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2 MATEMATICA ESSENZIALE
2.1
Tensori
Un tensore di rango, o ordine, k può essere rappresentato come una sequenza ordinata (array) di n componenti, ognuno
individuato da k indici. In uno spazio N-dimensionale, la relazione tra l’ordine k di un tensore ed il numero delle sue
componenti è la seguente:
k
nN .
(2.1-1)
Al variare del sistema di riferimento in cui un tensore è rappresentato, il valore numerico delle sue componenti varia
obbedendo a precise regole di trasformazione. Tali regole definiscono le proprietà di trasformazione delle componenti
dei tensori al variare del sistema di riferimento. Al contrario delle sue componenti, un tensore non dipendente da un
particolare sistema di riferimento. Questa nozione fisica di tensore come oggetto non dipendente dal sistema di
riferimento è utile ad esprimere molte leggi fisiche, che per loro natura non dipendono dai sistemi di riferimento scelti.
Infatti, le equazioni cosiddette tensoriali non dipendono dalla scelta del sistema di coordinate. Nel seguito saranno
adoperati solo tensori cartesiani, cioè tensori definiti in uno spazio euclideo tridimensionale (N  3). Le equazioni usate
per sviluppare i fondamenti della meccanica del continuo possono essere scritte usando tre distinte notazioni: notazione
simbolica, indiciale o matriciale. Nel seguito si farà uso di tutte e tre le notazioni a seconda della convenienza.
I tensori sono adoperati per esprimere matematicamente numerose grandezze fisiche. Il valore di queste grandezze
può essere funzione della posizione e del tempo, in questo caso si parla di campo tensoriale. Per esempio, alcune
quantità, come la densità e la temperatura, possono essere specificate completamente dando la loro grandezza, cioè il
loro valore numerico. Queste quantità sono rappresentate matematicamente da scalari, che sono tensori di ordine zero,
caratterizzati da un solo componente. Tali scalari possono non essere costanti ma dipendere dalla posizione e dal tempo.
Poiché uno scalare ha un solo componente, esso avrà lo stesso valore in ogni sistema di assi. Altre quantità fisiche,
come la forza, la velocità, l’accelerazione e il campo elettrico, richiedono per la loro completa specificazione non solo
l’assegnazione della grandezza ma anche la conoscenza della direzione e del verso. Quantità che posseggono tali
proprietà direzionali sono rappresentate come vettori, che sono tensori di ordine due, caratterizzati da tre componenti.
Sebbene i vettori, come tutti i tensori, sono indipendenti dal sistema di coordinate, essi sono definiti in termini delle loro
componenti coordinate che, invece, dipendono dal sistema di riferimento scelto. Per esempio, se v consiste delle
componenti x, y e z della velocità in un punto, allora v è un vettore perché le componenti della velocità si trasformano al
variare del sistema di riferimento secondo le regole di trasformazione delle componenti dei tensori. Un numero
significativo di grandezze fisiche richiede entità matematiche di più alto ordine dei vettori per la loro rappresentazione
tensoriale. Tra le più importanti nella meccanica del continuo ci sono il tensore delle tensioni (stress) e quello delle
deformazioni (strain). Questi particolari tensori hanno rango due, cioè sono caratterizzati da nove componenti. Nella
meccanica del continuo è possibile incontrare anche tensori di ordine tre e quattro.
1
2.2
Algebra tensoriale in notazione simbolica – Convenzione di Einstein
Per rappresentare i tensori, s’introduca nella spazio euclideo un sistema levogiro d’assi cartesiani Ox1x2x3 e
s’identifichino questi assi con i vettori base unitari ê1 , ê 2 ed ê 3 mostrati in fig. 2.1(a) Essendo mutualmente ortogonali
i versori base formano una base ortonormale. In termini di tale base, un arbitrario vettore, vedi in fig. 2.1(b), in
notazione simbolica rappresentato da v,è dato da:
3
v  v1ˆe1  v2ˆe 2  v3ˆe 3   viˆe i .
(2.2-1)
i 1
Il suo modulo è denotato dalla stessa lettera usata per la notazione simbolica scritta non in grassetto: v.
x3
x3
v3
ê3
v
v2
ê 2
ê1
x1
x2
v1
x1
(a)
Figura 2.1
x2
(b)
(a) Versori di base del sistema di coordinate; (b) componenti cartesiane del vettore v.
E’ utile ora introdurre uno strumento di notazione, detto convenzione di Einstein nelle sommatorie, utile quando si
lavora con formule contenenti indici di coordinate. Tale convenzione stabilisce che ogni volta che un indice (deponente
o esponente) appare ripetuto esattamente due volte in un termine, quell’indice assumerà i valori 1, 2 e 3 in successione
ed i termini risultanti saranno poi sommati. Utilizzando tale convenzione l’eq. (2.2-1) può essere espressa
semplicemente come:
v  v i ˆe i ,
(2.2-2)
ed il simbolo di sommatoria, , può essere completamente cancellato. Gli indici ripetuti sono detti indici muti (dummy
indices) dal momento che il risultato non dipende dalla particolare lettera che è usata per essi. Infatti, utilizzando la
convenzione di Einstein, vi ˆe i è completamente equivalente a v j ˆe j o v r ˆe r . Comunque, con tale convenzione si deve
fare attenzione a che un indice non compaia più di due volte in un dato termine, anche se ci possono essere più di due
indici muti in un termine.
La convenzione di Einstein si applica solo a termini dello stesso prodotto, a indici dello stesso tensore, come nel caso
Tii  T11  T22  T33, e a indici di un rapporto, come nell’espressione per le divergenze, i.e.,
vi xi  v1 x1  v2 x2 v3 x3 . Termini separati da un’operazione  non sono soggetti alla convenzione delle
sommatorie, e in questo caso un indice può essere riusato, come nell’espressione Tijvj  Sijwj. La convention degli indici
2
ripetuti non si applica se un indice di sommatoria è ripetuto più di una volta. Nel caso, si farà ricorso al simbolo di
sommatoria che, quindi, annulla la convenzione di Einstein.
Utilizzando quanto sopra esposto, è possibile riscrivere, utilizzando la notazione simbolica ed indiciale, alcune
definizioni dell’algebra tensoriale.
Addizione di vettori:
w  u  v o wi ˆe i  u i  vi   ˆe i .
(2.2-3)
Moltiplicazione di un vettore per uno scalare:
  w  wi ˆe i ;
(2.2-4)
prodotto scalare tra due vettori:
u  v  v  u  uv cos ,
(2.2-5)
dove  è l’angolo più piccolo formato tra i due vettori quando essi sono riportati ad un’origine comune e v e u i moduli
dei due vettori;
prodotto vettoriale tra due vettori:
u  v   v  u  uv  sen ˆe ,
(2.2-6)
dove 0     è l’angolo tra i due vettori quando essi sono riportati ad un’origine comune ed ê è un vettore unitario
perpendicolare al loro piano, tale che una rotazione anti-oraria attorno ad ê di un angolo  porti u a sovrapporsi a v.
Secondo una versione della regola della mano destra, per trovare il verso di ê basta far coincidere il medio della mano
destra con u, l’indice con v il verso di ê sarà dato dall’indice.
Il modulo di un vettore v è indicato come v o v , naturalmente:
v  v  vi vi  v12  v22  v32 .
2.3
(2.2-7)
Notazione indiciale
Utilizzando la notazione indiciale è possibile compiere tutte le operazioni tra tensori evitando la presenza dei versori ê i
nelle equazioni. In questo tipo di notazione, si conviene che il rango di un tensore di un termine sia indicato dal numero
di indici liberi (free), cioè, non ripetuti (muti), che appaiono in quel termine. Quindi:
  scalare (tensore di ordine zero, 0 indici liberi) ;
vi  vettore (tensore di primo ordine, 1 indice libero) v o, equivalentemente, i suoi 3 componenti;
uivj  diade (tensore di secondo ordine, 2 indici liberi) uv o, equivalentemente, i suoi 9 componenti;
Aij  tensore diadico (tensore di secondo ordine, 2 indici liberi) A o, equivalentemente, i suoi 9 componenti;
3
Bijk  tensore triadico (tensore di terzo ordine, 3 indici liberi) B o, equivalentemente, i suoi 27 componenti;
Cijk  tensore tetradico (tensore di quarto ordine, 4 indici liberi) C o, equivalentemente, i suoi 81 componenti.
Come già detto, nello spazio tridimensionale gli indici liberi assumono i valori 1, 2 e 3 in successione. In tale spazio,
se k sono gli indici liberi di un tensore, i suoi componenti sono in numero di 3 k. Nella notazione indiciale due tipi di
indici appaiono:
1.
indici liberi, che sono rappresentati da lettere presenti una sola volta in un dato termine;
2.
indici muti o sommati, che sono rappresentati da lettere presenti due volte in un dato termine.
Inoltre, affinché un equazione sia valida ogni suo termine deve avere le stesse lettere per gli indici liberi e nessun indice
può essere ripetuto per più di due volte in un termine.
Utilizzando la notazione indiciale, è facile compiere operazioni tra tensori. Così, l’addizione tra tensori di uguale
rango avviene in accordo alle tipiche equazioni: ui  vi  wi, per i vettori, e Tij Sij  Rij  Qij, per i tensori di ordine due.
Il prodotto tensoriale, o prodotto esterno, tra due tensori ha per risultato un tensore di rango pari alla somma dei ranghi
dei tensori moltiplicati. L’operazione si compie semplicemente affiancando i simboli dei tensori senza indici muti. Ad
esempio, il prodotto tensoriale del vettore vi e del tensore Tij è il tensore del terzo ordine viTik (tensore di rango tre). Il
prodotto scalare, o prodotto interno, tra tensori, invece, è formato a partire dal prodotto tensoriale mediante il processo
di contrazione, cioè, identificazione di due o più indici di un termine. Ad esempio, dal prodotto tensoriale di due vettori
viuj (rango due) si ottiene il prodotto salare identificando i e j: viui (rango zero). Per ogni contrazione il rango diminuisce
di due unità.
Un tensore è simmetrico rispetto a due indici se il loro scambio lascia il tensore invariato. Ad esempio, se Aij  Aji e
Bijk  Bjik, tali tensori sono simmetrici rispetto agli indici i e j. Un tensore è anti-simmetrico rispetto a due indici se
cambia di segno quando i due indici sono scambiati. Ad esempio, se Aij   Aji, allora A è anti-simmetrico rispetto agli
indici i e j.
2.4
Nota sulla notazione indiciale
Accanto alla notazione indiciale è possibile utilizzare un'altra notazione priva di indici, detta classica. Usando la
notazione indiciale s’indicano con Ox1x2x3 il sistema di riferimento cartesiano, con ê1 ê 2 ed ê 3 i versori degli assi, con
x1 , x2 , x3  le coordinate di un punto e con vi le componenti di un vettore. Gli indici assumono valori 1, 2 e 3 per sistemi
tridimensionali. Usando la notazione classica, s’indicano con Oxyz il sistema di riferimento cartesiano, con x̂ ŷ ed ẑ i
versori degli assi e con x , y , z  le coordinate di un punto. Con tale notazione non è possibile, ovviamente, utilizzare la
convenzione della sommatoria.
2.5
Delta di Kronecker e simbolo di Levi-Civita
Dall’eq. (2.2-5), risulta che:
4
1 se il valore numerico di i  valore numerico di j
ˆe i  ˆe j  
.


0 se il valore numerico di i  valore numerico di j
(2.5-1)
Quindi, definito il delta di Kronecker:
1 se il valore numerico di i  valore numerico di j

,

0 se il valore numerico di i  valore numerico di j
 ij  
(2.5-2)
è possibile scrivere:
ˆe i eˆ j   ij .
(2.5-3)
Da notarsi che, per la convenzione di Einstein:
 ii   hh   11   22   33  1  1  1  3 .
(2.5-4)
Inoltre, espandendo l’espressione:
 ij ˆe j   i1ˆe1   i 2ˆe 2   i3ˆe 3
(2.5-5)
si nota che per un dato valore di i, solo uno dei delta di Kronecker nella parte destra è diverso da zero ed esso,
naturalmente, ha valore pari a uno. Quindi:
 ij ˆe j  ˆe i .
(2.5-6)
L’eq. (2.5-6) denota la proprietà di sostituzione del delta di Kronecker, in base alla quale esso rimpiazza in  ij ê j
l’indice j di ê j con i, riducendo l’espressione semplicemente a ê i .
Dalla proprietà di sostituzione del delta di Kronecker il prodotto scalare tra due vettori si può scrivere:
u  v  ui ˆe i  v j ˆe j  ui v j ˆe i  ˆe j  ui v j  ij  ui vi .
(2.5-7)
Da notarsi che, nella operazione di messa in evidenza, i componenti scalari passano attraverso il prodotto scalare poiché
esso è un’operazione tra vettori.
Introducendo il simbolo di Levi-Civita o simbolo delle permutazioni, definito come:
ijk
se i valori numerici di ijk appaiono come nella sequenza12312
1


  1 se i valori numerici di ijk appaiono come nella sequenza 32132 ,


se i valori numerici di ijk appaiono in ogni altra sequenza
0
(2.5-8)
[cioè, ijk  1 se (i, j, k)  (1, 2, 3), (2, 3, 1) o (3, 1, 2); ijk   1 se (i, j, k)  (3, 2, 1), (2, 1, 3) o (1, 3, 2)],
è possibile esprimere il prodotto vettoriale dei vettori base come:
5
ˆe i  ˆe j   ijk ˆe k ,
(2.5-9)
(infatti, sempre per la convenzione nelle sommatorie,  ijk ˆe k   ij1ˆe1   ij 2ˆe 2   ij3ˆe 3 , da cui segue…).
Da notarsi, dalla sua definizione, che lo scambio di due indici di ijk determina un cambiamento di segno, per esempio:
ijk   kji  kij   ikj ed, inoltre, con due indici ripetuti il suo valore è zero, per esempio: 112   223  111  0.
Poiché ijk   jik  jki, allora il simbolo delle permutazioni è anti-simmetrico rispetto a tutti gli indici.
Utilizzando il simbolo di Levi-Civita, il prodotto vettoriale tra vettori diviene:


u  v  ui ˆe i  v j ˆe j  ui v j ˆe i  ˆe j   ijk ui v j ˆe k .
(2.5-10)
Ancora una volta, nella operazione di messa in evidenza, i componenti scalari passano attraverso il prodotto vettoriale
poiché esso è un’operazione tra vettori.
Utilizzando la rappresentazione matriciale il prodotto vettoriale può essere eseguito tramite il calcolo del seguente
determinante:
ˆe1 ˆe 2
u  v  u1 u 2
v1
v2
ˆe3
u3 .
(2.5-11)
v3
E’ possibile introdurre altre operazioni tra vettori. Seguono le definizioni del prodotto misto:


c  u  v  w  w  u  v  u ,v, w  uiˆei  v jˆe j  wkˆek  uiˆei   jkqv j wkˆeq   jkqui v j wkiq   ijk ui v j wk ,
(2.5-12)
per l’ultimo passaggio si è adoperata la proprietà di sostituzione di ij e la proprietà del cambiamento di segno di ijk;
e del prodotto triplo:


u  v  w  ui ˆe i  v j ˆe j  wk ˆe k  ui ˆe i   jkq v j wk ˆe q   iqm jkq ui v j wk ˆe m .
(2.5-13)
Il prodotto misto può anche essere espresso dalla relazione matriciale:
w1
w2
w3
w  u  v  u1
u2
u3 .
v1
v2
v3
(2.5-14)
Si può dimostrare che esso rappresenta il volume del parallelepipedo avente per spigoli i tre vettori considerati.
Il prodotto  miq jkq presente nell’ultima equazione può essere espresso in termini del delta di Kronecker per mezzo
dell’identità:
 miq jkq   mjik   mkij ,
(2.5-15)
che può essere provata facilmente per diretta espansione.
6
Inoltre, dall’eq. (2.5-15) è facile mostrare che:
 jkqmkq   jm kk   jk km  3 jm   jm  2 jm ,
(2.5-16)
e, quindi:
 jkq jkq  6 .
2.6
(2.5-17)
Matrici
Un'altra importante rappresentazione dei tensori, soprattutto ai fini del calcolo, è la rappresentazione matriciale. Una
matrice è una lista rettangolare di elementi rappresentati tra parentesi quadre e soggetti a certe regole di calcolo.
L’elemento Aij si trova nella i-esima riga (orizzontale) e nella j-esima colonna (verticale) della matrice. La matrice di
elementi Aij è designata da [Aij] o simbolicamente da A.
2.7
Prodotto tensoriale tra due vettori (diade)
Il prodotto vettoriale è un esempio di un'operazione tra vettori che ha come risultato un nuovo vettore. È un operatore
molto speciale nel senso che produce un vettore ortogonale al piano contenente i due vettori originali. Esiste una classe
molta più ampia d’operazioni che producono vettori come risultato. Un tensore del secondo ordine è l'oggetto
matematico che offre la generalizzazione adatta. (Se il contesto non è ambiguo, ci si riferirà ad un tensore del secondo
ordine spesso semplicemente come un tensore). Un tensore può essere definito come un oggetto che opera su un vettore
per produrre un altro vettore.
Schematicamente, quest’operazione è mostrata in fig. 2.2, dove un tensore T opera sul vettore v per produrre il
vettore nuovo Tv. Ovvero, applicando l’algebra matriciale e la rappresentazione matriciale dei vettori e tensori:
T11 T12 T13   v1   T11v1  T12v2  T13v3 

   

T21 T22 T23   v2   T21v1  T22v2  T23v3  .

   

T31 T32 T33   v3  T31v1  T32v2  T33v3 
(2.7-1)
Tv
v
Figura 2.2
Un tensore opera su un vettore trasformandolo in un altro vettore.
Diversamente dai vettori, non c'è una facile rappresentazione grafica dei tensori. In astratto, si capirà il significato
fisico di un tensore osservando quello produce operando su un vettore. L'esempio mostrato in fig. 2.2 illustra tutte le
7
azioni di un tensore. Il vettore v è variato in modulo e ruotato a dare il nuovo vettore Tv. In breve, i tensori deformano e
rotano i vettori.
Un tensore è un operatore lineare che soddisfa la relazione
T    v    u    w     Tv    Tu    Tw ,
(2.7-2)
qualsiasi siano gli scalari ,  e  ed i vettori v, u e w. Perché ogni vettore nello spazio tridimensionale può essere
espresso come una combinazione lineare di tre vettori linearmente indipendenti che generano lo spazio vettoriale, per
comprendere l’azione di un tensore è sufficiente considerare il suo operare su tre vettori indipendenti. L'azione del
tensore T sui vettori base, per esempio, caratterizza completamente l'azione del tensore su ogni altro vettore. Così, è
evidente che un tensore può essere completamente caratterizzato mediante nove quantità scalari: i tre componenti del
vettore Tˆe1 , i tre componenti del vettore Tˆe2 ed i tre componenti del vettore Tˆe3 . Ci si riferirà a queste nove quantità
scalari come alle componenti del tensore. Come un vettore, che può essere espresso come la somma di componenti
scalari moltiplicate per i vettori base v  v1ˆe1  v2ˆe 2  v3ˆe3 , un tensore sarà rappresentato come la somma di
componenti scalari moltiplicate per i tensori base. Il prodotto tensoriale di vettori è il fondamento per definire un base
naturale per un tensore del secondo ordine.
Il prodotto tensoriale di due vettori u and v è un tensore del secondo ordine indicato come
u  v  uiˆei  v jˆe j  uiv jˆei  ˆe j .
(2.7-3)
La sua notazione indiciale è uivj e la sua notazione matriciale:
 u1v1 u1v2

u2v1 u2v2

u3v1 u3v2
u1v3 

u2v3  .

u3v3 
(2.7-4)
Una forma alternativa per indicare il prodotto tensoriale di due vettori è:
u v  ui ˆe i v j ˆe j  ui v j ˆe i ˆe j .
(2.7-5)
Esplicitando la somma si ottiene:
u v  u1v1ˆe1ˆe1  u1v2ˆe1ˆe 2  u1v3ˆe1ˆe3  u2v1ˆe 2ˆe1  u2v2ˆe 2ˆe 2  u2v3ˆe 2ˆe3  u3v1ˆe3ˆe1  u3v2ˆe3ˆe 2  u3v3ˆe3ˆe3 .
(2.7-6)
L’azione del prodotto tensoriale di due vettori v e u è descritta dal modo in cui esso opera su un vettore w. Si può
facilmente dimostrare che:
u  v w  uiˆei  v jˆe j  wkˆek  v  w u  uiv j w jˆei .
(2.7-7)
In altre parole, quando il tensore u  v opera su w, il risultato è un vettore che punta nella direzione u e ha la
lunghezza uguale a (v  w) | u |, l'originale lunghezza di u moltiplicata per il prodotto scalare di v e w. Il prodotto
8
tensoriale di vettori sembra essere un oggetto piuttosto curioso, comunque, è estremamente utile nello sviluppare una
rappresentazione coordinata di un generico tensore T.
I prodotti tensoriali dei vettori base ˆei  ˆe j formano un insieme di tensori del secondo ordine. Poiché ci sono tre
vettori base, allora ci sono nove distinti prodotti tensoriali combinazioni fra loro. Questi nove tensori offrono una base
appropriata per esprimere i componenti di un tensore, così come i vettori base offrono una base per esprimere i
componenti di un vettore. Come i vettori base, è possibile capire questi tensori base meglio degli altri tensori nello
spazio. Ciò è confermato notando che la loro azione è data semplicemente dalla (2.10-3). Infatti, si può osservare che:
ˆei ˆe j  ˆek  ˆe j  ˆek  ˆei   jkˆei .
(2.7-8)
Si userà quest’espressione per il prodotto tensoriale di vettori base nella manipolazione dei componenti dei tensori di
ordine due.
Il tensore d’ordine due T può essere espresso in termini dei suoi nove componenti scalari Tij rispetto alla base
ˆei  ˆe j :
T  Tijˆei  ˆe j .
(2.7-9)
Sarà presto evidente perché si sceglie di rappresentare i nove componenti scalari con una quantità a due indici. Come i
componenti di un vettore, i componenti Tij sono scalari che dipendono dalla base scelta per la rappresentazione. In
questo caso la base ˆei  ˆe j . Un tensore, quindi, è una somma di scalari moltiplicati per i tensori base. Come un vettore,
il tensore stesso non dipende dal sistema di coordinate scelto per la rappresentazione; solamente i componenti
dipendono dal sistema di coordinate.
Un tensore è completamente caratterizzato dalla sua azione sui tre vettori base. L’azione di T su ê n è:


T  ˆen  Tij ˆei  ˆe j  ˆen  Tij jnˆei  Tinˆei .
(2.7-10)
Il significato fisico delle componenti di un tensore può essere compreso se si esegue il prodotto scalare di ê m e T. Si
ricordi che il prodotto scalare di un vettore per ê m semplicemente estrae la m-esima componente del vettore.
ˆe m  T  ˆe n  ˆe mTinˆei  Tin im  Tm n ,
(2.7-11)
cioè, si può sintetizzare il significato fisico delle componenti di un tensore scrivendo che Tmn è la m-esima componente
del vettore T  ê n .
Il tensore identità I è quel tensore caratterizzato dalla proprietà di lasciare immutato ogni vettore v: I  v = v. Può
essere espresso in termini di una base ortonormale come:
I  ˆei  ˆei ,
(2.7-12)
9
infatti, considerando la sua azione su un elemento della base ê j ,


I  ˆe j  ˆei  ˆei  ˆe j  ˆei  ˆe j  ˆei  ijˆei  ˆe j .
(2.7-13)
Poiché i vettori base generano tutto lo spazio vettoriale, ne segue che I  v = v per ogni vettore.
2.8
Trasformazione di tensori cartesiani
Si considerino due sistemi di riferimento, Ox1 x 2 x3 e O x1 x 2 x3 , aventi l’origine in comune ed orientati in modo che i
coseni
direttori


della

seconda,
dotata
di
apice,
rispetto
alla
prima,

Ox1 x 2 x 3 ,
siano
dati
da
aij  cos xi  x j  cos x j  xi , vedi fig. 2.3. I coseni direttori aij sono utili ad esprimere i vettori base unitari ê i in
funzione dei vettori base unitari ê i . Le equazioni che esprimono la suddetta relazione sono:
ˆe1  a11ˆe1  a12ˆe 2  a13ˆe 3  a1 j ˆe j

ˆ
e 2  a 21ˆe1  a 22ˆe 2  a 23ˆe 3  a 2 j ˆe j ,

ˆe 3  a 31ˆe1  a 32ˆe 2  a 33ˆe 3  a 3 j ˆe j
(2.8-1)
oppure, in forma indiciale compatta:
ˆei  aij ˆe j .
(2.8-2)
Le relazioni precedenti si possono scrivere anche in forma matriciale:
ˆe1   a11 a12
  
ˆe 2   a 21 a 22
  
ˆe 3   a 31 a 32
a13  ˆe1 
  
a 23   ˆe 2  .
  
a 33  ˆe 3 
(2.8-3)
x3
x3
x 2
x1
cos-1 a13
cos-1 a12
x2
-1
cos a11
x1
10
Figura 2.3
Coseni direttori dell’asse 1 ruotato rispetto al sistema fisso.
La matrice A formata dagli aij è detta matrice di trasformazione, dato il suo ruolo di trasformare le componenti di un
vettore o di un tensore riferito ad un set di assi nelle componenti dello stesso vettore o tensore rispetto ad una terna
ruotata. Si evidenzia che A non è un tensore sebbene le sue componenti, essendo espresse come aij, potrebbero
sembrarlo.
Anche per i vettori base della seconda terna, dotata di apici, vale, naturalmente, la relazione: ˆei  ˆej   ij . Da essa
segue, con semplici passaggi, ˆei  ˆej  aiqˆe q  a jmˆe m  aiq a jmˆe q  ˆe m  aiq a jm qm  aiq a jq   ij , che rappresenta la
condizione di ortogonalità della matrice A, data di seguito in forma indiciale e matriciale:
aiq a jq   ij
oppure A  AT  I .
(2.8-4)
Pertanto, l’eq. (2.8-2) può essere invertita sia in forma indiciale che matriciale come:
ˆei  a jiˆej ,
(2.8-5)
e
ˆe1   a11
  
ˆe 2   a12
  
ˆe 3   a13
a 21
a 22
a 23
a31  ˆe1 
  
a32   ˆe 2  .
  
a33  ˆe 3 
(2.8-6)
Naturalmente vale anche la condizione:
aqj aqk   jk
oppure AT  A  I .
(2.8-7)
Dato un vettore v, di componenti v i nel sistema Ox1 x 2 x3 e v i in quello O x1 x 2 x3 , allora, usando l’eq. (2.8-5), è
possibile scrivere:
v  viˆei  vj ˆej  vi a jiˆej ,
(2.8-8)
da cui uguagliando i coefficienti di êj , si ottiene (in forma indiciale e simbolica):
v j  vi a ji
oppure v   Av  vAT ,
(2.8-9)
che è la ricercata legge di trasformazione delle componenti di un vettore nel cambiamento di sistema di riferimento.
Tale legge garantisce l’invarianza della quantità vettoriale. Ciò, ad esempio, si può verificare controllando l’uguaglianza
dei moduli v e v’. Infatti, v2  vi  vi  a ji vi  a jk vk  a ji a jk vk vi   jk vk vi  vi vi  v2
Utilizzando l’eq. (2.8-7) la (2.8-9) si può facilmente invertire:
11
vi  a ji v j
oppure v  AT v   v A .
(2.8-10)
La diretta applicazione della eq. (2.8-10) ad una diade u v restituisce:
  aqi amjvq vm
 .
ui v j  aqivq amjvm
(2.8-11)
Considerando che una diade non è altro che tensore di ordine due, l’eq. (2.8-11) si può riscrivere come:

Gij  aqi amjGqm
oppure
G  ATG A ,
(2.8-12)
che può essere facilmente invertita usando la condizione di ortogonalità:
Gij  aiq a jmGqm
oppure
G   AGAT .
(2.8-13)
Da notare la posizione degli indici q ed m nelle eq. (2.8-12) e (2.8-13).
L’eq. (2.8-12) può essere facilmente generalizzata per un tensore cartesiano di ordine arbitrario:
Tij ...k  aiq a jm ...aknTqm...n .
(2.8-14)
L’eq. (2.8-14) è la generalizzazione dell’eq. (2.8-9) scritta per i vettori. Ogni matrice che, al variare del sistema di
riferimento, trasformi le proprie componenti in accordo all’eq. (2.8-14) è un tensore (premesso, naturalmente, un suo
significato fisico).
Nel caso il sistema di riferimento O x1 x 2 x3 sia stato ottenuto per una rotazione antioraria del sistema Ox1 x 2 x3
attorno all’asse z di un angolo , la matrice di trasformazione ha il seguente aspetto:
 cos

R z     sen

 0
sen
cos
0
0

0 .

1
(2.8-15)
Analogamente, per rotazioni di un angolo  attorno all’asse y e di un angolo  intorno all’asse x le matrici di
trasformazione risultano rispettivamente:
cos 

R y     0

 sen
0  sen 

1
0 ,

0 cos  
0
1

R x    0 cos 

0  sen
(2.8-16)
0 

sen  .

cos  
12

Per rotazione antioraria di un angolo  attorno ad un asse arbitrario, individuato dal versore ˆr  rx
ry

rz , la matrice
di trasformazione è:
 r 2 1  c   c
 x
Rr     rx ry 1  c   rz s

rx rz 1  c   ry s

rx ry 1  c   rz s
ry 1  c   c
2
ry rz 1  c   rx s
rx rz 1  c   ry s 

ry rz 1  c   rx s  , (c  cos e s  sen).

2
rz 1  c   c 

(2.8-17)
A questo punto possono essere utili alcune considerazioni. Non tutti gli scalari sono tensori, sebbene tutti i tensori di
ordine zero siano scalari; non tutti i vettori sono tensori, sebbene tutti i tensori di rango uno siano rappresentabili come
vettori; non tutte le matrici o le diadi sono tensori, ma tutti i tensori d’ordine due sono rappresentabili come matrici. Per
comprendere le precedenti affermazioni basta ragionare sulle proprietà di trasformazione dei tensori. Tali proprietà
derivano dal modo in cui le quantità fisiche rappresentate dai tensori devono apparire ad osservatori dotati di differenti
punti di vista.
Ad esempio, si immagini di osservare la temperatura in un punto dello spazio da due sistemi di riferimento: Ox1 x 2 x3
e O x1 x 2 x3 . Sia T la temperatura misurata nel primo sistema di riferimento e T  quella misurata, con le stesse unità di
misura, nel secondo. Non c’è nessun motivo per il quale le due misure debbano essere diverse, pertanto si conclude che
T  T  . L’ultima espressione, che, tra l’altro, è l’applicazione dell’equ. al caso di tensori di rango zero, è un esempio
di trasformazione dello scalare temperatura al variare del sistema di riferimento. Solo scalari che si trasformano in
questo modo sono ascrivibili alla classe dei tensori di ordine zero. Un esempio opposto è dato dalla frequenza di una
luce monocromatica emanante da una sorgente puntiforme. Osservata da un sistema di riferimento stazionario tale
frequenza apparirà pari ad un certo valore che si può indicare con T. Osservata da un sistema di riferimento in moto
relativo di avvicinamento od allontanamento rispetto alla fonte la precedente frequenza sarà spostata verso il rosso od il
blu, rispettivamente, e, quindi, sarà misurata come T  T (effetto Doppler). Ovviamente, T  T  in questo caso e,
sebbene la frequenza sia uno scalare, essa non è evidentemente un tensore di rango zero.
Questo argomento è estensibile ai vettori. Data una quantità vettoriale definita in un punto dello spazio fisico e due
sistemi di riferimento, se v è il vettore osservato nel primo sistema di riferimento e v’ lo stesso vettore osservato nel
secondo sistema, ancora una volta si richiede che v sia uguale a v’, poiché da entrambi i sistemi di riferimento si sta
osservando la stessa entità vettoriale. Ogni grandezza fisica che si trasforma in questo modo, cioè si mantiene
vettorialmente inalterata, nel passaggio da un sistema di riferimento ad un altro è un tensore di rango uno. Mentre un
vettore è indipendente dal sistema di riferimento, non lo sono le sue componenti. Esse, comunque, devono variare in
modo da garantire l’invarianza della quantità vettoriale, invarianza espressa dalla legge di trasformazione data dall’equ.
. Questo è evidente se si considera che le componenti non sono altro che le proiezioni del vettore sugli assi coordinati.
Da questo punto di vista, il vettore posizione definito in un punto, inteso come vettore che si estende dall’origine al
punto considerato, non è un tensore in quanto esso non resta invariato in due sistemi di coordinate che non hanno la
stessa origine. Pertanto per esso viene meno la condizione di indipendenza dal sistema di coordinate (si potrebbe
obiettare che un vettore posizione è sempre un vettore e, quindi, segue le regole di trasformazione di tutti i vettori nel
passare da un sistema di riferimento ad un altro; l’unico problema è che un vettore posizione non rappresenta la stessa
cosa in un sistema di riferimento con origine diversa da quello in cui è stato definito e non può essere usato per
esprimere la stessa grandezza fisica, quindi esso è fondamentalmente differente da ogni altro vettore che, invece,
13
rappresenta sempre la stessa cosa in ogni sistema di riferimento). Se, invece, v1 e v2 sono due vettori posizione relativi a
due punti in un sistema di riferimento, e v1 v 2 quelli relativi agli stessi punti in un altro sistema non avente l’origine
coincidente con quella del primo, allora il vettore v1  v 2  v1  v2 è un tensore. Cioè, il vettore posizione non è un
tensore, mentre la differenza tra due vettori posizione è un tensore di rango uno. Similmente, il differenziale del vettore
posizione v è un tensore di rango uno.
2.9
Valori principali e direzioni principali di un tensore simmetrico del secondo ordine
Nel seguito, saranno considerati solo tensori simmetrici con componenti reali. Ciò semplifica alquanto la matematica
necessaria nella trattazione e, poiché i tensori della meccanica del continuo sono usualmente simmetrici, non introduce
grosse restrizioni.
L’equazione, prodotto interno di un vettore per un tensore d’ordine due:
Tij u j  vi
oppure T  u  v ,
(2.9-1)
mette in evidenza che ogni tensore di rango due può essere visto come un trasformazione lineare che al vettore u fa
corrispondere la sua immagine v, cioè, trasforma u in v. In particolare, se T è un tensore simmetrico di componenti reali
definito in un punto dello spazio, allora ad ogni direzione di quel punto (definita dal vettore unitario ni) corrisponde un
vettore immagine vi, dato da:
Tij n j  vi
ˆ v.
oppure T  n
(2.9-2)
Se il vettore determinato dall’eq. (2.9-2) è un multiplo di n̂ ,cioè se accade che:
Tij n j  ni
ˆ  n
ˆ,
oppure T  n
(2.9-3)
allora, la direzione individuata da ni è chiamata direzione principale di T, mentre lo scalare  è detto valore principale
(o autovalore) di T. Tutti gli infiniti vettori che giacciono lungo una direzione principale sono detti autovettori di T
relativi a quella direzione. Essi si trasformano, in base alla (2.9-2), accorciandosi od allungandosi in relazione al valore
di .
Utilizzando le proprietà del ij, è possibile riscrivere l’eq. (2.9-3) come:
Tij  ij n j  0
oppure
T  Inˆ  0 ,
(2.9-4)
o, in forma, estesa:
T11   n1  T12n2  T13n3  0

T21n1  T22   n2  T23n3  0

T31n1  T32n2  T33   n3  0
oppure
T12
T13   n1 
T11  

  
T22  
T23   n2   0 ,
 T21

  
T32
T33     n3 
 T31
(2.9-5)
14
sistema di tre equazioni in quattro incognite.
Il precedente sistema può essere risolto considerando che nota , le (2.9-5) sono tre equazioni in tre incognite che
ammettono soluzione non banale se e solo se il determinante delle incognite è uguale a zero (per il teorema di RouchéCapelli), cioè:
oppure detT  I   0 ,
Tij   ij  0
i
(2.9-6)
che è un’equazione di terzo grado nella sola variabile . Quindi, è possibile trovare il valore, o i valori, di  che danno
una soluzione non banale all’eq. (2.9-5) indipendentemente da ogni altra considerazione. Espandendo, l’eq. (2.9-6)
diventa:
3  I T 2  II T   III T  0 ,
(2.9-7)
detta equazione caratteristica del tensore considerato, dove i coefficienti dell’incognita sono espressi da:
I T  trT  Tii ,
II T 
(2.9-8)

  

1
trT2  tr T 2  1 TiiT jj  Tij T ji ,
2
2
IIIT  det T   ijk T1iT2 j T3k ,
(2.9-9)
(2.9-10)
e sono noti come primo, secondo e terzo invariante del tensore T, rispettivamente (o, anche, invariante lineare,
quadratico e cubico, poiché non variano al variare del sistema di riferimento, mentre le componenti del tensore variano).
L’invariante lineare è noto anche come traccia di T.
Le radici dell’eq. (2.9-7), che sono tre trattandosi di un equazione di terzo grado, (1), (2) e (3), sono reali se T ha
componenti reali. Per ognuna delle (q) (q  1, 2, 3) è possibile trovare la corrispondente niq  (q  1, 2, 3) risolvendo
q 
l’eq. (2.9-5) con associata la condizione niq niq   0 , che definisce n̂ come versore, cioè:
T
   0
 q  ij n j
q
ij i
e
q  q   0
ni ni
q  1,2,3 .
(2.9-11)
Se le (q) sono distinte, le direzioni principali relative al punto che si sta considerando sono uniche e mutualmente
ortogonali. Se due autovalori coincidono, allora solo la direzione principale associata al terzo sarà unica e tutte le
direzioni perpendicolari ad essa saranno principali (esse definiscono un piano perpendicolare alla direzione avente
valore principale distinto). Se tutti e tre gli autovalori coincidono, allora ogni direzione appartenente alla stella di rette
di centro il punto considerato è principale. In tutti i casi è possibile definire più sistemi di riferimento cartesiani levogiri
aventi gli assi giacenti sulle direzioni principali; tali sistemi di riferimento per questa caratteristica sono detti principali.
Nel primo caso, cioè autovalori distinti, la scelta delle direzioni degli assi è obbligatoria, resta da fissare i versi
orientandoli in maniera levogira. Nel caso di due radici coincidenti, un’asse giacerà sulla direzione corrispondente
15
all’autovalore distinto e gli altri due saranno due qualsiasi ad esso ortogonali, col vincolo di orientarli in maniera
levogira. Se gli autovalori coincidono, allora qualsiasi terna levogira è principale.
Considerato un tensore definito in un punto dello spazio, le cui componenti sono rappresentate da Tij in un sistema di
riferimento Ox1 x 2 x3 , designati Ox1* x2* x3* un sistema di riferimento avente gli assi giacenti lungo le direzioni
principali del tensore e niq  le componenti dei versori rappresentanti le direzioni principali orientate a formare
Ox1* x2* x3* nel sistema di riferimento Ox1 x 2 x3 , allora la matrice di trasformazione A da Ox1 x 2 x3 a Ox1* x2* x3* avrà
 
componenti aij  n jq , cioè:
 n 1
 1
2 
A  n1

 n13

1
n2
2 
n2
3
n2
1
n3 

2 
n3  .
3 
n3 

(2.9-12)
Si ricorda che niq  è, per definizione, il coseno direttore dell’asse q del sistema di riferimento Ox1* x2* x3* rispetto
all’asse i di Ox1 x 2 x3 . Con tale notazione, la legge di trasformazione delle componenti del tensore considerato dal
sistema Ox1 x 2 x3 a quello Ox1* x2* x3* è:
Ti* j*  ai* q a j* mTqm
oppure
*
T
T  ATA ,
(2.9-13)
*
e T risulta essere rappresentato da una matrice diagonale i cui elementi sono i suoi valori principali (q).
2.10
Campo tensoriale e derivate di un tensore
Un campo è una funzione della posizione definita in una particolare regione dello spazio. In meccanica si adoperano
campi scalari, vettoriali e tensoriali in cui la funzione è uno scalare, un vettore o un tensore, rispettivamente. Per
problemi definiti in una regione di spazio tridimensionale, l’argomento del campo è il vettore di posizione x. Una
funzione definita su un dominio tridimensionale, quindi è una funzione di tre variabili indipendenti (i componenti x1, x2
e x3 del vettore di posizione x). In certe teorie specializzate (e.g., teoria della trave, teoria delle lastre, e teoria dello
stress piano) la posizione sarà descritta da una o due variabili indipendenti.
Un campo tensoriale assegna un tensore Tx,t  ad ogni coppia x ,t  , dove il vettore posizione x varia in una
particolare regione dello spazio e t varia in un particolare intervallo di tempo. Il campo tensoriale Tx,t  è detto
continuo (o differenziabile) se le sue componenti sono funzioni continue (o differenziabili) di x e t. Se le sue
componenti sono funzioni solo di x allora il campo è detto stazionario. Rispetto ad un sistema di riferimento cartesiano,
campi tensoriali di vario ordine sono rappresentati, secondo la notazione indiciale e simbolica, come segue:
(a) campo scalare:
   x i , t 
o
   x,t  ;
(b) campo vettoriale:
vi  vi x ,t 
o
v  vx,t  ;
16
Tij  Tij x,t 
(c) campo tensoriale doppio:
o
T  Tx,t  .
Derivate parziali delle componenti di un campo tensoriale rispetto a xi sono espresse dall’operatore differenziale
 xi , o più brevemente in forma indiciale da  i , che indica un operatore di rango tensoriale unitario. In notazione
simbolica, il simbolo corrispondente è il noto nabla (o del) , che scritto esplicitamente è:





ˆe 
ˆe 
ˆe  ˆe i
 ˆe i  i (continua a valere la convenzione sulle sommatorie).
x1 1 x1 2 x1 3
xi
(2.10-1)
frequentemente, la derivazione parziale rispetto alla variabile xi è rappresentata mediante la convenzione della virgola
indice, come illustrato nei seguenti esempi:
2
 Tij
Tij
v j
v
 2vi

  i   ,i ,
 vi , jk ,
 Tij ,km .
  i v j  v j ,i , i   i vi  vi ,i ,
 Tij ,k ,
xi
xi
 x j x k
xi
xk xm
xk
Dagli esempi precedenti si vede che l’operatore  i produce un tensore di ordine più alto se i rimane un indice libero e
un tensore di ordine più basso se i diventa un indice muto, come nel secondo esempio precedente. Altri importanti
operatori appaiono nella meccanica del continuo:
o

  i   ,i ;
xi
div v    v
o
vi
  i vi  vi ,i ;
xi
il rotore (curl) di un vettore v:
curl v  v  
o
 ijk  j vk   ijk vk , j
il laplaciano di uno scalare :
 2    
o
 ii   ,ii .
il gradiente di uno scalare :
grad    
la divergenza di un vettore v:

ˆe
xi i
Un campo scalare è una funzione g(x) che assegna uno scalare ad ogni punto x in un particolare dominio. La
temperatura in un corpo solido è un esempio di un campo di scalare. Un altro esempio di campo scalare è
g x  x12  x22  x32 che assegna ad ogni punto del dominio il quadrato della lunghezza del vettore posizione x. In due
dimensioni, un campo scalare può essere rappresentato da un grafico o una mappa di contorno, come quelli mostrati in
fig. .
Come ogni funzione che varia da punto a punto in un dominio, è lecito chiedersi a che velocità il campo varia
muovendoci da un punto ad un altro del dominio. È abbastanza ovvio dalla mappa di contorno che se ci si muove da un
punto ad un altro lungo un contorno il cambio nel valore della funzione è zero (e perciò la velocità con cui la funzione
cambia è zero). Se si attraversano i contorni la funzione cambia di valore. Chiaramente, la questione della velocità di
cambio della funzione dipende dalla direzione lungo la quale si valuta.
Dato un campo scalare g in uno spazio tridimensionale, come mostrato in fig. 2.5, se a è un punto localizzato in
posizione x e b un punto localizzato in posizione x  s  n̂ , dove n̂ è un versore che indica la direzione da a a b e s è
la distanza tra loro, la derivativa direzionale della funzione g nella direzione n̂ , indicata Dg  n̂ , è il limite del rapporto
incrementale della funzione g al limite di s tendente a zero:
ˆ  Dnˆ g  nˆ g 
Dg  n
ˆ   g x 
g
g x  s  n
 lim
.
ˆ s 0
n
s
(2.10-2)
17
g x   const .
x1
g x 
g x 
x2
x2
x1
(a)
Figura 2.4
(b)
(a) Un grafico ed (b) una mappa di contorno di una funzione scalare.
x3
ˆ
g x  s  n
b
s  n̂
a
x
g x 
x2
x1
Figura 2.5
Interpretazione del gradiente di una funzione scalare.
La derivata direzionale può essere calcolata usando la regola della catena:
ˆ 
Dg  n
d
g x    nˆ  0  g  ni  g  nˆ .
d
xi
(2.10-3)
In essenza, la derivata direzionale determina la velocità mono-dimensionale di cambiamento della funzione nel punto x
muovendosi nella direzione fissata da n̂ . Perché x e n̂ sono fissi, la derivata è ordinaria.
Dalla (2.10-3) è evidente che le derivate parziali della funzione g giocano un ruolo chiave nel determinare la velocità
di cambiamento in una particolare direzione. Infatti, la derivata parziale g xi fornisce la velocità di cambiamento di
g nella direzione dell’asse coordinato xi. Queste tre quantità possono essere viste come i componenti di un vettore
chiamato gradiente del campo. Il gradiente di un campo scalare g(x) è un campo vettoriale g x , che, in coordinate
cartesiane, è dato da:
18
g x  
g x 
ˆe .
xi i
(2.10-4)
Quindi,
ˆ  g  n
ˆ 
Dg  n
g x 
g x 
g x 
g x 
ˆei  n jˆe j 
n jˆei  ˆe j 
n j ij 
n .
xi
xi
xi
xi i
(2.10-5)
ˆ  0 , il vettore
Poiché la derivata direzionale di g è zero quando n̂ è tangente ad una linea di contorno, cioè g x   n
ˆ  g x g x è evidente
g x è perpendicolare alle linee di contorno, come mostrato in fig. 2.5. Per la direzione n
ˆ  g x . Quindi, g x è la massima velocità di cambiamento del campo di scalare g.
dall’equ. (2.10-5) che Dg  n
n̂
R

Figura 2.6
Una regione dello spazio tridimensionale R di volume V(R) e superficie  con il campo
vettoriale dei versori normali orientati verso l’esterno
n̂ .
Si può definire il gradiente di un campo di scalare indipendente dal sistema di coordinate. Data una regione R
arbitraria di superficie  ed il campo vettoriale dei versori normali orientati verso l’esterno n̂ , mostrata in fig. 2.6, il
ˆ attraverso la superficie ed il volume di R, V(R), al limite del volume
gradiente di g è il rapporto tra il flusso g x   n
tendente a zero:
g x   lim
V R  0 V
1
R  
ˆ dA ,
g x   n
(2.10-6)
dove dA è l’elemento di area infinitesimo definito sulla superficie. La (2.10-6) non dipende da uno specifico sistema di
coordinate mentre l’equ. (2.10-4) è una formula per il gradiente in coordinate cartesiane rettangolari. La derivazione
della (2.10-4) dalla (2.10-6) è molto istruttiva. Per la derivazione bisogna selezionare una specifica regione R così da
calcolare il flusso, il volume e, poi, fare il limite del loro rapporto al tendere a zero del volume. La scelta più semplice è
il cuboide con lati paralleli alle superfici coordinate mostrato in fig. 2.7. Il volume di questa regione è V(R) = x1  x2
ˆ i  ˆei , sulle quali xi è costante
 x3. La superficie  consiste di tre paia di facce rettangolari ognuna con normale n
(con un valore pari a xi per la faccia di normale ê i , e xi  xi per la faccia di normale  ê i ).
19
ε̂ 3
x3
ε̂ 2
ε̂1
 x3
ε̂ 2
ε̂1
x2
x1
ε̂ 3
x2
x1
Figura 2.7
Cuboide per il calcolo del flusso.
Il flusso è:
 g x  nˆ dA    g x  xi êi êi  g x êi dAi ,

(2.10-7)
i i
dove i è la superficie rettangolare di area Ai su cui xi è costante (A1 = x2x3, A2 = x1x2, A3 = x1x2,). Ovviamente,
V(R) = Ai xi (convenzione di Einstein sospesa), per i = 1, 2 e 3, e
1
   dAi ,
Ai 
i
(2.10-8)
è semplicemente la media di   sulla regione di integrazione i , che nel limite del volume e, quindi, della faccia
tendente a zero tenderà al valore in x. Quindi, per il cuboide considerato, la (2.10-6) si può scrivere:
g x 

  g x  xi êi êi  g x êi dAi  lim    lim
Ai e xi 0 Ai xi i 
Ai 0 Ai i  xi 0
lim
1
1
i
i
g x  xi   g x 
 dAi êi .
xi

(2.10-9)
Il processo al limite per xi può essere spostato nell'integrale su i, perché xi è costante per quell’integrale. Questo
limite è, chiaramente, la derivata parziale di g riguardo a xi. Quella derivata parziale è una funzione delle altre due
variabili le quali non sono costanti su quella faccia. Alla fine, il limite della media sulla regione d’integrazione dà la
derivata parziale calcolata in x, per cui il risultato finale sarà:
g x   lim
Ai 0
g x  xi êi   g x   
1 
1 
g x 
 

  g x   

êi .
    lim
  
 dAi êi  lim
 dAi êi  
Ai i  xi 0
xi
A

x
Ai 0 i i  
i xi
i 
 

 i

 i

(2.10-10)
Un campo vettoriale è una funzione v(x) che assegna un vettore ad ogni punto x in un particolare dominio. Lo
spostamento di un corpo è un esempio di campo vettoriale. La forza indotta dall’attrazione gravitazionale è un altro
esempio di campo vettoriale.
20
Ci sono tanti modi di differenziare un campo vettoriale quanti sono i modi di moltiplicare vettori. L'analogia tra
moltiplicazione e differenziazione di vettori è data nella tavola seguente:
Moltiplicazione
Differenziazione
uv
div v, divergenza
u v
rot v, rotore
uv
v, gradiente
La divergenza, il rotore ed il gradiente di un campo vettoriale sono un campo scalare, vettoriale e tensoriale,
rispettivamente. Comunque, ognuna di queste derivate rappresenta la velocità di cambiamento del campo vettoriale in
un certo senso. Ognuno di questi operatori può essere visto come la "derivata prima" del campo vettoriale.
Considerata la regione R di superficie  ed il campo vettoriale dei versori normali orientati verso l’esterno n̂ ,
ˆ attraverso la superficie ed il volume di R,
mostrata in fig. 2.6, la divergenze di v(x) è il rapporto tra il flusso vx  n
V(R), al limite del volume tendente a zero:
div vx   lim
1
 vx   nˆ  dA .
V R 0 V R  
(2.10-11)
Usando di nuovo il cuboide di fig. 2.7 e le stesse convenzioni, si trova facilmente che il flusso è:
 vx  nˆ  dA    vx  xiˆei ˆei  vx ˆei dAi ,

(2.10-12)
i i
Infine, considerando che V(R) = Ai xi (convenzione di Einstein sospesa) per i = 1, 2 e 3, si ottiene:

vx  xi   vx  
v
1
vx 
 ˆei  i  vi ,i    v .
 lim
 dAiˆei 

xi
xi
xi
i Ai 0 Ai  i xi 0

div vx    lim
(2.10-13)
Il rotore di un campo vettoriale può essere definito come:
rot vx  
lim
V R 0 V
1
R  
ˆ  dA .
vx   n
(2.10-14)
Usando il solito cuboide, si può mostrare che in coordinate cartesiane:
rot v 
 v
 v
 v v 
v 
v 
v
 ˆei   2  3 ˆe1   3  1 ˆe2   1  2 ˆe3  v   .
xi
 x2 x1 
 x3 x2 
 x1 x3 
(2.10-15)
ˆ  vx ; nel caso il rotore è il negativo della (2.10-15).
Alcuni definiscono il rotore utilizzando il flusso n
Considerata ancora la fig. 2.6, il gradiente di un campo vettoriale è un tensore del secondo ordine definito come il
ˆ attraverso la superficie ed il volume, al tendere a zero del volume:
limite del rapporto tra il flusso di v  n
21
vx   lim
V R 0 V
1
R  
ˆ  dA .
vx   n
(2.10-16)
Usando il solito cuboide, si può mostrare che in coordinate cartesiane:
v 
vi x
ˆe  ˆe j ,
x j i


(2.10-17)
quindi, le componenti di v sono semplicemente le varie derivate parziali delle funzioni componenti rispetto alle
coordinate, cioè, il componente [v]ij è la velocità di cambiamento del componente di i-esimo di v rispetto al j-esimo
asse coordinato:
 v1

 x1
 v
v   2
 x1
 v3
 x
 1
v1
x2
v2
x2
v3
x2
v1 

x3 
v2 
.
x3 
v3 
x3 
(2.10-18)
Si può interpretare geometricamente il gradiente di un campo vettoriale considerando la costruzione mostrata in fig. 2.8.
Si considerino i due punti a e b distanti s ed il versore n̂ che punta da a a b. Il valore del campo vettoriale in a è v x 
ˆ  . Poiché il campo vettoriale dipende dalla posizione all’interno del suo dominio
mentre il suo valore in b è vx  s  n
di definizione, questi due vettori sono diversi in lunghezza ed orientamento. Trasportata una copia di v x  in b, si può
ˆ ,
calcolare la differenza tra i due vettori. Il vettore che connette la testa di v x  a la testa di vx  s  n
ˆ   vx , è la differenza nel campo vettoriale tra punti i due punti. Dividendo questa differenza per s, si
vx  s  n
trova la velocità di cambiamento del campo vettoriale nella direzione specificata. Infine, facendo il limite per s
tendente a zero, si trova la derivata direzionale:
ˆ  Dnˆ vx   nˆ vx  
Dvx   n
ˆ   vx 
vx 
vx  s  n
 lim
.
ˆ
n
s
s 0
(2.10-19)
ˆ è chiamata derivata direzionale v x  lungo n̂ perché fornisce la velocità di cambiamento del
La quantità Dvx  n
campo vettoriale nella direzione n̂ . Il precedente processo al limite suggerisce che la derivata direzionale può essere
calcolata usando la regola della catena:
ˆ 
Dvx   n
ˆ   0 dvx 
d vx    n
ˆ .

 ni  vx   n
d
dxi
(2.10-20)
L’ultima equazione evidenzia che il tensore vx  contiene tute le informazioni necessarie per calcolare la derivata
direzionale di un campo vettoriale lungo una certa direzione n̂ .
22
Figura 2.8
Interpretazione del gradiente di un campo vettoriale per mezzo della derivata direzionale.
Un campo tensoriale è una funzione che assegna un tensore T(x) ad ogni punto x nel dominio. Considerato un campo
tensoriale T(x) su una regione R arbitraria di superficie  ed il campo vettoriale dei versori normali orientati verso
l’esterno n̂ , vedi fig. 2.6, ci sono molti modi per differenziare un campo tensoriale. In analogia con la differenziazione
di un vettore, si definisce la divergenza di un campo tensoriale come:
div Tx   lim
1
V R 0 V
R  
ˆ  dA .
Tx   n
(2.10-21)
Poiché l’integrando è un vettore, la div T è un vettore.
Usando di nuovo il cuboide di fig. 2.7 e le stesse convenzioni, si trova facilmente che il flusso è:
 Tx  nˆ  dA    Tx  xiˆei ˆei  Tx ˆei dAi ,

(2.10-22)
i i
Infine, considerando che V(R) = Ai xi (convenzione di Einstein sospesa) per i = 1, 2 e 3, si ottiene:
div Tx   lim
i Ai 0
T x

Tx  xi   Tx
1
Tx

Tx  ˆei   ij ˆei .
 ˆei 
 lim
 dAiˆei 

Ai  xi 0
xi
xi
xi
x j

i
(2.10-23)
Svolgendo le sommatorie:
 T
 T
 T
T 
T 
T
T 
T
T
div Tx   11  21  31 ˆe1   12  22  32 ˆe2   13  23  33 ˆe3    T .
x2
x3 
x2
x3 
x2
x3 
 x1
 x1
 x1
(2.10-24)
23
2.11
Teoremi di Gauss e Stokes
Definito in una data regione dello spazio un campo tensoriale differenziabile Tij…k, indicato con V un volume di questo
spazio caratterizzato dalla superficie S, vedi fig. 2.9, per ogni punto della quale sia definita la normale uscente ni così
che l’elemento di superficie è dato da dSi  nidS, il teorema di Gauss, o teorema della divergenza, stabilisce che:
 Tij ...k nq dS   Tij ...k ,q dV (in cui q è naturalmente uguale ad uno degli indici del tensore Tij…k).
S
(2.11-1)
V
ni
dS  nidS
x3
V
x2
x1
Volume V con l’elemento di superficie infinitesimo dSi di normale ni.
Figura 2.9
In sintesi, il teorema della divergenza mette in relazione un integrale su di una superficie chiusa avente Tij…k, come
integrando ad un integrale di volume per il quale l’integrando è una derivata rispetto ad una coordinata di Tij…k. Alcune
applicazioni di questo teorema a campi scalari, vettoriali e tensoriali d’ordine due sono di seguito riportate in notazione
simbolica ed indiciale:
   nˆ dS     dV
S
 v  nˆ dS   vdV
S
V
S
(2.11-3)
V
  ijk v k n j dS    ijk v k , j dV ,
o
S
o
(2.11-2)
V
 vq nq dS   vq ,q dV ,
o
V
 T  nˆ dS   div TdV
S
S
V
 nˆ  vdS     vdV
S
 nq dS    ,q dV ,
o
V
 Tij n j dS   Tij , j dV .
S
(2.11-4)
V
(2.11-5)
V
Il teorema di Stokes dice che la circuitazione di un campo vettoriale v lungo un’arbitraria linea chiusa γ, vedi fig.
2.10, appartenente al dominio di definizione del campo, è pari al flusso del rotazionale del campo medesimo attraverso
una qualunque superficie S avente per contorno la linea γ, in formule:
24
 v  dx   nˆ    v dS

 vk dxk    ijk ni vk , j dS .
o

S
(2.11-6)
S
ni
dxi
x3
xi
dSi  nidS
x2
x1
Figura 2.10
2.12
2.1
Curva chiusa  con il vettore tangente dxi e l’elemento di superficie dSi.
Problemi
Espandere, in accordo alle convenzioni della notazione indiciale, le seguenti espressioni: (a) ui vi w j ˆe j , (b)
Tij viˆe j e (c) Tii v j ˆe j .
(a) Sommando prima su i e poi su j: ui vi w j ˆe j  u1v1  u2 v2  u3 v3 w1ˆe1  w2ˆe 2  w3ˆe3  .
(b) Sommando su i, poi su j, ed accorpando i termini: Tij viˆe j  T1 j v1ˆe j  T2 j v2ˆe j  T3 j v3ˆe j 
 T11v1  T21v2  T31v3 ˆe1  T12v1  T22v2  T32v3 ˆe 2  T13v1  T23v2  T33v3 ˆe 3 .
(c) analogamente ad (a): Tii v j ˆe j  T11  T22  T33 v1ˆe1  v2ˆe 2  v3ˆe3  .
2.2

1
Introdotta la notazione: Aij   Aij  A ji
2



1
e Aij   Aij  A ji , mostrare che: (a) il tensore A di
2
componenti Aij può essere sempre decomposto nella somma della sua parte simmetrica
Aij  ed
antisimmetrica Aij  , cioé: Aij  Aij   Aij  ; (b) per la traccia di A vale la seguente relazione: Aii  Aii  ; (c)
dati due tensori A e B: Aij Bij  Aij Bij   Ai j Bij .
(a)
Semplicemente:
Aij   Aij  

 

1
1
A  A ji  Aij  A ji  Aij ,
2 ij
2
inoltre,
poiché
Aij   A ji 
e
Aij    A ji  , ne consegue che il tenore Aij  è simmetrico e quello Aij  è antisimmetrico rispetto agli indici
i e j.
(b) Considerando che Aii   0 , risulta che Aii  Aii   Aii   Aii  .
(c)



Aij Bij  Aij   Ai j  Bij   Bi j  Aij Bij   Aij  Bij  Ai jBij   Ai j Bij  Aij Bij   Ai j Bij .
L’ultimo passaggio deriva dal fatto che Aij  Bij , così come Ai jBij  , è pari a zero in quanto esso è il
prodotto interno tra un tensore simmetrico rispetto agli indici i e j ed un altro antisimmetrico rispetto agli
25
tessi
indici.
Aij  Bij 
Cosa

 
che,
tra
l’altro,
si
può
facilmente
verificare,
infatti:

1
1
Aij  A ji
B  B ji  Aij Bij  Aij B ji  A ji Bij  A ji B ji e sommando i primi due termini
2
2 ij

 

rispetto ad i si ottiene: Aij Bij  Aij B ji  A1 j B1 j  A2 j B2 j  A3 j B3 j  A1 j B j1  A2 j B j 2  A3 j B j3  0 .
2.3
Trovare nel sistema cartesiano ottenuto per una rotazione antioraria di 180° attorno all’asse z del sistema
Ox1 x 2 x3 , le componenti (a) del vettore a  1 0 0 , (b) di b  1 1 1 e (c) del tensore:
 2 0 4


Υ  0 1 0  .


4 0 1
La matrice di trasformazione dal sistema di riferimento Ox1 x 2 x3 a quel ruotato è:
aij 
  1 0 0


  0  1 0 .


 0 0 1
 1 0 0 1  1
 1 0 0 1  1

    

   
Quindi: (a) a   0  1 0  0   0  e (b) b   0  1 0  1   1 .

    

   
 0 0 1 0  0 
 0 0 1 1  1 
  1 0 0   2 0 4   1 0 0  2 0  4

 
 
 

(c) Per il tensore Y si ha: Υ    0  1 0  0 1 0   0  1 0   0 1 0  .

 
 
 

 0 0 1 4 0 1  0 0 1  4 0 1 
2.4
Trovare i valori principali e le direzioni principali del seguente tensore, rappresentato in forma matriciale, ed
esprimerlo in un sistema di riferimento cartesiano avente gli assi coincidenti con le direzioni principali:
2 1 0


G  1 2 0  .


0 0 2
Per il tensore G l’equazione caratteristica è:
da cui si ricava:
2
1
0
1
2
0
0
0
2
 0,
2   2   2     1  2   2  4  3  2   1   3     0 .
Le radici sono,
quindi, 1  3 , 2  2 e 3  1 , che sono i tre valori principali di G. Per 1  3 le eq. (2.9-5) si
riducono alle seguenti:
n1  n2  0
n1  n2  0 ,
n3  0
1
1 
che, con la condizione ni ni  1 , danno n̂  
2


1
2

0 . Per 2  2 le eq. (2.9-5) si riducono alle

seguenti:
26
n2  0
n1  0
,
2
che, con la condizione ni ni  1 , danno n̂  0 0  1 . Per 3  1 le eq. (2.9-5) si riducono alle
seguenti:
n1  n2  0
n1  n2  0 ,
n3  0
 1
che, con la condizione ni ni  1 , danno n̂ 3  
2

mutualmente ortogonali (si ricorda che cos 45  1



aij  



 







1
0
1
2
1
1
2
0
1
2
0
1


2
2
2
1
2

0
1
2

1
2

0 . Questi versori individuano tre direzioni

2 ) e la seguente matrice di trasformazione:

0

 1 , che definisce due gruppi di versori simmetrici rispetto all’origine , cioè:

0

  1
0  
2
 
1 e  0
  1
0  
2
 
1

2
0
1
2

0

 1 .

0

x3
x2*
45°
x2
x3*
x1
x1*
Utilizzando come sistema di riferimento principale il primo gruppo di versori (disegnato nella figura
precedente), la matrice rappresentante il tensore può essere diagonalizzata riportandola nel sistema di
riferimento principale scelto, mediante la trasformazione G*  AGAT :







1
1
2
0
1
2
0
1
2

2
 1

0  2 1 0   2
  1
 
1   1 2 0   
  2
 
0 0 0 2  0



1 

2  3 0 0 

1  
0 
 0 2 0 .

2


1
0  0 0 1


0
27
ˆ3 n
ˆ 1 n
ˆ 2 ), tutti in grado di
In realtà altri sistemi di riferimento levogiri (la levogirità è rispettata quando n
diagonalizzare il tensore, possono essere individuati, come:
 1

 2
 0
 1
 2

1
2
0
1
2

0

 1 ,

0








1

1
2
0
1
0
1
2
2
2
 1

2

1
oppure, invertendo gli assi: 
 2
 0


2.5
  1
0  
2
 
1 o  0
  1
0 
  2
2
1


1
2
0
1
2

0

 1 ,

0


0

0 , che, però, diagonalizza il tensore come:

1


1


2
0
3 0 0 


0 1 0  .


0 0 2
Trovare i valori principali e le direzioni principali del seguente tensore, rappresentato in forma matriciale, ed
esprimerlo in un sistema di riferimento cartesiano avente gli assi coincidenti con le direzioni principali:
11 2 0


U   2 8 0 .


 0 0 1
11  
2
0
2
8
0
0
0
1 
Per il tensore U l’equazione caratteristica è:
0,
da cui si ricava: 1   11   8     4  1   12   7     0 . Le radici sono, quindi, 1  12 ,
2  7 e 3  1 , che sono i tre valori principali di U. Gli autovalori danno le direzioni principali
individuate dai seguenti versori:
2
1 
n̂  
5


1
5
 1

2
0 , n̂  
5



2
5

3
0 e n̂  0 0  1 . Dai quali si può ottenere un sistema

di riferimento rappresentato dalla seguente matrice di trasformazione:
aij 
 2

 5
1
 

5
 0



1
5
2
5
0

0

0 .

1


La matrice rappresentante il tensore può essere diagonalizzata riportandola nel sistema di riferimento
principale scelto:
 2

 5
 1

5
 0


1
5
2
5
0

 2
0
11 2 0  5
 
  1
0   2 8 0  
 
  5
1  0 0 1  0





1
5
2
5
0

0
12 0 0
 


0   0 7 0 .
 

1  0 0 1


28
2.6
Trovare i valori principali e le direzioni principali del seguente tensore, rappresentato in forma matriciale, ed
esprimerlo in un sistema di riferimento cartesiano avente gli assi coincidenti con le direzioni principali:
2

1

 3

3

3 .

4

1
2
3
2  
1
3 


L’equazione caratteristica è:  1
2
3   0,


3 4  
 3


da cui si ricava: 6     12  0 . Le radici sono, quindi, 2,3  1 di molteplicità due e 1  6 , per la
quale le eq. (2.9-5) si riducono alle seguenti:
 4n1  n 2  3n3  0
n1  4n 2  3n3  0
.
3n1  3n 2  2n3  0
Dalle prime due si ottiene n1  n2 , mentre dalla terza n3  3n1 . Utilizzando la condizione ni ni  1 , si ha:
2
2
2
n1  n1  3n1  1 ,
ˆ1 
n
ˆ2 
n
ˆe1  ˆe 2 
5
1
5 1
2
5
da

3ˆe 3  ˆe*1 ,
ˆe1  ˆe 2   ˆe*2 ,
n1  n2  
cui
una
scelta
1
n3  
e
5
ovvia
per
un
3
.
Scelto
come
perpendicolare
a
versore
5
versore
questo
è:
ˆ 1 n
ˆ 2  0 . Il versore del terzo asse è banalmente costruito dalla
infatti, n
 3
3
2  *
ˆ3 n
ˆ 1 n
ˆ 2 , che da: n
ˆ3 
ˆe1 
ˆe 2 
ˆe 3  ˆe 3 .
relazione: n
 10
10
5 

Dai quali si può ottenere un sistema di riferimento rappresentato dalla seguente matrice di trasformazione:
aij 









1
1
5
1
5
1

2
3
2
3
10
10
3 

5 

0 .

2


5
La matrice rappresentante il tensore può essere diagonalizzata riportandola nel sistema di riferimento
principale scelto:









1
1
5
1
5
1

2
3
2
3
10
10
3 

5  2
 
0  1
 
2   3


5
1
2
3


3 
 
3  
 
4 



1
5
1
5
3
5
1

2
1
2
0
3 

10  6 0 0

3  
  0 1 0  .
10  

2  0 0 1


5 
29
2.7
Un tensore si dice isotropo se le sue componenti sono le stesse in ogni sistema di riferimento in un punto. Sia
P un tensore isotropo di rango due di componenti Pij nel sistema cartesiano Ox1 x 2 x3 . Sia O x1 x2 x3 un
sistema di coordinate ottenuto da Ox1 x 2 x3 mediante una rotazione antioraria di 120° attorno all’asse:
3 ˆe1  ˆe 2  ˆe 3  . Mostrare tramite la trasformazione di coordinate tra questi due sistemi di
ˆ 1
n
riferimento che P11  P22  P33. Quali sono le altre relazioni tra le altre componenti del tensore?
La matrice di trasformazione tra i due sistemi di riferimento è:
0 1 0 


T
A  0 0 1 . Se in O x1 x2 x3 le componenti del tensore sono Pj i  , dalla relazione P  A P A , si ha:


1 0 0
T
0 1 0  P1 1

 
0 0 1   P21

 
1 0 0  P3 1
P1 2
P22
P3 2
P1 3  0 1 0  P3 3
 
 
P23   0 0 1   P1 3
 
 
P3 3  1 0 0  P23
P3 1
P1 1
P21
P3 2 

P1 2   P .

P22 
Dalla relazione precedente si ha evidentemente che P11  P3 3 , ma, poiché il tensore è isotropo, vale anche
che P3 3  P33 . Ne risulta che P11  P33 . Analogamente, P11  P22 e P22  P33 , pertanto P11  P22  P33 .
Inoltre, con lo stesso ragionamento si deduce che P31  P12 , P32  P13 , P13  P21 , etc… in conclusione:
P12  P13  P21  P23  P31  P32 .
Tutti i tensori di rango zero sono isotropi; nessun tensore di ordine uno è isotropo; l’unico tensore di ordine
due isotropo è il delta di Kronecker, pertanto ogni tensore di ordine due isotropo può essere scritto come  I,
dove  è uno scalare e I la matrice identità; l’unico tensore di rango tre isotropo è il simbolo delle
permutazioni.
2.8
Avendo introdotto i simboli I T  Tii e DT  1 3  I T 1 3  Tii per indicare la traccia e il deviatore di un
tensore T, rispettivamente, dimostrare che ogni tensore doppio si può decomporre nella somma di un tensore
isotropo e di un tensore puro (si chiama puro un tensore con traccia nulla). Applicare il teorema al seguente
tensore doppio:
 2  3 1


H    3  3 2 .


2 7
 1
Aggiungendo è sottraendo il deviatore ad un tensore, si ottiene:


Tij  Tij  DT ij  DT ij .
Ovviamente, il tensore tra parentesi quadre è un tensore puro avendo traccia uguale a zero, infatti
Tii  DT ii  I T  DT 3  I T  I T , mentre DT ij è naturalmente un tensore isotropo.
Poiché, I H  6 e DH  2 , applicando ad H il discorso precedente, si ha:
 2  3 1   2  3 1
1 0 0 
1 0 0  0  3 1 2 0 0

 




 
 

H    3  3 2      3  3 2   2  0 1 0    2  0 1 0     3  5 2    0 2 0  .

 


 

 
 

2 7   1
2 7
2 5 0 0 2
 1
0 0 1 
0 0 1  1
30
2.9
Dimostrare che un tensore doppio si può decomporre nella somma di un tensore simmetrico puro, di un
tensore antisimmetrico e di un tensore isotropo.
Aggiungendo è sottraendo il deviatore ad un tensore, espresso come somma della sua parte simmetrica ed
antisimmetrica, si ottiene:


Tij  Tij   Tij   Tij   DT ij  Tij   DT ij ,
dove ovviamente Tij   DT ij è un tensore simmetrico puro. Ad esempio:
 1 0 2


T   4 2 0 


0 2 3
 1 2 1  0  2 1  2 0 0

 
 

0  1  0 2 0 .
 2 0 1   2

 
 

0  0 0 2
 1 1 1  1 1
Nel caso il tensore da scomporre fosse simmetrico la parte antisimmetrica avrebbe, ovviamente, tutte le
componenti uguali a zero. Tra l’altro, per un tensore simmetrico Tij   Tij , per cui si può scrivere:


Tij  Tij  DT ij  DT ij .
2.10
Si può costruire un tensore T che applicato ad un vettore genera la sua proiezione su di un piano. Trovare
l’espressione di questo tensore.
v
n̂
Tv
ˆ n
ˆ . Infatti,
Si può vedere che T  I  n
T  v nˆ  I  nˆ  nˆ  v nˆ  I  v  nˆ  nˆ  v nˆ  v  nˆ  v nˆ  nˆ  v  nˆ  nˆ  v nˆ  nˆ   v  nˆ  nˆ  v  0 ,
cioè, la proiezione di T  v su n̂ è uguale a zero.
L’espressione di T si può ricavare dall’espressione della somma di vettori, applicata alla figura precedente.
ˆ , in cui  è un valore scalare incognito. Moltiplicando scalarmente la precedente
Infatti, v  T  v    n
ˆ . Sostituendo il valore ottenuto nella relazione precedente si ha:
equazione per n̂ , si ottiene che   v  n
ˆ  v  v  n
ˆ  n
ˆ  v  n
ˆ n
ˆ   v  I  n
ˆ n
ˆ  v , da cui si ricava T.
T v  v  n
2.11
Calcolare la derivata direzionale lungo la direzione individuata dal versore ni della funzione scalare h(x) 
xx  xixi.
Poiché
h
 2 xi , applicando la formula relativa alla derivata direzionale si ha:
xi
ˆ 
Dh x   n
2.12
h
n  2 xi ni .
xi i
Calcolare il gradiente del campo vettoriale vx   x1 x2 x3 x1ˆe1  x2ˆe 2  x3ˆe3  .
v  2 x1x2 x3 ˆe1  ˆe1   x1 x3 ˆe1  ˆe 2   x1 x2 ˆe1  ˆe3   x2 x3 ˆe 2  ˆe1   2 x1x2 x3 ˆe 2  ˆe 2  
2
2
2
x22 x1 ˆe 2  ˆe3   x32 x2 ˆe3  ˆe1   x32 x1 ˆe3  ˆe 2   2 x1x2 x3 ˆe3  ˆe3 
.
31
In forma matriciale:
2 x x x
 1 2 3
v   x22 x3

 x32 x2

x12 x3
2 x1 x2 x3
x32 x1
x12 x2 

x22 x1 

2 x1 x2 x3 

La divergenza di questo campo vettoriale è: div v  2 x1 x2 x3  2 x1 x2 x3  2 x1 x2 x3  6 x1 x2 x3 . E’ interessante
notare che la divergenza è semplicemente la traccia di v , cioè, trv  divv .
32
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