Tale disturbo è caratterizzato da uno stato emotivo molto
spiacevole, gravato da tensione e nervosismo e
accompagnato da sintomi fisiologici più o meno accentuati
come palpitazioni cardiache, tremore, nausea, vertigini,
cefalee (mal di testa), spasmi addominali e sudorazione
fredda.
I termini ansia e paura vengono spesso usati
indifferentemente per denotare un medesimo stato
psicofisiologico. Ma l'ansia riguarda la sfera emotiva e la
paura quella cognitiva. La paura cioè si riferisce alla
valutazione (ipervalutazione) di uno stimolo minaccioso
considerato tale soggettivamente mentre l'ansia riguarda la
risposta emotiva a quella valutazione.
La paura entra in azione quando il soggetto è esposto
fisicamente o psicologicamente allo stimolo esterno o interno
che considera pericoloso (minaccioso) e l'attivazione della
paura genera l'ansia. Ad esempio: se entro in ascensore
potrei rimanere bloccato, se sono già in ascensore mi assale
la tensione; se tento un approccio con quella ragazza potrei
essere rifiutato, quando le parlo lei sembra non ascoltarmi
con interesse ed io mi agito.
Se il fenomeno dell'ansia è visto dal punto di vista cognitivo,
cioè dal punto di vista della testa che valuta lo stimolo
minaccioso prima che si verifichi la reazione di ansia, diviene
possibile poter gestire in tempi molto più brevi la cura del
disturbo mediante interventi centrati sul problema senza
dover far ricorso a lunghe e costose terapie tradizionali che
sono per lo più rivolte alla ristrutturazione globale della
personalità.
Può accadere che il soggetto ansioso si chieda se il suo stato
emotivo sia irrazionale. L'argomento è complesso, ma è
illogico denotare l'emozione o lo stato emotivo razionale o
irrazionale, qualificazioni che sono invece da applicare ai
pensieri o ai concetti.
La paura al contrario è possibile definirla realistica o
irrealistica, razionale o irrazionale.
Una paura è realistica quando si basa su assunzioni logiche e
sull'osservazione oggettiva, è irrealistica quando si basa su
assunzioni false e/o su un ragionamento difettoso oltre ad
essere in contrasto con l'osservazione.
L'ansia non è né reale né irreale poiché si riferisce ad una
risposta affettiva e non ad un processo di valutazione della
realtà.
A volte può accadere che la persona possa avvertire la
reazione di paura solo parlando o rappresentandosi
(visivamente, auditivamente o cenestesicamente, mediante la
sensazioni cioè) la situazione minacciosa, soffermarsi su
quest'ultimo aspetto rende concreto e presente un pericolo
distante e futuro.
Le reazioni di una persona tra la previsione di un confronto
con la situazione di pericolo e l'effettivo confronto con la
stessa sono molto diverse, cioè non appena la persona entra
nella situazione "pericolosa" vengono attivati i modelli
dell'emergenza costituiti dalla fuga, dall'inibizione o dallo
svenimento. Ad esempio un soggetto che deve sostenere un
esame, fuori dalla sala è relativamente calmo poi a mano a
mano che si avvicina il suo turno gli sembra di non ricordarsi
più niente e sente il bisogno di uscire all'aperto; un altro
soggetto in attesa di un prelievo di sangue per delle analisi
visualizza l'ago che gli penetra la vena e sente di stare per
svenire; un altro ancora che dovendo parlare con il suo
capoufficio in presenza dello stesso sente che le parole che
deve dire gli "muoiono in gola" provando una penosissima
sensazione d'inibizione.
L'ansia è una esperienza drammatica che ognuno cerca di
evitare compiendo passi per la riduzione dell'emozione e per
prevenirne il ritorno. Ma l'ansia in sè non costituisce il
processo patologico nei disturbi ansiosi proprio come il dolore
non costituisce il processo patologico in una infezione.
Funzione dell'ansia è quella di innescare strategie di
cambiamento per ridurre il "pericolo" o la "minaccia". I
pensieri e le azioni che hanno successo nella riduzione del
pericolo, riducono generalmente l'ansia, diversamente l'ansia
persiste.
Nei disturbi di ansia, la continua produzione di reazioni
ansiose spinge il soggetto alla riduzione del supposto pericolo
che è attivato dalla risposta ansiosa. Ma quando il pericolo
non è reale o se ne ha una percezione sbagliata oppure viene
ipervalutato, la reazione ansiosa impedisce di porre in essere
un comportamento adeguato: il soggetto non ha la possibilità
cioè di fermare un pericolo che non esiste o che è esagerato.
Quindi il problema principale nei disturbi ansiosi non è
costituito dalla reazione ansiosa ma dagli schemi di
valutazione cognitiva che non sono adatti ad affrontare il
pericolo e che costituiscono l'organizzazione esperenziale
interna del soggetto in termini di pericoli e minacce.
Se hai una cattiva opinione delle persone ansiose non ti puoi
aspettare che valutazioni negative da parte degli altri.
Quando pensi che gli altri potrebbero evitarti se si accorgono
della tua ansia, pensa che un ladro teme sempre che tutti lo
riconoscano!
SINTOMI DEL DISTURBO DA ANSIA
Partendo dall'assunto che i sintomi da ansia sono espressioni
di funzioni psicologiche, si può affermare che l'apparato
cognitivo; - in presenza di una minaccia o di un "pericolo" emette valutazioni delle situazioni, delle persone, degli eventi
e delle risorse di cui il soggetto dispone per fronteggiare i
problemi. Egli prefigura in tal modo un "pericolo" e
sottovalutando le sue risorse attiva le componenti affettive,
comportamentali e fisiologiche disturbanti.
La componente affettiva (l'ansia cioè) accelera il processo
rendendo urgente atti risolutori.
La componente comportamentale riguarda sia l'attivazione
che l'inibizione.
La componente fisiologica mobilizza l'organismo.
Bisogna poi tenere presente che la flessibilità di passaggio da
un pensiero ad un altro o da una azione ad un'altra è
gravemente inficiata dalla presenza dei sintomi per cui i
comportamenti difensivi di fuga, evitamento, inibizione e
blocco perdurano anche quando il "pericolo" è trascorso
facendo reagire inappropriatamente il soggetto a nuove
situazioni e impedendo al soggetto stesso di uscire dalla
modalità di pericolo. Si instaura così una modalità
omeostatica di automantenimento altamente stressante.
I sintomi che riguardano il disturbo da ansia appartengono
alle seguenti quattro sfere funzionali: cognitiva, affettiva,
comportamentale e fisiologica, che possono - ognuna iperfunzionare ovvero interferire reciprocamente disadattando
il soggetto nella risposta al "pericolo".
I sintomi cognitivi riguardano la percezione interna o
dell'ambiente e in tal caso il funzionamento mentale sembra
confuso, oscurato, stordito; aumenta la consapevolezza di sé
e la vigilanza mentre l'ambiente sembra diverso, irreale e gli
oggetti sono percepiti come offuscati e distanti. Quando
invece è intaccato il pensiero si possono verificare: difficoltà
di concentrazione, incapacità di controllo del pensiero stesso,
confusione, affievolimento del ricordo, distraibilità, difficoltà
nel ragionamento con perdita di obiettività e prospettiva.
I sintomi della sfera cognitiva sono anche di natura
concettuale quando esiste paura: di perdere il controllo, di
non essere in grado di far fronte alle situazioni, di ferite
fisiche o di morte, di disturbi mentali; possono essere
presenti immagini visive minacciose e produzione ripetitiva di
pensieri spaventosi.
I sintomi della sfera affettiva sono quelli che colpiscono di più
l'osservatore. Quando il problema che provoca gli stati
affettivi disturbanti è urgente e improcrastinabile vi può
essere panico, altrimenti si verifica una cronicizzazione dello
stato disagevole.
Gli stati affettivi si esprimono con: irritabilità, impazienza,
nervosismo, tensione, suscettibilità, terrore, allarme,
eccitazione.
I sintomi della sfera comportamentale si esprimono
mediante: inibizione, immobilità del tono muscolare, fuga,
evitamento, linguaggio e coordinazione difficoltosi, agitazione
motoria, collasso e iperventilazione (eccessiva immissione di
ossigeno nei polmoni).
La sfera fisiologica presenta una ampia gamma di sintomi,
distinti però a seconda dei due rami del sistema nervoso
centrale: il simpatico e il parasimpatico. Il ramo simpatico
opera per il fronteggiamento della situazione ed allora si
possono avere le seguenti reazioni fisiologiche: palpitazioni,
tachicardia, aumento della pressione sanguigna, respirazione
rapida o difficoltosa o superficiale o insufficiente o affannosa,
pressione al torace, nodo alla gola, sensazione di
soffocamento, incremento di riflessi, reazione d'allarme,
palpebra contratta, insonnia, spasmi, tremori, rigidità,
agitazione, espressione contratta, vacillamento, debolezza
generalizzata, gambe traballanti e movimenti goffi, perdita
dell'appetito o repulsione per il cibo, disturbi addominali,
rossore o pallore del volto, efidrosi (sudorazione palmare),
iperidrosi (sudorazione generalizzata), momenti di caldo e
freddo, prurito.
Il ramo parasimpatico agevola la strategia del collasso cioè
quella per cui il soggetto è impotente e senza difese nel far
fronte ad una minaccia. In tal caso i sintomi sono i seguenti:
debolezza, svenimento, calo della pressione sanguigna e del
ritmo cardiaco, spasmi bronchiali, dolori addominali, nausea,
bruciore di stomaco, vomito impulso e/o frequenza
nell'orinare.
I sintomi che appaiono come reazione (ora inadeguata) di
autoprotezione dell'organismo nella sua completezza
psicofisiologica trovano la loro ragione d'essere se esaminati
alla luce dell'evoluzione della specie umana che ha dovuto
sviluppare una serie di reazioni, sino dalla sua prima
apparizione, per fronteggiare l'ostilità e i pericoli degli altri
esseri umani e animali nonché dell'ambiente.
Chi voglia approfondire tale argomento può far riferimento
all'esemplare e innovativo lavoro del biologo Laborit e a
quello dell'etologo Lorenz.
Se diventi consapevole di quando menti, imparerai molto di
più su di te.
Se pensi di dover essere sempre sereno, corri il rischio di
doverti arrabbiare spesso!
ANSIA PATOLOGICA E DISTURBI DEL PENSIERO
Due sono sostanzialmente i criteri per distinguere l'ansia
compatibile con la propria soglia individuale di contenimento
da quella patologica: uno riguarda il livello d'ansia
assolutamente sproporzionato rispetto al rischio e che
eventualmente si mantiene oltre la propria soglia anche
quando il possibile rischio e pericolo sono terminati e un altro
che concerne la valutazione dell'impatto della reazione
ansiosa sul funzionamento dell'individuo nella sua vita.
Senza ricorrere a casi eclatanti si può citare, al riguardo,
l'esempio di un soggetto che soffre molto e presenta degli
effetti psicosomatici come coliti o dermatiti oppure di un altro
soggetto le cui funzioni intellettuali o l'adattamento sociale
e/o professionale sono pervasivamente danneggiati.
L'attenzione del soggetto ansioso non è così distratta come si
può a prima vista osservare, ma è concentrata, quantunque
inconsapevolmente, sui concetti di pericolo o di minaccia.
L'eccessiva vigilanza su tali concetti lo inducono ad una
continua esplorazione diretta alla ricerca di segnali di disastri
o danni personali incombenti. Poiché l'investimento di energia
è massimo in tale ricerca, ben poche forze rimangono al
soggetto ansioso per concentrarsi sui compiti specifici o nel
pensiero riflessivo che rimangono entrambi in secondo piano
rispetto all'attenzione agli stimoli che possono indicare
l'imminenza di disastri o danni.
Lo stato di continua allerta produce numerosi "falsi allarmi"
che tengono il soggetto in una condizione costante di
emotività frustrante e di agitazione, ad esempio il lancinante
suono di una sirena dell'ambulanza può innescare il pensiero
che un proprio caro abbia avuto un incidente stradale e non
c'è tranquillità sino alla verifica.
Lo stato di continuo allarme per il "pericolo" si manifesta
attraverso pensieri automatici inconsapevoli e persistenti di
possibili danni fisici e/o mentali che hanno la caratteristica
della rapidità intrusiva, della ripetizione e della completa
plausibilità quando si presentano. Tali pensieri sono talmente
rapidi che il soggetto è consapevole solo dell'ansia generata
dal pensiero stesso che ha elaborato l'informazione interna o
esterna producente l'ansia.
Il soggetto può anche riconoscere che i pensieri sono illogici e
in tal caso sarà necessario "addestrarlo" al riconoscimento del
pensiero mediante il richiamo dello stesso con la tecnica dell'
"immediata ripetizione". Ad esempio un soggetto terrorizzato
dall'idea di avere un cancro, viene invitato a ripetere il
"terrore" e a trovare il pensiero immediatamente precedente
che glielo ha evocato (un racconto, immagini televisive, un
articolo sul giornale, ecc...)
La gamma dei pensieri difettosi è molto ampia, e ad essi è
stato fatto riferimento più volte nella trattazione dei vari
argomenti pertanto mi limiterò qui a citarne tre molto
comuni, frequenti anche nelle persone che non presentano
marcate reazioni ansiose o che presentano un leggero tratto
depressivo.
Uno è la tendenza a catastrofizzare, cioè a insistere sul
peggior risultato e sui risultati negativi delle situazioni che
non necessariamente potrebbero esitare in peggio. Un altro è
la tendenza a riferirsi nella propria esperienza solo a
situazioni negative o ad elementi negativi della situazione che
pur ne presentava alcuni positivi. Un altro ancora è costruito
dalla tendenza, in presenza di un "pericolo" interno o esterno,
a valutare la situazione in termini opposti e assoluti così che
se essa non è assolutamente sicura significa che è insicura.
Ad esempio per una persona in cerca di lavoro i pensieri
possono essere i seguenti: sicuramente non mi assumeranno;
non mi hanno assunto prima non lo faranno neanche adesso;
se non mi assumono rimarrò disoccupato per sempre.
Puoi evitare la gente e i posti, ma non i tuoi pensieri: se
consenti loro di essere negativi, sarai negativo. Però è vero
anche il contrario.
Quando non sai cosa dire a qualcuno arrabbiato con te,
ricordati che hai quattro scelte: star zitto, essere d'accordo,
non essere d'accordo, cambiare argomento.
Se ti senti rifiutato dagli altri per i tuoi chili di troppo e
qualcuno invece ti fa dei complimenti per il tuo aspetto, non
festeggiare l'evento mangiando cibi ipercalorici!
VULNERABILITA' NELL’ANSIA ED EVOLUZIONE IN
DEPRESSIONE
Un soggetto che sente di non avere il controllo oppure che ha
un controllo minimo sugli esiti delle situazioni interne ed
esterne valutate disfunzionalmente pericolose presenta un
alto set di vulnerabilità che induce ad un decremento di
fiducia in sé, poca fiducia in sé crea sfiducia e quest'ultima
decrementa vieppiù la fiducia residua.
La fiducia in sé riguarda la valutazione positiva che un
soggetto ha delle proprie risorse personali nell'affrontare i
problemi. Ma quando per esempio il pensiero è difettoso a
causa dell'inclinazione: a considerare minime le proprie
risorse, a considerarsi debole o inadatto o incompetente, ad
esagerare i problemi oppure ad incolparsi perché non può
permettersi di sbagliare; allora c'è il rischio che la fiducia in
sé venga talmente minata e corrosa da rendere il soggetto
assolutamente vulnerabile.
Anche se in passato ha conseguito risultati positivi, il
soggetto vulnerabile crede che in futuro potrà sempre
sbagliare e che le conseguenze degli errori saranno molto più
gravi.
Sembra che la sua memoria faccia riferimento solo agli
insuccessi. Tale è il caso per esempio di uno studente con un
buon curriculum generale e pochissime votazioni sotto la
media che dovendo sostenere un esame impegnativo, si
sente assolutamente insicuro poiché gli pervengono in mente
flussi di pensieri negativi come: "...se questa volta non mi
ricordo tal argomento" o "...e se il professore percepisce che
sono insicuro", ecc.; l'attenzione dello studente si incentra
sulla sua incapacità e ciò determina l'abbassamento del suo
livello di prestazione.
Le conseguenze dell'indebolimento della fiducia in sé
intaccano globalmente la vita della persona sia nel campo
delle relazioni sociali che in quello individuale.
Quando la persona vulnerabile diviene disperata, a causa
dell'instaurarsi di una modalità di insicurezza permanente,
può "decidere" di lasciarsi andare e abbandonare
completamente il raggiungimento di qualsiasi obiettivo.
In tal caso il set di vulnerabilità evolve in stato depressivo.
Nella depressione il soggetto si autocritica totalmente, le sue
valutazioni negative sono globalmente pervasive, non ha
futuro, i suoi sbagli non potranno mai più essere rimediati, si
sente sempre e comunque inadatto, non potrà mai più
sentirsi gratificato, nessuno si interesserà mai più di lui e non
sarà mai più capace di affrontare le avversità o di migliorarsi.
Diversamente, il soggetto con disturbo d'ansia conserva una
"scorta" di fiducia in sé che gli consente una certa selettività,
pertanto la sua vita non presenta i termini di irrevocabilità e
assolutezza dello stato depressivo.
Spesso accade però che disturbo d'ansia e stato depressivo si
intersechino o si sovrappongono per cui il soggetto ansioso a
volte è depresso, mentre il soggetto con tratto depressivo è
quasi sempre ansioso.
Chi desiderasse approfondire il tema della depressione può
utilmente consultare il testo di Beck sull'argomento.
Hai mai pensato che puoi riprendere il controllo di una
situazione interpersonale "scegliendo" di lasciar perdere il tuo
desiderio di voler controllare: il tuo interlocutore avrà
l'illusione di controllarti, ma tu sai che così non è!
Qualche volta puoi anche fare a meno di denigrarti
accettando di essere quello che sei: non è rassegnazione ma
constatazione di realtà.
La vergogna è come il vaccino contro una malattia virale:
devi esporti a piccole dosi di vergogna per allenarti alla
stessa, così come si assumono piccole dosi di virus attenuato
per evitare la grande infezione.
DISTURBO DA AGORAFOBIA
La sindrome agorafobica è il risultato di un insieme di
componenti sostanzialmente riconducibili:
a. alla paura di essere o di venire a trovarsi in posti che non
sono conosciuti ovvero in situazioni da cui è difficoltoso
(meglio vergognoso e imbarazzante sottrarsi);
b. alla paura di gravi malattie come possibili derivati di
inspiegabili e dolorose sensazioni interne;
c. al desiderio impellente di ritornare a casa o in un altro
luogo sicuro quando l'ansia sta per diventare
incontrollabile;
d. alla necessità di avere accanto una persona di cui ci si
fidi quando ci si allontana da casa o si teme fortemente
un possibile attacco d'ansia. I luoghi fisici temuti
concernono per lo più mezzi di trasporto (autobus, treno,
automobile, navi, aereo), ristoranti, cinema, discoteche o
altri posti di ritrovo affollati, supermercati, autostrade,
strade con intenso traffico e con possibilità di
intasamento, ponti, gallerie ovvero semplicemente un
tratto di strada fatto a piedi da soli.
Benchè etimologicamente agorafobia significhi paura di spazi
aperti, quelli chiusi come le banche a chiusura controllata, gli
ascensori o altri spazi ristretti come docce, bagni ecc.
possono provocare pari i sintomi dell'agorafobia.
La possibilità di collassare, di rimanere intrappolato o umiliato
dalla gente scatena automaticamente una serie di pensieri
negativi collegati con disturbi interni gravi sentiti come
assolutamente reali e riguardanti l'infarto, il collasso, la
pazzia e perfino la morte. Da tali attacchi interni sembra
possibile difendersi.
L'individuo sente che non funziona bene e che non è in grado
di affrontare ciò che altri fanno quotidianamente senza
nemmeno pensarci (guidare un'auto, avere contatti sociali
senza bloccarsi, mantenere l'equilibrio in piedi o
camminando, ecc.): ciò non fa che rinforzare il flusso di
pensieri negativi i quali insistono sul sentire di essere in
preda di forze interne ed esterne su cui non si ha nessun
controllo.
Non trovando alcuna soluzione al suo problema, l'agorafobico
si rivolge allora ad una figura protettiva per ottenere aiuto
(genitore, partner, ecc.) che aiuta si il soggetto, ma nel
contempo così agendo, conferma anche il suo disturbo e la
sua "diversità".
Il disagio intenso provato nelle situazioni minacciose può
sfociare in attacco da panico e in ogni caso spinge la persona
a fuggire dalla situazione ansiogena per cercare un rifugio
sicuro (di solito a casa propria), Poiché la casa rappresenta la
sicurezza, il soggetto avrà sempre più paura ad avventurarsi
fuori e se dovesse farlo, lo farebbe con molta ansia.
Il sentirsi inadeguati, il bisogno di una figura protettrice e la
tendenze svalutative delle proprie capacità minano alla radice
la fiducia in sé e spingono ad una ulteriore senso di
inadeguatezza consistente sostanzialmente in rapporti
personali di sottomissione e alla sensazione di non avere
nessuna via d'uscita.
I rapporti personali di sottomissione riguardano per lo più il
coniuge o il partner e sono vissuti in modo ambivalente. Da
una parte l'agorafobico ha bisogno del partner a cui chiedere
aiuto quando è necessario, dall'altra si ribella a tale
dipendenza specie quando il partner usa la sua posizione per
dominare.
Interrogato su quali siano i suoi più grandi desideri,
l'agorafobico si riferisce ad un non ben chiarito concetto di
libertà, all'autonomia e al tenere tutto sotto controllo.
Quest'ultimo aspetto in particolare unitamente alla paura di
non riuscirvi, potrebbe concernere un desiderio represso di
rompere le regole sociali che gli stanno "strette". Genitori e
familiari significativi eccessivamente criticanti e/o severi
possono preparare il terreno all'insorgere dell'agorafobia
circondando il soggetto con regole di comportamento e/o
morali da cui il soggetto stesso non può fuggire e che vive
ambivalentemente fra accondiscendenza e ribellione.
Non può sfuggire come l'ambivalenza rispecchi gli spazi
stretti (luoghi con molta gente, ascensore, aereo, doccia,
ecc.) quando è più o meno consciamente rammemorata
l'accondiscendenza e la compiacenza vissuta costrittivamente
e gli spazi larghi (centri commerciali, supermercati, pianure,
ecc.) quando più o meno consciamente viene rammemorata
la ribellione vissuta come desiderio di libertà in cui però ci si
perde in quanto si è soli, senza l'approvazione cioè delle
figure protettrici (genitori, familiari significativi).
La paura della paura di entrare in una zona pericolosa o
minacciosa instaura un circolo vizioso da cui è difficile uscire
poiché si automantiene in vita omeostaticamente, in tal caso,
l'attacco di panico può aver luogo quando il soggetto entra in
una situazione dove c'è già stato un attacco, quando ci sono
avvisaglie di uno stato interno spaventoso che indica il
pericolo oppure quando il soggetto si separa dalla persona cui
fa riferimento per la protezione e il soccorso ovvero si
allontana da casa.
Più tenti di non pensare alle tue paure per non spaventarti e
più ti spaventi perché i pensieri paurosi divengono più
invadenti. Fai la prova delle mani: non pensare alle tue mani!
e rimani ad osservare cosa ti viene in mente.
Per una volta sola smetti di pensare per estremi cioè o tutto
bianco o tutto nero: fai con il pensiero la prova dell'incontro
con la persona per te importante abbandonando gli estremi
(rifiuto, ridicolizzazione/accettazione incondizionata) e
dicendo a te stesso: "andrò e vedrò cosa succede".
Hai mai pensato che quando, in fila davanti ad uno sportello mettiamo della posta - ti sei sentito male ed eri sul punto di
svenire, avevi più paura di far brutta figura che di morire.
Il sistema migliore per liberarsi dalla paura di fare una certa
cosa non è aspettare di non aver paura per agire, ma
semplicemente agire con la paura in qualità di tua alleata.
L'ansia esprime ciò di cui hai paura: se temi di far brutta
figura, la tua ansia te la farà fare - la profezia si
autodetermina.
DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E IPOCONDRIACO
La sindrome ossessiva è caratterizzata da pensieri, impulsi o
immagini ricorrenti e persistenti invadenti e non desiderati
che non hanno alcuna correlazione con l'oggetto
dell'ossessione (ad esempio un padre o una madre che
immaginano di uccidere il proprio figlio, oppure impulsi a
desiderare atroci sofferenze per un amico, ecc.).
I tentativi messi in atto per evitare o neutralizzare
l'ossessione mediante sostituzione con altri pensieri o azioni
si rivelano del tutto inutili e conducono la persona alla
sensazione di essere anormale; di non funzionare bene.
D'altro canto il soggetto si rende conto che l'anormalità delle
sue ideazioni provengono solo dalla sua mente senza alcuna
imposizione esterna. Spesso ma non sempre la sindrome
ossessiva è accompaganata da quella compulsiva.
La sindrome compulsiva riguarda azioni e comportamenti
ripetitivi e/o rituali al fine di scaricare sugli oggetti
(esorcizzare) paure che il soggetto non riesce ad arginare
diversamente.
Come nella sindrome ossessiva, anche in quella compulsiva le
azioni ripetute, i comportamenti insoliti e i rituali non hanno
diretta relazione con la paura e l'angoscia che si vogliono
evitare (ad esempio il ripetuto lavaggio delle mani potrebbe
voler significare simbolicamente l'eliminazione di qualche
cosa di "sporco" dalla propria mente oppure il portare i guanti
bianchi potrebbe voler significare che il mondo contamina il
soggetto oppure ancora il controllo ripetuto e irrefrenabile di
letture o di conti potrebbe voler significare la ricerca della
perfezione, ecc.).
Gli adulti e coloro che non sono fissati sulla superiorità delle
loro ideazioni si rendono perfettamente conto che le loro
azioni e i loro comportamenti sono sproporzionati e non
razionali.
La diagnosi di sindrome ossessivo-compulsiva è posta
allorquando le azioni e i comportamenti che provocano grave
ansia interferiscono pervasivamente con la vita della persona
in situazioni di relazione sociale, di lavoro o di quotidianità.
Ad esempio l'alzarsi più volte dal letto durante la notte per
assicurarsi di aver chiuso il gas o le finestre, il camminare
sulle mattonelle senza calpestare le righe di divisione delle
stesse, il pulirsi le suole delle scarpe, mettiamo dieci volte sul
tappetino di entrata, il contare qualsiasi serie di oggetti e
decidersi per l'azione solo se sono pari o solo se sono dispari,
ecc. sono tutti tentativi diretti ad esorcizzare paure e colmare
l'ansia ma il sollievo è provvisorio ed allora ecco di nuovo la
ripetizione. Quest'ultima diventa allora diventa il tormentoso
disturbo cerebrale che provoca angoscia e fa "dimenticare"
ciò che causa la ripetizione di azioni, comportamenti e
ideazioni.
La sindrome ipocondriaca è stata inclusa in questo link poiché
assume gli aspetti dell'ossessione unitamente a quelli della
paura.
L'ipocondriaco teme fortemente di poter conseguire una
grave malattia basandosi su segni e sensazioni del corpo
interpretati per eccesso o erroneamente.
L'ossessività concerne la continua e costante ricerca di segni
nel proprio corpo nonché il pervicace ascolto delle sensazioni
offerte dalla propria mente, la paura riguarda l'eventualità di
potersi ammalare gravemente.
Diversamente dall'attacco di panico in cui la paura di un
disastro fisico interno favorisce la intensificazione dei sintomi
che il soggetto tenta ma non riesce ad arginare
confermandogli la convinzione di poter aver una grave
malattia, nell'ipocondria è la ricerca ossessiva dei sintomi che
porta all'acutizzazione degli stessi alimentando senza fine la
convinzione di poter avere una grave malattia.
In più, tale convinzione venendo puntualmente disattesa dai
medici interpellati e dalle analisi fatte, porta il soggetto a
ritenere che la sua patologia sia così complessa che la
scienza, con i mezzi di cui dispone, non sia in grado di
diagnosticarla e di curarla. Non solo, ma continuando ad
analizzare i segni del proprio corpo nonché rimanendo in
apprensivo ascolto dello stesso, il soggetto è praticamente
indotto ad una ricerca senza fine di soluzioni mediche e
farmacologiche.
Sei un essere umano. Puoi anche concederti di essere
imperfetto!
Puoi darti il permesso di cambiare: continuando ad agire
come hai sempre agito, vuol dire conseguire quello che hai
sempre conseguito.
Dire: "mi sento come se stessi per svenire!" e poi star male,
significa far diventare l'analogia una realtà!
Quando assumi il ruolo di vittima usando la tua ansia per
manipolare e controllare gli altri, devi giocare continuamente
al rialzo, devi cioè diventare sempre più drammatico ed
emotivo per ottenere l'attenzione degli altri.
Quando stai sbagliando, sorprenditi facendo l'opposto di
quello che hai sempre fatto: per liberarti dall'ansia devi
provarla.
FOBIE SPECIFICHE E MULTIPLE
La fobia è costituita da una paura specifica ed intensa di un
oggetto , di un animale, di una situazione, di un evento
sociale o di uno naturale.
Il termine fobia tradotto dal greco significa terrore e fuga, ed
infatti il soggetto tende a fuggire o a evitare ciò che teme, se
non c'è né fuga né evitamento si instaura la reazione emotiva
dell'ansia.
Lontano dalla situazione fobica il soggetto riconosce che la
sua paura è esagerata, ma ciò nonostante non riesce né a
eliminarla né a ridurla quando ne è in presenza.
Nella pratica clinica un paziente fobico cerca un aiuto
psicoterapeutico poiché riconosce di soffrire in situazioni in
cui altre persone provano non più che un modesto grado di
apprensione e poi perché è stanco di dover subire delle
limitazioni al proprio agire evitando costantemente le
situazioni temute. Il problema poi si complica in presenza di
fobie multiple dove evitare tutte le situazioni temute diventa
difficile, defatigante e invalidante.
Il tentativo di classificare le fobie in base al nome dell'oggetto
o dell'evento si è rivelata nel tempo impresa molto ardua
poiché la fonte dell'ansia non è l'oggetto in sè, ma le
conseguenze dannose cui il fobico potrebbe andare incontro
in presenza dell'oggetto o quando si verifica l'evento.
Praticamente le fobie sono tante quanti sono gli oggetti o gli
eventi che possono determinare paura. Inoltre è il vissuto
esperenziale del fobico a determinare la paura delle
conseguenze; ad esempio la claustrofobia da ascensore può
determinare una o più di una delle seguenti conseguenze:
paura che i cavi dell'ascensore si spezzino, paura di rimanere
intrappolato con la porta chiusa fra un piano e l'altro, paura
di rimanervi chiuso tanto a lungo da dover morire di sete o
per mancanza d'aria, paura di svenire e provare vergogna o
imbarazzo nei confronti degli altri occupanti, paura di perdere
il controllo e sbottare in urla o comportamenti osceni, ecc.
Da un punto di vista generale le fobie gravitano per lo più su
contenuti riguardanti il pericolo fisico e le difficoltà
interpersonali in situazioni sociali. Ambedue i contenuti
possono presentarsi insieme oppure essere separati.
Da un punto vista evolutivo le fobie possono essere di origine
traumatica o da fissazione e per successivi passaggi evolversi
in specificità, diffusione e molteplicità. Ad esempio un
bambino che in conseguenza di una lisca di pesce conficcatasi
in gola corse il rischio di soffocare, sviluppò in seguito la fobia
del pesce, estesasi successivamente a tutto quel cibo che
poteva nascondere qualcosa di aguzzo (il pollo, la selvaggina
volatile, ecc.) e successivamente ancora per ogni oggetto che
avesse riferimento con il cibo e si presentasse aguzzo come
stuzzicadenti, spiedini, ecc. Sicchè quando quel bambino
divenuto adulto prova senso di soffocamento in presenza
mettiamo di un paio di forbici diventa problematico poter
cogliere la relazione traumatica primaria con la lisca di pesce.
Le fobie da fissazione riguardano paure infantili o primordiali
che il soggetto non ha avuto modo di elaborare
successivamente o a causa di un processo di evitamento
autonomo ovvero aiutato dai genitori. Imparare ad evitare
l'oggetto o la situazione rinforza il sintomo così che la paura
si instaura e si mantiene omeostaticamente.
Generalmente le paure infantili concernono danni fisici
mentre quelle preadolescenziali riguardano possibili danni
psicosociali. Ad esempio se il bambino ha imparato ad evitare
tutti i luoghi alti perché sono pericolosi avendo provato paura
intensa quando, poggiato mettiamo su di un tavolo o su un
seggiolone, si muoveva per esplorare e i genitori avevano
una reazione eccessiva di allarme per una eventuale caduta,
è possibile che da adulto salendo su una scala o guardando
verso il basso da un ponte sviluppi mancanza di equilibrio e
vertigini.
I danni psicosociali possono riguardare la fobia degli esami,
quella delle vacanze, il parlare in pubblico, ecc. Ad esempio le
situazioni nelle quali un figlio è messo dai genitori a confronto
con presunte qualità di altri fratelli o di altri ragazzi con
l'intenzione di stimolarlo a far meglio possono sviluppare nel
ragazzo stesso un senso di inadeguatezza a contatto con gli
altri o per la loro competenza o il miglior aspetto fisico. Se in
futuro le situazioni di confronto saranno evitate in quanto
stimolatrici di inadeguatezza, non c'è da meravigliarsi se il
soggetto svilupperà una fobia nel parlare in pubblico per il
timore di venire giudicato oppure una fobia per le figure
d'autorità per il timore del rimprovero oppure ancora per
approcci con una persona di sesso diverso per timore del
rifiuto.
Le fobie multiple riguardano diversi stimoli fobici
apparentemente fra loro non collegati. Un esame più
approfondito mostra come le conseguenze delle varie paure
siano riconducibili ad una sola. Ad esempio una donna con la
fobia del casco nel negozio della parrucchiera, con quella
dell'ascensore, degli intasamenti stradali, dei mezzi di risalita
in montagna (funivia, seggiovia), di assistere ad uno
spettacolo teatrale, dei vestiti attillati, della puntualità e dei
contratti di affitto a lunga scadenza, presentava come base
comune la costrizione: sentirsi cioè come prigioniera di eventi
o di oggetti. Ulteriori indagini cliniche misero in evidenza
un'educazione cogente e inibente da parte della madre.
Da ultimo si vuole segnalare che l'indicazione di irrazionalità
di una paura non è sufficiente a cambiarla. Siano più
comprensivi i familiari e gli amici del fobico e non gli dicano
che basta la volontà per cambiare poiché le fobie sono
ascrivibili a cause che sono al di fuori del controllo del
soggetto.
Volere l'assoluta certezza che ciò che temi non succederà
significa mettersi al di sopra dei comuni mortali: considerare
la possibilità che vada male non implica necessariamente che
ciò accadrà, ma anche se sfortunatamente dovesse accadere
potrai sempre rimediarvi realisticamente.
DA COSA DIPENDE IL MIO DISTURBO?
Spesso, se non quotidianamente, un soggetto ansioso può
chiedersi: "…ma perché sono così?" "…da cosa dipende
questo mio star sempre male?", adombrando la convinzione
più o meno consapevole che se conoscesse l'origine del suo
problema potrebbe risolverlo o quanto meno attenuarlo.
Individuare le cause che producono i disturbi ansiosi è
alquanto problematico poiché presentano una concatenazione
di effetti che a loro volta diventano cause che si intersecano e
si sovrappongono con altri effetti e così di seguito; inoltre la
radicalizzazione del disturbo ansioso o fobico permette di
risalire all'origine solo induttivamente: possono cioè essere
fatte delle inferenze, ma anche queste sono disturbate da
ricordi sbiaditi o distorti dal tempo e dall'interpretazione a
posteriori.
L'individuazione delle cause non dà comunque la garanzia
della scomparsa del disturbo così come conoscere la causa
poniamo del diabete mellito o di una infezione virale non dà
la garanzia della scomparsa delle patologie relative. Non
esistono scorciatoie: sono necessari impegno, tempo e un
lavoro specifico con un esperto se gli sforzi autoterapeutici
non danno risultati apprezzabili.
Inoltre ogni essere umano ha un suo vissuto esperenziale
unico derivante dalle relazioni che ha con se stesso, con le
altre persone e le situazioni o eventi; ciò complica il problema
poiché le cause non possono essere seriate e catalogate come
è possibile fare per il diabete, per recitare l'esempio
precedente.
Quando poi alla questione dell'ereditarietà dei disturbi d'ansia
e fobici - al di fuori dell'annosa polemica fra genetica e
ambiente - c'è da notare che la letteratura corrente ha
rilevato esistere la possibilità di una predisposizione ereditaria
al disturbo che l'ambiente può o meno accentuare.
I fattori ambientali possono essere fatti risalire in sostanza:
a. all'educazione durante l'infanzia e l'adolescenza: genitori
iper o ipoprotettivi o insicuri che percepirono l'ambiente
(persone o situazioni) molto pericoloso.
b. a formazioni conflittuali causate dal contrasto fra istinto e
istanze ambientali che inducono il soggetto a spostare il
conflitto interno su oggetti esterni di più facile
evitamento.
c. all'associazione più o meno consapevole della insorgenza
di una fobia con un evento spaventoso e/o traumatico
(solo per alcuni tipi di fobia)
d. all'ipervalutazione cognitiva di situazioni che presentano
moderati elementi di pericolo evitabili con la normale
prudenza e all'ipervalutazione cognitiva della gravità di
sintomi fisici che anticipano e alimentano i sintomi
successivi. Le ipervalutazioni inducono il soggetto a
concentrarsi sempre di più sulle sue "disgrazie" e a
reagirvi sempre più ansiosamente.
e. a circostanze di vita (decessi, separazioni, malattia,
perdite finanziarie o del lavoro, ecc.) che possono
incidere variamente sulle persone in relazione alla loro
vulnerabilità (vedi link 3d) individuale provocando fuga
(remissività e/o rinuncia) la quale a sua volta genera
paura e quindi ulteriore fuga.
LA TERAPIA FARMACOLOGICA E LA PSICOTERAPIA
L'uso di farmaci - da assumere sempre e comunque con la
prescrizione e sotto il diretto controllo medico - può rivelarsi
vantaggioso nelle prime fasi di gestione del disturbo e in ogni
caso per un tempo circoscritto allorchè la sintomatologia
ansiosa è così altamente invasiva da costituire un grave
handicap nello svolgimento delle normali attività quotidiane e
del lavoro.
Il tempo durante il quale si assumono dei farmaci - specie
quelli ansiolitici - deve essere assolutamente breve per
evitare che il farmaco vada a far parte del sistema
omeostatico delle "tentate soluzioni" mantenendo e
alimentando il sistema stesso nel tempo.
Come sottolinea opportunamente Nardone (1993): "…sembra
che ciò che determina la costituzione della forte
sintomatologia fobica, non sia l'evento iniziale, ma tutto ciò
che il soggetto mette in atto per evitare la paura. Ciò sta a
significare che le "tentate soluzioni" operate dalla persona per
sfuggire alla paura dello scatenamento delle proprie reazioni
emotive e somatiche, conducono all'aggravarsi della
sintomatologia stessa, finendo per costituirla ad un livello
superiore di gravità, quello della completa generalizzazione
delle percezioni e reazioni fobiche nei confronti della realtà".
Prima di iniziare una cura farmacologica, bisognerà accertarsi
con il medico del rapporto rischi/beneficio, per esempio, nel
caso degli ansiolitici (meno per i beta bloccanti) è possibile
una dipendenza psicologica e l'assuefazione (che implica la
necessità dell'aumento del dosaggio per conseguire i
medesimi benefici iniziali); in alcuni casi addirittura il farmaco
può provocare (almeno inizialmente) l'incremento della
sintomatologia che si vorrebbe evitare.
Sarà anche necessario accertarsi degli effetti collaterali e
delle controindicazioni (sonnolenza, intorpidimento, nausea,
ecc.) che potrebbero interferire con l'attività lavorativa,
specie se questa prevede notevoli livelli di attenzione (come
guida di autoveicoli o uso di macchinari per esempio).
Quando insieme con l'ansia è presente uno stato depressivo
si può venir curati con farmaci antidepressivi in associazione
con ansiolitici. I medicinali antidepressivi devono essere
assunti per tempi lunghi (superiori in ogni caso a tre mesi),
hanno parecchi effetti collaterali negativi, ma non danno
dipendenza.
Particolare attenzione va poi posta alla diminuzione o alla
interruzione del trattamento farmacologico in esame senza
previa consultazione medica, sia quando è in atto la sola
terapia farmacologica che in abbinamento a quella
psicoterapeutica a causa della possibilità di ricadute e
recidive.
E' necessario aggiungere che, nel controllo dei disturbi fobico
ansiosi sono da evitare nel modo più assoluto quelle sostanze
che possono provocare una sintomatologia simile a quella
dell'ansia come per esempio alcuni inibitori della fame agenti
a livello centrale o alcuni stimolanti di sintesi e alcaloidi
naturali come la caffeina, la teina e la teobromina (presenti
rispettivamente anche nel caffè, nel tè e nel cioccolato).
Sono inoltre da evitare diete o farmaci autoprescritti eventualmente consigliati consigliati dai vari settimanali
patinati alla moda o dall'amico di turno che ne esalta i
miracolistici effetti.
Trattamento d'elezione per i disturbi ansiosi e fobici è la
psicoterapia breve (non abbreviata) focalizzata sul problema/i
riferito/i dal paziente.
Essa deve essere condotta da psicoterapeuti - preferibilmente
esperti nel trattamento dei disturbi in esame - iscritti all'Albo,
che è consultabile presso i Consigli regionali dell'Ordine
professionale degli psicologi presente in ogni regione d'Italia.
Presso il medesimo Ordine può essere presa visione della
tariffa oraria di prestazione (da un minimo ad un massimo)
stabilita del Consiglio nazionale dell'Ordine nonché delle
norme deontologiche cui devono ispirarsi gli psicologi e gli
psicoterapeuti nell'esercizio della professione.
E' molto importante che lo psicoterapeuta - scelto
personalmente o consigliato dal medico curante o specialista
- sia persona con cui il futuro paziente possa trovarsi a suo
agio in un clima di fiducia e accettazione reciproca, clima che
di per sé è già terapeutico con i soggetti ansiosi.
Indicativamente la psicoterapia breve consta di alcune fasi non necessariamente in sequenza temporale sostanzialmente riconducibili a:




Instaurazione di un buon rapporto terapeutico (sincerità
ed empatia non invadente).
Colloquio per la conoscenza della storia del paziente e
descrizione del modello di cura nonché del corso del
trattamento.
Valutazioni dei sintomi e decisioni di intervento sugli
stessi di comune accordo; indagini di carattere medico
dirette a escludere cause organiche dell'ansia.
Lavoro di ristrutturazione dei pensieri e delle convinzioni
responsabili dell'esistenza del/dei problema/i.

Lavoro di ri-educazione e di ri-abitudine degli schemi
esperenziali che avevano guidato e mantenuto il paziente
nel disturbo, verso nuovi schemi di orientamento nei
campi cognitivo/comportamentale, emotivo/affettivo e
fisiologico.
Il tempo necessario per portare vantaggiosamente a termine
una psicoterapia breve oscilla da cinque a più o meno trenta
sedute in relazione alla entità del disturbo (da leggero a
moderato a grave). Tempi più lunghi possono rendere il
trattamento controproducente o non necessario poiché non
incoraggiano l'autosufficienza, potrebbero stimolare la
dipendenza dalla terapia o ingenerare la convinzione che il
problema non è di facile soluzione con conseguenti abbandoni
della terapia o assuefazione alla stessa.
All'inizio del trattamento è consigliabile suddividere gli
incontri in ragione di due per settimana (alcuni di questi
possono anche essere anche di due ore quando, per esempio,
è necessario stimolare deliberatamente l'ansia nel corso della
seduta per poi dimostrare in che modo è possibile alleviarla).
Alcune volte, per motivi di ordine geografico, gli incontri
possono avvenire quotidianamente per tre o quattro
settimane. Tale cadenza temporale, lungi dal costituire uno
svantaggio, consente invece un riscontro giornaliero e subito
correttivo nel trattamento dell'ansia.
La terapia può anche essere effettuata con gruppi di persone
(da otto a dodici circa) i cui componenti presentano
omogeneità nei disturbi. Tale modalità, oltre che costituire un
abbattimento dei costi rispetto alla terapia individuale, ha
l'indiscutibile vantaggio del criterio della solidarietà
costruttiva e dell'autoterapia per imitazione.
Bisogna infine precisare - anche se l'affermazione può
sembrare ovvia - che l'efficacia di una psicoterapia è in
diretta relazione alla risoluzione o quanto meno alla
attenuazione dei disturbi (problemi) presentati dal paziente al
terapeuta.
GRUPPI DI AUTO AIUTO
Accade talvolta che, su iniziativa di qualcuno uscito dal tunnel
della reazione ansiosa, sorgano spontaneamente dei piccoli
gruppi con l'intento di giovarsi reciprocamente nello scambio
di esperienze e comportamenti.
Ci sono poi organizzazioni di auto-aiuto no-profit, la più nota
delle quali in Italia è la L.I.D.A.P. (Lega Italiana per i Disturbi
da Attacchi di Panico) con sede in La Spezia, che svolgono un
preziosissimo lavoro di informazione e decentramento nel
territorio dei gruppi che si auto-gestiscono.
Al riguardo, va notato che, se lo scopo dei gruppi è nella
reciproca informazione ed aiuto, possono dimostrarsi di una
qualche efficacia nell'affrontare i disturbi ansiosi e fobici nella
quotidianità, ma poiché all'interno dei gruppi non è prevista
solitamente la presenza di uno psicoterapeuta esperto del
problema, ben difficilmente possono determinarsi le
condizioni per una cura risolutiva se non in casi di lieve
entità.
Sono comunque da rifuggire quei gruppi che si costituiscono
come occasione di incontro mondano o peggio ove l'incontro
fra le persone si riduce allo scambio incompetente di
informazioni sulle ultime novità nel campo dei farmaci e ove è
possibile un incremento dell'atteggiamento depressivo nel
reciproco compiangersi.