RICERCA – “Linee di interpretazione degli

AFFETTIVI FRAGILI E SPAVALDI
Ricerca sugli adolescenti italiani di oggi
a cura di Vitaliano Pastori
Materiali Commissione P.O.F. / A.s. 2009 - 2010
LICEO SCIENTIFICO CLASSICO LINGUISTICO “G. NOVELLO” - CODOGNO
LINEE DI INTERPRETAZIONE DEGLI ADOLESCENTI DI OGGI
Chiave di lettura sintetica:
«Le cose importanti per i giovani sono sempre più quelle legate alla sfera della socialità ristretta,a scapito
dell’impegno collettivo. La tendenza che emerge, e che viene confermata da ogni rilevazione, è la crescita
dell’area delle relazioni amicali ed affettive e dell’importanza che i giovani attribuiscono allo svago ed al
tempo libero. »
[Presidente dell’Istituto IARD, Prof. Antonio de Lillo a commento del Sesto rapporto 2007]
«Crescente attenzione verso le aree della socialità ristretta (famiglia, amore, amicizia), diminuzione del ruolo
del lavoro nella scala delle priorità, scarso interesse verso l’attività politica e, più in generale, verso
l’impegno sociale e la vita collettiva.»
[Rapporto IARD 2007, p. 140]
«..sembra tuttavia che la propensione verso l’orientamento al sé, piuttosto che verso la collettività, così
come la crescente attenzione ai bisogni di Ego piuttosto che a quelli di Alter, siano tendenze di lungo
periodo.(..)
Non possiamo sapere se tale processo sia destinato a continuare, a consolidare o a diminuire, anche se
qualche indizio porta a pensare che forse la tendenza è destinata ad avere se non proprio un’inversione di
rotta almeno un arresto, accompagnato dal lento emergere di altri tipi di orientamento valoriale. »
[Rapporto IARD 2007, p. 152]
LA SFERA DELLA SOCIALITÀ RISTRETTA
1. Le «cose importanti della vita», ovvero la “mappa”, il “sistema di valori” e i “bisogni” avvertiti come prioritari
sono fortemente connotati dalla sfera emotiva, affettiva, relazionale.
(generazioni “affettive”- orientamento al sé – fino al ripiegamento su di sé: “narcisismo” – scarso dominio delle emozioni)

È il dato emergente dal «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De
Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007. Nel capitolo primo della parte seconda (A. De Lillo, I valori e l’atteggiamento verso la vita) l’analisi del rapporto dei
giovani con i valori è articolata in tre momenti:
1) prospetta in una prima tabella (1.1), ampiamente commentata, «la gerarchia delle cose importanti della vita» secondo l’opinione dei giovani intervistati
compresi tra i 15 e i 34 anni; ne risulta una netta propensione per «le aree della socialità ristretta (famiglia, amore, amicizia), diminuzione del ruolo del
lavoro nella scala delle priorità, scarso interesse verso l’attività politica e, più in generale, verso l’impegno sociale e la vita collettiva». Nella tabella
successiva (1.2) si evidenzia il tipo di correlazione tra la preferenza accordata a ciascun valore e tre variabili rilevanti: il genere (ragazzi – ragazze), l’età
degli intervistati, il livello culturale delle famiglie d’origine. Un’ulteriore lettura significativa del dato emergente è offerta comparando (cfr. tab. 1.3) il dati
delle indagini IARD quinquennali dal 1983 al 2004, per poter riconoscere le linee di tendenza sul lungo periodo.
2) un momento successivo dell’analisi, alla ricerca del «”sistema” di valori» del mondo giovanile, condensa i risultati in una rappresentazione grafica della
«mappa dei valori dei giovani», dalla quale emerge chiaramente lo spostamento netto dell’asse dei valori sul versante delle aree della socialità ristretta
(cfr. tabella 1.4).
3) convinti che, se anche una «rappresentazione sintetica ... può essere utile per caratterizzare una generazione» (cfr. tab. 1-4) è tuttavia «fuorviante»
«considerare le giovani generazioni come un tutto unico», gli autori azzardano - a proposito dell’orientamento dei giovani verso il futuro ( dal momento
che «la giovinezza è normalmente considerata l’età della speranza nel futuro») - un’interessante mappatura dei differenti atteggiamenti dei giovani
intervistati attorno a due categorie interpretative agli antipodi: da una parte gli «autodeterminati» («che hanno in generale fiducia nel prossimo, una
visione positiva del futuro, sanno porsi obiettivi e mete da raggiungere, non fanno conto sulla fortuna, ma su se stessi, sanno rischiare e ritengono di
poter governare la propria vita, anche rivedendo le scelte già fatte»), dall’altra i «fatalisti», che – all’opposto – mostrano «una visione pessimistica del
futuro e degli altri, sono timorosi delle proprie scelte e in genere ritengono che la vita sia loro ostile».

Da “Giovani a scuola”(Un’indagine della Fondazione per la Scuola realizzata dall’Istituto IARD), a cura di A. Cavalli, G. Argentin, Il Mulino, 2007:
R. Grassi, Stili valoriali e vita scolastica (capitolo III) (vivamente consigliato: una valida sintesi, in un linguaggio non tecnico, molto accessibile)
Più che da crisi e assenza di valori, gli adolescenti appaiono caratterizzati da «un sistema di riferimento per l’azione individuale che mette al centro il
soggetto all’interno del suo ambito relazionale più ristretto». La relazione affettiva con i familiari e gli amici più intimi appare una chiave interpretativa
fondamentale per interpretare gli atteggiamenti e i comportamenti degli adolescenti italiani, che ricercano una “comunità” che sia un forte punto di
riferimento nei confronti della complessità sociale.
Si descrivono sei differenti modelli di riferimento valoriale che risultano prevalenti, ma il dato più rilevante è che gli adolescenti tendono a conformarsi ora
all’uno ora all’altro a seconda delle situazioni contingenti, dimostrando una sorta di politeismo valoriale, adottato come strategia di adattamento alla
complessità sociale contemporanea: «le generazioni postmoderne presentano come tratti culturali peculiari la pragmaticità, la reversibilità delle scelte, la
presenza di una molteplicità di canali di moralità che vengono attivati in base al contesto situazionale più che in relazione ad un preciso sistema di valori…»
(p.71)
Anche i comportamenti all’interno della scuola sono influenzati dai modelli valoriali assunti. La scuola continua a rappresentare «un ambito di riferimento
privilegiato per la definizione e il rafforzamento del proprio universo valoriale».

Da Gustavo Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, Roma-Bari, Laterza, 2008
Il nuovo adolescente sembra avere subito una metamorfosi: più che il mito di Edipo che ha ispirato l’interpretazione psicoanalitica freudiana sembra meglio
interpretarlo quello di Narciso. Lo caratterizzano infatti l’evidentissima tendenza narcisistica (l’orientamento al sé, ritenuto più importante dell’ “altro”) e la
“fragilità” psicologica mista a spavalderia nella relazione con adulti e insegnanti, “ascoltati” solo se competenti nelle relazioni e motivanti
nell’insegnamento della loro disciplina.
Il nuovo adolescente può perciò prendere il nome di Narciso perché ha bisogno di vedere riflessa la propria immagine nello specchio sociale, nel
consenso del gruppo, nella valutazione dei docenti, nell’affetto della madre e del padre. Ha bisogno di un rispecchiamento relativo alla sua intima
essenza. Gli interessa poco che vengano valutati positivamente i suoi risultati scolastici, ma si esalta — o si mortifica — per una valutazione del
valore della sua persona, indipendentemente dal ruolo sociale in cui si è temporaneamente e, a volte, senza molta convinzione incarnato.
Subiscono spesso il peso delle “passioni tristi” (disagio – sofferenza psicologica – tristezza – fra le patologie si impone la depressione) .
A scuola, la richiesta prioritaria che avanzano riguarda la qualità della relazione affettiva: attribuiscono un rilievo spesso esagerato alla dimensione
emotiva. Tendenzialmente indifferenti di fronte alla proposta degli adulti, non sono disponibili al coinvolgimento nel lavoro scolastico se non si verifica un
buon rapporto nella relazione con l’insegnante, con i compagni, con l’ambiente scolastico.

Da Matteo Lancini, L’apprendimento e la scuola, in Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, a cura di A. Maggiolini e G. Pietropolli
Charmet, Milano, Franco Angeli, 2004
Si assiste in Italia a un crescente processo di “affettivizzazione della scuola” da parte degli adolescenti (che tendono a interpretarla prioritariamente come
ambito di scambio affettivo e relazionale) e di “isterizzazione della classe”, divenuta «un vero e proprio “scenario” dell’informalità, nel quale prevalgono
aspetti esibitivi, la teatralità dei gesti e l’espressione del Sé.» Genitori e insegnanti non sono estranei al cambiamento: ne sono coinvolti.
Anche la valutazione ne è investita: gli studenti esigono che sia immersa «in un “bagno relazionale” fatto di spiegazioni circa le motivazioni di tale esito
parziale e giudizio finale».
LA SFERA DELLA SOCIALITÀ RISTRETTA
2. Una conferma nelle relazioni con la famiglia d’origine (famiglia “lunga” e “affettiva”, concentrata su se stessa o poco aperta alla
fiducia nei confronti del sociale e del mondo, che considera «infido e pericoloso»), nel rapporto coi pari, nell’importanza
attribuita allo svago e al tempo libero.
A| LA FAMIGLIA

Da G. Pietropolli Charmet – E. Riva, Adolescenti in crisi genitori in difficoltà, Milano, Franco Angeli, 1995 [con schema di interpretazione sintetica]
Caratteristiche della nuova famiglia, non più “breve” ma “lunga”, non più “etica” ma “affettiva”. Gli autori tendono a presentare la nuova famiglia
(dell’attuale società post-industriale) nel confronto con quella della “società post-bellica”, fondata sulla indiscussa autorità paterna, ispirata a un modello
“etico-normativo”e ne prospettano i caratteri salienti:

la nuova famiglia non considera più suo «compito primario» «fornire alle nuove generazioni un orientamento etico»;

è aperta al dialogo, vive relazioni tendenzialmente paritetiche , definisce le regole al proprio interno in modo contrattuale e flessibile;

più democratica, presenta un’evidente trasformazione nel modo di interpretare i ruoli parentali: è venuta meno l’indiscussa autorità paterna e la rigida
distinzione tra i ruoli che hanno trovato un nuovo equilibrio (anche se «ancora fragile e spesso conflittuale» ) e sono divenuti più intercambiabili;

adopera « ogni propria risorsa affettiva, economica e sociale, per garantire ai figli un bagaglio ricco e differenziato di affetti e gratificazioni, di informazioni
e competenze, utili ad affrontare in futuro un mondo» considerato «estraneo e difficile»;

la famiglia “lunga” e “affettiva” si presenta concentrata su se stessa o poco aperta alla fiducia nei confronti del sociale e del mondo esterno, che
considera «infido e pericoloso».

Da Elena Rosci, La famiglia, in Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, a cura di A. Maggiolini e G. Pietropolli Charmet, Milano,
Franco Angeli, 2004
Conferma la descrizione della famiglia “affettiva” (insistendo inizialmente sulla differenza rispetto ad altri contesti sociali del passato): di fronte all’esigenza
di ridefinizione della figura paterna, come primo passo verso una nuova identità adatta all’oggi, ritenendo improponibile “il padre padrone” del passato,
propone il modello di «un padre che responsabilizza, e non solo un padre che separa e sanziona». [ Famiglia e supporto sociale, pp.140-3 ]
Come è bene che si comportino i genitori? Che ruolo devono assolvere nell’accompagnare l’adolescenza dei figli?
“La famiglia deve sincronizzare due movimenti antagonistici”: mantenere legami e sostenere la spinta all’autonomia e allo svincolo.
Interessanti i quattro stili genitoriali: “educazione autorevole” (il modello proposto) e le alternative presentate come inefficaci, “genitori autoritari”,
“genitori indulgenti”, “genitori indifferenti” [Un figlio adolescente, pp. 145-146).
La scuola si presenta come il luogo prioritario o unico di socializzazione e di messa alla prova per gli adolescenti. Le ansie dei genitori per il successo
scolastico dei figli e il rischio di invadenza nell’unica istituzione extrafamiliare in cui i figli sono inseriti. [p. 149]
La conflittualità nella “famiglia affettiva” come si profila? Come gestirla?
È un fenomeno “fisiologico” che in età adolescenziale si accentua: per certi aspetti necessario e – se entro certi limiti – positivo.
I dati rivelano una conflittualità moderata. I punti di conflitto prevalenti risultano essere i seguenti: il corpo – la stanza – i permessi – il gruppo e gli amici del
cuore – la scuola – la casa. La via di soluzione riscontrata e proposta come produttiva è il “compromesso”, la “contrattazione”, la “mediazione”. [ C’è
conflitto in famiglia?, pp. 150-151 ]
B| IL GRUPPO DEI PARI

Da Cristina Saottini, Il gruppo dei pari, in Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, a cura di A. Maggiolini e G. Pietropolli Charmet,
Milano, Franco Angeli, 2004
Funzione e importanza del gruppo dei pari in adolescenza (cfr. pp.168-175):
 All’interno del gruppo “si costruisce l’identità adolescenziale e matura la competenza affettiva e cognitiva che porterà alla compiuta soggettività
adulta”(168);
 Funzione del gruppo: “il gruppo funziona come un contenitore psichico collettivo, che consente lo sviluppo di un senso di identità soggettiva, che si
completa quando la percezione d’essere se stessi è integrata con la percezione del riconoscimento da parte degli altri.” (168); è strettissima
l’interconnessione “tra la costruzione del Sé soggettivo e del Sé sociale”; gli adolescenti ricercano nel gruppo “un contenitore stabile, che dia la
garanzia di un certo riconoscimento di sé” (169).
 “Compito dei gruppi giovanili di ogni epoca è di ‘iniziare’ i suoi membri ai compiti e alle responsabilità dell’età adulta” (169); l’esperienza del gruppo
“ha soprattutto il compito di rendere pensabile il travaglio della crescita, sostenendo la trasformazione psichica del Sé infantile in Sé adulto,
accompagnando un cambiamento nella visione di Sé e delle proprie relazioni con il mondo”.(170)
 Per queste ragioni gli adolescenti investono moltissimo nel gruppo:
“per adempiere questo compito gli adolescenti mettono un’estrema cura nel migliorare la qualità e il benessere della vita psichica del gruppo,
potenziando le qualità dei vincoli che lo costituiscono, quali la lealtà, l’affetto e l’identificazione col gruppo stesso (Pietropolli Charmet, 2000);
il gruppo “..è, soprattutto, il risultato di azioni e sentimenti: l’agire del gruppo è finalizzato a mantenere in vita il gruppo, perché è l’appartenenza ad un
apparato psichico gruppale vivo, che aiuta il singolo ad affrontare i rischi e il dolore del passaggio all’età adulta.”(170)
 Assolve in particolare alcune funzioni:
- la funzione di accomunamento e di appartenenza, che “assume … un fondamentale effetto antidepressivo, rispetto alla solitudine che deriva dalla
separazione dagli investimenti infantili” (170)
- “il gruppo sostiene l’elaborazione collettiva dei lutti che ciascun membro affronta nel corso del processo di separazione dai genitori e dal Sé infantile”
- “consente di introiettare gli ideali di riferimento della propria generazione, nella declinazione che il proprio particolare gruppo è stato capace di
creare”. (170)
 “Attualmente i legami tra pari in adolescenza possono essere di diverso tipo: dall’amicizia, all’appartenenza a gruppi istituzionali, come la classe
scolastica, alla partecipazione a gruppi formali (sportivi religiosi o culturali), o informali, come la compagnia, all’appartenenza a gruppi sociali allargati
(subculture), fino al senso di appartenenza generazionale.” (173)
 “…durante questa fase dello sviluppo i genitori restano, comunque, il supporto più importante per gli adolescenti, tanto che nelle recenti ricerche
mantengono il primato tra le cose che contano, superando sistematicamente gli amici (Cavalli, De Lillo, 2002).
Il gruppo dei pari: differenze tra gruppi formali e informali; tendenziale evoluzione nel corso dell’adolescenza a dare progressivamente meno importanza ai
primi e più ai secondi; confronto tra i due; considera discutibili alcune valutazioni diffuse ( i gruppi organizzati sarebbero più tutelanti rispetto alla
trasgressione); conclude sul valore di entrambi. Prospetta cinque “stili” o “culture di gruppo” diversi:
gruppo evasivo trasgressivo; attività sportive; gruppi a carattere formativo; impegno sociale; gruppi a funzione espressiva e culturale.
[Gruppi formali e informali, pp.175-179]
La particolarità della classe come “gruppo istituzionale”, dal punto di vista della socializzazione: un ambito fondamentale della relazione con i coetanei;
una forte influenza nella formazione dell’identità personale; sperimenta relazioni con coetanei che non ha scelto; il gruppo dei compagni tende a
esercitare una forte pressione all’assunzione di comportamenti condivisi (che toccano non solo l’identità di studente, anche aspetti più profondi
dell’identità soggettiva) [La classe come gruppo istituzionale, pp.178-9]
Sulle caratteristiche del gruppo che – quando si trasforma in “banda” - perde il valore di ponte verso le realtà sociali più ampie (rispetto alla famiglia) e
“entra in stallo”: il “gruppo banda” è espressione del “fallimento della funzione emancipativa del gruppo”. (p.168)
Interessante il ritratto del leader in esso: «Il “paradosso iniziatico” degli adolescenti è che non sono i ragazzi più maturi, più avanti nel percorso evolutivo, i
più pronti ad assumersi responsabilità, ad essere gli “iniziatori”, ma quelli che sentono meno colpa e paura, i meno capaci di governare i propri impulsi
(Redi, 1996). Poiché non si sentono in grado di governare la propria vita e di sviluppare un ideale dell’Io affidabile, lasciano la regia ai propri impulsi,
investendo nel presente e nel guadagno immediato» (p. 182)

Se il gruppo dei pari (soprattutto di tipo “informale”)rappresenta in adolescenza un’esperienza essenziale, per le ragioni ampiamente esplicitate al
punto , non è esente da rischi: «perché appare il momento più critico rispetto a problemi come quelli di droga, violenza, trasgressione, vita notturna,
alcool»; perché rischia di chiudere l’adolescente in un mondo chiuso separato dall’interazione con le altre generazioni.
È opportuno che, nel percorso di costruzione dell’identità, l’adolescente possa integrare l’esperienza del gruppo dei pari con occasioni significative di
dialogo costruttivo con il mondo adulto e con esperienze di interazione con gli altri ambiti di una socialità “aperta”.
SCHEDA DI SINTESI: L’ampliamento degli interessi personali e sociali, elaborata a partire da diversi contributi, tra cui si segnalano:
Gianbruno Guerrerio, Senza più regole, «Mente & Cervello», n.12, novembre-dicembre 2004, p.56.
Anna Oliverio Ferraris, Alla ricerca di un sé, «Mente & Cervello», n.12, novembre-dicembre 2004, p.48
NB: Rilevante sull’etica del gruppo dei pari e l’influenza che esercita nel processo di definizione delle scelte valoriali del singolo è anche l’intervento presentato al punto  nelle considerazioni su “La sfera della vita collettiva” (vedi sotto), in particolare al §3 “La struttura normativa del gruppo dei pari” (p.7):
Alberto Zanutto, Comportamenti giovanili tra rappresentazione degli adulti e gruppo dei pari: la moralità situata, in «Rapporto giovani. Sesta indagine
dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007.
C| LO SVAGO E IL TEMPO LIBERO

MATERIALI Comune di Codogno - Provincia di Lodi
VIDEO “La notte dei giovani di Codogno” – COMUNE DI CODOGNO – 2006 /Progetto “Sai che cosa…” – Fabio Schiavone - Media Education
Il filmato, girato in città, contiene interviste ai giovani nei locali e fuori dai locali, il sabato sera; il confronto con una classe di studenti della scuola media;
l’opinione del sindaco, del medico, delle forze dell’ordine, dei volontari della Croce Rossa, ecc.
Offre un quadro realistico del divertimento di massa e dei rapporti dei giovani con l’alcol associato al tempo libero e allo svago, come la “moda” di rito.
RICERCHE
COMUNE DI CODOGNO, Progetto “Comunità e quartiere”, Ricerca sul tempo libero - problemi – bisogni dei giovani . Scuole superiori di Codogno (LO).
Anno scolastico 2000-2001. Elaborazione dati marzo 2002.
PROVINCIA DI LODI, Di Crono e di altri: gli adolescenti lodigiani tra comportamenti a rischio e prevenzione, Maggio 2003
COMUNE DI CODOGNO, Crescere insieme. Promozione del benessere e prevenzione del disagio giovanile, a cura di M. Maggi, Piacenza, Editrice Berti, 2005
Dalle indagini emerge che i giovani del Lodigiano trascorrono gran parte del loro tempo libero nel gruppo dei pari e attribuiscono un altissimo valore
all'amicizia. Si percepiscono la crescita di fenomeni come il bullismo, una diffusione alta di droghe leggere e alcool e una maggiore diffusione del consumo di
droghe pesanti e di quelle sintetiche. Risulta inoltre che il consumo di sostanze legali (alcool e tabacco) viene spesso associato a momenti di svago o relax.
Per quanto concerne la percezione dei bisogni, essi manifestano la necessità di esser ascoltati, il bisogno di socializzazione e di sicurezza, di spazi aggregativi,
di avere garanzie riguardo alla futura occupazione lavorativa, il bisogno di integrazione e partecipazione sociale.

Interpretazioni generali del fenomeno tempo libero, a livello nazionale, in relazione anche al consumo di alcol e droghe e al consumo culturale:
 Da Letizia Caporusso, Il tempo libero, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi,
A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007.
 Da Michela Frontini, L’addiction: propensione individuale e influenza del contesto, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla
condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007.
 Da Carlo Buzzi, Svago, impegno e informazione: il consumo culturale degli studenti italiani (capitolo VII) , in “Giovani a scuola”(Un’indagine della
Fondazione per la Scuola realizzata dall’Istituto IARD), a cura di A. Cavalli, G. Argentin, Il Mulino, 2007
 Da Carlo Buzzi, Conclusioni: I giovani nell’era della flessibilità, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in
Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007.
Nel paragrafo “10. Centralità inedite: il giovane come consumatore postmoderno”, l’autore prospetta un quadro riassuntivo sintetico del fenomeno:
«Il declino della partecipazione nelle forme associazionistiche e di impegno sociale si accompagna, abbastanza sorprendentemente, anche ad una
flessione nella fruizione di molte attività ricreative o culturali, comprese alcune che negli ultimi vent’anni avevano mostrato un trend di crescita
costante; continua invece ad aumentare l’interesse per l’intrattenimento notturno. Gli stili di consumo del tempo libero rimangono piuttosto disomogenei, influenzati come sono dall’origine sociale, dal grado d’istruzione, dal genere, dalle fasi del ciclo di vita, dal tipo di offerta culturale presente
localmente: in altre parole, tendono a riproporre, nella quantità e nella qualità delle attività svolte, forme antiche di disuguaglianza. Se spostiamo
l’attenzione dal generale al particolare e analizziamo gli sviluppi del consumo mediale, ci troviamo di fronte a profondi cambiamenti. Da una parte
l’offerta dei media tradizionali è rimasta invariata, ma a questa si è aggiunto il contributo derivato dallo sviluppo tecnologico che ha permesso un
ampliamento dei modi e delle forme di fruizione. Vecchi e nuovi media interagiscono all’interno di molteplici stili e percorsi multimediali perpetuando,
anzi aumentando, le disparità di ordine culturale tra gli individui. Paradossalmente sono altre le tipologie di consumo che ristabiliscono una maggiore
uguaglianza tra individui e gruppi. Ci riferiamo alla dimensione dell’addiction, che mette in evidenza come il forte incremento dell’esposizione
giovanile all’alcol e alle sostanze psicotrope si sia assestato su livelli di elevato coinvolgimento. Il consumo di droghe ed alcol appare un fenomeno
complesso e multidimensionale che ha perso una chiara connessione con situazioni di disagio conclamato, mentre appare collegarsi alla dimensione
relazionale dei giovani, alle occasioni ricreative e all’attenuarsi delle azioni di controllo da parte dei genitori. Ma proprio per questi motivi è diventato
un fenomeno trasversale che coinvolge ampi segmenti della realtà giovanile.»

NB : A sé, rispetto al quadro sin qui tracciato, risulta l’analisi di Umberto Galimberti ( L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano,
Feltrinelli, 2007 – Video di presentazione del libro ) che argomenta la tesi dell’invadenza del nichilismo tra i giovani, descrivendone e cercando di
interpretarne un po’ tutte le esperienze e gli ambiti di vita.
Interessante – a proposito dell’area della socialità ristretta - l’idea portante del libro che il malessere delle nuove generazioni giovanili sia un disagio di
natura culturale e non psicologica o esistenziale. Immersi in un’atmosfera nichilista, soffrono per l’«insensatezza del proprio esistere»; dubitano del
«significato stesso della loro esistenza» che appare loro «insopportabile perché priva di senso».
Dedica un capitolo a “La seduzione della droga”, interpretata come conferma della «voluttà nichilista» che «sembra pervadere la nostra società,
soprattutto nella sua fascia giovanile»; una sorta di «rimedio contro il disagio della civiltà»: l’eroina, che anestetizza tutti i dolori, rivela la scelta di
sottrarsi alla vita; l’ecstasy la « ricerca di una riduzione delle barriere che nella nostra cultura rendono così difficile la comunicazione»; la cocaina il
bisogno «di prestazioni al massimo dell’efficienza». Propone una sua via alternativa di approccio al fenomeno, soprattutto nella scuola e in
televisione, attraverso una nuova“ cultura della droga”.
A proposito della relazione con le emozioni che caratterizza le nuove generazioni, analizza in diversi capitoli i comportamenti sociali “estremi”
(devianti) che denotano una inquietante deriva del controllo delle emozioni (suicidi giovanili - omicidi o atti insensati pericolosi solo per provare
emozioni intense con cui vincere la noia …[tra i vari esempi: tre ragazze di Chiavenna, fidanzatini di Novi ligure, sassi dai cavalcavia…] ); un fenomeno
che interpella le istituzioni educative, la scuola, la società, che devono assumere la responsabilità di educare alle emozioni, anche introducendo
appositi insegnamenti (come i programmi di alfabetizzazione emotiva proposti da Daniel Goleman ), per educare alle relazioni.
[ Si allegano due materiali utili alla conoscenza della proposta di straordinaria attualità di Daniel Goleman:
Daniel Goleman, Insegnare a scuola le emozioni (cap. 16), in Intelligenza emotiva. Che cos’è, perché può renderci felici,Milano , Rizzoli, 1999 ]
LA SFERA DELLA VITA COLLETTIVA
3. Principi etici e valori sociali: il rapporto “debole” con le “regole” in famiglia e nella società; problematici “legalità”e ”etica”
( crisi della famiglia “etica” - contrattualità relazionale - relazioni simmetriche alla pari - crisi del principio di “autorità”…).

Da G. Pietropolli Charmet – E. Riva, Adolescenti in crisi genitori in difficoltà, Milano, Franco Angeli, 1995 [con schema di interpretazione sintetica]
Una conseguenza della crisi del modello della famiglia “etica” caratteristica della società post-bellica riguarda il rapporto degli adolescenti con i
principi etici e le regole della convivenza sociale. «Se un tempo i genitori ritenevano che il proprio compito fosse quello di educare i figli spingendoli
ad interiorizzare le regole del contesto sociale in cui crescevano, oggi i genitori considerano proprio dovere fornire protezione sicurezza ai figli, essi
desiderano soprattutto “farli felici”, favorendone inclinazioni e desideri.» (Charmet – Riva, p.26). La nuova famiglia, più democratica al suo interno,
per la trasformazione dei ruoli parentali (è venuta meno l’indiscussa autorità paterna e la rigida distinzione tra i ruoli che hanno trovato un nuovo
equilibrio [anche se «ancora fragile e spesso conflittuale» (Charmet – Riva p. 22)] e sono divenuti più intercambiabili), è aperta al dialogo e vive
«relazioni tendenzialmente paritetiche, fondate sull’ascolto e la condivisione reciproca».
Anche le regole sono definite in modo “contrattuale” all’interno della famiglia (Benasayag 26-7 / Charmet 22-27): non sono saldate a un principio o
a un valore che viene dall’alto o dall’esterno della famiglia e vale per tutti; «ogni famiglia indice le sue regole ed esse valgono solo all’interno dello
spazio domestico», sono funzionali all’armonia della vita familiare, ma non sono “universali”, condivise dall’intera comunità sociale, bensì flessibili,
tanto che l’imprevisto o circostanze particolari autorizzano a non rispettarle; l’adolescente tende ad estendere gli stessi criteri alle “regole” della
vita sociale e morale (i sociologi parlano, per questo, di «familismo morale» [Charmet, p.26] ).
I genitori stessi, avendo per lo più vissuto sulla propria pelle l’esperienza di un padre autoritario sono decisi a non replicarlo (Charmet, p.23) e
ricercano nuovi ruoli: « proprio grazie alle incertezze di un ruolo non interiorizzato ma scoperto e via via sperimentato, i nuovi genitori tendono ad
adempiere al loro compito in termini nient’affatto definitori e trionfalistici, attraverso una presenza disponibile e poco intrusiva, qualche volta più
simili a figure fraterne attente e collaboranti che non alle figure paterne prescrittive ed autoritarie o alle madri iperprotettive ed avvolgenti che
temono di replicare; una posizione che rischia in qualche caso di sconfinare nell’astensionismo educativo, ma che nelle sue versioni meglio riuscite
esprime con efficacia la contrattualità relazionale della nuova famiglia affettiva.»
 Da Miguel Benasayag – Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli, 2004. [ SCHEDA DI SINTESI ][ il volume è consultabile on line ]
Capitolo 2 “Crisi dell’autorità” (pp.25-38). È vivamente consigliata la lettura integrale del capitolo.
È in atto una “crisi del principio d’autorità” (Benasayag – Schimt, p. 26) che non crea un contesto propizio alla relazione e alla relazione educativa.
Ma il principio di autorità è cosa ben diversa dall’autoritarismo; fonda la relazione educativa e deve essere recuperato, proprio per non sfociare
nell’autoritarismo (che «oscilla costantemente tra due tentazioni: quella della coercizione e quella della seduzione di tipo commerciale») :
«Con l’autoritarismo colui che rappresenta l’autorità si impone all’altro grazie alla sua forza, che è l’unica garanzia e l’unico fondamento della
relazione. Il principio d’autorità si differenzia dall’autoritarismo in quanto rappresenta una sorta di fondamento comune ai due termini della
relazione, in virtù del quale è chiaro che uno rappresenta l’autorità e l’altro ubbidisce; ma allo stesso tempo è convenuto che entrambi
“ubbidiscono” a quel principio comune che, per così dire, predetermina dall’esterno la relazione. Il principio di autorità è quindi fondato
sull’esistenza di un “bene” condiviso, di un medesimo obiettivo per tutti: io ti ubbidisco perché “tu” rappresenti per “me” l’invito a dirigersi verso
questo obiettivo comune, perché so che questa ubbidienza ti ha permesso di diventare l’adulto che sei oggi, come io lo sarò domani … E quando un
giovane chiede “Perché devo ubbidirti?” molti adulti sono incapaci di rispondere chiaramente: “Perché io sono tuo padre … Perché io sono il tuo
professore …”. Se il giovane non è “sedotto” o “dominato”, non vede nessun motivo di ubbidire a questo suo simile che pretende di meritare il
rispetto. In nome di cosa, in nome di quale principio?» (Benasayag – Schmit, pp. 27-28)

Da Alberto Zanutto, Comportamenti giovanili tra rappresentazione degli adulti e gruppo dei pari: la moralità situata, in «Rapporto giovani. Sesta
indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007. [ da leggere !]
Che percezione hanno i giovani delle norme sociali, sul piano della morale collettiva e della morale individuale?
Il gruppo dei pari quali regole morali adotta ? Le opinioni individuali si uniformano alla morale del gruppo dei pari o alle regole degli adulti?

LE REGOLE DELLA SOCIETA’
La ricerca, che sottopone al giudizio degli intervistati comportamenti riferibili a cinque aree tematiche (1. Rapporti economici 2. Rapporti familiari e
sessuali 3. Dei valori della vita e della salute 4. Dell’addiction 5. Della violenza e del vandalismo) e si avvale del confronto con i dati raccolti nei
precedenti Rapporti IARD (a cadenza quinquennale, dal 1983 al 2004) evidenzia la variazione nel tempo delle norme sociali (tab. 2.1). Ai giovani è
richiesto anzitutto di indicare i comportamenti che ritengono criticati dalla società, così da evidenziare la percezione che hanno delle norme sociali.
- “Negli ultimi vent’anni i comportamenti volti a sottrarsi alle regole e alla valutazione economica da parte dello Stato sono sempre meno criticati:
cercare di sottrarsi al fisco o viaggiare senza pagare il biglietto – per esempio - diviene sempre meno sanzionato sul piano sociale”.
- Analogamente subisce cali tendenziali vistosi la morale tradizionale di ispirazione cattolica inerente l’area dei rapporti familiari e sessuali,
rispecchiando l’allontanamento degli adulti dalla morale sessuale tradizionale. Cala – ad esempio - del 20 e 27 per cento la percezione delle norme
morali su questione come “l’avere rapporti sessuali senza essere sposati” e “convivere senza essere sposati”.
- Attesta una sostanziale “tenuta” , anzi un incremento, la percezione delle norme sociali tradizionali nell’area dei comportamenti ascrivibili al tema dei
valori della vita e della salute: cresce di quattro punti percentuali il dato di chi ritiene criticabile da parte della società abortire, l’eutanasia o –
nell’ambito della salute – avere rapporti occasionali senza profilattico. Cala però del 7% negli ultimi anni il dato di chi ritiene criticata dalla società
l’inseminazione artificiale.
- “ … i giovani percepiscono la forte intransigenza della società verso comportamenti legati all’uso di sostanze che possono alterare l’equilibrio
psicofisico”: ubriacarsi, consumare eroina … ma, mentre cresce la percezione della critica sociale al fumo di tabacco, diminuisce quella del fumare
marijuana (area dei comportamenti relativi all’addiction).

LA MORALE DEL GRUPPO DEI PARI
Il dato percentuale presenta un vero e proprio “salto culturale” se – analizzando le risposte alla seconda domanda: il giudizio degli amici sugli stessi
comportamenti - si confronta “ciò che è ritenuto criticato dalla società e ciò che è criticato nelle relazioni del gruppo amicale di appartenenza”, anche se
il divario non è totale: “alcuni comportamenti sono considerati allo stesso modo di come li considera il mondo adulto, altri in modo nettamente diverso”.
“La cultura del gruppo e la sua funzione identitaria per i giovani” appare “potenzialmente alternativa alle visioni offerte e riproposte dal mondo adulto”
(p. 219).

LA DIMENSIONE ETICA INDIVIDUALE
Nonostante ciò, il giudizio dei giovani invitati a esprimere la loro personale opinione rispetto agli stessi comportamenti non coincide con la morale dei
gruppi di appartenenza e “si colloca solitamente ad una quota intermedia rispetto alla rappresentazione della società e a quella dei gruppi”: “i singoli
intervistati, nel definire quanto è ammissibile un comportamento per sé, non si allineano né con gli adulti né con i pari, cercando di trovare una propria
via media attraverso cui leggere e considerare i vari comportamenti sottoposti a giudizio” (p. 222). I giovani rivelano dunque “la capacità … di trovare
una loro personale strada verso l’essere adulti”.
Due valutazioni sembrano più rilevanti.
I giovani sembrano fortemente influenzati – nella percezione delle norme sociali e nei giudizi sui diversi comportamenti – dalle singole situazioni e
dalle “fruizioni mediali che quotidianamente si respirano” più che dal riferimento coerente ai principi e ai valori. Rivelano dunque “una moralità
situata del qui ed ora”, “legata alle situazioni” “ piuttosto che legata ai valori”, tuttavia “non necessariamente relativistica”. (p.216)
Inoltre – a conferma di ciò - nel valutare le risposte alle domande “ammissibile per me” e “possibile che mi accada” il divario è talora evidente: “la
proiezione di poter incorrere nei vari comportamenti presenta livelli talvolta superiori rispetto al giudizio di ammissibilità”. Tra le convinzioni
morali personali e i comportamenti reali in società è ammessa la “deroga”, anche nel caso di “comportamenti notoriamente esposti al rischio di vita
per sé e per gli altri come il mettersi alla guida quando si è ubriachi”. (p. 224)
 NB: debolezza sul piano dell’ “etica”, nel riferimento coerente a principi e valori.
LA SFERA DELLA VITA COLLETTIVA
4. Scarsa fiducia nelle istituzioni e nella politica: il rapporto di diffidenza, distanza, disinteresse nei confronti della sfera della
collettività; l’atteggiamento nei confronti della scuola; giovani e volontariato.
A| LE ISTITUZIONI E LA POLITICA

Da Arianna Bazzanella, I giovani guardano la società: la fiducia nelle istituzioni, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla
condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007.
Se “la fiducia nelle istituzioni costituisce la premessa per un sistema socio-economico nazionale stabile, efficiente e democratico” e – viceversa – “la
mancanza di fiducia in esse causa comportamenti individuali disfunzionali che, a loro volta, determinano un deterioramento del sistema-società”, è
rilevante valutare il livello di fiducia o sfiducia dei giovani nei confronti delle principali istituzioni e le motivazioni che lo ispirano.
Le categorie che raccolgono una fiducia diffusa (superiore al 60%) sono gli scienziati (86%), la polizia (72%), l’Onu (69%), gli insegnanti (61%) e l’Unione
Europea (59%). Agli ultimi tre posti governo (19%), partiti (10%) e uomini politici (8%): ”sono considerati degni di fiducia da meno di un giovane su
quattro”. Bassa la credibilità anche di giornali (42%), banche e televisione pubblica (36%), televisione privata (32%).
“In estrema sintesi, dunque, i giovani sembrano confidare maggiormente negli organismi deputati al controllo (organizzazioni internazionali e forze
dell’ordine) meno nei mass-media e, soprattutto, molto poco proprio in coloro che dovrebbero rappresentarli di più”, i politici.
Timore e insicurezza diffusi, un generale bisogno di protezione giustificano un maggior credito a soggetti e organismi “preposti al controllo e alla protezione sociale (polizia, ONU, Unione Europea, magistrati, NATO, militari di carriera) e attori che rappresentano la relazionalità protetta (insegnanti e
sacerdoti)”.
Comprensibile “il discredito subito dalle banche, accusate dall’opinione pubblica di correità ai danni dei piccoli risparmiatori” (la rilevazione dei dati
risale al 2004, al tempo del crak della Parmalat); non si azzardano, invece, interpretazioni del tracollo di credibilità dei politici.
 NB: In merito al rapporto dei giovani con la scienza, il dato della massima credibilità attribuita agli scienziati(86%), idealizzati e percepiti come
“scienziati puri che lavorano per il bene dell’umanità”, è in realtà confermato dall’analisi condotta nel capitolo “Scienza e salute” che smentisce lo
“stereotipo che vuole le nuove generazioni poco sensibili o addirittura diffidenti verso la scienza”. Più complesse dunque le cause del “declino di
interesse per gli studi in alcune aree scientifiche”, non riconducibili a un semplicistico giudizio di “ostilità pregiudiziale” nei confronti della scienza,
anche se emergono alcune criticità: prima fra tutte la “preoccupazione per la capacità della società di controllare le implicazioni dello sviluppo
scientifico e tecnologico”.(p.232)

Da Deborah De Luca, Giovani divisi fuori e dentro la politica, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in
Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007.
Colpisce un dato emergente dall’analisi: “coloro che si ritengono non competenti (34,5%) o che sono disgustati dalla politica (23%) rappresentano la
maggioranza dei giovani”. Risulta però anche che “Nel complesso la partecipazione politica è molto diffusa tra i giovani (solo il 23% non partecipa mai),
e le forme più frequenti sono il parlare di politica e l’assistere ad un dibattito politico anche televisivo. Si tratta quindi di azioni poco impegnative. Le
modalità di partecipazione meno diffuse sono invece soprattutto quelle legate ai rapporti con i partiti, segno che il disinteresse e il distacco per la
politica a livello di partecipazione concreta riguardano prevalentemente i referenti tradizionali, che non hanno saputo cogliere l’occasione fornita, negli
anni Novanta, dalla stagione di Mani pulite, e mantenere i livelli di rilegittimazione raggiunti dopo quel periodo”.
 A proposito della distanza dalla sfera della collettività, risulta interessante anche il ritratto delle generazioni “nichiliste” (nell’area della devianza
sociale) proposto nel volume sopra citato di U. Galimberti ( L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007).
B| LA SCUOLA COME ISTITUZIONE
Nel valutare l’atteggiamento degli adolescenti nei confronti della scuola, le aspettative, la percezione che ne hanno sul piano del vissuto, le valutazioni che
esprimono, la reale incidenza della formazione scolastica, ecc. studi di carattere più spiccatamente sociologico o invece psicologico offrono differenti punti
di vista nella lettura del fenomeno, che tuttavia possono integrarsi nell’offrire spunti per un’autoanalisi a chi vive, progetta, gestisce, - da docente –
l’attività formativa. La sociologia – attraverso indagini a campione - rileva più il punto di vista degli studenti e la ricaduta sociale dei pregi e difetti del
sistema formativo; la psicologia concorre ad approfondire l’analisi del vissuto scolastico, avanzando anche esplicite richieste alla scuola di maggior
attenzione all’incidenza degli apprendimenti e del vissuto relazionale scolastico ai fini della formazione complessiva dell’adolescente, impegnato nel
percorso di definizione della propria identità.
 NB: Ad introduzione della questione SCUOLA e FORMAZIONEDELL’ADOLESCENTE si propongono due apposite schede di sintesi sui nodi di fondo:
(1) SCHEDA 1 - Il complesso processo di ricerca dell’identità nel corso dell’adolescenza: Il cammino verso la definizione dell’identità personale
(1. Il rapporto con il corpo che cambia - 2. Gli anni difficili in cui l’identità individuale è incerta - 3. L’evoluzione necessaria nel rapporto coi
genitori (e gli adulti) - 4. L’ampliamento degli interessi personali e sociali - 5. Il punto d’arrivo: l’acquisizione di un sé stabile – Bibliografia ).
 La scheda è visualizzata anche in uno schema grafico riassuntivo.
(2) SCHEDA 2 - Il contributo della scuola al processo di sviluppo complessivo della personalità dell’adolescente:
L’incidenza della scuola nel processo di costruzione dell’identità
(rappresentazione di sé e autostima; il passaggio fra cicli di studio: l’accoglienza e l’inserimento nella scuola superiore)

Da Gianluca Argentin, Come funziona la scuola oggi: esperienze e opinioni dei giovani italiani, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD
sulla condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007. [ il saggio merita di essere letto ]
Premessa di linguaggio e di metodo: guardando alla scuola al punto di vista del ruolo dei sistemi scolastici nel processo di socializzazione, il concorso alla
crescita e all’integrazione sociale dei giovani offerto dalla scuola è individuato in tre funzioni (usando il termine “formazione” in senso tecnico )
1) “istruzione”: “trasmettendo loro conoscenze generali e astratte”;
2) “formazione”: “ … abilità pratiche da spendere nel mondo del lavoro” (“formazione”, dunque, in senso “professionale” di preparazione all’inserimento
lavorativo);
3) “educazione”: “… ma anche il corpus di valori e criteri di condotta che normano la collettività” (l’autore dichiara tuttavia di aver esplorato la “funzione
di educazione della scuola … «limitatamente» alla sua dimensione relazionale”, p.50; lamenta che “purtroppo i nostri dati non consentono di approfondire altri aspetti relativi alla funzione educativa della scuola, quale ad esempio la trasmissione di valori fondativi della società di appartenenza”, p.74.).
[ NB: ad integrazione, vedi S. Guglielmi e M. Vinante, in Società della conoscenza, sistemi educativi e opportunità di apprendimento
(sotto citato), che aggiornano portandole a quattro (e aggiungendo nuovi compiti) le funzioni del sistema formativo, per adeguarle alle
sfide della globalizzazione e della società della conoscenza (pag. 1 Il contesto di riferimento). ]
La valutazione appare nel complesso positiva sul piano del clima relazionale (ad eccezione di una percentuale non marginale di disagio nel rapporto tra
studenti e con i docenti), ma la scuola italiana risulta carente nel suo ruolo di trasmissione delle conoscenze e nella preparazione al mondo del lavoro.
Sulla base dei dati dell’indagine Pisa [Programme for International Student Assessment] si segnala la “fatica da parte della scuola italiana nel realizzare la
sua funzione di istruzione, in particolare nell’ambito matematico”.
Una buona sintesi ricapitolativa è offerta nelle conclusioni:
 “la prima considerazione che emerge dai dati in nostro possesso è che la scuola italiana non è allo sfascio, come spesso affermano i mass media,
enfatizzando episodi negativi ma circoscritti come quello del bullismo”. “La scuola come ambito relazionale sembra essere un contesto piuttosto ben
funzionante e per lo meno sotto questo profilo la funzione educativa sembra essere salvaguardata dal sistema scolastico”.
Il “benessere relazionale” seppur “evidente e nettamente maggioritario”, presenta luci e ombre nel rapporto con i docenti:
« Emerge infatti che la relazionalità positiva illustrata in precedenza si basa su uno scambio tra studenti e insegnanti piuttosto superficiale, dato
che per la maggioranza degli interpellati manca una piena comprensione delle esigenze dei giovani. Al contempo, rileviamo che solo metà degli
interpellati pensano che gli insegnanti sappiano essere stimolanti; al contempo, una quota simile reputa che vi sia da parte loro un’influenza
politica e ideologica e più di un giovane su tre ritiene che manchi addirittura la competenza rispetto alla materia insegnata. Non è molto
dissimile poi la quota di chi vede negli insegnanti diffidenza verso l’innovazione tecnologica oppure difficoltà a stabilire una relazione equilibrata
nel rapporto gerarchico con gli studenti, tanto nella direzione dell’eccessiva severità che, in quella opposta, dell’eccessiva arrendevolezza. »
 “a preoccupare” è “piuttosto il fatto che il sistema-scuola mostri fatica nel rispondere alle altre funzioni ad esso assegnate” (istruzione –
formazione):
“una consistente fetta di studenti … manifestano un rendimento scolastico insoddisfacente e … denotano quindi una marcata difficoltà della
scuola nel far fronte alla sua funzione di istruzione e di contrasto delle disuguaglianze di opportunità”;
“Le difficoltà maggiori sono però associate alla funzione di formazione: la distanza tra le competenze trasmesse a scuola e quelle richieste dal
mercato del lavoro risulta consistente nella percezione dei diretti interessati, come anche nelle percezioni della popolazione italiana complessiva”.
 Un altro aspetto merita attenzione: sensazioni negative di “disagio” nel vivere l’esperienza scolastica, l’avvertire “carenza di senso associata a noia e
ad oppressione nel dover stare in classe” sono “tutt’altro che infrequenti anche tra gli studenti eccellenti”. Questo dato “suona come un vistoso
campanello di allarme. Il rischio che sembra profilarsi è che la scuola, nella società della conoscenza, non solo perda la sua centralità nella funzione di
istruzione, ma che finisca con il diventare, agli occhi dei giovani, un sistema autoreferenziale non dotato di senso; in buona sostanza, per un giovane,
oggi, l’aggettivo «scolastico» rischia di diventare un termine connotato negativamente, che fa riferimento a un sistema fittizio e non ancorato
all’esperienza reale di ogni giorno.”

Da A. Cavalli, Il vissuto dell’esperienza scolastica (capitolo II) , in “Giovani a scuola”(Un’indagine della Fondazione per la Scuola realizzata dall’Istituto
IARD), a cura di A. Cavalli, G. Argentin, Il Mulino, 2007:
Una sostanziale conferma dell’analisi svolta nel Rapporto giovani. Maggiormente articolati gli aspetti della relazione tra compagni e coi docenti, come
anche degli elementi di disagio o di successo.

Da Gustavo Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, Roma-Bari, Laterza, 2008
L’autore sottolinea – tra le caratteristiche del nuovo Adolescente “spavaldo” - la messa in discussione del potere simbolico della scuola (come istituzione):
Tendono a sottrarre «credibilità e soprattutto … potere simbolico» oltre che agli adulti anche alle istituzioni; alla scuola, in particolare:
«non ne hanno paura, non si sentono in colpa se non hanno fatto i compiti. Ma nello stesso tempo non esagerano: sono solo spavaldi, non trasgressivi;
non la attaccano, la sopportano, ma la scuola non deve esagerare. »
Gli adulti (genitori, insegnanti, educatori, poliziotti o allenatori…) ottengono rispetto, attenzione e confidenza solo se dimostrano di possedere
competenza nelle relazioni, «di conoscere il loro mestiere e di sapere spiegare bene a cosa serve la loro funzione».
la richiesta prioritaria che avanzano nei confronti della scuola riguarda la qualità della relazione affettiva: attribuiscono un rilievo spesso esagerato
alla dimensione emotiva. Tendenzialmente indifferenti di fronte alla proposta degli adulti, non sono disponibili al coinvolgimento nel lavoro scolastico
se non si verifica un buon rapporto nella relazione con l’insegnante, con i compagni, con l’ambiente scolastico.

Da Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007
Capitolo 3, Il disinteresse della scuola (sono pagine fortemente critiche nei confronti degli insegnanti: una provocazione tagliente)
La scuola dimostra disinteresse nei confronti del processo di costruzione dell’identità che impegna gli adolescenti, scarsa considerazione per
autostima e auto accettazione benché assolvano un ruolo essenziale ai fini della «formazione di un adeguato concetto di sé», dal momento che
«l’identità si costruisce a partire dal riconoscimento dell’altro». Il capitolo merita di essere letto integralmente.
Capitolo 4, L’analfabetismo emotivo
La famiglia e la scuola dovrebbero convincersi «della necessità e dell’urgenza di un’educazione emotiva preventiva» (dei sentimenti e delle relazioni).
La scuola «potrebbe dare un positivo contributo» allo sviluppo dell’«intelligenza emotiva» (cfr. D. Goleman).
L’autore denuncia anche un’una carenza strutturale del sistema formativo: la maggioranza dei giovani dimostra di non disporre, perché non le ha
acquisite, di adeguate abilità cognitive e di ragionamento (intelligenza razionale) di verbalizzazione del pensiero e delle emozioni (linguaggio):
«A me sembra che sia in corso un genocidio di cui pochi si stanno rendendo conto. A essere massacrate sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più prezioso
di ogni società che vuole distendersi verso il futuro [...] La mia non è una sparata moralistica di chi rimpiange i bei tempi in cui i ragazzi leggevano tanti libri e
facevano tanta politica. Io sto notando qualcosa di molto più grave, e cioè che gli adolescenti non capiscono più niente. I processi intellettivi più semplici,
un’elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film
sono diventati compiti sovrumani, di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio. [...] In ogni classe ci sono almeno due o tre studenti che
hanno bisogno di insegnanti di sostegno, non per qualche handicap fisico o qualche grave disturbo mentale. Semplicemente non capiscono niente, non riescono a
connettere i dati più elementari, a stabilire dei nessi anche minimi tra i fatti che accadono davanti a loro, che accadono a loro stessi. Sono appena più inebetiti
degli altri, come se li precedessero di qualche metro appena nel cammino verso il nulla. Loro vengono considerati ragazzi in difficoltà, ma i compagni di banco,
quelli della fila davanti o dietro, stanno quasi nelle stesse condizioni. [...] Non riescono a ragionare su nessun argomento perché qualcosa nella testa si è sfasciato.
Vi prego di credermi, non sono un apocalittico, sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa.»
(Galimberti cita M. LODOLI, Il silenzio dei miei studenti che non sanno più ragionare, “la Repubblica”, 4 ottobre 2002)

Da Matteo Lancini, Scuola compiti e conflitti evolutivi , in Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, a cura di A. Maggiolini e G.
Pietropolli Charmet, Milano, Franco Angeli, 2004
Conclusioni su ADOLESCENTI E SCUOLA
 L’ultimo capitolo (il X) dell’indagine più volte citata “Giovani a scuola” [ Simona Guglielmi - Marco Vinante, Società della conoscenza, sistemi educativi
e opportunità di apprendimento ] allarga la riflessione sulla scuola agli obiettivi europei di Lisbona (inerenti la “società della conoscenza” e
l’apprendimento lungo l’intero arco della vita) e alle sfide della globalizzazione.
Si allegano tre stralci, in cui si precisano:
a) le quattro funzioni attribuite oggi ai sistemi di istruzione formale , nella prospettiva dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita (lifelong
learning) : funzione conoscitiva, professionale, socializzante, politico-culturale;
b) la moltiplicazione e diversificazione delle opportunità formative richieste da un sistema educativo improntato al lifelong learning, che deve
valorizzare “le modalità di apprendimento vissute in contesti di vita e momenti diversi”, ordinate in tre categorie che devono essere potenziate e
integrate: l’apprendimento formale, l’apprendimento non formale, l’apprendimento informale.
c) la necessità di valorizzare e potenziare non solo la essenziale formazione di base comune (istruzione “formale”), ma anche le opportunità formative
extrascolastiche (istruzione “informale”), sia nella forma della partecipazione all’associazionismo ricreativo, di impegno civile e sociale, sia delle
esperienze di contatto con il mondo del lavoro.
 Le Conclusioni del volume “Giovani e scuola”, di Alessandro Cavalli e Gianluca Argentin, focalizzano le questioni attorno a tre punti:
1) l’influenza delle condizioni sociali e culturali della famiglia d’origine: la scuola riesce a contrastare solo in piccola parte gli effetti delle origini socioculturali; le differenze in partenza, gli svantaggi e vantaggi da esse derivanti restano per lo più tali;
2) i vari volti del disagio scolastico (“fenomeno palesemente multiforme”), che richiede strategie di intervento differenziate ( 1 studente su2 presenta
debiti formativi; 1 su 5 disagio relazionale nei rapporti con almeno alcuni insegnanti; 1 su 3 si annoia; 4 su 10 lamentano l’incompetenza professionale
tra gli insegnanti; i due gruppi maggiormente a disagio sono agli estremi opposti: coloro che hanno un basso rendimento – coloro che apprendono con
facilità e rapidità);
3) la scuola deve sapersi relazionare in modo più efficace con il mondo e il mercato del lavoro: il lavoro sembra non avere più la centralità tra i valori
giovanili, ma è sentito come “spazio di realizzazione personale”; la scuola rischia di deludere le aspettative pragmatico-utilitaristiche della maggior
parte degli studenti; la scuola deve ottenere di impostare l’orientamento alla formazione permanente (lifelong learning); è richiesto un superamento
della cesura tra sapere e saper fare.
C| IL VOLONTARIATO COME IMPEGNO NEL SOCIALE

Alla luce della tripartizione delle opportunità formative poco sopra precisata (formale – non formale – informale) le esperienze nelle associazioni e tutto
il campo del volontariato si prospetta come un ampio settore di opportunità valide ad arricchire la formazione centrata sul soggetto, per tutto l’arco
della vita. Si propone qualche dato sulla partecipazione giovanile alle associazioni: da Davide La Valle, Il gruppo di amici e le associazioni (IARD 2007)
 Rimane da integrare l’informazione e l’analisi sull’offerta delle associazioni sul Territorio, alla luce dei nuovi stabili contatti del Liceo con la Consulta
del volontariato e le conseguenti proposte periodicamente rivolte agli studenti.
PROGETTUALITÀ E TRANSITO ALL’ETÀ ADULTA
5. Società “fluida”, cambiamenti continui, flessibilità: i giovani di fronte al futuro (percezione di sé e difficoltà)
Orientamento al presente e ridursi della progettualità verso il futuro







Da Miguel Benasayag – Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli, 2004.
Capitolo 1 “La crisi nella crisi” (pp.17-24) [ SCHEDA DI SINTESI : il futuro come minaccia nell’epoca delle passioni tristi ]
La radice prima dell’orientamento al presente è la sfiducia nel futuro, che le giovani generazioni avvertono come una minaccia.
L’analisi che gli autori compiono del drastico cambiamento in atto nel rapporto dei giovani con il futuro è veramente molto stimolante per
comprendere gli adolescenti di oggi. Pur essendo due psichiatri che operano nel campo dell’infanzia e dell’adolescenza, di fronte all’aumento
esponenziale delle richieste di aiuto psicologico da parte delle famiglie, della scuola, della società, ritengono di dover approfondire la riflessione,
per poter cogliere la vera radice del problema: la crisi della società e dei fondamenti stessi della cultura; l’invadenza dell’ideologia neoliberista e
dei “valori” disumanizzanti che impone. Dall’analisi della crisi ricavano prospettive nuove di “cura” dei disagi delle persone, proponendo una clinica
del legame e della situazione, nella convinzione che assumere dei legami nei confronti delle altre persone non ci rende meno liberi, anzi, è l’ “unico
cammino possibile per un’autentica realizzazione personale”.
«Oggi c’è un clima diffuso di pessimismo che evoca un domani molto meno luminoso, per non dire oscuro … Inquinamenti di ogni tipo, disuguaglianze
sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie; la lunga litania delle minacce ha fatto precipitare il futuro da un’estrema positività a una cupa
e altrettanto estrema negatività.»
Molte delle sofferenze psicologiche dei giovani avrebbero radici nella crisi insormontabile in atto nella società attuale; occorre capacità di critica
delle tendenze che ingenerano il disagio sociale, prima fra tutte la sfiducia nel futuro:
(1) Il futuro, l’idea stessa di futuro, reca ormai il segno opposto, la positività pura si trasforma in negatività, la promessa diventa minaccia;
(2) la «pressione crescente dell’utilitarismo legata all’invasione dell’ideologia neoliberista in tutte le sfere della vita»
la tristezza diffusa si può superare, combattendo il pessimismo esagerato: «la configurazione del futuro dipende in buona parte da ciò che sapremo
fare nel presente»
il superamento dell’individualismo competitivo e arido dell’ideologia neoliberista, in nome del valore dei «legami» sociali che soli «rendono liberi»
davvero, con la capacità di accettare i condizionamenti della fragilità e della situazione, uno spazio vitale «nel quale tutti dipendiamo dagli altri», e
sperimentiamo che «questa dipendenza non è una condanna né un limite: è invece la base … della gioia, delle “passioni gioiose”
«Educare alla cultura e alla civiltà significava – e significa ancora – creare legami sociali e legami di pensiero.»
La crisi, la minaccia del peggio non ci condannano a un utilitarismo forzato, ma al contrario consentono una sola via d’uscita, che è quella di sviluppare
la profonda e ontologica inutilità della vita, della creazione e dell’amore. Solo per questa via intravediamo la possibilità di aprire nuovi legami di
pensiero e di vita che siano in armonia con l’antiutilitarismo proprio della natura umana e della vita stessa.»

Da Carlo Buzzi, Conclusioni: I giovani nell’era della flessibilità, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in
Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007. Si considerino in particolare i paragrafi 4 e 6.

Da Elena Rosci, La famiglia, in Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e conflitti, a cura di A. Maggiolini e G. Pietropolli Charmet, Milano,
Franco Angeli, 2004: La nascita sociale bloccata e procrastinata: le responsabilità della società e della famiglia (pp. 173-4).
Molto efficace la puntualizzazione sul concorso di famiglia e contesto sociale come concause della mancata assunzione di responsabilità
dell’adolescente di oggi: “l’adolescenza assume le sembianze consentite dal contesto sociale nel quale si realizza. Allora è evidente che la difficoltà di
pensare a lungo termine, di assumersi responsabilità, di elaborare un sentimento etico evoluto, è fortemente influenzata dalla distanza esistente fra i
giovani e il loro futuro.
Gli adolescenti non si assumono responsabilità significative perché la famiglia li infantilizza e la società non chiede loro quasi nulla, oltre ad offrire
poco di ciò che è indispensabile per diventare adulti”.

Da Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Milano, Feltrinelli, 2007
Nel corso della diagnosi sulle manifestazioni del dilagare del nulla tra i giovani, ritorna in continuazione come un monito serio e assillante la
constatazione amara che la società di oggi sembra voler fare a meno dei giovani, negando loro la possibilità di offrire un contributo propositivo. Molto
del nichilismo diffuso, del disinteresse, del mancato coinvolgimento e dell’insicurezza degli adolescenti sembra avere le sue radici proprio in questo atto
di sfiducia nelle possibilità delle giovani generazioni, alle quali non è assegnato e riconosciuto alcun ruolo reale nel contesto sociale. Lo spreco delle
energie giovanili - «la massima forza biologica e ideativa di cui una società dispone» - è prospettato come la probabile “causa prima” della futura, se
non prossima, dissoluzione dell’Occidente:
«Ma che ne è di una società che fa a meno dei suoi giovani? È solo una faccenda di spreco di energie o il primo sintomo della sua dissoluzione? Forse
l’Occidente non sparirà per l’inarrestabilità dei processi migratori contro cui tutti urlano, e neppure per la minaccia terroristica che tutti temono, ma
per non aver dato senso e identità, e quindi per aver sprecato le proprie giovani generazioni.»

Da Paola Zurla, Giovani e lavoro tra continuità e segnali di cambiamento (capitolo IX) , in “Giovani a scuola”(Un’indagine della Fondazione per la
Scuola realizzata dall’Istituto IARD), a cura di A. Cavalli, G. Argentin, Il Mulino, 2007.

Cambiamenti radicali si sono verificati nel mondo del lavoro negli ultimi decenni: una nuova società del lavoro.
«… due decenni di profondi e radicali mutamenti hanno contribuito a trasformare profondamente il mondo del lavoro, sottraendo forza interpretativa e
predittiva ai modelli elaborati ed interiorizzati dalle generazioni precedenti. L’internazionalizzazione dei processi produttivi, con i pesanti effetti in
termini di perdita delle occupazioni manifatturiere, crescita delle disuguaglianze di reddito e moderazione salariale, la proliferazione di forme di lavoro
flessibili, con minori livelli di garanzie e stabilità, la marginalizzazione del lavoro di cura ed il conseguente aumento dei problemi di conciliazione tra
lavoro e famiglie per le coppie con doppio carico lavorativo, l’inarrestabilità del cambiamento tecnologico e la pervasività della tecnologia digitale
hanno contribuito a mutare sensibilmente il volto della società Italiana ed i suoi tradizionali assetti di regolazione socio-economica, segnando il
passaggio ad una nuova società del lavoro.»

Di fronte a tali cambiamenti muta il rapporto dei giovani con il lavoro e il ruolo del lavoro nei progetti di vita giovanili: una centralità non più assoluta,
ma relativa (una «riluttanza crescente ad identificarsi con lavori che non contribuiscono alla crescita della propria personalità e dell’autonomia»).
«.. di fronte a questi nuovi scenari i giovani maturano propensioni e comportamenti non tradizionali e non sempre intelligibili, proprio perché
profondamente differenti da quelli delle generazioni precedenti. Ne costituisce un esempio paradigmatico il dibattito sviluppato attorno al posto del
lavoro nel sistema valoriale giovanile. Se il ridimensionamento della centralità del lavoro nei progetti di vita giovanili appare ormai evidente ed
inconfutabile, ciò non significa, tuttavia, che esso non costituisca più una dimensione della vita su cui investire. In effetti, le periodiche indagini
dell’istituto IARD hanno messo in evidenza una persistente centralità del lavoro, seppure relativa e non più assoluta, specialmente in quei contesti
territoriali e in quei gruppi sociali in cui più se ne avverte la mancanza e la perdita di stabilità; ciò tuttavia si combina con una “riluttanza crescente ad
identificarsi con lavori che non contribuiscono alla crescita della propria personalità e dell’autonomia”.»
 Come l’immaginario giovanile si sta attrezzando (opinioni – immagini – propensioni …) ad affrontare il mercato del lavoro?
« Chiamati ad individuare i fattori ritenuti più importanti per trovare lavoro oggi in Italia … sono stati pressoché concordi nel conferire importanza
soprattutto a tre elementi: il fatto di essere competenti, il potersi poggiare sull’aiuto di persone influenti e l’essere tenaci nella ricerca del lavoro. Ad
altri tre fattori rappresentati dal sapersi presentare bene, dall’avere fortuna e dal sapersi accontentare sono attribuiti pesi meno significativi.. ».
 Di fronte all’alternativa tra lavoro a tempo pieno o part-time, dipendente o in proprio, le aspettative e le preferenze giovanili si orientano verso i
lavoro a tempo pieno (8 ore giornaliere: oltre il 40%) ma con una consistente percentuale che predilige il tempo parziale (39%); forte e trasversale
(per età, genere …) la propensione per il lavoro autonomo (anche se include forme di lavoro molto eterogenee: dalle attività imprenditoriali alle
libere professioni, alle nuove professioni create dalla flessibilità del mercato del lavoro …).I giovani (soprattutto maschi) rivelano una sostanziale
disponibilità al trasferimento per ragioni di lavoro (più i giovani delle regioni del Sud o del Nord che quelli del Centro; più in Europa che verso Paesi
non europei) e una crescente disponibilità verso forme di lavoro flessibile,temporaneo. Si dichiarano invece «fortemente ostili a possibili forme di
flessibilità salariale (ancorare stipendi e salari all’andamento della produzione), all’ipotesi di rendere più agevole lo scioglimento del contratto di
lavoro da parte dell’impresa (rendendo più facili i licenziamenti) e all’idea di rendere più accessibile l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro
attraverso l’introduzione, per esempio, di salari più ridotti.»
 In conclusione, al di là delle generalissime linee di tendenza sopra indicate (non prive di elementi di contraddizione) non risaltano atteggiamenti,
attese e propensioni generalizzabili, bensì una serie multiforme di atteggiamenti e comportamenti individuali:
«L’idea dunque di una condizione giovanile unificante sulla base del possesso di una medesima età anagrafica esce dal confronto empirico ancora una
volta sconfitta: si può allora ripetere con Pierre Bourdieu [1984, 143] che “la giovinezza non è che una parola”. I diversi occhi con cui studenti e
studentesse, diplomati e diplomate guardano al mercato del lavoro e alle forme possibili delle occupazioni fanno trasparire progetti lavorativi ed
esistenziali abbastanza differenziati e, tutto sommato, legati sia ai ruoli sociali di fatto ricoperti da uomini e donne sul lavoro e nella vita, sia agli
stereotipi che a questi ruoli si sono collegati e che si dimostrano ancora abbastanza resistenti alle trasformazioni. Prova ne sia il favore per il part-time,
soprattutto di tipo orizzontale, indiscutibilmente più marcato nella componente femminile, che probabilmente vi intravede uno strumento efficace di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. »
 All’arretramento del lavoro nella scala gerarchica dell’universo valoriale studentesco» - che «non necessariamente è sinonimo di una diminuzione
tendenziale dell’investimento emotivo ed ideale» - si accompagna un «processo di pluralizzazione dei significati del lavoro»: «un orientamento
poliedrico nei confronti del lavoro, basato sulla combinazione di aspetti di natura espressiva, strumentale, relazionale e acquisitiva». Tra i diversi
possibili significati del lavoro nei progetti di vita individuali tende a prevalere «l’interesse per ciò che si fa» , ovvero «un’immagine dell’attività
lavorativa come ambito esistenziale prevalentemente dedicato all’espressione della propria soggettività e all’autorealizzazione». Concezioni del
lavoro “post materialiste” sembrano prevalere rispetto alla valorizzazione degli « aspetti del lavoro più tipici di una concezione strumentale ». Accanto
alla concezione espressiva e strumentale del lavoro emerge la dimensione relazionale, del rapporto con i colleghi. Sono ritenuti meno importanti
“l’orientamento alla carriera” e “il prestigio sociale del lavoro” (= dimensione acquisitiva).
 La complessità e contraddittorietà dei tratti potrebbe giustificarsi come strategia multiforme per far fronte alle attuali difficoltà di inserirsi in un
sistema lavorativo così mutato e difficile, nei confronti del quale i giovani sono oggi i «primi sperimentatori a pieno titolo»:
«in loro “si fa avanti una nuova gerarchia di priorità, spesso assai difficile da decifrare, in cui tuttavia il valore immateriale della qualità della vita
gioca un ruolo di primissimo piano” e si fa avanti un nuovo modo di relazionarsi al lavoro, anche perché il lavoro è cambiato e non consente più
quell’attaccamento (se mai vi è stato!) delle generazioni precedenti. Vi sono dunque segnali di novità che testimoniano, al contempo, un modo diverso
di porsi di fronte al lavoro da parte dei giovani, ma anche una crescente problematicità per il lavoro nel continuare ad essere un’area di investimento
valoriale e professionale proprio da parte dei giovani che, come avverte Robert Castel, si avviano ad essere non solo dei “nuovi entranti” nel mercato
del lavoro, ma anche dei “primi sperimentatori a pieno titolo” della destrutturazione post-fordista e dell’esercizio della flessibilità da parte dei datori
di lavoro. L’approfondimento svolto non consente di predire come i giovani studiati reagiranno di fronte allo scenario lavorativo una volta terminati gli
studi e messisi massicciamente alla ricerca di un’occupazione. Ciò che si può affermare è che nella marcia di avvicinamento al lavoro hanno maturato
proprie propensioni, preferenze e disponibilità per ricavare dai processi di individualizzazione e forse anche di precarizzazione in atto tutte le
possibilità di autodeterminazione e responsabilizzazione, senza per questo poter sfuggire del tutto agli elementi strutturali che continuano a
condizionare i percorsi di vita e di lavoro della loro generazione, così come delle precedenti.
PROGETTUALITÀ E TRANSITO ALL’ETÀ ADULTA
6. Il passaggio all’età adulta: “autodeterminati” e “fatalisti”
La scarsa disponibilità a impegnarsi in scelte troppo vincolanti e la tendenza a prolungare la permanenza in famiglia

Da G. Pietropolli Charmet – E. Riva, Adolescenti in crisi genitori in difficoltà, Milano, Franco Angeli, 1995 [con schema di interpretazione sintetica]
Chiarissima la diagnosi delle motivazioni socio-economiche che hanno determinato il diffondersi della “famiglia lunga”, ma anche i rischi che essa
comporta nel ritardare se non addirittura impedire la nascita sociale dei figli:
« L’attuale società post industriale consente invece alla famiglia un benessere economico sufficiente a mantenere i figli al proprio interno più a lungo,
senza doverli spingere troppo in fretta ad una attività lavorativa che peraltro non è in grado di garantire.
La complessità dell’attuale contesto socio-economico richiede ai giovani un bagaglio assai più ricco e differenziato di informazioni e competenze per
consentir loro l’accesso al mondo del lavoro.
Tali condizioni tendono a prolungare la permanenza dei figli all’interno della famiglia d’origine oltre i tempi biologici dell’adolescenza, rendendo
necessaria la formulazione di nuove regole di convivenza, che tengano conto della presenza in casa di giovani adulti spesso non più soggetti all’autorità
parentale.
Il rischio è che tale contesto tenda ad organizzare le condizioni di vita di questi giovani adulti in un’adolescenza interminabile, resa disarmonica dallo
squilibrio fra uno sviluppo fisico ed intellettivo più precoce che in passato, cui non corrisponde una pari autonomia economica e psicoaffettiva.
Si tratta di giovani poco sollecitati ad abbandonare la casa dei genitori dalle carenze di opportunità lavorative ed abitative, ma anche poco motivati a
farlo per la possibilità di godere all’interno delle pareti domestiche di un’accudimento «gestionale» e insieme di una libertà di movimento ben diversa
da quella concessa ai loro predecessori.
Nei racconti dei genitori appare stridente il contrasto fra l’ansia di rendersi autonomi dal giogo dell’autoritarismo parentale che occupava le loro fantasie
e i loro propositi di adolescenti e ciò che osservano nei figli e negli amici dei figli, ragazzi per i quali la famiglia lunga costituisce un habitat psicoaffettivo
così comodo ed accogliente da rendere particolarmente difficile e doloroso separarsene. »

Da Carlo Buzzi, Conclusioni: I giovani nell’era della flessibilità, in «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in
Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il Mulino, 2007.
Constata la tendenza costante a “un prolungarsi … della transizione verso lo stato adulto”; “un po’ ovunque per l’Italia, il fenomeno della famiglia
lunga” risulta “ben presente anche quando non ce ne sarebbe stretta giustificazione: molti giovani lavoratori continuano a vivere con i loro genitori
anche dopo molti anni dall’entrata nel mercato occupazionale e anche se sussiste la consapevolezza che con il loro reddito potrebbero permettersi una
vita autonoma”. Evidentemente altri aspetti (di tipo culturale motivazionale oltre a quello occupazionale e dell’indipendenza economica) condizionano il
fenomeno: i vantaggi economici, nella gestione delle incombenze di gestione della casa, nella maggiore disponibilità di tempo libero, dal momento che
la convivenza prolungata in famiglia “non determina un maggior coinvolgimento giovanile nella gestione domestica della casa e neppure, nel caso di
lavoratori, nella collaborazione economica alle spese”.

Da «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il
Mulino, 2007 si veda il già citato saggio di A. De Lillo, I valori e l’atteggiamento verso la vita, che – nel prospettare un’immagine non omogenea del
mondo giovanile nell’atteggiamento di fronte alla vita - al §4 prospetta comportamenti opposti, compresenti nel mondo giovanile: i “determinati” e i
“fatalisti”, di cui rivela anche le diverse provenienze socio-culturali.
« Per autodeterminati intendiamo coloro che hanno in generale fiducia nel prossimo, una visione positiva del futuro, sanno porsi obiettivi e mete da
raggiungere, non fanno conto sulla fortuna, ma su se stessi, sanno rischiare e ritengono di poter governare la propria vita, anche rivedendo le scelte
già fatte. I fatalisti si trovano all’opposto di queste posizioni, mostrando una visione pessimistica del futuro e degli altri, sono timorosi delle proprie
scelte e in genere ritengono che la vita sia loro ostile. »

Riccardo Grassi (Giovani, identità, appartenenze), nel recensire nel maggio 2007 il Sesto Rapporto IARD – di imminente pubblicazione - prospetta in
questi termini “i percorsi di transizione ai ruoli adulti nella seconda modernità” che si ricavano dalla ricerca:
«La progressiva frammentazione del corso di vita individuale legata alle trasformazioni del mondo del lavoro, della formazione e delle relazioni sociali
che sta caratterizzando il passaggio dalla prima alla seconda modernità, ha comportato degli effetti particolarmente rilevanti tra gli adolescenti e i
giovani. Tra coloro che devono ancora costruire una propria identità, vivere in un contesto così fluido come quello attuale in cui è estremamente
difficile prefigurare i confini e le traiettorie dei propri percorsi di vita, porta a considerare l’imprevedibilità come un fattore costitutivo della propria
identità. Per questo motivo, il cambiamento costante dei contesti e la difficoltà di pianificare il proprio futuro più che rappresentare un ostacolo al
proprio progetto di vita, ne vanno a costituire le fondamenta rendendolo altrettanto fluido ed indeterminato.»

Da «Rapporto giovani. Sesta indagine dell’Istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia», a cura di C. Buzzi, A. Cavalli, A. De Lillo, Bologna, Il
Mulino, 2007, Silvia Gilardi – Andrea Dipace, GIOVANI ALLO SPECCHIO: Immagine di sé di fronte a difficoltà e cambiamenti
Come i giovani si vedono di fronte ai cambiamenti continui in atto nella società (flessibilità e fluidità sociale – trasformazioni nel mondo del lavoro…)?
Che percezione hanno delle proprie capacità di affrontare queste situazioni (scarsa prevedibilità del futuro – vita senza appartenenze stabili – capacità
di adattabilità al mutare delle situazioni lavorative, familiari, ecc.)? Come cercano di affrontare le difficoltà e i problemi ? Adottando quali strategie?
Gli autori esplorano tre aree:
1) il livello di soddisfazione esistenziale, che muta in relazione al giudizio del soggetto sulle proprie risorse (psichiche: capacità di concentrazione,
capacità di prendere decisioni, tranquillità psicologica; fisiche: aspetto fisico, salute; relazionali: rapporto con gli altri giovani, le amicizie, i modi di
passare il tempo libero; i rapporti con la famiglia di origine; ambientali: il tenore di vita, la zona in cui si vive, la casa in cui si abita e l’intorno amicale);
2) la percezione relativa a sé e alle proprie capacità, individuando quattro fattori che i giovani utilizzano come schemi mentali per leggere se stessi: il
senso di stabilità emotiva; il senso di connessione con una rete relazionale di supporto; il senso di efficacia nella gestione delle emozioni; il senso dello
scopo;
3) le strategie di coping, ovvero “le azioni, cognitive e comportamentali, attraverso cui le persone affrontano i problemi che incontrano, trovando
forme più o meno efficaci per raggiungere i propri obiettivi”.
Si riporta in allegato in particolare il paragrafo inerente le strategie (coping)che i giovani adottano per far fronte ai continui cambiamenti . Sono
sintetizzate in tre stili: coping focalizzato sulla ricerca di soluzioni al problema, coping focalizzato sulle emozioni, coping di evitamento.Si mostra
come cambino, a seconda del tipo di strategie che il giovane tende ad adottare prevalentemente, il livello di soddisfazione e la percezione di sé.
Le conclusioni riguardano il contesto sociale, e dunque anche la scuola:
“è importante mantenere alta l’attenzione sulla capacità del contesto sociale attuale di offrire ai giovani la possibilità di costruirsi un’idea di sé basata
sulla sensazione di poter prendere iniziative, di avere capacità progettuali e di rintracciare uno scopo per cui valga la pena impegnarsi: come
mostrano le teorie psico-sociali sullo stress, infatti, l’indebolimento di tali percezioni di sé può generare un aumento delle situazioni di disagio e
malessere.”

Sulla proposta di U. Galimberti per un “oltrepassamento” del nichilismo, si ripresentano qui le conclusioni della sintesi del saggio proposte, alle pagine
13-15: Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani [scheda di sintesi], Milano, Feltrinelli, 2007.
La soluzione che Galimberti propone per un «oltrepassamento del nichilismo» si prospetta «non semplice». Prende posizione contro i rimedi elaborati
dalla nostra cultura, perché inefficaci: sia la «versione religiosa» della «ricerca esasperata di senso come vuole la tradizione giudaico-cristiana», sia la
«versione illuminista» perché non sembra che la ragione sia oggi il regolatore dei rapporti tra gli uomini, se non nella forma ridotta della «ragione
strumentale», perché «garantisce il progresso tecnico, ma non un ampliamento dell’orizzonte di senso»: il pensiero è latitante, arido il sentimento.
Un primo rimedio consisterebbe nell’incuriosire i giovani nella scoperta delle proprie “virtù”, nel riconoscerle e gioire del vederle sbocciare e crescere:
«E se il rimedio fosse altrove? Non nella ricerca esasperata di senso come vuole la tradizione giudaico-cristiana, ma nel riconoscimento di quello
che ciascuno di noi propriamente è, quindi della propria virtù, della propria capacità, o, per dirla in greco, del proprio daimon che, quando trova la
sua realizzazione, approda alla felicità, in greco eu-daimonìa? In questo caso il nichilismo, pur nella desertificazione di senso che porta con sé, può
segnalare che a giustificare l’esistenza non è tanto il reperimento di un senso vagheggiato più dal desiderio (talvolta illimitato) che dalle nostre
effettive capacità, quanto l’arte del vivere (téchne toù bìou) come dicevano i Greci, che consiste nel riconoscere le proprie capacità (gnòthi
seautòn, conosci te stesso) e nell’esplicitarle e vederle fiorire secondo misura (katà métron). Questo spostamento dalla cultura cristiana a quella
greca potrebbe indurre nei giovani quella gioiosa curiosità di scoprire se stessi e trovar senso in questa scoperta che, adeguatamente sostenuta e
coltivata, può approdare a quell’espansione della vita a cui per natura tende la giovinezza e la sua potenza creativa. Se proprio attraversando e
oltrepassando il nichilismo i giovani sapessero operare questo spostamento di prospettiva capace di farli incuriosire di sé, l’”ospite inquietante”
non sarebbe passato invano. »
Ipotizza una via oltre il nichilismo nell’«etica del viandante», definita come «la capacità di disertare le prospettive escatologiche per abitare il mondo nella
casualità della sua innocenza, non pregiudicata da alcuna anticipazione di senso, dove è l’accadimento stesso... non inscritto nelle prospettive del senso
finale, della meta o del progetto, a porgere il suo senso provvisorio e perituro.» Oltrepassare il nichilismo comporta un’apertura al futuro fondata
sull’attesa e la speranza: «senza attesa e senza speranza il tempo si fa deserto e, in assenza di futuro, rifà la sua comparsa quell’ospite inquietante che
abbiamo chiamato nichilismo» e rende seducente la tentazione della morte. La speranza rappresenta «l’apertura del possibile». Nella «interminabile e mai
conclusa costruzione» della identità personale, «se l’attesa è l’ansia» che la costruzione giunga a buon fine, la speranza attiva il comportamento dei giovani
«affinché sia nelle loro mani l’accadere del buon fine». La speranza implica anche - nonostante le esperienze negative - la capacità di dare un senso al
passato che sia “aperto“ a possibilità future, anziché ritenere che contenga «il senso ultimo e definitivo della nostra vita»
«E siccome sono io a dar senso al passato,nella speranza c’è la libertà di conferire al passato la custodia di sensi ulteriori, mentre nel suicidio c’è
l’illibertà di chi nel passato vede solo un senso inoltrepassabile e perciò definitivo.»
Ritiene, inoltre, si debba restituire ai giovani, «che lo vivono comunque, ma un po’ alla cieca», «il segreto della giovinezza»: riscoprire e «consentire» loro
di «dischiudere» la simbolica che è «custodita e secretata nel loro cuore» in cui consiste propriamente «il segreto della giovinezza», che sfugge sia allo
«sguardo psicologico, che considera la giovinezza come un’età di mezzo in cui non si è più bambini e non si è ancora adulti» e insiste sulle difficoltà e
inadeguatezze, sia allo «sguardo sociologico che punta gli occhi sulla devianza», che rappresenta appunto «la frustrazione della simbolica che anima la
giovinezza». Identifica quattro figure tipiche che appartengono all’aerea mitica della giovinezza:
(1) l’espansività che «è l’adesione incondizionata alla pienezza della vita», irruenza nell’aderire alla vita in pienezza; potenza che osa la temerarietà;
accelerazione della vita «che detesta la ripetizione e giunge a stressare l’esperienza»; coralità giovanile come sensazione di appartenere a una comunità
nascente; «stupore incantato del riconoscimento, da cui nasce la propria identità;
(2) «l’assenza che promuove la ricerca»: è «la sensazione che il reale, come dice Musil, “non esaurisce tutto il possibile”» a spingere i giovani verso gli
«universi alternativi alla realtà» attraverso le forme della passione visionaria, che inventa il gioco, l’utopia («per creare spazio a un’idea e, con la luce
dell’ideale, illuminare lo spessore opaco del reale»); il viaggio, come «metafora del “desiderio giovanile di varcare ogni confine”»(Canetti). «Viaggiare,
magari o soprattutto senza una meta, per il giovane vuol dire assorbire visi, parole, moltitudini, inghiottire l’universo per non morire di noia.»; la sfida «per
mettersi alla prova», che esprime il desiderio di qualcosa di meglio e di diverso dal mondo che si sta per ricevere...;
(3) la trasformazione («la missione creativa del cambiamento»), nella quale il giovane «valorizza i suoi maestri»; vive la riappropriazione che «non è senza
ribaltamento», il quale a sua volta «non è dissoluzione pantoclastica, non è azzeramento», è piuttosto uno “sgombrare lo spazio”, per operare la
ricostruzione «che non consiste nel far vincere il contrario di ciò che è stato», ma nell’usare le forze immense che mettiamo in campo ogni giorno, colme
dell’essere dei padri e degli avi;
(4) la rivelazione di sé a sé: «è l’ultima costellazione del mito della giovinezza quando, come scrive Yeats, “si scruta dentro il cuore, perché è lì che sta
crescendo l’albero sacro”.» É il momento della scoperta-rivelazione di un «futuro... già ben descritto nel presente giovanile» a patto che lo si sappia
decifrare con sguardo limpido e penetrante, da parte degli adulti che stanno a fianco, senza pigrizie mentali e affettive.