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Brano : Ab urbe condita III, 56
Autore : Livio
Originale
[56] Fundata deinde et potestate tribunicia et plebis libertate, tum tribuni adgredi singulos tutum maturumque
iam rati, accusatorem primum Verginium et Appium reum deligunt. Cum diem Appio Verginius dixisset et
Appius stipatus patriciis iuuenibus in forum descendisset, redintegrata extemplo est omnibus memoria
foedissimae potestatis, cum ipsum satellitesque eius uidissent. Tum Verginius 'oratio' inquit, 'rebus dubiis
inuenta est; itaque neque ego accusando apud uos eum tempus teram, a cuius crudelitate uosmet ipsi armis
uindicastis, nec istum ad cetera scelera impudentiam in defendendo se adicere patiar. Omnium igitur tibi,
Appi Claudi, quae impie nefarieque per biennium alia super alia es ausus, gratiam facio. Vnius tantum
criminis nisi iudicem dices, te ab libertate in seruitutem contra leges uindicias non dedisse, in uincla te duci
iubebo.' Nec in tribunicio auxilio Appius nec in iudicio populi ullam spem habebat; tamen et tribunos
appellauit et, nullo morante arreptus a uiatore, 'prouoco' inquit. Audita uox una uindex libertatis, ex eo missa
ore quo uindiciae nuper ab libertate dictae erant, silentium fecit. Et dum pro se quisque deos tandem esse et
non neglegere humana fremunt et superbiae crudelitatique etsi seras, non leues tamen uenire
poenas?prouocare qui prouocationem sustulisset, et implorare praesidium populi qui omnia iura populi
obtrisset, rapique in uincla egentem iure libertatis qui liberum corpus in seruitutem addixisset,?ipsius Appi
inter contionis murmur fidem populi Romani implorantis uox audiebatur: maiorum merita in rem publicam
domi militiaeque commemorabat, suum infelix erga plebem Romanam studium, quo aequandarum legum
causa cum maxima offensione patrum consulatu abisset, suas leges, quibus manentibus lator earum in
uincla ducatur. Ceterum sua propria bona malaque, cum causae dicendae data facultas sit, tum se
experturum; in praesentia se communi iure ciuitatis ciuem Romanum die dicta postulare ut dicere liceat, ut
iudicium populi Romani experiri. Non ita se inuidiam pertimuisse, ut nihil in aequitate et misericordia ciuium
suorum spei habeat. Quod si indicta causa in uincla ducatur, iterum se tribunos plebei appellare et monere
ne imitentur quos oderint. Quod si tribuni eodem foedere obligatos se fateantur tollendae appellationis in
quod conspirasse decemuiros criminati sint, at se prouocare ad populum, implorare leges de prouocatione et
consulares et tribunicias, eo ipso anno latas. Quem enim prouocaturum, si hoc indemnato indicta causa non
liceat? Cui plebeio et humili praesidium in legibus fore, si Ap. Claudio non sit? Se documento futurum utrum
nouis legibus dominatio an libertas firmata sit, et appellatio prouocatioque aduersus iniuriam magistratuum
ostentata tantum inanibus litteris an uere data sit.
Traduzione
56 In s?guito, consolidata l'autorit? tribunizia e la libert? della plebe, i tribuni, pensando che ormai fosse
arrivato il tempo di procedere contro i singoli senza correre eccessivi rischi, scelsero Verginio come primo
accusatore e Appio come primo imputato. Verginio cit? quindi Appio in giudizio. E quando Appio si present?
nel foro scortato da una schiera di giovani aristocratici, appena la gente se lo trov? davanti agli occhi insieme
alle sue guardie del corpo, si rinnov? s?bito nella memoria di tutti il ricordo di quell'infame potere. Allora
Verginio disse: ?L'oratoria ? stata inventata per le cause incerte: perci?, n? io star? a perdere tempo
sciorinandovi le accuse a carico di un uomo dalla cui crudelt? vi siete liberati da soli con le armi, n?
permetter? che costui aggiunga agli altri suoi crimini l'impudenza di difendersi. Dunque ti faccio grazia, Appio
Claudio, di tutte le turpi ed empie nefandezze che, una dopo l'altra, hai osato compiere nel corso di due anni.
Ma per una sola di esse io ordiner? di metterti in prigione, se non sceglierai un giudice e gli dimostrerai di
aver a buon diritto negata la libert? provvisoria a una libera cittadina rivendicata come schiava.? Appio non
riponeva alcuna speranza n? nell'aiuto dei tribuni, n? nel verdetto del popolo. Ciononostante si appell? ai
tribuni e, quando una guardia lo afferr?, senza che nessuno si opponesse, Appio disse: ?Mi appello al
popolo.? Quella parola, che da sola garantisce la libert?, uscita dalla bocca da cui poco tempo prima era
stata pronunciata una sentenza contro la libert?, provoc? un grande silenzio. Dentro di s? ciascuno
mormorava che alla fin fine gli d?i esistevano e non trascuravano i casi umani; che, anche se in ritardo,
tuttavia pene non lievi colpivano l'arroganza e la crudelt?; che si appellava colui che l'appello aveva abolito;
che invocava il popolo colui che aveva privato il popolo di ogni diritto; che era incarcerato e privato della
libert? colui che aveva condannato alla schiavit? una persona libera. Tra il mormorio dell'assemblea si ud? la
voce dello stesso Appio implorare la protezione del popolo romano. Ricordava i servigi resi alla patria dai
suoi antenati in pace e in guerra, la sua sfortunata opera a favore della plebe romana, in conseguenza della
quale, per rendere le leggi uguali per tutti, aveva rinunciato al consolato con grande rammarico dei patrizi, e
infine le sue leggi, che erano ancora in vigore mentre si conduceva in carcere chi le aveva proposte. Quanto
poi al bene e al male commessi, Appio disse che li avrebbe presi in esame quando gli fosse stata concessa
l'opportunit? di perorare la propria causa. Per il momento, in qualit? di cittadino romano, secondo il comune
diritto di cittadinanza, Appio chiese che, fissata la data, gli fosse permesso di parlare in propria difesa per poi
affrontare il giudizio del popolo romano. Non temeva l'odio nei suoi confronti tanto da non riporre pi? alcuna
speranza nell'equit? e nella compassione dei suoi concittadini. Se invece fosse finito in carcere senza che gli
fosse accordato di difendersi, allora si sarebbe di nuovo appellato ai tribuni della plebe, avvertendoli di non
imitare quelli che essi avevano detestato. Se poi i tribuni si dicevano obbligati a negargli l'appello in base
all'accordo che essi rimproveravano ai decemviri di aver preso in segreto, allora si sarebbe appellato al
popolo, chiamando in causa le leggi sul diritto d'appello proposte quello stesso anno sia dai consoli che dai
tribuni. Chi infatti poteva ricorrere in appello, se questo diritto non era concesso a un cittadino che non era
ancora stato giudicato e del quale non si era sentita la difesa? Quale plebeo, quale modesto cittadino
avrebbe potuto trovare sostegno nelle leggi, se esse non lo garantivano ad Appio Claudio? Il suo caso
avrebbe stabilito se con le nuove leggi si era consolidata la tirannide oppure la libert?, e se il diritto d'appello
al popolo e il ricorso contro le ingiustizie dei magistrati erano veramente concessi o erano chiacchiere senza
fondamento.
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