La religione dell’antiumanesimo
di
Tommaso Di Brango
--Dedicato a Laura
Capitolo 1
Il Marxismo come antiumanesimo radicale.
Per iniziare il nostro cammino nella filosofia marxista non possiamo fare a meno di osservarne la
natura intrinseca poiché è dall’analitica della strutturazione basilare di un pensiero scientifico
(intrinsecamente parlando) come quello di Marx che si può comprendere ogni contraddizione ad
esso estrinseca. Infatti non è nostra intenzione rimarcare la fallacia del Comunismo (la distinzione
tra Marxismo e Comunismo la vedremo in seguito) ma è nostra intenzione mettere a nudo la
dogmaticità del Materialismo storico-dialettico, base strutturale della sovrastruttura denominata
Socialismo scientifico1. Per fare ciò, tuttavia, dovremo prendere spunto da colui che meno di tutti
può apparire adatto alla comprensione della natura religiosa del Marxismo e che, paradossalmente,
si rivela il fiore all’occhiello della nostra analitica. Costui è il filosofo francese Louis Althusser,
appartenente all’ala strutturalista della compagine che fa capo a Marx. La sua interpretazione degli
scritti di Marx espunge il momento analitico della sua teoria ponendo l’accento sugli aspetti
strutturali del Marxismo ossia sui suoi aspetti economici. Marx denota una politica asservita al
potere economico (ed è su questo presupposto che pone le basi per la critica allo stato liberale e alla
democrazia rappresentativa) poiché il rapporto che esiste tra politica ed economia è lo stesso che
esiste tra struttura e sovrastruttura, ossia un rapporto di subordinazione della seconda alla prima.
Qui l’intera speculazione marxista assume i toni di una suddivisione kantiana del reale (ed è qui che
si denota la fondamentale differenza tra il Materialismo di Marx e l’Idealismo dei vari Hegel o
Kant, nel fatto che essi basano la loro esposizione su forme dello Spirito mentre Marx procede nello
stesso modo trasportando il tutto da un piano ideale a un piano materiale2) poiché le forme del reale
appaiono analoghe e nel contempo opposte a quelle che Kant chiama "categorie dello spirito". Il
Capitalismo è il sistema economico e assume una forma e una dimensione precisa e la sua esistenza
è la base strutturale per l’esistenza dello Stato democratico, ossia del Liberalismo che funge da
barriera sovrastrutturale. Il Capitalismo, ossia la struttura dell’organizzazione politica e societaria
dell’intera collettività, si compone di tre parti: Capitale (mondo dei capitalisti), Lavoro (mondo dei
proletari) e Plus-valore (risultato dell’interazione tra Capitale e Lavoro). Marx porta avanti una
analitica scientifica (nella sua dogmaticità3) delle reazioni del mondo capitalistico, e da tale
osservazione denota il fatto che il Plus-valore determina un furto da parte del borghese nei confronti
del proletario poiché questi lavora e genera un prodotto e in cambio di tale lavorazione e di tale
realizzazione riceve un salario inferiore al profitto che il capitalista ricava dalla vendita del prodotto
stesso. Di fatto il quest’ultimo guadagna un "valore in più" (Plus-valore) da un lavoro che non è suo
ma del proletario. Questa osservazione permette a Marx di concludere due cose: in primis che il
modo di appropriazione capitalistico si regge su un furto e in secundis che proprio questo furto sarà
causa del crollo del Capitalismo, poiché l’economia capitalistica si basa su presupposti che
vorrebbero esaltare la concorrenza tra privati la quale necessariamente implica la sconfitta di uno o
più in favore dell’altro. L’abbattimento di produttori minori a vantaggio dei più forti implica un
rapido estendersi del pauperismo, poiché il borghese che perde il suo mezzo di profitto (e quindi di
sostentamento) cade nel pauperismo, ma anche la massa di lavoratori che egli stipendiava oltre a
trovarsi di per sé in condizioni di vita disagiate (non dimentichiamoci del fatto che il Marxismo
nasce nel contesto dell’allargamento del proletariato industriale) cadranno in una realtà ancora più
disastrosa poiché perderanno anche quel poco che avevano. Tutto ciò non potrà che generare una
coscienza di classe rivoluzionaria al culmine della quale nascerà una rivoluzione che determinerà
l’imposizione della dittatura del proletariato. Ebbene oltre a concludere che l’analitica portata avanti
si basa su un errore madornale (e in seguito vedremo perché) possiamo notare come non sia,
secondo Marx, l’attività umana a porre le basi per la vita del Capitalismo ma come, al contrario, sia
il Capitalismo a dettare le regole per la vita umana. Non è l’uomo a determinare l’andamento
dell’economia ma è l’economia a determinare l’andamento delle azioni umane. La stessa
rivoluzione, la quale rappresenta il crollo del Capitalismo e l’avvento della società comunista, non è
assolutamente vista come un processo che nasce dalla libertà della volontà umana ma, al contrario,
2
è vista come una tappa obbligata, come un passaggio necessario un po’ come avviene nella fisica
per quel che riguarda l’abbattimento di una teoria da parte di un’altra. L’uomo, per Marx, non è
altro che il supporto ai rapporti di produzione, nulla più. Le stesse forme che compongono la realtà
capitalistica nella sua Totalità4 (altro concetto caro al pensiero marxista) non vengono prese, nella
loro singolarità, come essenze composte dal lavoro umano ma come "cose", come delle "forze" che
agiscono all’interno di un sistema che non permette loro di agire in maniera indipendente ma
subordina la loro attività al suo volere. Il Capitale e il Lavoro sono sì rispettivamente il mondo dei
capitalisti e il mondo dei proletari (cioè sono, pur conservando la loro diversità, mondi composti da
uomini), ma nell’analitica che ne fa Marx, funzionano come se fossero degli oggetti sottomessi al
sistema capitalistico. Una concezione umanistica del reale non è possibile con queste premesse
poiché, come è logico, visto con ottica marxista l’Umanesimo assume i toni di una ideologia
idealistica staccata dalla realtà materiale5. In ciò emerge nettamente la critica alla dialettica
hegeliana con la sua assunzione e il suo conseguente ribaltamento e i termini del ribaltamento
rispondono al concetto di Totalità, ossia ribaltano l’hegelismo nella sua Totalità. Se in Hegel si
incontra una dialettica che è espressione dello Spirito Assoluto da cui viene fuori la
contrapposizione tra tesi e antitesi che sfocia in una sintesi in Marx il posto dello Spirito Assoluto è
occupato dalla Totalità della realtà materiale da cui scaturiscono le contrapposizioni dialettiche che
non assumono più i connotati idealistici che avevano in Hegel ma si trasformano nei poli opposti
che vengono a crearsi nella realtà materiale. L’uomo non è altro che una delle forme del reale e,
come le altre forme, ha una duplice funzione:
1. Vive in un rapporto dialettico con il resto delle forme del reale e da tale rapporto dialettico
nascono le sovrastrutture ideologiche6.
2. Forma un tassello all’interno della Totalità.
Ed è per questo che il Marxismo non può essere una interpretazione dell’Umanesimo, perché
l’uomo non è che un essere tra gli altri e, soprattutto, non ha libertà di arbitrio. E più che mai esatta
è l’interpretazione che Althusser ne dà e giustamente rifiuta le funzioni apologetiche o, comunque,
sovrastrutturali che la filosofia neomarxista ha voluto svolgere sull’onda dell’entusiasmo. Marx
evita, nei suoi scritti, di cadere nella retorica che spesso caratterizza i profeti e i grandi oratori, il
suo tono rimane sempre quello di colui che vede il reale e da tale osservazione trae conseguenze.
Certo avremo modo di vedere come Marx analizzi male la realtà che lo circonda ma con ciò non si
può negare il fatto che fosse fuori dalle sue intenzioni far sorgere una filosofia non basata sul
metodo o una filosofia che si basa sullo studio delle scienze morali (o addirittura sul sentimento) ma
col metodo scientifico economico. Tuttavia non dobbiamo dimenticarci dei suoi molteplici errori,
primo fra tutti il considerare il modo di appropriazione capitalistico un furto. Tale errore, infatti,
mina (e, alla prova dei fatti, ha minato) l’intera sua costruzione economica e, quindi, la struttura che
fa da base alla sovrastruttura, ossia alla politica. Il Plus-valore viene considerato come il risultato
dell’interazione tra Capitale e Lavoro ma, in realtà, esso sorge dall’attività produttiva stessa poiché
il proletario lavora i prodotti da cui il borghese trae profitto grazie al fatto che questo ha investito
parte del suo capitale nell’impresa. Non si può parlare di furto, semmai di scambio. Ma, messe da
parte le considerazioni economiche, dobbiamo far presente che ad opporsi all’interpretazione
antiumanista che Althusser da dell’opera di Marx esiste una versione decisamente umanista del
Marxismo (quella gramsciana) che vuole sostenere che non è fine di Marx ritenere l’uomo come
strumento dei rapporti di produzione ma è sua intenzione liberarlo dalle catene del bisogno e,
quindi, emanciparlo alla libertà assoluta. Tuttavia questa interpretazione presenta delle pecche
vistose dato che, agendo così, si annulla l’universo analitico messo in piedi dal tedesco e si esalta in
maniera tale la funzione della coscienza di classe da renderla addirittura più importante delle
condizioni reali di vita (è questa la tematica portata avanti da Gramsci della rivoluzione contro il
Capitale). E’ così facendo che si ribalta il rapporto tra struttura e sovrastruttura non ponendo più il
Materialismo storico-dialettico come struttura del pensiero marxista e il Socialismo scientifico
come sua sovrastruttura. E ciò è esattamente il contrario di quanto affermato da Marx poiché, nella
3
sua filosofia, non sono le sovrastrutture ideologiche a determinare i mutamenti della società ma
sono le condizioni strutturali (materiali) a farlo. La coscienza di classe di cui parla Gramsci è,
marxisticamente parlando, una falsa coscienza e non ci si può sorprendere del fatto che poi in
Russia le cose sono andate come sono andate. Espungendo il momento dialettico esaltandone la
coscienza di classe si esalta non l’analitica scientifica portata avanti da Marx ma la capacità umana,
cosa che il filosofo tedesco non tiene minimamente in considerazione o, meglio, tiene in
considerazione quel tanto che serve. E Gramsci ha azzeccato in pieno nell’analizzare le cause e le
modalità d’esecuzione della rivoluzione d’Ottobre ma ha sbagliato totalmente nel tentare di darle
una giustificazione di stampo marxista e, in secondo luogo, ha tratto conclusioni affrettate. Secondo
lui la dittatura del proletariato sarebbe stata autentica ma, purtroppo, il filosofo italiano non si
rendeva conto del fatto che esaltando la funzione della coscienza di classe si viene inevitabilmente
ad esaltare la figura del Partito (essendo la coscienza di classe simbolo dell’unitarietà della classe
proletaria ed essendo il partito l’espressione pratica di tale unitarietà), quindi i massimalisti (ossia i
teorici del partito) quindi il Capo (cioè la guida della rivoluzione). In un contesto come questo si
poteva evitare di far nascere lo Stalinismo? Di conseguenza è lampante il fatto che il Marxismo, per
essere tale, deve essere applicato in tutto e per tutto altrimenti è nulla. E, per applicarlo in tutto e per
tutto, non si può che partire dalle concezioni strutturalistiche che ne ha Althusser poiché il pensiero
marxista è principalmente un pensiero basato sulla struttura delle cose, ossia della materia. Il
pensiero di Marx non è concepito come una liberazione catartica che l’uomo attua su sé stesso, ma è
concepito come una fredda analitica esistenziale e nulla più. Di conseguenza non c’è posto in esso
per l’Umanesimo poiché questa è una ideologia e il Marxismo si prefigge di essere scienza, non
ideologia. Tuttavia, come vedremo, è più ideologia il Marxismo dell’Umanesimo e, tra le altre cose,
è una utopia assoluta quella che vorrebbe vedere la dittatura del proletariato un momento transitorio
che fa da preludio alla dissoluzione dello Stato. Detto questo si può tranquillamente ritenere il
Marxismo come destinato al fallimento (e la Storia ci ha dato perfettamente ragione).
1
Di fatto vogliamo mettere a nudo come il Marxismo, più che essere una metodologia scientifico-empirica, sia un
processo conoscitivo che parte da verità la cui dimostrabilità è impossibile e, quindi, parte da dogmi. Possiamo
anticipare quel che vogliamo esplicitare in seguito dicendo che il Marxismo è una teologia. È tuttavia necessario
specificare il fatto che non è nostra intenzione scagliarci contro il dogmatismo in sé, ma contro il Marxismo che si
ritiene antidogmatico non essendolo poi nella realtà delle cose.
2
Ci si ricordi del fatto che il Marxismo, pur riprendendo lo schema della dialettica hegeliana, non è assolutamente una
filosofia idealistica ma, al contrario, una filosofia materialistica. Marx, fortemente influenzato da Hegel, Kant e dagli
esponenti della Sinistra hegeliana (specie da Feuerbach), assume spesso schematizzazioni del reale che potrebbero
apparire incredibilmente simili a quelle di Hegel o Kant, ma tali schematizzazioni si distanziano sia dal kantismo sia
dall’hegelismo proprio per via del fatto che i due predecessori di Marx avevano impostato una filosofia che si regge
sull’idealità, mentre egli traspone il tutto alla realtà materiale. Di fatto si potrebbe ritenere che il rapporto sussistente tra
il Marxismo e la filosofia dell’Idealismo tedesco è lo stesso che esiste tra il seggetto fisico e la sua immagine riflessa
nello specchio, ossia di eguaglianza e opposizione.
3
Esattamente come nella teologia.
La Totalità degli agenti del mondo reale è il segno più evidente della trasposizione dell’hegelismo dall’idealità alla
materialità, poiché tale figura (quella della Totalità, appunto) è l’esatto opposto dello Spirito Assoluto di Hegel. Mentre
per questi lo tale spirito rappresenta la base da cui nascono le individualità umane nel Marxismo la Totalità è il
substrato comune a tutti gli esseri o, meglio, di tutte le forme del reale che, volenti o nolenti, sono composte solo ed
unicamente di materia.
4
Lo stesso Hegel, da cui Marx prende le mosse, a causa dell’impronta idealistica data alla sua filosofia viene ritenuto
solo vuota e inutile ideologia da Marx. Di fatto Marx rimprovera al padre dell’Idealismo panlogico proprio l’aver
invertito l’ordine delle cose che, a suo modo di vedere, si basa sull’essere reale delle condizioni materiali dell’esistenza
umana che genera le ideologie, che il filosofo chiama sovrastrutture.
5
6
In verità questa funzione è presente solo nella natura umana, e i motivi sono logicamente evidenti.
4
Capitolo 2
Il Marxismo non può conoscere altra espressione che quella dittatoriale
L’interrogarsi sulla natura del Marxismo non può far altro che portare il critico a osservarne i
potenziali tratti dittatoriali. È infatti un problema aperto quello riguardante la natura politica del
Marxismo, poiché essa viene a realizzarsi solo nella estrinsecità dell’elaborazione del filosofo di
Treviri il quale, nella natura intrinseca delle sue previsioni, non aveva ritenuto come eternamente
stabile il regime del proletariato.
Il Capitalismo, visto nella sua interezza, è quello stadio della storia dell’uomo che segue allo
schiavismo e al feudalesimo e che per sua natura non può far altro che svilupparsi in maniera tale da
creare i presupposti per la rivoluzione proletaria con la quale istituire la dittatura del proletariato,
quindi il regime socialista. Tuttavia lo statalismo per Marx non è altro che un momento passeggero
la cui utilità è vista solo su un piano pedagogico, e il termine dello Stato (quindi la sua dissoluzione)
coinciderà con l’avvento della società comunista nella sua forma più autentica. Le condizioni
economico-sociali imposte dalla dittatura del proletariato avranno fatto in modo tale da imporre
all’uomo una realtà diversa da quella capitalistica e, quindi, un nuovo stile di vita e una nuova e più
solidale morale (poiché sono i fatti a determinare le idee e non le idee a determinare i fatti): questa è
la funzione dello Stato. Oltre a denotare dei caratteri fortemente religiosi in tutto ciò noi possiamo
osservare quanto sia allo stesso tempo utopistico il disegno tratteggiato da Marx, poiché egli non fa
altro che fondare la sua fiducia (tradendo in questo modo l’intero iter naturale della sua filosofia)
nelle qualità di una messianica dittatura che dovrebbe dissolversi al momento giusto per dare vita a
una società composta di "nuovi Cieli e nuova Terra". La catarsi dell’uomo, tuttavia, non va travisata
poiché questi non ha alcun merito per la riuscita di tale condizione sociale ma egli non è che un
mezzo per giungere a ciò (e questo abbiamo avuto modo di vederlo).
Marx ritiene la sua realtà l’unica forma possibile di democrazia, poiché la democrazia dei Paesi a
regime capitalistico si basa sull’istituzionalizzazione del privilegio e della disuguaglianza1 mentre il
Socialismo, a cui segue il Comunismo, oltre ad essere quella dittatura al termine della quale sorge la
vera democrazia è di per sé una dittatura democratica, poiché nasce dal consenso della stragrande
maggioranza della popolazione e va a vantaggio della stragrande maggioranza della popolazione.
Ah, sogni idealistici di un utopista! E poi Marx rimprovera Proudhon! Ma il lettore si starà
domandando il perché di tutte queste affermazioni, in quanto noi le stiamo fornendo alla sua lettura
senza darne spiegazione alcuna. Ma è nostro dovere e nostro volere dare atto al lettore della nostra
critica a quanto affermato dal filosofo di Treviri, tuttavia per fare ciò si deve andare molto indietro
nella storia dell’uomo al fine di trovare coloro che, per primi, si sono occupati del problema della
politica e della validità dei vari sistemi di organizzazione della vita pubblica.
Le origini del pensiero politico occidentale risalgono al logos tripolitikos di Erodoto e,
fondamentalmente, i loro sviluppi successivi non sono mai riusciti a fuoriuscire dal trittico proposto
dal padre della storia (ossia dalla possibilità di scegliere tra il governo di uno, il governo dei pochi e
il governo dei molti). E se il padre del logos si farà aperto e pugnace sostenitore della monarchia (il
governo di uno) il suo più illustre successore, Platone, si muoverà in senso diverso con il suo
Comunismo arcaico basato su una organizzazione statalistica di tipo elitario e, quindi, oligarchico
(governo dei pochi). Ma quella realtà politica che più di tutte si avvicina alla concezione realistica
(e quindi vera) della politica è quella di Aristotele, il quale pur ritenendo che non possa esistere il
sistema politico perfetto in quanto ogni organizzazione politica, pur apparendo perfetta nella sua
idealità, si dimostra fallimentare nella pratica, si fa aperto sostenitore della democrazia (governo di
molti). Le critiche che egli muove a Erodoto e a Platone non sono, quindi, di ordine ideologico
5
bensì di ordine pratico. E le stesse critiche sono quelle mosse da Marx nei confronti della
democrazia rappresentativa, poiché se essa si prefigge l’obiettivo di garantire l’uguaglianza
giuridica di ogni cittadino nella realtà delle cose finisce per essere quel sistema tramite cui la classe
borghese impone la sua dittatura e difende la sua esistenza poiché le enormi disparità economiche
presenti tra borghese e proletario fanno sì che il primo abbia una ascendente maggiore anche sulle
cariche pubbliche.
E fin qui Marx segue la stessa linea di Aristotele, poiché porta avanti delle critiche che fondano la
loro essenza sulla natura della realisticità degli eventi. Le differenze sorgono nel momento in cui si
va ad osservare l’alternativa alla critica presente nel pensiero dei due, perché se lo Stagirita criticava
dei sistemi politici senza aver la pretesa di costruire il sistema perfetto Marx critica la democrazia
rappresentativa convinto che essa non possa far altro che favorire un sistema che crollerà a causa
delle eccessive contraddizioni interne presenti nel suo apparato strutturale (ossia nell’economia) e
convinto di poter prevedere la venuta di una realtà politica perfetta. E la rivoluzione di Marx
consiste proprio in questo: nell’aver proposto un sistema politico-economico alternativo non solo
rispetto a quelli contro cui si scagliava ma, soprattutto, sconosciuto anche al logos tripolitikos di
Erodoto. Ma la sua geniale intuizione si ferma a ciò, perché pur indicando le vie tramite cui
raggiungere la realizzazione di tale società egli non si rende conto del fatto che tutta la sua opera
non è che destinata a fallire e proprio per quegli stessi argomenti con cui lui andava a criticare la
democrazia: argomenti di ordine realistico. La dittatura del proletariato è il sistema politico che
viene ad instaurarsi dopo la caduta del Capitalismo, ma essa in fondo non è che il momento
immediatamente successivo alla realtà capitalistica e, quindi, non è che il momento più propizio per
gerarchizzare la realtà delle cose al fine di assicurarsi una dittatura sicura a coloro che governano.
La rivoluzione, per come viene impostata da Marx, è perfettamente predisposta per evolversi in
maniera tale da trasformarsi in una dittatura atta a mostrare il fianco all’instaurarsi della
durevolezza della sua vita. Né è ammissibile, al marxista, sperare nella buona volontà del singolo
che cambia la realtà delle cose poiché, come Marx stesso sostiene, è la realtà nella sua totalità ad
evolversi e, quindi, a far evolvere gli esseri che si trovano al suo interno ma non assolutamente il
contrario. Marx dà per scontato che l’evolversi della dittatura del proletariato porti all’attuazione
dell’anarchia comunista, ma non spiega in nessun punto per quale motivo i dirigenti della dittatura
del proletariato dovrebbero rinunciare al loro potere per dar vita al Comunismo. In più è
assolutamente errato ritenere che la dittatura del proletariato sia una dittatura democratica per il
semplice fatto che nasce dal consenso della maggioranza, poiché la democrazia vera è il governo
delle maggioranze che tutelano comunque i diritti delle minoranze dando loro la possibilità di
diventare a loro volta maggioranze. Nella dittatura del proletariato ciò non avviene assolutamente.
Detto questo il marxista non può fare a meno di confrontarsi con la realtà effettiva delle cose
poiché, essendo il Marxismo la teoria della prassi, non può non tener conto degli svarioni commessi
nelle sue attuazioni perché essi non sono altro (non possono essere altro, agli occhi del marxista)
che risultati della condizione materiale in cui si trovano. Di fatto possiamo tranquillamente
concludere che il Marxismo non può che conoscere la sua realtà dittatoriale senza avere la
possibilità di tramutarsi in anarchia.
1
Di fatto Marx ritiene la società capitalistica o, meglio, il sistema economico capitalistico quella struttura economica su
cui basa la sovrastruttura dello Stato liberale, la cui funzione è teoricamente quella di rendere uguali i cittadini su un
piano giuridico ma, di fatto, tale funzione si riduce a un atto di copertura nei confronti di un sistema economico che va a
tutto vantaggio della classe borghese la quale, assai più abbiente e quindi molto più capace di far valere la sua voce in
campo istituzionale rispetto al proletariato, può godere di una superiorità sia economica sia giuridica rispetto alle altre
classi.
6
Capitolo 3
L’oppio dei popoli
(perché il Marxismo è una religione)
Osservare l’analitica marxista nel suo intero spendendo la fatica di un paio di capitoli è cosa
impossibile per due ragioni: in primis il Marxismo analizza la totalità degli agenti economicosociali, ragion per cui è impossibile osservare e commentare tutte le analitiche portate avanti dal
filosofo di Treviri in un colpo solo dato il fatto che esse sono, in quanto osservazioni di una totalità,
strettamente necessarie l’una all’altra; in queste condizioni è impossibile analizzarle tutte insieme
senza fare confusione e facendo confusione anche su una delle analitiche marxiste si termina per
farne sull’intera sua strutturazione teorica. In secundis dobbiamo aver presente il fatto che l’opera di
Marx si divide in due momenti fondamentali: il momento analitico (quello esaltato da Altussher) e
quello "politico" (preponderante nella concezione gramsciana del Marxismo) che a loro volta si
suddividono in altri momenti che, tuttavia, rimangono tutti consequenzialmente fondamentali per
l’esistenza del precedente. Nonostante ciò una conclusione la possiamo già affrettare: non si può
dire che il Marxismo non sia una ideologia unitaria e ordinata come una teoria scientifica (o come
una fede religiosa). In questo passo abbiamo intenzione di osservare due delle espressioni
ideologiche marxiste, ossia la critica alla religione e l’analitica che Marx porta avanti per spiegarsi
l’esistenza della religione stessa e da ciò osserveremo le conseguenti possibili contraddizioni interne
presenti nel Marxismo nella sua interezza. Cominceremo, tuttavia, con l’analitica della critica alla
religione. La formulazione "la religione è l’oppio dei popoli" è forse la frase marxista più celebre in
assoluto ed è, in fondo, il pilastro su cui si basa l’intera struttura ideologica elaborata dal filosofo
tedesco. Confutata la critica alla religione, potremmo dire, si confuta il Marxismo. Vero, perché
confutando quanto Marx afferma in ambito religioso si viene a smontare l’intera sua elaborazione
(una filosofia materialista ha il suo epicentro nella critica al trascendentalismo). Tuttavia si deve
aver presente il fatto che così facendo non si confuta il Comunismo che, e su questo si deve far
attenzione, non è sinonimo di Marxismo. Perché? Semplicemente perché non è il Comunismo ad
essere una variante del Marxismo ma è il Marxismo ad essere una variante del Comunismo e ciò è
determinato dal fatto che esistono molte forme di Comunismo (da quello platonico al Socialismo
utopistico alle arcaiche forme di organizzazione comunista dei Maya ecc. ecc.) ma il Marxismo è
uno e uno soltanto. Il termine Marxismo, di fatto, non è altro che la personalizzazione del
Socialismo scientifico che è la derivazione del Materialismo storico-dialettico ideato dal duo MarxEngels. Non esistono varianti di Marxismo e seppure si andassero a trovare delle forme di
Comunismo di ispirazione marxista diverse dalle altre (ad esempio il Maoismo) non si potrebbe
parlare di Marxismo ma di movimento marxiano. Movimento marxiano che non può essere
assolutamente definito un movimento marxista ma è un qualcosa che, in qualche modo, prende
spunto dall’ideologia marxista pur senza rimanervi fedele in maniera ortodossa. Per la confutazione
del Comunismo, tuttavia, si possono muovere delle argomentazioni che confutino delle parti del
Marxismo. Parti che, però, devono essere prese come forme del reale a sé stanti e non come pilastri
del Marxismo poiché confutandole si giunge a un risultato esorbitante: confutare in un colpo solo
sia il Socialismo scientifico (cioè la variante del Comunismo) sia il Comunismo stesso. Ma quel che
ora ci interessa è l’analitica del punto fondamentale del Marxismo, ossia la critica alla religione
quindi non ci conviene perdere tempo dietro a questioni riguardanti le strutturazioni politicoeconomiche ideate da Marx. Si deve aver presente il fatto che il Socialismo scientifico non è altro
che la conseguenza del Materialismo storico-dialettico e non il contrario. La società socialista è
ritenuta da Marx non un passaggio determinato dalla volontà umana indipendente dal resto della
materia che la circonda ma la volontà umana è conseguenza del variare delle condizioni materiali
che si trovano attorno ad essa. Marx non mette l’uomo al centro della sua filosofia ma la Totalità,
7
ossia l’insieme delle forme del reale e l’uomo non è considerato l’Inizio del reale ma
semplicemente una parte di esso. L’uomo non regola liberamente la sua vita né crea arbitrariamente
i suoi pensieri ma la sua vita è in un eterno rapporto dialettico con la natura e le ideologie da lui
create non sono altro che il risultato del suddetto rapporto dialettico. Per Marx, come abbiamo già
visto, è ideologia l’Umanesimo ma, conseguentemente, è ideologia anche il Platonismo e insieme
ad esso il Realismo, lo Spiritualismo, l’Idealismo ecc. ecc. Lo stesso Socialismo non è altro che
ideologia la cui esistenza è la diretta conseguenza alla prosecuzione dei rapporti di produzione e dei
modi di appropriazione capitalistici. E la peggiore ideologia che la dialettica uomo-natura sia
riuscita a creare è la Religione. Essa, nella concezione che Marx ne ha, è la diretta conseguenza del
modo di appropriazione capitalistico che, essendo causa principale e, forse, unica della disparità di
benessere economico e quindi materiale tra gli uomini, genera negli individui economicamente più
deboli una reazione istintiva, una sorta di protesta contro la mancanza di piacere materiale causata
dalla realtà circostante. Essa nasce, quindi, come alienazione da sé, come trasposizione dei propri
desideri terreni in un mondo irreale e illusorio. Così facendo il proletario (poiché l’individuo
economicamente più debole è proprio il proletario) rinuncia alla sua lotta esistenziale, perde in
vigore poiché i suoi desideri mondani sono messi a tacere dalla speranza di una realtà
ultramondana. E perdere questi desideri significa morte per lui e vita per il borghese dato il fatto che
nel momento in cui il proletario non desidera più di quello che ha (ossia le sue catene) il borghese
può accaparrarsi tutto quel che vuole. Da qui deriva la frase "la religione è l’oppio dei popoli", dalla
considerazione del fatto che essa spegne i desideri della popolazione più povera a tutto vantaggio
del borghese. Essa è, in pratica, un instrumentum regni del capitalista. Ma Marx non ha fato i conti
con alcune realtà la cui oggettività non può sfuggire a colui che si adopera con mente scientifica e,
soprattutto, tale analitica mantiene un atteggiamento contraddittorio proprio nel campo della
dialettica uomo-natura e, di conseguenza, le contraddittorietà si ingigantiscono nel momento in cui
vengono messe a confronto la critica della religione e l’analitica sulla sua origine. E laddove
esistono contraddittorietà esiste il dogma poiché, è evidente, il dogma esiste in due versioni: può
essere dogma credere in quel fenomeno razionalmente possibile ma altrettanto razionalmente
inspiegabile e può essere dogma credere in un fenomeno razionalmente impossibile e, di
conseguenza, razionalmente inspiegabile (anche se la sua spiegazione può sorgere da altri dogmi
che, tuttavia, rimangono tali ma non discuteremo di ciò dato che questo è compito del teologo). Ma
laddove c’è il dogma c’è la religione e laddove c’è religione non ci dovrebbe essere (non ci
dovrebbe essere) il Marxismo. Marx si prepone l’obiettivo di realizzare una analitica esistenziale
basata sulla trasposizione del metodo scientifico sperimentale al metodo scientifico economico e un
metodo scientifico non può accettare verità rivelate di alcun genere.
Ma procediamo con ordine:
1. "La religione è l’oppio dei popoli"
Il cammino analitico che Marx porta avanti per concludere ciò è in perfetta
conformità col sistema da lui adottato per analizzare il reale, ossia una analitica
esistenziale. Egli ritiene la religione una produzione obbligatoria del sistema
capitalistico poiché tramite la sua forma di economia vengono inevitabilmente a
formarsi i presupposti che generano la dialettica uomo-natura da cui inevitabilmente
nasce la religione ma non si rende conto del fatto che la sua analitica si basa
semplicemente su un concetto di totalità secondo il quale l’intera realtà influisce
nella nascita delle sovrastrutture ideologiche ma questo concetto è assai contestabile
poiché poggia su principi secondo i quali si può sostenere che raggiungendo le prove
necessarie per dire che un pianeta presenta caratteristiche di tipo gioviano e non
terrestre si può argomentare per dimostrare che la democrazia di Aristotele non era
affatto il sistema politico più adatto per l’epoca in cui è sorta. Ma comunque le
nostre critiche non si fermano qui, infatti a Marx c’è da contestare il fatto che il
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principio secondo cui egli critica la religione e l’analitica che lo porta a dimostrare le
sue origini entrano in netto contrasto per un motivo semplicissimo che, tuttavia,
potremo spiegare meglio dopo aver riportato un testo dalla chiarezza illuminante in
proposito. È un testo tratto dall’Introduzione alla "Critica della filosofia del diritto di
Hegel" la cui chiarezza ci renderà più facile l’esposizione delle tesi che abbiamo
intenzione di portare avanti:
"La critica della religione disinganna l’uomo perché rifletta, agisca, si formi la sua
realtà come un uomo disilluso, giunto in possesso della ragione, perché si muova
attorno a sé stesso dunque attorno al suo vero sole"
I principi presenti in questo testo sono quanto mai lampanti (e lampante alla stessa
maniera è l’antropocentrismo che Marx vuole mettere in mostra) e, pur non volendo
muovere critica contro il messaggio intrinseco dello scritto su riportato, vogliamo
confrontarlo con la tesi che vuole vedere la nascita della religione come un effetto
del rapporto dialettico tra uomo e natura. L’uomo non è in grado di reagire al mondo
della natura in quanto è dalla dialettica tra lui e la natura che lo circonda che nascono
le ideologie (o, meglio, le sovrastrutture) e, di conseguenza, anche la religione
eppure i principi a cui il filosofo tedesco si appella per criticare la sovrastruttura
religiosa sono dei principi di stampo umanistico! Assurdità allo stato puro e
l’assurdità non è derivazione delle nostre convinzioni personali in materia ma nasce
dalla tragica contraddizione tra spirito materialistico e spirito umanistico presente nel
pensiero marxista. Nell’analizzare la nascita della religione si denotano principi
evidentemente materialistici e addirittura antiumanistici dato che l’uomo, secondo
quanto affermato da Marx, non ha libertà dal mondo della natura ma ne è dipendente
dato che le sovrastrutture ideologiche che egli crea non sono suo frutto ma sono
frutto dell’interazione tra sé stesso e la natura (e siccome l’uomo è parte della natura
si può sostenere che Marx ritiene l’uomo un giocattolo nelle mani della Dea Materia)
ma nel criticare la religione afferma che l’uomo deve vivere la vita nella più
completa e assoluta libertà e, soprattutto, "deve girare intorno a sé stesso dunque
intorno al suo vero sole"! Se il vero sole dell’uomo è sé stesso allora è evidente che
anche la religione è conseguenza della libertà dell’uomo ma se la religione è
conseguenza del rapporto dialettico uomo-natura allora è impossibile che l’uomo
abbia il suo vero sole in sé stesso! E in questo modo viene a crollare non solo la
critica mossa da Marx alla religione ma anche quella mossa da Feuerbach (dal quale
Marx riprende la critica della religione) poiché il filosofo austriaco non solo non
porta argomentazioni diverse da quelle portate avanti da Marx nel criticare la
religione ma non porta nemmeno (e questa sarà causa di critiche da parte dello stesso
Marx) argomentazioni valide per spiegare l’origine del fenomeno religioso. Marx
spiega tale fenomeno ricorrendo alla dialettica ma Feuerbach, da anti-dialettico, non
lo spiega assolutamente. Ma per criticare Feuerbach (impresa assai più semplice che
criticare Marx) avremo tempo in altri luoghi, ora soffermiamoci sul padre del
Materialismo storico-dialettico. Giunti a questo punto possiamo già concludere che
questa è la prima contraddizione interna al Marxismo che abbiamo trovato
(contraddizione che si ripresenta anche nel mettere a confronto la critica ad Hegel e
la critica ad Haeckel), ma l’espressione "contraddizione interna" significa
contraddizione in termini e credere in una contraddizione in termini significa credere
nel dogma. Dove vogliamo arrivare? Semplicemente che credere nel dogma significa
credere nella religione e che se il Marxismo presenta dogmi allora è una religione.
Ma questo è solo l’inizio. Un altro punto debole della critica mossa da Marx alla
religione consiste nel fatto che la sua analitica, rimanendo a tutti i costi ancorata al
suolo dell’esistenziale, tralascia altri aspetti e confonde altri ancora. Marx, infatti,
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non viene quasi mai a scontrarsi con la prova fisico-teologica proposta da san
Tommaso d’Aquino1 e nel momento in cui lo fa (avviene una sola volta e di
sfuggita) cade in una incomprensione goffa e, per certi versi, divertente. Tuttavia per
arrivare ad evidenziare quanto affermato dal filosofo di Treviri in proposito abbiamo
bisogno di procedere con lo stesso ordine che abbiamo utilizzato nel processo
analitico finora portato avanti, ragion per cui ordineremo il nostro discorso in
maniera chiara e funzionale. Portando avanti la sua analitica esistenziale Marx fa una
immane confusione tra osservazione della vita dei credenti e osservazione del
fondamento razionale del credere o del non credere in Dio. Le sue analisi roventi non
vengono quasi mai in contatto con la "questione Dio", ma rimangono attaccate a
sterili attacchi alla religione e far confusione tra il termine "religione" e il termine
"Dio" è piuttosto grave poiché la differenza che passa tra religione e Dio è la stessa
che si denota tra Stato democratico e Stato dittatoriale: l’essenza rimane uguale
(ossia lo Stato nel mondo politico e Dio in quello religioso) ma cambia la sua
organizzazione (in un caso ci sono libere elezioni, c’è libertà di parola, stampa ecc.
ecc. nell’altro no, per quel che riguarda la politica, mentre per quel che riguarda la
religione cambia la natura di Dio). Non è osservando le reazioni che la religione
ingenera nel credente che si può dimostrare o meno l’esistenza di Dio ma è
nell’osservazione razionale della "questione Dio" che si può arrivare a conclusioni
valide in materia. Anche l’analitica che Marx porta avanti per scoprire l’origine della
religione nell’animo umano crolla di fronte all’osservazione razionale della prova
fisico-teologica dato che questa non si interroga sull’idea dell’essere perfetto che
erroneamente sceglie sant’Anselmo per dimostrare l’esistenza di Dio ma si interroga
sulla natura dell’atto di essere per cui la natura esiste. Certo Marx non può negare il
confronto con questo argomento e, infatti, non lo fa (o, perlomeno, non lo fa
sempre). Anzi, dobbiamo correggerci: non lo fa una volta soltanto, le altre volte lo
rifugge sempre. E anche facendolo non cava un ragno dal buco dato che anche la
risposta che egli dà rimane ristretta in un campo visivo e non altro. Ma per la gioia
del lettore ora riproporremo quel passo. Di fronte alla domanda "Da cosa ha tratto
origine l’uomo e, più in generale, la natura?" il filosofo di Treviri risponde:
"Posso limitarmi a ribattere: la tua domanda è essa stessa prodotto dell’astrazione.
Domandati come hai fatto ad arrivare a questa domanda; domandati se la tua
domanda non proceda da un punto di vista a cui non posso rispondere perché è
assurdo. Domandati se quel progresso esista come tale per pensiero razionale.
Quando tu ti poni la domanda intorno alla creazione dell’uomo e della natura fai
astrazione dall’uomo e dalla natura. Tu li poni come esistenti eppure vuoi che te li
dimostri come esistenti."
E prosegue mettendo a nudo il fatto che se si vuole rinunciare alla presunta
astrazione si deve rinunciare anche alla domanda mentre se si vuole rimanere fedeli
all’astrazione si deve solo tacere in quanto nel momento in cui si pensa o si agisce si
confuta l’astrazione stessa. Ma la sua risposta non mette a nudo il processo di
astrazione da noi messo in atto semplicemente perché non esiste, da parte nostra,
processo di astrazione della natura e dell’uomo ma esiste altresì un processo di
astrazione della natura della natura e dell’uomo poiché se la natura e l’uomo nascono
da una mente divina presentano una natura diversa da quella presentata in caso essi
siano semplice e nuda materia che, per esistere, non ha la necessità di essere
plasmata da alcun essere che la trascenda ma segue un movimento di tipo circolare.
La nostra domanda, pur facendo astrazione della natura della natura e dell’uomo,
nasce dalla tematizzazione della loro esistenza, non dalla loro astrazione. Il punto
certo da cui si parte è: gli esistenti sono, di conseguenza... E si prosegue nel proprio
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discorso, ma non si astrae nulla anzi! Detto questo, tuttavia, rimane da vedere se è
dimostrabile l’esistenza di Dio poiché abbiamo sì confutato quanto sostenuto da
Marx ma non basta confutare l’argomento dell’avversario per dimostrare che è vero
il proprio argomento poiché limitandosi alla confutazione delle tesi di chi ci si
oppone non facciamo altro che mettere a nudo la fallacia delle affermazioni del
nostro avversario ma non è detto che se le sue affermazioni sono errate le nostre
sono giuste. O meglio: le nostre affermazioni non sono necessariamente giuste fin
quando dimostrano in maniera lampante che l’avversario ha torto poiché esse,
limitandosi a fare ciò, non costruiscono nulla ma distruggono soltanto. Non si
afferma e dimostra la giustezza della propria tesi, si afferma e dimostra la fallacia
della tesi dell’avversario. Ma, in verità, questo problema non ci riguarda più di tanto
dato il fatto che il fedele accetta il dogma religioso, il marxista (o meglio, il fedele
marxista) no (almeno in teoria) quindi nel momento in cui Marx dice che non si può
dimostrare l’esistenza di Dio (e questo, certo, è un qualcosa da egli accettato poiché
un ateo materialista che afferma che può essere dimostrata l’esistenza di Dio è
assurdo) e che non crede nella sua esistenza per questo motivo cade in una
contraddizione in termini addirittura clamorosa (e insieme a lui tanti altri) poiché
anche ammettendo il fatto che l’esistenza di Dio non può essere dimostrata in
maniera alcuna non si dimostra il fatto che Dio non esiste. Si può confutare la prova
ontologica ma non si può, tramite quella confutazione, dimostrare che Dio non esiste
poiché confutando una prova si dimostra che quella prova non è valida per sostenere
l’esistenza di Dio ma non altro perché per dimostrare il fatto che Dio non esiste si
deve incontrare una prova lampante del fatto che l’esistenza di Dio entri in contrasto
con qualche tematica esistenziale o addirittura teologica ma ciò è chiaramente
impossibile perché, teologicamente parlando, Dio è onnipotente quindi può ogni
cosa. Può esistere pur non essendo dimostrabile la Sua esistenza (e fin qui le nostre
capacità razionali arrivano anche a comprendere ciò) ma può esistere anche con
prove umanamente inconfutabili della Sua non esistenza. Di fatto Marx, nel dire che
Dio non esiste, crea un altro dogma (altra prova per dimostrare che il Marxismo è
una religione) poiché si limita a porre nell’inesistente quel qualcosa di cui non può
dimostrare l’esistenza ma non dimostra il fatto che di quel qualcosa di cui non si può
provare l’esistenza si può provare la non esistenza. Tuttavia il nostro rimane un
discorso ipotetico dato il fatto che Marx non affronta mai tematiche di questo tipo.
La sua analitica in materia teologica si limita alla risposta sbrigativa che abbiamo
riportato sopra e basta, non entra mai nel merito più di come non abbia fatto in quel
passo. Il discorso che stiamo portando avanti adesso è semplicemente una
speculazione ipotetica del pensiero marxista (anche se "ipotetica" è un termine un
po’ troppo vago per definire quel che vogliamo dire poiché ci siamo poggiati per
giungere a quel che siamo giunti su principi incontestabili). Certamente Marx non
sosteneva di essere ateo pur affermando che si può dimostrare l’esistenza di Dio e da
ciò deriva tutto il resto del nostro discorso che, in realtà, procede a tappe obbligate.
Ma Marx sfiora (o forse sarebbe il caso di dire che raggiunge con perfetta scelta di
tempo e di modo) il ridicolo nel momento in cui vuole affermare l’immoralità
dell’esistenza di Dio, poiché, secondo quanto egli dice, un essere creato è pur sempre
debitore di un altro essere e per cui non è completamente libero. Leggendo frasi di
questo tipo delle persone estranee alla materia filosofica potrebbero confondere il
pensatore tedesco col trio di comici che ha imperversato con film e sketches di
altissimo livello negli anni trenta del XX° secolo, poiché la banalità è davvero
grande. Tuttavia essa assume dimensioni talmente titaniche da richiedere alcuni
punti di schematizzazione per essere osservata in maniera adatta:
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A. Se Dio non esistesse l’uomo non gli sarebbe debitore dell’esistenza. Vero, vero. Ma Marx
azzecca solo questo poiché il resto è spazzatura! Se Dio non esistesse l’uomo non gli
sarebbe debitore della propria esistenza, ma l’uomo non potrà mai essere causa della sua
esistenza! Di conseguenza dovrà sempre e comunque essere debitore a qualcos’altro della
sua esistenza.
B. Se Dio non esistesse l’uomo sarebbe perfettamente libero da condizionamenti di ogni
genere? Davvero qui si tocca il fondo poiché l’essere libero può essere solo l’essere creato
direttamente ma l’essere creato tramite mediazioni è dipendente in qualche modo da quel
qualcosa che lo crea. Creare un essere significa creare un’autarchia, quindi un qualcosa di
libero perché estraneo da sé. In più la sterile polemica morale sull’indipendenza dell’uomo
potrebbe essere anche (si sottolinea il condizionale) valida se fatta da altri filosofi ma non se
fatta da Marx. Non sono le sovrastrutture ideologiche conseguenza del rapporto dialettico
uomo-natura? Non è questo quanto affermato da Marx? Ragion per cui l’uomo segue i
condizionamenti della natura anche e soprattutto nelle decisioni da prendere (poiché le
sovrastrutture ideologiche sono, in grande, quel che sono le decisioni in piccolo) e, di
conseguenza, non è libero ma è ridotto a essere materiale in una immensa realtà composta
unicamente di materia. Ma Marx preferisce essere schiavo di un Dio finito e incosciente
come la materia che essere figlio di un Dio infinito e onnipotente come quello cristiano
(abbiamo anche trovato il Dio in cui crede Marx).
C. Non è certo argomentando in questi termini che si dimostra che Dio non esiste. Così non si
fa altro che elargire frasi propagandistiche assai poco valide su un piano razionale. Non ci
pare il caso di dover dare ulteriori spiegazioni data la chiarezza del concetto che vogliamo
esprimere.
Quanto all’aspetto esistenziale posto da Marx a critica della religione si può ribattere
assai tranquillamente che ciò che afferma è totalmente falso per due ragioni:
A. Non è nostra intenzione discutere della convenienza che può avere il borghese a mantener
viva la religione ma vogliamo solo far presente il fatto che, eliminata la religione, egli non
ha remore di stampo trascendentale dalla sua logica di profitto (perlomeno in campo
cristiano).
B. Senza religione il popolo assai più difficilmente prende coscienza poiché, che piaccia o
meno, la religione è un elemento che dà identità all’individuo come all’insieme degli
individui. Nel XX° secolo alcuni marxisti si sono resi conto di ciò (Ernst Bloch in
particolare) e ciò gli va riconosciuto come merito ma proprio il loro merito va ad aumentare
i demeriti di Marx.
1. Perché il Marxismo è una religione.
Sviluppare questo punto sarà per noi motivo di grande piacere per una serie di motivi.
Principalmente sarà una maniera per svelare quanto dogmatismo sia presente nell’ideologia
marxista e, di conseguenza, quanta ipocrisia sia presente nel Marxismo e, in secondo luogo, sarà
assai facile sviluppare questa tematica poiché molti elementi che avvicinano il pensiero di Marx ai
pensieri religiosi li abbiamo riscontrati nel passo precedente e lungo tutto il corso di questo capitolo,
ragion per cui sarà semplice per noi argomentare e sarà semplice per il lettore seguire il filo del
discorso. Come al solito schematizzeremo il tutto in maniera tale da procedere in maniera ordinata e
lineare:
A. Perché il Marxismo si definisce Socialismo scientifico.
La definizione che Marx ha dato al Socialismo derivato dal Materialismo storico-dialettico
sta a marcare la differenza (e la polemica) col Socialismo utopistico dei vari Fourirer,
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Proudhon ecc. ecc. Mentre questi affermano (molto ingenuamente, in realtà) una forma di
socialismo che pone le sue basi sulla buona volontà e sulla collaborazione di tutti (industriali
compresi) nel realizzare una società in cui non ci sia proprietà privata Marx denota
l’ingenuità commessa da questi pensatori e elabora un Socialismo che non pone (almeno
queste erano le sue intenzioni) le sue basi sull’Idealismo ma sul Materialismo, ma un
Materialismo plasmato dalla dialettica hegeliana che viene a sua volta stravolta e trasformata
da rapporto dialettico tra tesi e antitesi emanate dallo Spirito Assoluto a tesi e antitesi in
scontro nel mondo reale, materiale. Marx non fa (o almeno non vuole fare) una analitica
morale della questione socialista ma ne fa una analitica scientifica, ossia ritiene il passaggio
dal Capitalismo al Socialismo un qualcosa di strettamente necessario prima che un qualcosa
di giusto. Ma per definirsi scientifico il Marxismo non dovrebbe tralasciare nulla della realtà
che analizza e, in primis, non dovrebbe tralasciare la "questione Dio" poiché tralasciando
quella lascia in sospeso l’intera sua elaborazione dato che tale elaborazione fonda la sua
essenza su presupposti materialistici. Nel momento in cui tralascia qualcosa lo pone nel
dogma e nel momento in cui quel qualcosa che egli tralascia si pone come base del suo
pensiero allora fa dell’intera sua filosofia un dogma e quindi una religione. Ma anche
ammettendo che la sua filosofia è una religione egli commette una grave contraddizione in
termini poiché egli stesso sostiene che la religione è l’oppio dei popoli e che, di
conseguenza, anche la sua filosofia è oppio. È un meccanismo che ricorda più il folle che si
causa deturpazioni al corpo in preda a una crisi isterica che il filosofo che analizza la realtà
sociale del suo tempo o il religioso che prega il suo Dio.
B. Il Marxismo e le sue elaborazioni politiche.
Nello Stato marxista (il quale ha, tuttavia, una funzione provvisoria e pedagogica) è abolita
la libertà di religione. E non è questa una considerazione fatta solo sulla base
dell’osservazione dell’applicazione del Comunismo ma essa viene dall’analisi
dell’elaborazione teorica marxista. Lo Stato che prefigura Marx nella sua analitica è uno
Stato (giustamente) laico ma, nel contempo, non è uno Stato democratico. Noi sosteniamo
che lo Stato deve essere laico poiché nel momento in cui esso diviene confessionale si
perdono i valori della democrazia, ma è vero anche che affermare che lo Stato deve essere
laico non significa ammettere la democrazia e se lo Stato è laico ma non democratico (anche
se per trattare del Marxismo sarebbe meglio utilizzare il termine totalitario) si viene
inevitabilmente a perdere la libertà di culto. Lo Stato di Marx entra nella vita privata del
cittadino schiacciandone la libertà individuale (e che egli sostenga il contrario poco importa
vista la miriade di contraddizioni in termini finora incontrate nella sua filosofia) e
impedendone anche la libertà di culto dato che l’unica istituzione possibile è lo Stato stesso
e lo Stato è il Partito. In questa maniera si distrugge ogni possibilità di dibattito democratico
poiché si da voce solo ed unicamente allo Stato, ossia a quella che Marx chiama "dittatura
del proletariato" e nel momento in cui si vuole fondare un organo o una associazione o una
congregazione religiosa non conforme allo Stato totalizzante si viene incontro alla sua
censura, poco importa che la dittatura sia imposta dal proletariato o, peggio, sul proletariato.
Ma è peculiarità degli Stati confessionali l’affermazione di una verità impossibile da
contraddire, dunque lo Stato marxista presenta in toto le peculiarità dello Stato
confessionale. Ma qual è la religione in esso professata e da esso rappresentata? Il
Marxismo! Il Profeta diventa Marx e il Dio la Materia.
C. I dogmi marxisti
Rielencarli tutti richiederebbe uno spazio talmente vasto da dover ripercorrere
interamente quanto affermato finora. Noi ci limiteremo a dire che si incontra il
dogma nel momento in cui si deve credere in qualcosa che presenta due peculiarità: o
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è possibile ma indimostrabile o è impossibile. Torniamo a ripetere per l’ennesima
volta che non è nostra intenzione scagliarci contro il dogma ma contro il dogmatismo
marxista poiché il Marxismo si prefigge di criticare la religione e di non accettare
alcun dogma ma nel contempo afferma dogmi e, di conseguenza, diviene religione.
In più c’è d aver presente il fatto che molti marxisti non si pongono in maniera
critica nei confronti degli scritti di Marx ma li prendono e li difendono come dei veri
e propri testi religiosi.
Terminata questa prima analitica potremmo anche chiudere con l’argomento
Marxismo poiché esso non si limita alla critica della religione ma di tale critica fa la
sua base ideologica dato il fatto che una ideologia materialista, per essere tale, deve
rinnegare ogni religione il cui Dio trascenda la materia e il Socialismo scientifico è la
conseguenza (marxisticamente parlando) del Materialismo storico-dialettico, ossia è
la sovrastruttura derivata dalla struttura. Se si viene a confutare la struttura crolla
anche la sovrastruttura, è logico. Tuttavia non vogliamo bloccare qui la nostra
indagine nei meandri della filosofia marxista poiché pur essendo riusciti a mostrarne
la fallacia non siamo riusciti a constatarne alcuni aspetti riguardanti alcune sue
interpretazioni. Fondamentale, ad esempio, è tracciare in maniera netta e decisa la
differenza (troppe volte nascosta o ignorata) che passa tra Marxismo e Cristianesimo.
Molti, infatti, tentano con interpretazioni avventate di sovrapporre i due nomi
tentando di dare al cristianesimo vesti marxiste o al Marxismo vesti cristiane e ciò
non è accettabile
In realtà Tommaso non ha intenzione di dimostrare l’esistenza di Dio, ma vuole semplicemente mostrare come la Fede
e la ragione non siano in contrasto e che, anzi, siano complementari. Le sue cinque vie non vanno intese come prove
dell’esistenza di Dio, ma vanno intese come vie che la ragione ha a sua disposizione per poter comprendere in maniera
più concreta la Sua esistenza. Marx entrerà in contrasto con la prova fisico-teologica, ma in maniera totalmente errata.
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Capitolo 4
Marxismo e Cristianesimo
Per poter portare a conclusione la nostra analisi del pensiero marxista non possiamo far finta di
ignorare la questione che lo vorrebbe vedere legato in maniera indissolubile al pensiero cristiano.Le
tesi portate avanti dai teologi della Liberazione hanno ormai fatto tanta di quella strada da poter
essere considerate parte integrante del pensiero cattolico, nonostante la Chiesa si sia sempre
adoperata per rinnegarle. Quante volte sentiamo ripetere la frase "Gesù è stato il primo comunista
della storia"? Tante e tante. Troppe per poter rimanere impassibili. Non facciamo mistero, infatti,
del fatto che è nostra intenzione dimostrare quanto sia fallace un’affermazione del genere, sia essa
fatta in ambito marxista sia essa fatta in ambito cristiano. La nostra analisi si svolgerà in maniera
tale da dividersi in diversi momenti: principalmente abbiamo intenzione di vedere quali differenze
oggettivamente separano il Cristianesimo dal Marxismo e, in seguito, osserveremo come non si
possa ritenere Cristo comunista sia osservando la realtà con lo spirito del cristiano sia osservandola
con l’occhio del marxista. Siffatta suddivisione serve, come del resto sono servite altre suddivisioni
lungo il corso del nostro viaggio, a rendere più funzionale il discorso e, nel contempo, a non
limitare la nostra ricerca a un unico punto di vista ma ad ampliare i nostri spazi al fine di avere una
visione la completa possibile della questione che andiamo ad analizzare. Di fatto, dopo aver visto
come siano radicate le differenze tra Cristianesimo e Marxismo, andremo ad analizzare la faccenda
tramite l’osservazione della natura intrinseca delle due religioni. Ma entriamo nel vivo della nostra
ricerca:
1. Quali differenze insopprimibili separano il Cristianesimo dal Marxismo.
Non si può negare il fatto che il Marxismo è un pensiero materialista mentre il Cristianesimo è tutto
fuorché Materialismo. Certo ambedue, il primo estrinsecamente e il secondo intrinsecamente,
presentano delle analogie ma non ci si deve lasciar trarre in inganno da tali analogie poiché esse
sono conseguenza della natura religiosa dell’uno e dell’altro e non rispecchiano assolutamente una
comunanza d’intenti presente fra esse. Il Marxismo, infatti, se intrinsecamente rinnega l’esistenza di
Dio estrinsecamente la afferma ponendo come limite invalicabile la materia. Dio è quel qualcosa al
di là del quale non si può andare, ma se è impossibile andare oltre la materia allora essa è il proprio
Dio! Il Cristianesimo, invece, riconosce un Dio che trascende la materia, un Dio che asciugherà
ogni lacrima e che placherà la sete di giustizia di coloro che credono in Lui. La stessa escatologia
cristiana differisce immensamente da quella marxista, e ciò avviene per un motivo semplicissimo:
nel Cristianesimo si può apertamente parlare di escatologia poiché esso presenta una speranza di
vita ultraterrena mentre il Marxismo presenta una forzatura del concetto di escatologia (sempre
estrinsecamente parlando). L’escatologia marxista non va oltre il mondo sensibile quindi non è una
vera escatologia, tuttavia soffermarsi a ciò per sostenere che esso non ha escatologia è assai
semplicistico e poco conforme alla realtà effettuale delle cose. Il cristiano crede in un Paradiso che
sta al di fuori delle mura della vita, il marxista ritiene di poter incontrare il Paradiso all’interno di
tali mura. Egli ritiene di poter riprodurre il Paradiso in forma terrestre, crede di poter creare un
mondo perfetto (così come perfetto è il Paradiso cristiano) già in terra e ciò, secondo lui, può
avvenire solo tramite la realizzazione del Comunismo. Come possiamo vedere le analogie possono
anche essere trovate (se si parte con l’intento di trovarle senza accettare la realtà delle cose) ma
anche tali leggerissime analogie presentano delle differenze tra loro le cui conseguenze risultano
fondamentali per lo sviluppo del pensiero. Saltano agli occhi, infatti, due caratteristiche del
Marxismo: in primis il suo carattere illusorio e in secundis le sue peculiarità antiumanistiche. Marx,
come abbiamo visto in precedenza, critica la religione volendone evidenziare i tratti illusori ma non
si rende conto del fatto che egli, con la sua elaborazione teorica, si pone un fine che è ancora più
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illusorio di quello presentato dalle religioni, un fine utopistico e impossibile: dare sollievo pieno e
totale all’uomo senza farlo uscire dalle mura dell’esistenza. Non si vuole qui sostenere la tesi che
vede come impossibile la realizzazione del Comunismo (anche questo è vero ma,
momentaneamente, non ci interessa) ma semplicemente perché il reale è finito, il bene materiale
finisce, la morte prende il sopravvento e di fronte a ciò non esiste ordine societario che tenga. Dare
un senso intraterrestre all’esistenza è impossibile per il semplice fatto che essa termina e con essa
vengono a mancare tutti i possibili agganci con l’eternità. Questo è il carattere illusorio del
Marxismo: ritenere di poter giungere alla perfezione in una realtà che perfetta non può essere. E non
si può dire nemmeno che non esiste la perfezione perché essa, in questo così come Dio, è quel
qualcosa al di la di cui non si può andare. Ebbene, dicendo che essa non esiste si afferma che si può
andare avanti all’infinito nel progresso. E noi vogliamo chiedere: si può andare oltre l’infinito? Ma
questo è un altro discorso. A noi preme dimostrare che il cristiano non segue l’illusione come
invece fa il marxista ma insegue la speranza, e tra speranza e illusione c’è una bella differenza. La
speranza è credere in quel qualcosa di indimostrabile ma di possibile, l’illusione è credere in quel
qualcosa di impossibile dato il fatto che è dimostrabile la sua impossibilità. Certo, si potrebbe dire
che anche alcuni dogmi in cui il cristiano crede sono impossibili poiché entrano in diretto contrasto
con la realtà effettiva delle cose e che quindi egli è un illuso, ma questa obiezione cade nel vuoto
poiché il cristiano, credendo in un qualcosa di possibile pone le basi per dimostrare come possibile
anche tutto il resto. L’esistenza di Dio è possibile (ragionando in termini "laici"), tuttavia la Sua
esistenza non deve essere dettata dalla Speranza ma dalla Fede (e sulla Fede si potrebbe portare
avanti un numero infinito di dissertazioni), di conseguenza diviene possibile anche tutto il resto
poiché Dio, essendo onnipotente, può anche ciò che all’uomo sembra impossibile. Di fatto
possiamo concludere che il Marxismo è illusione, il Cristianesimo è speranza (su un piano
escatologico). La seconda considerazione da fare riguardo il Marxismo è quella che mette a nudo il
suo carattere antiumanistico. È vero si che la realizzazione del Comunismo (e quindi del Paradiso in
terra) è a tutto vantaggio dell’uomo, ma è vero anche che egli non ha alcun merito nel
guadagnarselo. La figura umana viene vista non come essenza indipendente dalle altre ma
semplicemente come mezzo dei rapporti di produzione. Mezzo tramite cui si raggiungerà il
Comunismo ma il cui apporto è minimo poiché esso non è iniziativa, ma conseguenza.
Conseguenza del reale, dell’economia capitalista, della Totalità. Non vi è, come molti erroneamente
ritengono, Umanesimo nel Marxismo ma vi è il contrario. Nel Cristianesimo non si può parlare di
Umanesimo poiché l’ideale cristiano è nettamente separato dall’utopia di un uomo perfetto tipica
della filosofia di Ficino, Erasmo ecc. ecc. (c’è la consapevolezza dei limiti umani) ma non si può
parlare nemmeno di antiumanesimo poiché, con la promessa di una vita ultraterrena, si esaltano i
meriti che ha l’uomo nel guadagnarsela. Spesso, infatti, si commette l’errore di ritenere il
Cristianesimo un religione che non valorizza il vivere terreno poiché ne pone la finalità in una realtà
che terrena non è, ma tale errore viene commesso da coloro che vedono la vita terrena e la vita
ultraterrena nelle loro singolarità e non fanno lo sforzo di andare avanti nell’osservare come esse si
completino a vicenda. La vita terrena, stante a sé solamente, è priva di senso così come sarebbe
priva di senso un’esistenza eternamente felice che non è guadagnata. Ebbene, il vivere terreno serve
all’uomo per guadagnare il vivere ultraterreno e, nel contempo, il vivere ultraterreno dà un senso al
primo. L’uomo, nella sua concezione terrena, assume una responsabilità enorme ma, proprio perché
enorme, assai gratificante sia per il suo futuro sia per il suo presente. Vi è una forte valorizzazione
della vita terrena, non altro.
1. Perché sbaglia il cristiano quando dice "Gesù è stato il primo comunista"
Per assolvere a questa faccenda si deve portare avanti una analitica di tipo teologico-cristologico
poiché essa riguarda la stessa natura intrinseca del Cristianesimo. Ritenere Cristo il primo
comunista comporta due conseguenze:
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A. Ridurre la Sua figura da quella del Mistero della Trinità a quella di un improvvisato leader
politico. Di fatto, agendo in questo modo, si ingabbia Cristo all’interno dei giochi della
politica osservando il Suo messaggio (e in seguito vedremo la natura di tale messaggio) non
da un punto di vista material-spirituale (poiché il messaggio cristiano si basa sulla sincerità
spirituale ma anche sull’operosità materiale) ma solo da un punto di vista materiale. In
questo modo si nega la Sua Triplice natura e, di conseguenza, si nega il Cristianesimo
stesso.
B. Si creano due figure che a una analisi cristologica appaiono quantomeno forzate. Si viene a
creare la figura di Cristo separata da quella del Suo messaggio ritenendo quest’ultimo un
qualcosa di intraterrestre e il Primo il suo fondatore o, quantomeno, il suo ideatore. E questo
è un errore imperdonabile! Il messaggio cristiano non si separa da Cristo ma è Cristo stesso,
nel Suo sangue, nella Sua sofferenza, nella Sua eternità. Cristo non è il fondatore di una
religione ma ne è l’essenza stessa e senza di Lui il Cristianesimo perde di ogni valore. Egli
non è stato, bensì è tuttora poiché il Suo regno non avrà mai fine così come mai ha avuto
inizio. Il contesto storico in cui nasce è un qualcosa di assolutamente secondario poiché Egli
è sempre stato e sempre sarà e i secoli che, umanamente parlando, lo hanno preceduto e lo
hanno seguito alla luce di ciò si assembrano attorno a lui creando una unitarietà metastorica
che rende ogni cristiano ugualmente vicino a Lui e mettendolo quindi in condizione e dovere
di affidare la propria esistenza, la propria anima, il proprio corpo a Lui che è La Via. Da ciò
noi possiamo avere modo di osservare quanto errata sia la teoria elaborata dai teologi della
Liberazione, che vorrebbero vedere legami inesistenti tra Cristianesimo e analitica marxista.
1. Perché sbaglia il marxista a ritenere Gesù il primo comunista.
Ebbene, rispondere qui è fin troppo facile! Il marxista afferma l’esistenza di una unica realtà e
questa unica realtà è composta di materia, ragion per cui non può ritenere Cristo l’iniziatore del suo
movimento poiché Cristo (sempre ragionando in termini marxisti) è in primis l’iniziatore di un
movimento religioso a stampo trascendentale (cosa di fronte alla quale egli inorridisce) e in
secundis poiché sostiene proprio il fatto che è impossibile all’uomo creare il Paradiso in terra. Il
resto lo si può desumere semplicemente leggendo quanto affermato nel punto precedente.
Non sembra ci sia bisogno di ulteriori argomentazioni. La differenza (anzi, le differenze) che
passano tra Marxismo e Cristianesimo sono tali e tante e tale è la loro natura che non è possibile
ritenerle semplicemente differenze formali, ma sostanziali.
Questo capitolo vuole essere una osservazione di quel che sta diventando l’Occidente. In esso il lettore potrà
osservare, infatti, un veloce sguardo all’ideologia marxista alla quale vengono affiancate altre forme di filosofia o
ideologia. Il Marxismo occupa un ruolo non secondario nel contesto storico-culturale che qui viene descritto ma, nel
contempo, non è la sola ideologia che rappresenta un serio pericolo per le sorti dell’Occidente, in balia delle sue paure.
Né si vorrà puntare il dito contro le singole filosofie che si incontreranno, ma esse sono menzionate in quanto tasselli
determinanti in un enorme e drammatico mosaico. In realtà il pericolo più grande che l’Occidente corra al giorno d’oggi
è proprio la sua sussistenza, tuttavia non è detto che il suo crollo determini necessariamente un miglioramento delle
condizioni oggettive della zona di mondo che va dall’Europa al Nord America, poiché l’avversario più temibile che
l’Occidente incontra quotidianamente è proprio l’Islam.
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Conclusione1
(il crollo dell’Occidente)
L’intero iter culturale e politico dell’Occidente è giunto, oggi, a un bivio cruciale. Di fronte a una
classe politica all’interno della quale sono crollati veri punti di riferimento e a un sempre crescente
pericolo anarco-capitalista si delinea la figura spettrale e minacciosa della cultura islamica. Spesso
non si vogliono ascoltare frasi che richiamano tutti a una attenzione seria nei confronti di pericoli di
questo genere: troppo comodo non agire e lasciarsi trasportare dal vento degli eventi come delle
foglie morte. Ma il rischio c’è e non può essere preso sottogamba. Ma qual è stato l’inizio? Da dove
è cominciata questa lenta ma inesorabile decadenza e dove ci può portare? Possiamo ancora fare
qualcosa? E in che cosa l’Islam rappresenta un pericolo? Tutto ciò dovremo vedere, ma dobbiamo
agire con calma e tranquillità. Certo ci si rende conto del fatto che calma e tranquillità sono, al
giorno d’oggi, parole in disuso. La frenetica attività che ci impone la società dei consumi impedisce
un serio processo di avanzamento intellettuale e sociale della nostra cultura e ciò non può andare
che a vantaggio delle altre. E tutto ciò viene facilitato ed esortato anche (addirittura) dal mondo
della filosofia. Da Marx in poi, infatti, le maggiori correnti di pensiero hanno teso i loro sforzi a
dare un senso a una vita vissuta attimo per attimo, basata solo su un edonismo materialistico dal
quale non si può che uscire insoddisfatti poiché sarà si piacevole il bene materiale ma è evidente
che non basta all’uomo perché possa raggiungere la piena felicità. Questa mentalità edonistica la
ritroviamo in nuce nel pensiero marxista e la vediamo trionfare nell’Esistenzialismo nichilista di
Nietzsche per poi essere ripresa e sviluppata dai vari Russell, Freud... Tuttavia il perdere di vista i
propri valori culturali per inseguire paradisi artificiali offertici dal gioco della globalizzazione non
fa altro che renderci più vulnerabili agli attacchi di altri individui portatori di altre culture. Infatti
noi perdiamo i nostri valori ma ci sono altri che non perdono i loro. L’uomo occidentale è intento a
ricercare un senso intraterrestre alla vita che vive mentre l’islamico, ad esempio, è consapevole del
fatto che, osservando la vita con un’ottica materialistica, non può darle senso in alcuna maniera ed è
proprio questa certezza che lo rende più forte dell’altro. L’uomo occidentale è schiavo della
materia, di quella "terra" che Nietzsche idolatrava, mentre l’islamico no. Quest’ultimo non teme
nulla, nemmeno la morte poiché la morte non è altro che il passaggio da uno stato di dolore a uno di
gioia. Di fatto si può dire che il Materialismo, su cui hanno poggiato vari teorici di una dottrina ora
tramutatasi in moralisteggiante come il Marxismo, è stato proprio quel qualcosa che lo ha sconfitto
in maniera inequivocabile. Il Marxismo si propone di essere l’ideologia dell’irreligiosità ma termina
per diventare una sorta di "religione della materia" che viene tradita dalla materia stessa. Ma la
contraddizione interna al Marxismo è assai più profonda, infatti nel momento in cui esso diviene
religione va contro il suo fondamentale principio della critica alla religione e, quindi, crolla nella
sua interezza. In più la storia ha confermato l’errore commesso da Marx nel definire la religione
"oppio dei popoli" poiché proprio ora che nella cultura occidentale pare venir meno il Cristianesimo
si va nel senso opposto a quanto Marx aveva predicato. Dalla statalizzazione totale al liberismo
sfrenato. Certo non vogliamo assolutamente sostenere la tesi portata avanti da coloro che
identificano il Comunismo col Cristianesimo, ma vogliamo solo far comprendere quanto madornale
sia stato l’errore del filosofo di Treviri e quanto gravi siano state, per lui, le conseguenze di tale
errore. Tuttavia finché l’errore è il suo e le conseguenze riguardano l’ideologia comunista poco
importa. Il rischio, come abbiamo già detto, è enorme per l’intero Occidente in tutta la sua struttura
e la sua essenza e ciò, come abbiamo già avuto modo di chiarire, non avviene a causa dell’errore di
Marx ma a causa degli errori commessi dall’intero iter culturale degli ultimi due secoli. Il Marxismo
ha commesso un tragico errore del quale paga per sé le conseguenze, ma l’errore commesso dal
Marxismo non è stato compreso da altre correnti di pensiero e ciò è gravissimo. Le ideologie che
mirano a trovare un sollievo eterno all’uomo già nella realtà materiale in cui noi ci troviamo mirano
semplicemente all’utopia in quanto l’uomo, come affermava Ernst Bloch (neo-marxista), è proteso
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verso il futuro. Il passato è stato e il presente ancora deve essere poiché non lo si comprende nella
totale presenza della sua verità, ma lo si comprende solo col tempo. Ma è stato e, in un certo modo,
non ci riguarda più. Di conseguenza non ci resta che protenderci verso il futuro. Ma è protendendoci
verso il futuro che nasce il principio speranza, cioè quel desiderio ardente che ci fa andare avanti
verso l’ignoto. L’intera ricerca che l’uomo fa non è altro che un lungo protrarsi del principio
speranza, ossia un ripetere meccanicamente all’infinito la speranza. Ma laddove esiste la speranza
esiste la religione poiché l’epicentro di ogni dottrina religiosa è il dogma ma il dogma può anche
essere chiamato speranza poiché colui che crede nel dogma spera che sia vera una cosa che, di
fronte alla ragione, può essere possibile ma indimostrabile o, addirittura, impossibile. Tuttavia
credere in un dogma fondamentale comporta, poi, credere in tutti gli altri, è evidente (questo,
tuttavia, è compito della teologia dogmatica). Ed è proprio questo che manca all’uomo occidentale:
la religione. Se Marx aveva, a modo suo, tentato di riparare al suo tragico errore proponendo una
ideologia che, in fondo, non è altro che una religione nascosta, Nietzsche ha semplicemente
accentuato l’errore commesso dal suo predecessore e ha posto le basi per un errore ancora più
grande: il definitivo crollo dell’Occidente.
Ed è da Nietzsche in poi che la cultura europea ha iniziato il suo definitivo volo nell’abisso. Il folle
di Roecken, a differenza del padre del Materialismo storico-dialettico, annullando la religione
annulla ogni forma di principio morale e, addirittura, ogni forma di certezza (e, ragionando in
termini materialistici, non ci potrebbe essere scelta più coerente). L’uomo diviene l’inizio della sua
speculazione filosofica e, nel contempo, ne è la tragica fine. Il singolo, di fronte all’impotenza che
prova di fronte a una realtà che egli ritiene restrittiva e umiliante per le sue potenzialità, rifiuta ogni
imposizione, sia essa religiosa sia essa razionale, per seguire unicamente una misteriosa volontà di
potenza dettatagli dall’istinto. È così che nasce il superuomo, dall’annullamento di ogni valore e dal
superamento della linea di confine tra bene e male. Tutto è lecito al superuomo, tutto ciò che vuole
egli può. Egli è, tuttavia, la negazione dell’uomo poiché l’uomo, seguendo l’ottica nietzscheana,
non può realizzarsi senza diventare altro da sé, ossia superuomo. Da ciò nasce il totale e violento
rifiuto del Cristianesimo considerato "un vizio" frutto di una mentalità ipocrita che pretende di
burocratizzare la morale del singolo e di renderla morale collettiva. Ed è, purtroppo, questa la
mentalità che oggi pare prendere piede, sia pure a livello inconscio, nel pensare comune. Una
mentalità secondo la quale tutto è concesso, secondo la quale porsi problemi di stampo morale è
inutile perdita di tempo. L’uomo non si rende conto di non essere libero e di essere uno schiavo
della materia che gli si porge come portatrice di beni che gli procurino un piacere unicamente fisico
e non spirituale. Nietzsche, con la sua relativizzazione totale, non ha fatto altro che mettere in
ginocchio quell’uomo al quale si rivolgeva tramutando la sua figura da umana ad animale. L’uomo
diviene nulla, diviene animale che deve chinare il capo alla terra sottomesso completamente ad essa.
Il superuomo non è affatto un uomo migliore o più forte degli altri (sia su un piano fisico che
morale), ma è solo più debole. Ed è in questa tragica gabbia d’oro che si sta rinchiudendo la civiltà
occidentale. Una cultura pervasa di falso intellettualismo la riempie di astio pregiudiziale nei
confronti di ciò che proviene da qualunque cosa entri in contatto con la religione e, perciò, rifugge
anche ogni forma di morale. Diviene un essere che non sa dire di no e proprio perché non sa farlo si
ritiene forte. Quale illusione! Quale pena! Se, però, da un lato l’eccesso di irrazionalismo porta la
nostra civiltà verso un abbrutimento totale e assoluto dall’altro il godimento razionalistico non fa
altro che aumentare la nostra fiducia nel bruto a cui andiamo incontro. Il sapere scientifico oggi
viene preso come unica vera fonte di sapere. Ma anche in ciò l’uomo occidentale sbaglia poiché se
da un lato la totale svalutazione delle sue potenzialità lo porta all’abbrutimento completo dall’altro
l’eccesso di sicumera causa quella sua folle presunzione di essere dominatore del mondo della
natura senza tener conto che egli è parte di essa e non suo inizio. E poi le teorie che vogliono
vedere la scienza come unica fonte di sapere travisano il concetto di sapere scientifico poiché
questo è un mezzo che l’uomo ha a disposizione per migliorare la sua vita, non uno strumento atto
alla sottomissione di altre forme di sapere o, peggio, di altri popoli. Non c’è, infatti, da dimenticare
che le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki sono state frutto del progresso scientifico, non di
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altro. Dovendo, in pratica, riassumere la condizione dell’uomo occidentale in poche righe lo si può
fare evidenziando il fatto che crescono irrazionalmente e, tuttavia, in perfetta sincronia la
componente iper-istintuale e la componente iper-razionale. Questa è dettata da una volontà di
potenza sfrenata conseguenza di un fondo di irrazionalità istintuale (di fatto la ragione umana viene
usata solo come mezzo di sopraffazione) e l’altra è causata da un lento crollo dei valori portanti di
una civiltà che ha retto per millenni. Tuttavia questa civiltà potrà reggersi in piedi ancora per poco.
Di fronte a questo scenario apocalittico getta la sua ombra l’Islam. Spesso si usano frasi
accomodanti per definirlo. Spesso si dice che esso è, in fondo, una copia del Cristianesimo, altre
volte lo si definisce addirittura religione di pace, che le persone che lo attuano non fanno altro che
travisarlo... Ciò è manifestamente falso. È vero in parte il fatto che la religione che fa capo a
Maometto ricordi il Cristianesimo, ma non se ne possono negare effetti assai più estremizzanti e
falsità palesi scritte nel Corano proprio in merito di Cristianesimo. Ma procediamo con ordine.
L’Islam nasce in un contesto storico-geografico assai eterogeneo su un piano culturale e religioso
eppure assai frammentato su un piano politico (e ciò non poteva far altro che favorirne
l’espansione). Non fu difficile a Maometto espandere quanto gli era stato dettato (a suo dire)
dall’Arcangelo Gabriele poiché la sua non sarebbe stata una lotta religiosa quanto politica. Egli,
infatti, quando fu costretto a fuggire da La Mecca a causa delle pressioni fattegli dai signori del
tempio costituì un forte esercito di fedeli convertiti all’Islam (tra cui un folto gruppo di ebrei non
convertiti che combatterono con lui per necessità economica) e massacrò tutti coloro che gli si
erano opposti. Eliminati gli oppositori istituì una teocrazia che si estendeva in tutta la zona
circostante La Mecca. Si stava ripetendo quanto milleduecento anni prima aveva fatto Zarathustra
nei confronti degli arii. Morto Maometto salì al potere Abu Bakr che si spinse fino all’Arabia
orientale per poi raggiungere le terre persiane sottomettendo gli zoroastriani. In seguito l’impero
giunse a conquistare la Palestina, il Nord Africa, la Spagna e, in seguito, i Balcani. Si fermarono
solo a Poitiers, campo di battaglia storico in cui Carlo Martello fermò le legioni musulmane. E oggi
si ripropone lo stesso rischio solo sotto vesti assai più subdole. Se nel 732 d.C. gli islamici vennero
in Europa col chiaro intento di colonizzare oggi fanno la stessa cosa forse in maniera addirittura
involontaria. L’islamico giunge in terra europea (o americana) col suo bagaglio di drammi e storie
tragiche (le teocrazie islamiche hanno danneggiato in maniera evidentissima la cultura orientale)
con una coscienza morale e religiosa assai più forte di quella dell’indigeno. Mentre l’europeo è
rimasto a cullarsi sugli allori per circa un secolo e mezzo ascoltando le frasi enfatiche e
trionfalistiche di Marx e Nietzsche l’islamico è vissuto in una realtà in cui la religione preme in
maniera tale da diventare impossibile da non accettare. Egli conosce a memoria i testi coranici e sa
bene cosa deve e cosa non deve fare. Di fatto ci troviamo in una situazione che vede l’occidentale
distruggere il suo patrimonio culturale per proporre il nulla mentre l’orientale porta con sé tale
patrimonio. In questo modo non potremo far altro che diventare colonie islamiche, il Cristianesimo
perderà sempre più colpi e la cultura dettata nel Corano diventerà anche la nostra cultura.
L’incontro della cultura islamica col nulla di quella europea non darà nemmeno quei risultati che
Hegel stabilisce per l’incontro tra tesi e antitesi (ossia sintesi) poiché non può esservi sintesi tra il
nulla e qualcosa. Il qualcosa prevale necessariamente. E se i rischi riguardanti l’ambito religioso
non bastassero a scuotere gli animi dei dormienti si possono portare argomenti riguardo i rischi di
carattere politico comportati dalla islamizzazione della nostra cultura. Non si può, infatti, parlare di
Islamismo così come si parla di Cristianesimo poiché se in quest’ultimo la lontananza dal mondo
delle istituzioni politiche è determinata in maniera quanto mai netta e chiara da frasi di Gesù Cristo
stesso ("date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio") nella tradizione e,
soprattutto, negli scritti sacri islamici è affermato esattamente il contrario. La sunnah, infatti,
contiene una serie di hadith i quali completano gli scritti coranici. Il contenuto dei hadith viene
denominato fiqh (letteralmente "diritto islamico") e consiste nelle regolamentazioni della vita
morale, civile e soprattutto politica del musulmano. L’insieme formato dal Corano e dalla sunnah
viene denominato sari’ah, ossia "retta via". Un tempo la teocrazia islamica si reggeva sul potere
conferito al Califfo eletto dal popolo ma, col passare del tempo (di poco tempo, in realtà), si è giunti
a un califfato composto da individui eletti da una schiera di personaggi illustri e, infine, esso
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divenne ereditario. Oggi la situazione è leggermente diversa in quanto l’impero Ottomano è crollato
ma comunque i Paesi islamici sono sottomessi a un potere teocratico (basti pensare a quel che
avveniva qualche tempo fa in Afghanistan e quanto avviene tuttora in Iran o in Arabia Saudita) e,
anche laddove il potere del leader non è direttamente collegato alla religione islamica (si veda la
Libia) la libertà di culto è presente solo sulla carta. Se non c’è una forte rinascita culturale e politica
noi diventeremo questo. Nei nostri Paesi le donne verranno bendate coi burqa (e che questo sia o no
frutto di un travisamento dei testi coranici poco importa, sta di fatto che avviene), gli uomini
saranno costretti a portare una barba di almeno dieci centimetri, sarà vietato tutto ciò che ricorda
anche lontanamente una cultura non islamica. E non pensiamo che, in fondo, cambiando si riuscirà
comunque a mantenere il benessere che si ha oggi. Noi tutti sappiamo che l’Africa è povera. Ebbene
tempo fa Ida Magli ha giustamente sottolineato il fatto che l’Africa è diventata povera con
l’avvento degli islamici. Prima essa era un territorio ricchissimo, meta delle più grandi potenze
marittime del Mediterraneo e sede di grandi e ricche città come Cartagine. Certo non si vuole
puntare il dito contro gli islamici in quanto uomini ma lo si vuole puntare contro una cultura come
l’Islam. Gli islamici sono solo vittime. E questo scenario non è poi nemmeno così lontano da noi,
infatti l’Islam diviene oggi sempre più grande al nostro interno e penetra fin nelle istituzioni. È stato
fondato un Partito Islamico e, sebbene oggi non comporti un serio pericolo per la democrazia, tra
qualche anno lo sarà. Si calcola che nel 2010 in Italia ci saranno 5 milioni di islamici. 5 milioni di
voti non riescono a dare la vittoria alle elezioni ma bastano e avanzano per diventare una forza
politica dal peso non indifferente. La nostra Costituzione afferma (e ciò è affermato anche da tutte
le Costituzioni di tutti i Paesi democratici), giustamente, che non si possono formare partiti che
comportino rischi per la democrazia (infatti è impossibile rifondare i partiti di stampo fascista o
nazista) e ciò va imposto sempre. Si devono porre dei punti fermi che impediscano a culture
estranee alla nostra di distruggerci e si deve ridurre (ridurre, non eliminare) l’afflusso di islamici sul
nostro suolo. I grossi limiti culturali dell’Occidente stanno diventando il miglior punto d’appoggio
per l’Islam che, espandendosi, lo distruggerà dal suo interno. Non saranno i Bin Laden a
distruggerci con le guerre sante, ma saremo noi stessi a decretare la nostra fine se continuiamo sulla
strada dei vari Marx, Nietzsche, Russell... Tuttavia qualcosa si può ancora fare.
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Bibliografia
K.Marx: Il capitale; Manifesto del Partito comunista; Manoscritti economicofilosofici; Introduzione alla Critica della filosofia del Diritto di Hegel; Manoscritto;
Il Socialismo imperiale.
Tommaso d’Aquino: Summa Theologiae.
L.Althusser-E.Balibar: Leggere il capitale.
A.Gramsci: La rivoluzione contro il capitale.
E.Bloch: Il principio speranza.
L.Feuerbach: L’essenza della religione.
P.Pellecchia: La filosofia tra empiriologia e fede.
M.M.Ponty: Esistenzialismo, Marxismo, Cristianesimo.
G.Galli: Manuale di storia delle dottrine politiche.
J.Maritain: L’uomo e lo Stato.
C.Bruclain: Il Socialismo e l’Europa.
Note sull’Autore
Tommaso Di Brango.
Nato a Frosinone il 22/8/1985.
Polemista, musicista e studioso di filosofia della politica, teologia e cristologia.
Pur mantenendo una notevole autonomia di giudizio si ritiene legato all’area della sinistra moderata
di stampo cattolico, mentre per quel che riguarda la filosofia il suo punto di riferimento è Tommaso
d’Aquino.
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