MORTE IMPROVVISA: IL RISCHIO E LE CAUSE La morte improvvisa è per definizione una morte naturale - caratterizzata da improvvisa perdita di coscienza entro 1 ora dall’esordio dei primi sintomi – che giunge per modi e tempi in modo inatteso. Nella stragrande maggioranza dei casi è legata ad una causa cardiaca, più specificatamente alle tachiaritmie ventricolari (aritmie che originano nelle camere cardiache denominate ventricoli, che portano la frequenza cardiaca a valori molto elevati, ed il cui effetto immediato è l’inefficienza della funzione di pompa del cuore). Colpisce in Italia circa 57.000 persone ogni anno. Le morti cardiache improvvise (MCI) ammontano a circa 400.000 casi in Europa e 450.000 negli Stati Uniti ogni anno. Le MCI rappresentano una causa di mortalità maggiore rispetto a tutte le altre patologie tipiche del mondo Occidentale (AIDS, cancro ai polmoni, cancro al seno, ictus). Le statistiche stimano una sopravvivenza, per eventi che si verifichino al di fuori dell’ospedale, pari al 5%. Chi è più a rischio La popolazione a più elevato rischio di morte improvvisa è rappresentata da chi è già affetto da una grave patologia cardiovascolare: i sopravvissuti ad arresto cardiaco, i pazienti con pregresso infarto del miocardio, i pazienti con scompenso cardiaco. Per queste persone sono attuabili alcuni interventi di tipo preventivo. La maggior parte delle MCI interessa però una popolazione a minor rischio, ed oggi purtroppo non vi sono metodi per identificare coloro che hanno elevate probabilità di un decesso improvviso, sia tra la popolazione generale, sia in quella ad elevato rischio cardiovascolare che non abbia subito un infarto del miocardio, oppure sia affetta da scompenso cardiaco. Un parametro molto importante per riuscire a valutare il rischio di MCI di un paziente è la frazione di eiezione (FE) del ventricolo sinistro: recenti studi clinici hanno dimostrato come una ridotta FE possa essere un parametro clinico utilizzabile come fattore di rischio per la mortalità totale e la MCI. Morte cardiaca improvvisa ed età La morte improvvisa cardiaca può colpire persone di qualunque età, ma nell’arco della vita cambiano le cause del fenomeno. Oltre i 40 anni la causa di gran lunga più frequente è rappresentata dalla malattia coronarica. In età pediatrica e nel giovane prevalgono le malattie del muscolo cardiaco (le miocardiopatie) ed alcune “malattie elettriche” (disturbi del sistema di conduzione dell’impulso elettrico nei tessuti del miocardio) geneticamente determinate. Aritmie e morte improvvisa da arresto cardiaco Come anticipato, spesso la causa ultima del decesso è l’insorgenza di anomalie nel ritmo cardiaco, che portano la frequenza a valori estremamente elevati, e vengono dette tachiaritmie. Esse si suddividono in tachicardie ventricolari e fibrillazione ventricolare. Si stima che la morte improvvisa sia dovuta a causa aritmica nell’88% dei casi, mentre ad altre cause nel restante 12% dei casi. Quali sono i sintomi di un arresto cardiaco Collasso e perdita di coscienza Cessazione della normale attività respiratoria Diminuzione del polso e della pressione arteriosa Spesso però la MCI non ha evidenti segni o sintomi premonitori e l’esito è spesso fatale entro un intervallo di 1 ora. Tachiaritmie: le terapie disponibili Per prevenire le tachiaritmie, si può ricorrere a farmaci anti-aritmici; per interrompere i circuiti elettrici responsabili delle tachiaritmie si può talvolta indirizzare il paziente a procedure chirurgiche particolari; per interrompere le tachiaritmie in molti casi può essere utilizzato il defibrillatore cardioverter impiantabile (ICD). Il principio di funzionamento dell’ICD si basa sul riconoscimento della presenza di una tachiaritmia, e la conseguente erogazione di energia elettrica direttamente all’interno del cuore per interromperla, ripristinando dunque un normale ritmo cardiaco. Gli ICD sono solitamente impiegati per interrompere aritmie cardiache troppo rapide (tachi-aritmie), ma tutti i sistemi oggi disponibili sono in grado di trattare anche ritmi lenti (bradi-aritmie). Indicazione alla terapia con ICD in prevenzione secondaria La prevenzione secondaria della MCI consiste nel prevenire ulteriori episodi di arresto cardiaco in pazienti che abbiano già avuto aritmie potenzialmente letali nella loro storia clinica. Per tale popolazione di pazienti, gli studi clinici condotti sinora hanno già ampiamente dimostrato la superiorità della terapia con ICD rispetto alle migliori terapie farmacologiche nel ridurre la mortalità. Indicazione alla terapia con ICD in prevenzione primaria In pazienti che non abbiano ancora sperimentato episodi di aritmie letali, la prevenzione primaria della MCI consiste nel prevenire - con adeguate terapie (fra le quali un ruolo rilevante è giocato dall’ICD) - un evento di arresto cardiaco che porterebbe a MCI. I pazienti selezionati per la prevenzione primaria hanno spesso un quadro clinico che contempla una serie di fattori di rischio. Negli ultimi anni una serie di studi clinici ha dimostrato il ruolo della terapia con ICD nel prevenire la MCI e la mortalità in generale in particolare nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa di origine ischemica (legata cioè alla presenza di una malattia coronaria) ed anche non-ischemica. L’applicazione di questi dispositivi “salva-vita” sta continuando ad evolvere con l’avanzare della ricerca ed i nuovi risultati raggiunti dai grandi trial clinici. Dal confronto dei più importanti e recenti studi clinici, che verificano l’efficacia della terapia con ICD in pazienti con indicazione da prevenzione primaria e secondaria rispetto al trattamento farmacologico anti-aritmico puro, la riduzione di mortalità grazie all’impiego dell’ICD varia in prevenzione secondaria dal 20% al 37%, mentre in prevenzione primaria varia dal 23% al 60%. Risulta quindi che l’impiego degli ICD nella prevenzione primaria è pari o addirittura superiore - in termini di efficacia nel ridurre la mortalità - rispetto al suo impiego in prevenzione secondaria. La diagnosi precoce delle aritmie potenzialmente letali Molte persone soffrono di aritmie potenzialmente pericolose. Non è sempre semplice giungere ad una diagnosi di aritmie ventricolari maligne. E' possibile utilizzare inizialmente l'elettrocardiogramma, ma spesso sono necessari ulteriori test per comprendere le cause scatenanti le tachiaritmie, e, di conseguenza, le possibili terapie. Lo studio elettrofisiologico può essere estremamente utile in senso diagnostico: lo scopo è registrare l'attività elettrica cardiaca in modo invasivo. Esso viene eseguito in ambiente ospedaliero dall’elettrofisiologo, che posiziona alcuni elettrocateteri all’interno delle camere cardiache e registra i segnali elettrici cardiaci che derivano o dall’attività spontanea del cuore, oppure come reazione dei circuiti elettrici cardiaci ad impulsi di stimolazione artificiale.