La Metafisica di Aristotele in 7 domande (e risposte) 1. Che cos’è la Metafisica di Aristotele? Con il titolo di Metafisica il primo editore degli scritti “esoterici” (ovvero destinati agli scolari) di Aristotele, Andronico di Rodi (I secolo d.C.), raccolse 14 trattati di argomento disparato, dalla logica alla fisica alla teologia, che per il modo molto generale e speculativo di trattare temi già affrontati in altre opere (ad esempio la categoria di sostanza, la teoria del movimento, delle 4 cause, che cos’è la materia), sembravano configurare una disciplina filosofica di tipo diverso rispetto alla logica e alla fisica: un’indagine teorica di ampio respiro su temi di portata molto generale. Poiché questi trattati erano materialmente collocati dopo quelli di fisica (metà tà fusikà) furono chiamati con il nome di “metafisica” A ciò che oggi chiamiamo metafisica Aristotele dava un nome diverso: era la “filosofia prima” o “ontologia”, ovvero scienza dell’essere in quanto essere (in greco essere si dice “tò òn”, “l’ente”, o “ciò che è”, al plurale “tà ònta”). Questa parte della filosofia può essere definita un’indagine sulla struttura della realtà, la risposta alla domanda filosofica per eccellenza da Talete in poi: Com’è fatto il mondo? Storicamente la metafisica ebbe un’immensa fortuna, perché fu considerata almeno fino alla fine del Settecento la “scienza delle scienze”, la “super-scienza”, il nucleo essenziale della ricerca filosofica. I temi fondamentali della metafisica di Aristotele sono: l’indagine sull’essere che è “multivoco”, ovvero si dice in molti modi; la dottrina della sostanza; la struttura dinamica (o in divenire) della realtà, con i concetti di materia / forma, potenza / atto e la dottrina delle 4 cause; la teologia (discorso razionale sulla divinità). 2. Qual è il rapporto tra la metafisica di Aristotele e la dottrina delle idee di Platone ? La metafisica di Aristotele può essere considerata una critica a quella di Platone: per Aristotele le forme o essenze non sono separate dalle cose, non hanno un’esistenza propria in una dimensione ultraterrena come le idee platoniche, ma sono indissolubilmente legate alla materia sensibile, per cui ogni forma o essere è sempre forma o essenza di quel determinato individuo 3. Perché è centrale il tema della sostanza? Nel VII libro della Metafisica Aristotele riduce il problema dell’essere a quello della sostanza. La domanda “Che cos’è l’essere” diventa “che cos’è la sostanza?”. Un risposta era già stata data nel trattato logico sulle categorie: la categoria di sostanza, a differenza di tutte le altre, non indica un predicabile, perché sostanza non è mai predicato di qualcosa ma è sempre soggetto di possibili predicati (quindi o è nome proprio o è “questa cosa qui”). Nel VII libro il tema assume una portata onto-logica: dal discorso alla realtà: sostanza è ogni cosa, ogni entità che ha un’esistenza indipendente e che non si può dividere (in-dividuo) senza che diventi qualcos’altro. Ogni sostanza è dunque un’unità in cui si possono distinguere due aspetti, due “ingredienti” principali”: in termini aristotelici, sostanza è “sinolo [unità indivisibile] di materia e forma”. Facciamo un esempio: la statua equestre di Garibaldi ai giardini pubblici è una sostanza, non naturale come una pietra, un albero o un uovo ma artificiale, creata dall’uomo. Essa è fatta di una materia (il bronzo) a cui l’artista ha dato una forma che prima di essere nella statua era nella sua mente: la forma di Garibaldi a cavallo. Questo esempio ci dà modo di spiegare anche la teoria delle 4 cause. Ogni evento, ogni cosa del mondo ha sempre 4 cause: materiale, efficiente, formale, finale. Nel nostro caso, la statua dell’Eroe dei due mondi come causa materiale ha il bronzo di cui è fatta, come causa efficiente la mano dello scultore o degli operai che hanno fuso il bronzo, come causa formale l‘effigie di Garibaldi a cavallo, come causa finale, ovvero come scopo per cui è stata fatta, l’arte oppure il desiderio di abbellire la città o di rendere omaggio a Garibaldi. 4. La dottrina delle 4 cause è fisica o metafisica? Ha entrambi gli aspetti: è fisica perché spiega come funziona il mondo naturale, è metafisica perché è un principio generale della realtà. Ogni cosa, ogni sostanza, è sinolo di materia e forma, ha 4 cause, nel divenire generale della realtà è qualcosa in atto che prima era “in potenza” (tornando all’esempio della statua la materia bronzo, che ha assunto la forma di Garibaldi, aveva la potenzialità di diventare statua) e può muoversi in diversi modi: può mutare nel senso qualitativo (e questo può succedere anche alla statua, che nel corso del tempo cambia colore, si ossida, si sciupa, e infatti di recente è stata restaurata), crescere o rimpicciolire, corrompersi, oppure mutare di luogo (il cosiddetto movimento locale, che per noi è il movimento propriamente detto) 5. Quindi nella Metafisica c’è anche la dottrina del movimento? Nella Metafisica c’è un po’ tutto quello che riguarda le scienze teoretiche (quelle che rispondono alla domanda “Com’è fatto il mondo?”) e quindi c’è posto anche per la teoria del movimento (ad esempio nel libro “lambda”, il dodicesimo). Aristotele distingue 4 tipi di movimento: il movimento sostanziale (generazione e corruzione); il movimento qualitativo (alterazione); il movimento quantitativo (generazione e corruzione); infine, quello che per noi oggi è il movimento propriamente detto (visto che gli altri tre per la nostra mentalità più che movimenti sono mutamenti), ovvero il movimento locale, o spostamento da un luogo all’altro. Aristotele però concepisce i movimenti come specificazioni del più generale divenire del mondo. Il mondo di Aristotele è infatti un mondo plurale e in perenne divenire, non statico. La forma più generale del divenire è il passaggio dalla potenza all’atto. 6. Aristotele si confronta con i suoi predecessori? Sì, nel primo libro della Metafisica (libro α) egli ci presenta una sua interpretazione dei filosofi precedenti, ragione per cui è considerato il primo “storico della filosofia”. In queste pagine A. sostiene che fin dagli esordi la filosofia si è caratterizzata come ricerca sull’essere, che nei primi filosofi prese la forma di interrogazione sull’arché, sul principio della realtà (il fondamento, ciò che permane oltre le apparenze mutevoli). Le risposte a questa domanda sono state varie: per Talete e Anassimene l’arché è un principio materiale; per Anassimandro l’indeterminato che precede ogni determinazione; per Pitagora l’arché è il numero, fino ad arrivare allo scopritore dell’Essere, Parmenide. Parmenide e Platone rappresentano indubbiamente un salto di qualità rispetto ai pensatori precedenti, ma A. li critica perché: Parmenide ha negato l’esistenza di due realtà essenziali come molteplicità e movimento Platone ha separato le essenze universali ed eterne (idee) dalle cose che esistono realmente 7. Perché il Libro XII (“lambda”: λ) è definito “teologico”? Perché in queste celeberrime e super-commentate pagine Aristotele espone la sua concezione del divino (o di Dio: su questo gli interpreti divergono). All’inizio del libro egli afferma che esistono 3 sostanze: la sostanza sensibile eterna (i cieli), la sostanza sensibile corruttibile (gli elementi naturali, animali, piante), la sostanza soprasensibile, immobile ed eterna. Quest’ultima sostanza è motrice, ovvero muove l’universo, è causa prima, è atto puro, è pensiero di pensiero. Questi sono gli attributi di Dio secondo Aristotele. Vediamo di spiegarli uno per uno. Motore immobile: tutto ciò che si muove ha una causa motrice; ora, il primo cielo, ovvero la sfera più esterna del cosmo aristotelico, è in movimento circolare costante, quindi deve essere mosso a sua volta da un primo motore. Il primo motore non è a sua volta mosso da una causa esterna, quindi è immobile. Esso imprime il movimento al cosmo come se fosse un oggetto di desiderio (come l’amato che attira a sé l’amante) ma non è a sua volta mosso da niente, altrimenti non sarebbe primo motore. Anche la catena causale richiede l’esistenza di una causa prima a sua volta non causata. Aristotele non ammette (questo è tipicamente greco) il regresso all’infinito. Allo stesso modo, il regresso atto – potenza – atto ci porta all’Atto puro, altro aspetto della divinità. Dio è anche puro pensiero, ma non potendo pensare nient’altro che se stesso, è pensiero di pensiero. Si tratta di una concezione intellettualistica di Dio, estranea alla visione ebraico-cristiana di un Dio creatore e personale (“Ego sum qui sum”: così Dio si rivela a Mosé nella Bibbia); la divinità di Aristotele è coeterna al mondo, non ha preceduto il mondo. Tuttavia, Aristotele nel XIII secolo fu una delle principali fonti della teologia di Tommaso d’Aquino, il più importante filosofo cristiano, Dottore della Chiesa e tuttora punto di riferimento del pensiero cattolico.