuncia la perdita della cauzione a titolo di multa ed ordina l’incanto sulla scorta
dell’ordinanza pronunciata a norma del 3° co. dell’art. 569 c.p.c. [Cfr. in tal senso P.
CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, cit., 623. Alla luce dell’univoco
dettato codicistico, pertanto, non è da condividere la soluzione per cui, in ipotesi di omesso
versamento del saldo, andrebbe riaperta la fase dell’aggiudicazione senza incanto ed andrebbero
riesaminate le ulteriori offerte di acquisto in precedenza acquisite].
Ai sensi del 1° co. dell’art. 176 disp. att. c.p.c. il decreto con il quale il giudice
dell’esecuzione dichiara la decadenza dell’aggiudicatario è dal cancellerie comunicato
al creditore che ha domandato la vendita ed all’aggiudicatario decaduto.
E’ da escludere che si applichi il disposto del 2° co. dell’art. 176 disp. att. c.p.c.: si
è anticipato che l’incanto segue de plano sulla scorta dell’ordinanza pronunciata a
norma del 3° co. dell’art. 569 c.p.c..
Si applicano inoltre le previsioni dell’art. 177 disp. att. c.p.c..
Ovviamente avverso gli atti tutti della vendita senza incanto è esperibile il rimedio
dell’opposizione agli atti esecutivi.
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