LE PROTEINE Le proteine o protidi sono, dopo l'acqua, il secondo componente del corpo umano, dal momento che ne costituiscono circa il 16%. Esse innanzitutto entrano nella costituzione dei vari tessuti, ma esplicano anche svariate funzioni fisiologiche fondamentali. Il nostro organismo costruisce le proprie proteine utilizzando quelle di origine animale e vegetale presenti negli alimenti. La componente proteica della nostra dieta ha quindi una funzione essenzialmente plastica. ASPETTO CHIMICO E FISICO Le proteine sono costituite da catene di a-amminoacidi, tutti appartenenti alla serie L, in quanto la configurazione dell'atomo di carbonio, al quale sono legati 1'aamminogruppo ed il carbossile, va posta in relazione a quella della L-gliceraldeide. Gli amminoacidi si differenziano fra loro per la struttura della catena laterale R, che può essere, ad esempio, un atomo di idrogeno, una catena alifatica, un anello aromatico, un anello eterociclico. In soluzione acquosa essi possono comportarsi, a seconda del pH della soluzione, sia da acidi che da basi, ossia hanno un comportamento ANFOTERO. Per ciascun amminoacido in soluzione esiste un valore di pH, detto punto isoelettrico, al quale esso si trova soltanto nella forma dipolare, ossia quella con carica complessiva nulla. a-AMINOACIDO Struttura ionica dipolare Nella molecola proteica gli amminoacidi sono uniti fra loro da un legame, legame peptidico, che coinvolge il gruppo amminico o carbossilico di ogni amminoacido col gruppo carbossilico o amminico dell'amminoacido adiacente. Gli amminoacidi che partecipano alla formazione delle molecole proteiche sono una ventina. Tale numero può dar luogo a molte sequenze di amminoacidi, considerando che la molecola proteica è formata da alcune centinaia di amminoacidi. Le catene formate da alcune decine di amminoacidi si chiamano peptidi e più precisamente oligopeptidi, se comprendono non più di 10 amminoacidi e polipeptidi, se gli amminoacidi sono più di 10 e meno di 50. Nelle proteine gli amminoacidi sono più di 50, generalmente sono compresi fra 200 e 300, ma possono arrivare anche a 500. Il legame peptidico Le proteine hanno proprietà caratteristiche e specifiche, ma contemporaneamente presentano le proprietà comuni ai polimeri ad alto peso molecolare; le loro proprietà anfotere dipendono dai gruppi ionizzabili che non partecipano ai legami peptidici. La differente composizione in amminoacidi determina una diversa e specifica carica elettrica complessiva in ogni molecola proteica e un caratteristico punto isoelettrico, ossia un valore di pH del mezzo al quale corrisponde, nella proteina, un numero uguale di gruppi acidi e gruppi basici dissociati. Quindi a tale pH essa ha carica elettrica complessiva nulla e in genere la sua solubilità è minima. ELETTROFORESI L'esistenza di una carica elettrica complessiva nelle proteine può essere sfruttata per la loro analisi. Ad esempio, con i metodi elettroforetici si separano le proteine ponendole in un campo elettrico. Al punto isoelettrico una proteina presenta una mobilità elettroforetica nulla, ma ad un altro pH essa è trascinata verso un elettrodo dalla sua carica e la sua velocità di migrazione dipende, oltre che naturalmente dalla forza del campo, dalla carica complessiva e dall'interazione col mezzo circostante (attrito o resistenza) che a sua volta dipende dalla massa molecolare della proteina. L'elettroforesi può essere condotta anche in modo da separare le proteine in base essenzialmente alla loro massa. In questo caso si tratta la miscela proteica con composti, che formano con la proteina denaturata complessi aventi una carica proporzionale alla sua massa e tale da rendere trascurabile la sua carica originaria. In questo modo più piccola è la proteina e maggiore sarà la sua velocità di migrazione. Le proteine precipitano generalmente in ambiente acido e il pH a cui questo avviene è specifico per ogni proteina. Elettroforesi su carta L'elettroforesi è una tecnica di separazione che si basa sulla diversa mobilità di ioni (molecole che possiedono cariche) in un substrato sottoposto ad un campo elettrico. Gli ioni si muovono più o meno rapidamente lungo il substrato in funzione della loro carica, dimensione, forma. A seconda della tecnica usata, la strumentazione consiste in due vaschette contenenti un elettrolita, un supporto (es: carta da filtro, striscia di acetato di cellulosa, gel di poliacrilamide, gel di agarosio, un tubo capillare), un alimentatore elettrico in CC e due elettrodi. L'elettroforesi viene ampiamente utilizzata per separare sostanze quali ad esempio amminoacidi, proteine, spezzoni di DNA, etc. Come nel caso della cromatografia, anche in questa tecnica si utilizzano substrati e solventi diversi a seconda delle sostanze da separare e delle tecniche seguite. Esempio: disponete due piccole bacinelle alla distanza di alcuni centimetri. Nelle bacinelle inserite l'elettrolita formato da una soluzione di 1 cucchiaino di sale e un quarto di cucchiaino di bicarbonato di sodio in 300 ml di acqua di rubinetto. Fra le bacinelle ponete un supporto formato da una lastrina di vetro. Su questo supporto si dispone una striscia di carta da filtro bagnata con la soluzione elettrolitica. Questa striscia di carta deve pescare ai due capi nell'elettrolita delle due bacinelle per realizzare la continuità elettrica del circuito. Con una matita, si segna sulla carta da filtro una linea trasversale e su questa linea si dispone una goccia di sangue. Si copre la carta con una seconda lastrina di vetro. Si inseriscono i due elettrodi nelle bacinelle e si applica una tensione di 45 V in corrente continua (da 4 a 8 Volt per cm). Questa tensione può essere ricavata da 5 batterie da 9V collegate in serie. Con lo scorrere del tempo, si dovrebbero vedere 5 macchiette muoversi verso l'elettrodo negativo. In queste macchiette vi sono differenti componenti proteiche del plasma (globuline alfa, beta, gamma, albumina e fibrinogeno). In realtà, per rendere meglio visibili queste sostanze occorre utilizzare un colorante, come il blu di bromofenolo. IDROLIZZATI PROTEICI Per idrolizzare una proteina occorre trattarla in ambiente acido o basico e/o a temperature elevate e per tempi prolungati. L'industria alimentare commercializza i cosiddetti "idrolizzati proteici", miscele di peptidi ottenuti per idrolisi acida della componente proteica di sostanze generalmente di origine vegetale. Idrolizzati di proteine di origine animale, ottenuti per via enzimatica, sono invece utilizzati per l'alimentazione di neonati con allergia al latte vaccino. LA STRUTTURA DELLE PROTEINE La successione degli amminoacidi nella catena proteica, la planarità del legame peptidico, la possibilità di formare legami idrogeno e le forze di attrazione e repulsione derivanti dalle caratteristiche strutture delle catene laterali dei diversi amminoacidi, concorrono alle varie e complesse conformazioni delle molecole proteiche. È così possibile individuare in tali molecole fino a quattro tipi di struttura. Infatti le diverse sequenze degli amminoacidi nella catena polipeptidica determinano la struttura primaria. Si parla poi di struttura secondaria quando la planarità dei legami peptidici e i legami idrogeno fra catene adiacenti fanno assumere alla molecola proteica conformazioni spaziali geometricamente ben definite (ad elica, a foglietto ripiegato, ecc.). La presenza di legami disolfuro, caratteristici della cistina, di legami ionici, dovuti a gruppi amminici e carbossilici non impegnati nel legame peptidico e di interazioni idrofobiche, contribuisce ad una sistemazione complessiva nello spazio dell'intera molecola proteica che determina la sua struttura terziaria. Infine l'associazione di più catene peptidiche attraverso legami di natura non covalente, o mediante ponti disolfuro, determina la struttura quaternaria. LA STRUTTURA PRIMARIA Essa è data dalla sequenza degli amminoacidi che costituiscono una catena peptidica. Ogni proteina possiede una specifica composizione in amminoacidi (tante unità di ciascun tipo), ma soprattutto un ben preciso ordine con cui questi si susseguono, da un'estremità all'altra, lungo la catena: quest'ultima caratteristica è specifica per ogni proteina e costituisce, per così dire, la sua «carta di identità». Cambiamenti anche minimi (per esempio, un amminoacido sostituito) nella struttura primaria si possono ripercuotere sulle ulteriori strutture e sulle funzionalità biologiche della proteina stessa determinando, se questa è preposta a svolgere compiti di vitale importanza, gravi conseguenze. Un classico esempio è quello dell'HbS, emoglobina anomala responsabile dell'anemia falciforme, diversa dall'HbA, normale, a causa delle sostituzioni, nelle catene 3, della valina in posizione 6 con l'acido glutammico. La struttura primaria è determinata geneticamente: le sequenze amminoacidiche di tutte le proteine di un individuo si trovano già depositate, in codice, in altrettanti tratti del suo DNA chiamati geni. LA STRUTTURA SECONDARIA Essa è data da conformazioni spaziali periodiche e regolari più o meno estese che la catena peptídica può assumere. Ciò avviene quando i piani su cui giacciono i legami peptidici si susseguono secondo precise angolazioni. Essa si può considerare la disposizione spaziale degli atomi dello scheletro del polipeptide, senza considerare le catene laterali. Le principali strutture secondarie sono: - 1'a-elica; - il foglietto b; - le ripiegature b o b-turn; - l'ansa w oppure «w-loop»; - l'elica del collagene. a-elica I piani dei legami peptidici sono piegati secondo angoli di 80° e si avvolgono in senso destrogiro attorno a un asse ideale. Ogni spira contiene 3,6 residui di amminoacidi, il passo dell'elica è 0,54 nm e i gruppi R sono diretti verso l'esterno. L'a-elica è stabilizzata da legami H che si instaurano tra l'ossigeno del gruppo -COdi un amminoacido e l'idrogeno del gruppo -NHdell'amminoacido sottostante (4 aa più avanti). Ogni 5 giri (18 aa) si trovano amminoacidi in posizione corrispondente. FOGLIETTO b O STRUTTURA A PIEGHE La catena polipeptidica, in questo tipo di struttura, è molto più distesa: gli angoli fra i piani di legame sono di 120°. I piani si susseguono formando un foglio pieghettato. Gli R sporgono dagli spigoli alternativamente al di sopra e al di sotto del «foglio». Nella struttura b due o più catene polipeptidiche o altrettanti tratti di una stessa catena vengono a trovarsi di fianco. La stabilizzazione è affidata a ponti di H che si instaurano tra i -CO- di una catena e gli NH- di quella adiacente. Le catene possono decorrere in senso parallelo o antiparallelo; in questo secondo caso, i legami a H sono più forti perché i gruppi -CO- e -NH- si fronteggiano. Le regioni a foglio pieghettato sono abbastanza frequenti nelle proteine. La fibroina della seta è costituita da più fogli di catene antiparallele sovrapposti. LA STRUTTURA TERZIARIA I DIVERSI TIPI DI PROTEINE Le diverse strutture consentono di classificare le proteine in GLOBULARI e FIBROSE. In queste ultime il rapporto lunghezza/ampiezza è superiore a 10. Tipici esempi di proteine globulari sono gli enzimi, mentre un importante esempio di proteina fibrosa è rappresentato dal collagene, formato da tre catene polipeptidiche intrecciate fra loro. Le proteine si possono distinguere in SEMPLICI, quando sono costituite unicamente da amminoacidi e in CONIUGATE, quando c'è una parte proteica unita ad un'altra frazione, che ne costituisce il gruppo prostetico. Una classificazione delle proteine semplici può essere fatta in base ad alcune loro proprietà fisiche e chimiche: - albumine, solubili in acqua e in soluzioni saline diluite, coagulano col calore; sono di origine animale e vegetale (ad esempio la lattoalbumina del latte e la ovoalbumina dell'uovo) -globuline, insolubili in acqua e solubili in soluzioni saline diluite, sono di origine animale e vegetale (ad esempio le immunoglobuline e numerose proteine di riserva dei legumi); -gluteline, insolubili in acqua e nelle soluzioni saline, solubili in alcoli e in acidi diluiti, sono di origine vegetale (ad esempio la glutenina del frumento e l'orizanina del riso); -prolammine, solubili in soluzioni etanoliche (60-70%), ma insolubili in acqua e in etanolo puro; contengono poca lisina e sono di origine vegetale (ad esempio la gliadina del frumento e la zeina del mais); -protammine e istoni, sono molto simili tra loro, sono solubili in acqua e contengono un'alta percentuale di amminoacidi basici; le prime non coagulano col calore e sono poco frequenti negli alimenti; i secondi coagulano col calore (ad esempio la globina, che rientra nella costituzione dell'emoglobina); -scleroproteine, sono insolubili in acqua, in soluzioni saline, in acidi e in alcali, sono fibrose, a differenza delle precedenti che invece sono tutte globulari (ad esempio il collagene che, per bollitura prolungata in acqua e lasciato raffreddare, diventa gelatina e le cheratine, presenti nei peli, nelle unghie e nella pelle). Sono proteine coniugate le cromoproteine, aventi come gruppo prostetico una metalloporfirina. Appartengono a questa categoria, ad esempio, la clorofilla e l'emoglobina. Quest'ultima è una proteina globulare in cui la parte proteica è la globina e il gruppo prostetico è l'eme che, a sua volta, è formato dal sistema eterociclico porfirinico con uno ione ferroso chelato al centro. Altre categorie di proteine coniugate sono le nucleoproteine, le lipoproteine e le glicoproteine o mucoproteine, contenenti rispettivamente acidi nucleici, lipidi e glucidi. Infine appartengono alle proteine coniugate anche quegli enzimi che, oltre alla parte proteica (apoenzima), hanno una frazione non proteica detta coenzima. LA DENATURAZIONE DELLE PROTEINE La denaturazione di una proteina avviene quando questa perde un qualsiasi particolare strutturale, a parte la struttura primaria. Ciò avviene quando nella struttura proteica viene modificato quell'equilibrio fra forze attrattive e repulsive costituite dai legami idrogeno e dagli altri legami secondari. La denaturazione può essere provocata termicamente: è tipica quella dell'albume durante la cottura. Si può avere denaturazione anche variando il pH dell'ambiente, come avviene quando nel latte inacidito, per formazione di acido lattico, precipitano, o coagulano, alcune proteine che si trovavano in soluzione. Tale fenomeno, se è stato di modesta entità, può essere reversibile. In tal caso, ritornando nelle condizioni iniziali, la proteina può riassumere le sue caratteristiche strutturali. La coagulazione delle proteine del latte acidificato e quelle dell'albume cotto sono invece esempi tipici di una denaturazione irreversibile. Anche nel latte bollito la componente proteica viene denaturata in modo irreversibile. La maggiore esposizione di gruppi solfidrilici, dovuta ad uno spiegamento della molecola proteica e ad uno svolgimento delle sue catene polipeptidiche, contribuisce a conferire il caratteristico sapore al latte sottoposto a bollitura. Una proteina denaturata perde parzialmente o totalmente le sue proprietà biologiche, come avviene per un enzima sottoposto a temperature di 60-70 °C. Se si considera invece una proteina dal punto di vista alimentare, la sua denaturazione può comportare una modificazione della sua digeribilità. In generale una leggera denaturazione può essere positiva perché rende le proteine più facilmente attaccabili dagli enzimi proteolitici. In altri casi, come per la carne, la denaturazione termica può rendere più difficile l'attacco da parte degli enzimi proteolitici del tratto gastro-intestinale. Gli amminoacidi presenti nella struttura proteica Gli amminoacidi presenti nelle proteine sono tutti otticamente attivi, ad eccezione della glicina che è priva di centri chirali e quindi non si presenta nei due enantiomeri. Le molecole dei venti amminoacidi, che comunemente danno luogo alle catene proteiche, sono molto differenti fra loro e la diversità riguarda, come si è detto, essenzialmente la natura della catena laterale (R). Tuttavia alcune analogie strutturali consentono la seguente classificazione: a) amminoacidi alifatici monoammino-monocarbossilici, comprendenti gli cina, alanina, leucina, isoleucina e valina; b) amminoacidi monoammino-dicarbossilici e le relative ammidi, compren denti acido aspartico, acido glutammico, asparagina e glutammina; TIROSINA (Tyr, Y) c) amminoacidi diammino-monocarbossilici, comprendenti arginina e lisina; d) idrossiamminoacidi monoammino-monocarbossilici comprendenti serina e treonina; e) amminoacidi solforati, comprendenti cisteina e metionina; f) amminoacidi aromatici, comprendenti fenilalanina e tirosina; g) amminoacidi eterociclici, comprendenti triptofano e istidina; h) imminoacidi rappresentati esclusivamente dalla prolina. Nella struttura proteica si possono trovare altri amminoacidi che derivano dai venti sopraelencati, come la cistina, costituita da due molecole di cisteina e l'idrossiprolina (un amminoacido contenuto nel collagene). Tutti gli amminoacidi che partecipano alla formazione delle proteine hanno la struttura riferibile a quella classica ad eccezione della prolina e dell'idrossiprolina. Classica struttura aminoacidica ASPETTO BIOLOGICO NUTRIZIONALE Le proteine, oltre a costituire gran parte dei tessuti corporei, esplicano numerose funzioni indispensabili per il normale funzionamento dell'organismo: - entrano in strutture enzimatiche ed ormonali, concorrendo così alla regolazione dei vari processi metabolici; - intervengono nella coagulazione del sangue, in quanto alcuni fattori che concorrono a tale processo sono di natura proteica; - proteggono l'organismo da infezioni: infatti gli anticorpi sono di natura proteica e pare che una dieta povera di proteine aumenti la possibilità di contrarre infezioni, poiché l'organismo non produce una quantità sufficiente di anticorpi; - neutralizzano sostanze tossiche, entrando nella composizione di sistemi enzimatici detossificanti; - sono fondamentali per il trasporto di molecole nei fluidi organici e attraverso le membrane biologiche (carrier). Inoltre, ai cosiddetti "peptidi funzionali", derivati da proteine alimentari e assorbiti come tali, si attribuiscono diverse attività benefiche per l'organismo. Ad esempio, si ritiene che i peptidi presenti nel latte, soprattutto quando è fermentato, possano influire positivamente sui sistemi digestivo e cardiovascolare ed aumentare le difese immunitarie dell'organismo. Come si è detto, tutti gli amminoacidi presenti nelle proteine sono nella forma enantiomerica L. Solo eccezionalmente è possibile trovare in materiale biologico amminoacidi liberi nella forma enantiomerica D. Ad esempio, la presenza di batteri può comportare in alcuni alimenti, come i prodotti lattiero-caseari, la presenza di Damminoacidi liberi. Anche i trattamenti, cui sono sottoposti gli alimenti, possono causare la racemizzazione degli amminoacidi proteici. Aminoacidi e loro ruoli nell’organismo Gli amminoacidi sono precursori di sostanze di notevole importanza biologica. Ad esempio la lisina è impiegata dall'organismo per la sintesi della carnitina, a sua volta necessaria per l'utilizzazione dei grassi ai fini energetici; il triptofano è il precursore metabolico della niacina, una vitamina del gruppo B. Triptofano e fenilalanina sono precursori di importanti neurotrasmettitori, quali la serotonina, l'adrenalina, ecc. Gli amminoacidi solforati sono i precursori del glutatione, che difende le cellule dai processi ossidativi. Inoltre nell'organismo sono presenti amminoacidi che, pur non rientrando nella struttura proteica, esplicano importanti funzioni, come la citrullina e l' ornitina, metaboliti intermedi del ciclo dell'urea; l'acido g-amminobutirrico (GABA), che è un neurotrasmettitore; la b-alanina, che è inserita nell'acido pantotenico, un'altra vitamina del gruppo B; la taurina, che interviene nello sviluppo del sistema nervoso, nella stabilizzazione delle membrane cellulari, nella detossicazione e nell'osmoregolazione. GLI ALLERGENI Le proteine alimentari garantiscono all'organismo l'apporto necessario di amminoacidi. Dal punto di vista nutritivo sono particolarmente importanti le masse muscolari, presenti nelle carni e nel pesce, che contengono circa il 40% di actina e di miosina, e le proteine presenti nel latte, nell'uovo, nei cereali e nei legumi. Negli alimenti vi possono essere però anche proteine nocive per il nostro organismo. Ad esempio possono rappresentare allergeni per alcuni individui: è il caso delle proteine del latte vaccino e dell'uovo; oppure possono costituire vere e proprie tossine presenti nelle piante, nei funghi e negli organismi animali, oppure prodotte da microrganismi. LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE Le proteine, una volta ingerite sono idrolizzate con l'intervento di enzimi proteolitici, che consentono la liberazione, in condizioni fisiologiche, di di- e tripeptidi e soprattutto di amminoacidi che vengono così assorbiti. La digestione inizia nello STOMACO ad opera della pepsina, prosegue nel DUODENO per azione delle peptidasi pancreatiche e si conclude grazie all'azione di amminopeptidasi contenute nei MICROVILLI della membrana degli enterociti. Nel neonato, a differenza dell'adulto, si può avere l'assorbimento di intere molecole proteiche, ad esempio gli anticorpi (soprattutto IgA), contenuti nel latte materno, che sono mantenuti integri e quindi assorbiti grazie alla generale immaturità del tratto gastrointestinale (minore attività enzimatica, maggiore permeabilità della mucosa intestinale, ecc.). Questa capacità di assorbire intere proteine può avere risvolti negativi, perché può portare alla sensibilizzazione e quindi alla comparsa di allergia alle proteine del latte vaccino. LA DIGESTIONE DELLE PROTEINE Gli amminoacidi, una volta giunti al FEGATO, in parte vengono utilizzati come tali e in parte vengono trasformati in altre sostanze. Ad esempio attraverso la decarbossilazione si producono ammine biogene, come la serotonina, la dopamina, ecc. che hanno importanti ruoli fisiologici; oppure con il trasferimento (transaminazione) e con la rimozione (deamminazione ossidativa) del gruppo amminico dei vari amminoacidi si ottengono intermedi del metabolismo glucidico e lipidico. Alcuni amminoacidi sono inoltre i precursori biosintetici dei nucleotidi; essi infatti forniscono l'azoto e il carbonio per la sintesi delle basi puriniche e pirimidiniche degli acidi nucleici. GLI AMINOACIDI ESSENZIALI Le proteine alimentari forniscono tutti gli amminoacidi necessari all'organismo umano e in particolare quelli, una decina, che l'organismo stesso non è in grado di preparare con i suoi processi metabolici e che sono chiamati amminoacidi essenziali. Gli amminoacidi essenziali sono nove: fenilalanina, leucina, treonina, isoleucina, lisina, valina. istidina, metionina, triptofano, Si ritiene inoltre che nei primi mesi di vita si debbano considerare essenziali anche la tirosina e la cisteina. Se per la prima non sono ancora chiariti i motivi, per la seconda invece si è appurato che l'attività dell'enzima, che catalizza la trasformazione della metionina in cisteina, è in quantità sufficienti e/o funzionalità idonea solo dopo i quattro mesi di vita. Iperfenilalaninemia o fenilchetonuria Infine in questi ultimi anni sono stati accomunati nella categoria degli amminoacidi "condizionatamente essenziali" quelli che possono essere sintetizzati a livello metabolico solo se sono disponibili altri specifici amminoacidi. Ad esempio, la tirosina ha come precursore un amminoacido essenziale, la fenilalanina, mentre glicina, prolina e arginina hanno come precursori altri amminoacidi non essenziali. Per tali amminoacidi "condizionatamente essenziali" la sintesi è quindi "condizionata" dalla disponibilità di un altro amminoacido e procede con una velocità che può essere rallentata da determinate condizioni fisiopatologiche. Grazie alle conoscenze che via via, nel corso degli anni, sono state acquisite in campo alimentare, le organizzazioni internazionali, preposte all'individuazione delle necessità alimentari delle varie popolazioni, hanno definito con sempre maggiore precisione i livelli di amminoacidi essenziali ritenuti necessari nelle diverse fasce d'età. Nel 1985 un comitato misto FAO/OMS/UNU ha proposto le combinazioni tipo di amminoacidi essenziali per le diverse fasce d'età. Successivamente, sulla base di nuovi dati sperimentali, si è giunti a considerare come maggiormente affidabile per quasi tutte le fasce di età, la combinazione proposta inizialmente per i bambini in età prescolare. Per questo, per valutare la qualità proteica dei vari alimenti si ritiene opportuno assumere come proteina di riferimento tale combinazione anche per le altre fasce d'età. Fanno eccezione i lattanti, per i quali è considerata ottimale la distribuzione di amminoacidi essenziali del latte umano. I LARN, relativi ai fabbisogni di amminoacidi essenziali per bambini in età prescolare e per adulti, ricalcano le combinazioni riportate in Tabella 1 per quelle stesse fasce d'età. Anche da parte della SINU si osserva che le necessità previste per gli adulti possono essere sottostimate e che quindi è opportuno, anche per l'adulto, riferirsi alla combinazione raccomandata per il bambino in età prescolare. Combinazione ottimale di amminoacidi essenziali a diverse età (mg/g di proteina) Amminoacido Neonati* 2-5 anni** 10-12 anni** Adulti ** Istidina 26 (19)*** (19) 16 Isoleucina 46 28 28 13 Leucina 93 66 44 19 Lisina 66 58 44 16 Metionina + cisteina 42 25 22 17 Fenilalanina + tirosina 72 63 22 19 Treonina 43 34 28 9 Triptofano 17 11 (9) 5 Valina 55 35 25 13 Totale 460 339 241 127 *Composizione in amminoacidi essenziali del latte umano. **I valori riportati sono stati ottenuti dividendo il fabbisogno giornaliero di ogni amminoacido essenziale (mg/kg di peso corporeo) per il fabbisogno proteico giornaliero, stimato in 1.10, 0.99 e 0.75 g/kg di peso corporeo all'età di 2-5 anni, di 10-12 anni e per gli adulti. ***I valori riportati tra parentesi non sono ancora stati definiti con sicurezza. Da: La valutazione della qualità proteica, Studi FAO Alimentazione e Nutrizione, 51, 1991, Roma. PREPARAZIONE DI UN PRODOTTO DIETETICO e DANNEGGIAMENTO AMINOACIDICO Si è inoltre constatato che l'apporto proteico garantito normalmente da una dieta mista può presentare in genere una distribuzione percentuale non ottimale di amminoacidi essenziali limitatamente al contenuto di lisina, triptofano, treonina e degli amminoacidi solforati nel loro insieme (metionina + cisteina). Si tratta evidentemente di amminoacidi che non sono ben distribuiti nella componente proteica di alcune categorie di prodotti che entrano normalmente nella nostra alimentazione. Inoltre, alcuni di questi amminoacidi, come la lisina, la metionina e la cisteina, possono subire modificazioni durante le trasformazioni alimentari, con conseguente riduzione della loro biodisponibilità. Nella preparazione di un prodotto dietetico, specie se si tratta di un alimento importante per la sua componente proteica, come può essere ad esempio un alimento per la prima infanzia, occorrerà controllare quindi con attenzione l'eventuale danneggiamento amminoacidico, che si può avere, sia a seguito dei trattamenti previsti dalle tecniche di preparazione, come pure durante il periodo di conservazione. Un apporto amminoacidico non ottimale può infine essere associato a diete sbilanciate autoprescritte (diete ipocaloriche dissociate) o a una dieta vegetariana stretta. FATTORI CHE INFLUISCONO SULL’UTILIZZAZIONE PROTEICA I principali fattori che influiscono sull'utilizzazione alimentare di una proteina sono il suo contenuto percentuale in amminoacidi essenziali e la sua digeribilità. Più la proteina presenta una distribuzione di amminoacidi essenziali vicina a quella necessaria all'organismo più tale proteina è utilizzabile ai fini plastici. Si può dire che la proteina ideale è quella che, una volta "smontata" attraverso i processi digestivi, offre all'organismo una combinazione di amminoacidi essenziali tale che ciascuno di essi viene utilizzato unicamente per "montare" nuove proteine corporee. Un contenuto non adeguato di alcuni amminoacidi essenziali comporta invece l'impossibilità di utilizzare completamente gli altri che vengono allora destinati ai fini energetici. Ciò non costituisce soltanto uno "spreco alimentare", ma comporta anche un aggravio per l'attività metabolica dell'organismo. L’aminoacido limitante e LA DIGERIBILITA’ PROTEICA Dal momento che per la sintesi proteica devono essere disponibili conteporaneamente tutti gli amminoacidi essenziali necessari, tale sintesi si interrompe quando non è più disponibile l'amminoacido che è nella percentuale meno soddisfacente. Tale aminoacido, che limita l'utilizzazione degli altri amminoacidi essenziali, si definisce amminoacido limitante. Per quando riguarda la digeribilità proteica (DP), essa viene in genere calcolata in vivo sui ratti in quanto si è dimostrato che essi possiedono una DP simile a quella dell'uomo. La digeribilità proteica è data dal rapporto tra l'azoto proteico assorbito e la quantità di azoto ingerito: DP= N assorbito N ingerito Da cosa dipende la Digeribilità Proteica ? La digeribilità proteica può dipendere da vari fattori. In primo luogo dipende dalle caratteristiche dell'alimento, come l'esistenza di pareti cellulari, che ostacolano l'aggressione enzimatica o la presenza di altri componenti della dieta che influiscono negativamente sul processo digestivo, come, ad esempio, la presenza di fibra. Inoltre, tra gli altri fattori, importante è la presenza di vitamine del gruppo B, che entrano a far parte di numerosi sistemi enzimatici indispensabili per il metabolismo proteico. Va infine ricordato che la digestione e il successivo assorbimento degli amminoacidi presenta una certa variabilità da individuo a individuo, specie in presenza di un'anormale disponibilità enzimatica e di situazioni patologiche a livello gastrointestinale. IL VALORE BIOLOGICO DI UNA PROTEINA Il valore biologico di una proteina, o di una miscela di proteine, ossia la sua capacità di fornire all'organismo umano l'apporto di azoto e di amminoacidi richiesti per soddisfare le necessità dell'organismo, può essere valutato analizzando il suo contenuto in amminoacidi e sottoponendola a test biologici. Con questi ultimi si ottengono utili indici biologici, come il Rapporto di efficienza proteica (PER = protein efficiency ratio), il Valore biologico (B V = biological value) e l'Utilizzazione proteica netta (NPU = net protein utilisation). Con l'analisi degli amminoacidi si può valutare la "qualità proteica" attraverso la determinazione del Punteggio chimico o Indice chimico. Il PER rappresenta l'incremento di peso corporeo di un ratto da esperimento in rapporto alla quantità di proteina ingerita: PER = incremento in peso quantità di proteina ingerita Per BV si intende il rapporto fra l'azoto trattenuto dall'organismo, ossia quello utilizzato nella formazione dei tessuti o per altre funzioni vitali e non escreto con le urine e le feci e l'azoto assorbito: BV = N trattenuto N assorbito Il valore di BV è in genere moltiplicato per 100. In tal caso alla proteina dell'uovo, scelta come proteina di riferimento, è assegnato un valore biologico uguale a 100; il che significa che tutto l'azoto assorbito viene utilizzato. La NPU è data dal rapporto fra l'azoto trattenuto e quello ingerito: N trattenuto NPU= N ingerito Tale indice tiene conto contemporaneamente della digeribilità e dell'efficienza di utilizzazione degli amminoacidi assorbiti. Infatti risulta dal prodotto fra il valore biologico della proteina considerata e la sua digeribilità. BV x DP = N assorbito N trattenuto N trattenuto = NPU x = N assorbito N ingerito N ingerito Stabilisce la qualità proteica IL PUNTEGGIO CHIMICO Per molti anni per stabilire la qualità proteica si è ricorso alla determinazione del PER. Si tratta però di un metodo poco preciso, perché l'accrescimento del ratto è molto più rapido di quello dell'uomo. All'animale da esperimento necessitano inoltre differenti apporti di amminoacidi, in particolare di quelli solforati. Infine è difficile stabilire correttamente le quantità di mantenimento dei vari amminoacidi. Infatti, un determinato apporto proteico può influire così scarsamente sull'accrescimento da avere un PER praticamente uguale a zero, ma essere ampiamente sufficiente per il mantenimento. In questi ultimi anni, per valutare la qualità proteica di un alimento, si è andato sempre più affermando il metodo della determinazione del punteggio chimico. Con tale metodo si procede attraverso alcune ben precise tappe. In primo luogo si calcola il contenuto proteico dell'alimento. A tale contenuto si risale dal valore di azoto determinato generalmente col metodo Kjeldahl. Tale valore compare nelle tabelle che riportano la composizione chimica degli alimenti. Poiché, come è noto, il metodo Kjeldahl determina ìl contenuto di azoto totale di un prodotto, la conversione azoto-proteina, viene fatta con buona approssimazione utilizzando un giusto fattore di conversione. In generale, considerando che la maggior parte delle proteine contiene circa il 16% di azoto, il contenuto proteico di un alimento si ricava dal prodotto del contenuto in azoto totale per 6.25. Dal momento però che alcune proteine presentano valori percentuali di azoto che si discostano sensibilmente dal 16% sono stati ricavati altri fattori di conversione. Ad esempio per farina di frumento e soia 5.70 e per latte e derivati 6.38. Quindi si determina il contenuto in amminoacidi, ricorrendo in genere ad idrolisi e separazione con metodi cromatografici. Si determina, infine, il PUNTEGGIO CHIMICO, ossia si calcola il rapporto fra la quantità, espressa in mg, di ogni amminoacido essenziale presente in un grammo della proteina da valutare e la quantità, sempre in mg, presente in un grammo della proteina di riferimento (uovo). Il rapporto più basso, ossia quello relativo all'amminoacido limitante, rappresenta il punteggio chimico di quella proteina. IL FABBISOGNO PROTEICO Il fabbisogno proteico di un individuo è rappresentato dalla quantità minima di proteine, fornite dalla dieta, necessarie per compensare le sue perdite di azoto, mantenendo nel contempo il bilancio energetico per un'attività fisica moderata. La quantità di proteine necessaria quotidianamente all'uomo e alla donna adulti è stata stabilita dal Comitato FAO/OMS/UNU, riunito nel 1985, mediamente intorno ai 0.75 g per chilogrammo di peso corporeo, prendendo come riferimento proteine ad alto valore biologico, ossia pienamente utilizzabili, come quelle dell'uovo. Tale valore rappresenta il livello di sicurezza di ingestione proteica e dovrà essere corretto tenendo conto del tipo di proteine presenti normalmente nella dieta. Infatti, per una dieta mista, ossia comprendente proteine di origine animale e vegetale, tale valore dovrebbe essere incrementato di circa 0.2 g/kg. Nella Tabella 2 sono riportati i livelli di sicurezza di ingestione proteica indicati dalla Società Italiana di Nutrizione Umana per le diverse età. Il fabbisogno proteico è influenzato da vari fattori, in primo luogo dall'attività fisica e naturalmente cresce all'aumentare dell'intensità di tale attività. Vi sono anche alcune condizioni fisiologiche particolari dell'organismo, come la gravidanza e l'allattamento che richiedono un incremento del fabbisogno proteico (6 e 17 g al giorno rispettivamente). Anche nel periodo di crescita dell'organismo l'apporto proteico deve essere incrementato per consentire la costruzione di nuovi tessuti. Tenendo conto delle valutazioni rigorosamente scientifiche, ma anche del livello socio-economico di paesi come il nostro, i livelli raccomandati di apporto proteico sono leggermente superiori a quelli ritenuti di sicurezza. INTEGRAZIONE PROTEICA La distribuzione non omogenea degli amminoacidi essenziali nelle varie proteine comporta inevitabilmente una diversa distribuzione di tali amminoacidi nella componente proteica dei vari alimenti. Vi sono infatti importanti categorie di alimenti la cui componente proteica è carente di alcuni amminoacidi essenziali. È prevedibile che tali carenze riguardino in particolare le proteine di origine vegetale, ossia di organismi viventi dalle caratteristiche strutturali ben lontane da quelle umane! Le cariossidi dei cereali, ad esempio, pur contenendo una discreta quota proteica, forniscono proteine con valori percentuali di lisina e di triptofano inferiori a quelle ritenute ottimali per le nostre necessità. In tali alimenti l'amminoacido limitante è la lisina, ma se si integra la quota di tale amminoacido diventa limitante il triptofano che, come si è detto, è anch'esso in quantità non soddisfacenti nei cereali, anche se migliori rispetto alla lisina. Tuttavia nei diversi cereali la distribuzione degli amminoacidi non è identica, anche per quanto riguarda quelli carenti, per cui una miscela di farine di diversi cereali può offrire una distribuzione più soddisfacente di amminoacidi essenziali. Anche per questo alcuni prodotti dietetici per l'infanzia, come le pappe utilizzate nello svezzamento, sono costituiti da miscele di farine di vari cereali, come frumento, avena, riso. Nei legumi, altra importante categoria di alimenti, l'amminoacido limitante è invece la metionina. Nei latti artificiali, la cui componente proteica è costituita dalle proteine di soia, la distribuzione di amminoacidi essenziali del legume viene migliorata con l'aggiunta di metionina. L'uomo fin dall'antichità è ricorso inconsapevolmente alla "complementarietà delle proteine": pasta e fagioli, pasta e ceci, riso e piselli sono classici esempi di come cereali e legumi insieme compensino, in una certa misura, le reciproche deficienze in amminoacidi essenziali. Come pure si compie un'utile integrazione proteica quando si aggiungono biscotti o fiocchi di cereali al latte, o il formaggio parmigiano alla pastasciutta. Nella nostra alimentazione le proteine di origine animale, come quelle della carne, delle uova, del pesce e dei latticini compensano le deficienze in amminoacidi essenziali delle proteine degli alimenti di origine vegetale. Tornando ai prodotti dietetici per l'infanzia, come le citate pappe impiegate per lo svezzamento, si ricorre spesso all'integrazione delle proteine dei cereali con quelle del latte, con la preparazione delle cosiddette farine lattee. LE FONTI ALIMENTARI DI PROTEINE La necessità di disporre di quantità sempre maggiori di proteine è una questione sempre all'ordine del giorno, in quanto i problemi alimentari del genere umano sono ben lungi dall'essere risolti. La difficoltà di garantire a tutti proteine di origine animale, in particolare quelle della carne, ha portato ad intensificare la coltivazione della soia, ricorrendo anche alla sua manipolazione genetica, per garantirsi grandi raccolti. Si tratta di un legume ricco non solo di una frazione proteica vegetale di buona qualità, ma anche di una buona frazione lipidica. Inoltre, ricercatori di tutto il mondo studiano l'utilizzazione di nuovi alimenti che possano fornire proteine valide non solo per la quantità, ma anche per la qualità. In questi ultimi anni sono stati studiati come possibili fonti proteiche anche i più piccoli organismi viventi, quelli unicellulari. Le prime ad essere state prese in considerazione sono state le alghe, dal momento che un organismo autotrofo dovrebbe avere costi di "allevamento" più contenuti. In realtà per la coltivazione delle alghe al costo del materiale nutritivo vanno addizionati quello per l'agitazione delle acque che deve garantire una buona esposizione dell'alga alla luce e quello per un buon essiccamento che eviti che il prodotto finale sia maleodorante. Tuttavia alcune alghe come la Chlorella ellipsoidea e la Spirulina maxima hanno trovato impiego in campo dietetico per la quantità e la qualità del loro CONTENUTO PROTEICO. LE PROTEINE NEGLI ALIMENTI ALIMENTO % LATTE DI DONNA 1 LATTE DI MUCCA 3.5 LATTE DI PECORA 4.9 FORMAGGI 25 CARNE DI VITELLO 19 CARNE DI MAIALE 15 CARNE DI POLLO 20 PESCE 17 UOVA 13 FRUMENTO 12 LEGUMI SECCHI 22 RISO 7 ORTAGGI 1-4 SOIA 37 FRUTTA 0.5-1.2 ANALISI DELLE PROTEINE Cromatografia a Scambio ionico analitica o preparativa La fase stazionaria solida è una resina (macromolecole) con siti attivi ionizzati quali anioni SO3 - o cationi N(CH3)3 + : gli ioni di soluto di carica opposta vengono attratti verso la fase stazionaria dalla forza elettrostatica. La fase mobile è un liquido caratterizzata da un controione originario della resina in alte concentrazioni. ANALISI HPLC Cromatografia ad Esclusione molecolare Teoricamente non vi è alcuna interazione attrattiva. La fase stazionaria è un solido poroso (gel) i cui pori cambiano di dimensione e comunque sono abbastanza piccoli. Le molecole dell’analita disciolte nella fase mobile penetrano nei pori e rimangono per più tempo intrappolate a differenza delle molecole più grandi che escono dalla colonna in tempi brevi (cromatografia a permeazione su gel, GPC).