27 novembre 2006 8.oo-10.oo MALATTIE INFETTIVE Prof. Federico MALARIA (parte finale) La gravidanza costituisce un rischio di malaria anche nelle persone che vivono in zone endemiche e che quindi hanno acquisito la premunizione verso questa malattia. Perché ciò avvenga non si sa, si sa solo che il rischio diminuisce con le gravidanze successive; non si sa perché venga perduta l’immunità alla malaria, si pensa che c’entrino fattori locali per cui i globuli rossi parassitati andrebbero a rifugiarsi in zone di neo formazione e neovascolarizzazione della placenta dove sarebbero “immuni” dalla risposta immunitaria (scusate il gioco di parole). In gravidanza quindi c’è una strategia che consiste in un trattamento intermittente che limita il pericolo di malaria. Più del 70% delle donne africane in gravidanza si rivolgono a cliniche nel periodo prima della nascita e questo dà un’opportunità ideale per il parto e per intervenire sulle donne. La malaria congenita nelle zone endemiche è rarissima, anche se l’infezione placentare si verifica, anche se vengono rilevati parassiti nel sangue funicolare (molto meno frequente che nel sangue placentare) e ancora meno frequente è il riscontro di parassiti nel sangue neonatale e in quest’ultimo caso già dopo pochi giorni scompare la parassitemia. Quindi la malaria neonatale è rarissima: i parassiti possono entrare nel circolo fetale alla nascita o prima, ma non sopravvivono per indurre un’infezione clinicamente evidente nel neonato; se penetrano nel circolo fetale per lo più non inducono nessuna risposta anticorpale nel feto, sono gli anticorpi materni acquisiti per via transplacentare che inducono l’eliminazione della parassitemia nel feto e nel neonato. Si dice che quando viene acquisita la malaria in età neonatale sia più dovuta ad una nuova infezione che alla malaria trasmessa dalla madre. Questo non si verifica invece nella malaria “d’importazione”:se una donna occidentale non immune acquisisce la malaria durante una vacanza in un paese dei tropici ed è incinta, la malaria si ha anche nel feto e in forma particolarmente grave. Quindi questa eventualità dovrebbe sconsigliare viaggi non indispensabili a persone non immuni in zone endemiche. MALARIA PERNICIOSA DEL BAMBINO La malaria perniciosa del bambino è caratterizzata dalla maggior frequenza di malaria cerebrale, grave anemia, ipoglicemia, mentre le altre manifestazioni di cui abbiamo parlato l’altra volta sono meno frequenti. Si stima che i bambini africani abbiano da 1,6 a 5,4 episodi di febbre malarica ogni anno. Il 90% delle morti per malaria si verificano nell’area sub-sahariana tra i giovani bambini; ogni 30 secondi un bambino africano muore per malaria. La malaria è la causa di 1 su 5 delle morti in età infantile, questa causa inoltre basso peso alla nascita, anemia, disturbi cognitivi ed epilessia, però è prevenibile e trattabile. PREVENZIONE E PROFILASSI Un capitolo a parte merita la prevenzione della malaria (specialmente nelle donne in gravidanza): tende con reti trattate con insetticidi, trattamento preventivo intermittente in gravidanza, combinazioni di farmaci antimalarici. Tenete presente quindi che la profilassi antimalarica si articola su 2 punti: 1. Evitare la puntura della zanzara: bisogna tener presente che la zanzara anopheles femmina, diversamente dalla tigre, punge nelle ore notturne, quindi dal tramonto all’alba; preferisce i vestiti scuri; bisogna usare lozioni repellenti (toloamide, l’autan); bisogna usare le reti sulle brandine e prima di coricarsi e chiudere la rete bisogna assicurarsi che le zanzare non siano dentro!!! 2. Chemioprofilassi: va fatta quando un soggetto non immune si reca in una zona endemica. Le indicazioni alla chemioprofilassi sono variabili e dipendono dalla zona in cui ci si reca, nel senso che ci sono zone di clorochino-resistenza e altre no, dipendono dall’entità dell'endemia malarica, dalla durata del soggiorno nella zona (se uno va per 2 anni in africa non deve fare chemioprofilassi, se uno va per un viaggio di 10, 15, 20 giorni fino a 3 mesi è consigliata la chemioprofilassi). La chemioprofilassi si avvale di 2 farmaci più importanti: clorochina e meflochina. In alcune zone in cui la malaria è abbastanza rara come il nord Africa e nel sud-est dell’Asia non è consigliata la chemioprofilassi. La chemioprofilassi è consigliata in alcune zone con CLOROCHINA o Proguanil (Paludrine) in alcune zone del Medio Oriente e dell’America centrale nelle zone rurali delle isole Mauritius perché vi è il Plasmodium Vivax prevalente e non c’è ancora un’elevata resistenza al Plasmodium Falciparum, allora va bene la clorochina. CLOROCHINA + PROGUANIL in alcune zone del sub-continente Indiano. La MEFLOCHINA invece va impiegata in tutta l’africa, specialmente equatoriale; un’alternativa potrebbe essere il Malarone o la Doxiciclina. È diventato il farmaco più usato con l’aumentare della corichino-resistenza. Dosi di somministrazione: o CLOROCHINA: 2 compresse di clorochina (ognuna da 250 mg di solfato di clorochina pari a 150 mg di clorochina base), quindi 300 mg di clorochina ogni settimana a cominciare da una settimana prima dalla partenza, per tutto il periodo in cui si è esposti e per 4 settimane dopo. Si continua la profilassi anche quando non si è più esposti perché questi farmaci sono efficaci solo quando il parassita è presente nel sangue, non già nel fegato del soggetto infettato. In assenza di ciò potrebbe capitare che, contraendo la malaria in una zona a rischio e seguendo essa il normale periodo di incubazione, il parassita fuoriesca dal fegato quando non vi è più la protezione dal farmaco. o MEFLOCHINA: una compressa da 250 mg ogni settimana a partire da una settimana prima della partenza verso le zone endemiche, per tutta la durata del soggiorno e per le 4 settimane successive al ritorno. Forse la meflochina (Lariam) è il farmaco più efficace che protegge in più del 95% dei casi e ha alcuni effetti collaterali, per esempio turbe psicotiche, incubi, eccetera, che però sono molto rari. o MALARONE: è costituito da un’associazione di Atovaquone e Proguanil; si impiega una compressa al giorno partendo da pochi giorni prima, per tutta la durata della permanenza nella zona endemica, fino a una settimana dopo. Abbiamo visto quindi che la chemioprofilassi è una pratica fondamentale che va seguita in maniera scrupolosa perché riduce di moltissimo fino quasi ad annullare il pericolo di infezione malarica. La maggior parte dei casi di malaria d’importazione che osserviamo è in soggetti che non hanno effettuato o avevano effettuato non correttamente la profilassi (molti tendono a sospenderla appena tornati dalla zona endemica, va invece continuata, come abbiamo detto, per 4 settimane o per 1 settimana come nel caso del malarone), in questi casi la malaria si manifesta più tardivamente. TRATTAMENTO La terapia si avvale degli stessi farmaci. Bisogna distinguere le zone clorochino-resistenti e le zone dove non vi è clorochino-resistenza. Nelle zone dove la malaria è data da plasmodium vivax e nelle zone in cui il plasmodium falciparum non è clorochino-resistente si impiega la clorochina. o La CLOROCHINA si impiega alle dosi di 4 compresse da 150 mg ciascuna (600 mg) subito, più 2 compresse (300 mg) a distanza di 6-8 ore, e 2 compresse ogni 24 ore per 2-3 giorni. Nella malaria da plasmodium vivax, siccome abbiamo detto che ci sono le forme epatiche che sono resistenti alla clorochina, se si vuol fare l’eradicazione completa della malaria ed evitare le recidive, allora finito il ciclo si usa la Primachina, un farmaco che può dare delle gravi crisi emolitiche in pazienti che hanno difetti enzimatici degli eritrociti, soprattutto deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi eritrocitaria. Questi casi prima di dare la Primachina, che è l’unico antitodo appunto contro le forme epatiche, bisogna fare un dosaggio nel soggetto della glucosio-6-fosfato deidrogenasi eritrocitaria. o PRIMACHINA: 1 compressa da 15 mg al giorno per 15 giorni(dopo il ciclo di clorochina), oppure si può aumentare la dose a 45 mg, cioè 3 compresse ogni settimana per 6 mesi. Nella malaria da plasmodium falciparum si può usare la Meflochina: o MEFLOCHINA: 3 compresse da 250 mg subito e 2 compresse dopo 6-8 ore, inoltre, nei soggetti che pesano più di 60 kg, si somministra un’altra compressa nelle successive 6-8 ore. Tutto il ciclo terapeutico consta di 5 o 6 compresse al massimo e questo ha una notevole rilevanza anche economica. In molti casi si usa ancora il Chinino, il primo farmaco antimalarico usato in occidente quando in Cina usavano l’artemisina. Il chinino veniva dall’America del Sud: è un estratto dalla corteccia e delle foglie di una pianta, la cincona. Il “traffico” di questa pianta è cominciato solo attorno alla fine del ‘500 – inizio del ‘600 ed è stato fonte di arricchimento, ad esempio per la Compagnia delle Indie, perché la malaria era diffusissima. Resta tuttora un farmaco importantissimo, perché assomma ad una disponibilità rapida un’alta efficacia. o CHININO per via orale: 4 compresse da 150 mg (600mg) ogni 8 ore per circa 7 giorni. Alla terapia con chinino si fa seguire in genere la Doxiciclina, oppure la Pirimetanina o sulfadoxina. Quando usiamo il chinino e quando la meflochina? Nelle forme gravi si usa il chinino perché l’effetto è più rapido. Il rovescio della medaglia è che la terapia con questo farmaco è più lunga e che dà una serie di disturbi noti col nome di cinconismo: vertigini, acufeni, ipoacusia, nausea, vomito, tutti sintomi che cessano una volta conclusa la terapia. Altri farmaci sono il Malarone e l’Arthemether, un derivato di una pianta cinese, l’artemisia, che è stato il primo rimedio al posto del chinino e che è attivo contro tutte le forme di malaria. Di fronte a una malaria grave si impiega il chinino per via parenterale in soluzioni diluite (l’intramuscolare è dolorosissima); la somministrazione deve essere lenta perchè potrebbe dare effetti collaterali come lo shock chininico. o CHININO per via parenterale: infusione venosa lenta di 250 ml con 10 mg per Kg di peso di chinino ogni 8 ore. Quando il paziente sta bene si può passare a somministrazione via orale. Nella malaria grave si possono usare anche derivati dell’artemisina per via endovenosa. CLASSIFICAZIONE DELLA RESISTENZA DELLA MALARIA DA PLASMODIUM FALCIPARUM ALLA CLOROCHINA NELL’UOMO S: eliminazione delle forme asessuate del parassita durante il trattamento, senza recrudescenze. R I: eliminazione delle forme asessuate del parassita durante il trattamento, seguita da recrudescenze. R II: marcata riduzione ma non completa eliminazione delle forme asessuate. R III: nessuna riduzione delle forme asessuate. Ci sono delle tabelle dove si possono trovare le zone in cui c’è una resistenza della malaria alla clorochina: ad esempio la resistenza alla clorochina c’è in tutta l’Africa, come c’è in parte dell’Asia, in parte del Medio Oriente e in parte dell’ America Latina; ci sono dei siti i cui non c’è resistenza alla clorochina, come in Africa del Nord, in America Centrale e in Argentina, in alcune zone dell’Asia Centrale e Sud-Occidentale e in Asia Orientale. Ci sono dei TEST DIAGNOSTICI RAPIDI della malaria e sono stati fatti anche dei tentativi di VACCINAZIONE antimalarica che si fanno sostanzialmente con tre tipi di vaccino: 1) PRE-ERITROCITARIO: agisce contro lo sporozoita bloccando del tutto l’infezione quando è ancora nelle fasi iniziali, in quei pochi minuti che passano dal momento in cui viene inoculato fino a quando raggiunge il fegato; questo è facilitato dal fatto che esiste una proteina “circum-sporozoita”, una proteina antisporozoita che circonda dall’esterno lo sporozoita che ha alcuni epitopi fissi e questo favorisce l’allestimento del vaccino. 2) EMATICO: è quello anti-merozoiti, che riduce la densità dei parassiti ematici, i sintomi e il rischio di morte. 3) “ALTRUISTICO”: contro i gametociti, sono vaccini detti altruistici, nel senso che non prevengono la malaria ma impediscono che essa possa essere trasmessa ad altri soggetti. In che modo? Quando la zanzara succhia il sangue ad un paziente con un infezione malarica, essa assume anche gli anticorpi contro i gametociti che il soggetto ha fatto e che si trovano nel suo sangue; quindi questi anticorpi agiscono addirittura all’interno della zanzara ed impediscono l’accoppiamento e la formazione dello zigote. Questa dunque rappresenta una soluzione molto interessante. 4) Un quarto tipo di vaccino agisce contro il fosfatidil-inositolo presente sulla membrana dei parassiti. Attualmente sono in fase di sperimentazione vaccini a pluricomponenti, costituiti da vaccini antisporozoiti ed antimerozoiti in un’unica soluzione. I risultati ottenuti non sono dei migliori, qualche speranza di eradicare la malaria mediante un vaccino tuttavia permane. TRIPANOSOMIASI La tripoanosomiasi è un’altra malattia protozoaria dovuta a parassiti della famiglia delle Tripanosomatidae, di cui ci sono due principali specie patogene per l’uomo: Tripanosoma Cruzi, responsabile della tripanosomiasi americana o malattia di Chagas, e tripanosoma Brucei, responsabile della tripanosmiasi africana. Si trovano due tipi di tripanosmiasi africana: Tripanosoma brucei gambiense responsabile della tripanosmiasi dell’Africa occidentale, e Tripanosoma brucei rhodesiense responsabile della tripanosomiasi dell’Africa orientale. Tripanosomi esistono in 3 diversi morfotipi: l’amastigote che è una forma esclusivamente intracellulare e si trova solo nell’uomo; il tripomastigote che è una forma extracellulare; l’epimastigote che è una forma che si sviluppa nell’intestino del vettore. Quindi per quanto riguarda la tripanosmiasi africana il tripanosoma brucei gambiense e il tripanosoma brucei rhodesiense hanno una differenza sintomatologica ed ecologica, è diffusa in Africa e provoca una malattia chiamata “malattia del sonno”, il principale organo bersaglio è il cervello, i vettori sono le glossine (mosche tse tse, dal volo silenzioso), si trasmette tramite punture di insetti e la forma che si moltiplica nell’uomo è il tripomastigote. Il tripanosoma cruzi è diffuso in America Centrale e Meridionale, provoca la malattia di Chagas, interessa cuore, colon ed esofago, i vettori sono le cimici della famiglia delle Reduviidae, le quali quando pungono defecano e la puntura pruriginosa porta il soggetto a grattarsi e autoinocularsi il tripanosoma, l’amastigote è la forma di moltiplicazione nell’uomo. TRIPANOSOMIASI AMERICANA Tripanosoma cruzi è responsabile della malattia di Chagas o tripanosomiasi americana. Vettori di questo protozoo sono alcune cimici alate dette Triatomine. Serbatoio: più di 150 specie di animali domestici e selvatici. Il vettore elimina con le feci il parassita, quindi non lo inietta con la puntura. Il tripomastigote si diffonde così nel sangue e negli spazi intercellulari e penetra all’interno delle cellule in cui si trasforma in amastigote. Si divide nella forma di amastigote fino alla lisi della cellula. A questo punto si trasforma in tripomastigote e, invadendo il sangue e gli spazi interstiziali, può parassitare altre cellule. Si chiama tripanosomiasi americana perché è diffusa in America, dal Messico, dall’America Centrale al Cile ed è una malattia dei poveri. La malattia è condizionata dall’habitat del vettore che ama le case fatiscenti, di campagna, di fango, con crepe negli intonaci dove si va ad annidare, i pavimenti in terra battuta, i soffitti di paglia, quindi le case della povera gente, della campagna. Fino a qualche tempo fa la malattia era principalmente diffusa nelle campagne, poi nelle favelas, che sono le baracche che circondano le grandi metropoli nel Sud America, il vettore ha ritrovato l’ambiente delle case della campagna, quindi la malattia si è diffusa anche nella periferia delle grandi città. Nelle zone endemiche la malattia ha un’ampia diffusione, perciò l’infezione si verifica in età infantile, precoce. Infatti la malattia si manifesta in una forma acuta e poi nella forma cronica. La forma acuta, nell’85% dei casi, interessa i bambini con meno di 10 anni. Poiché il periodo di tempo che passa tra la forma acuta e la forma cronica è molto lungo, addirittura si tratta di decenni, le forme croniche si manifestano soprattutto nell’adulto (età media: 35-40 anni). La trasmissione naturale avviene attraverso il vettore (le Triatomine) ma esistono anche altre modalità di trasmissione come con emotrasfusione; trasmissione congenita; trasmissione di laboratorio. Quest’ultima è particolarmente pericolosa: il tripanosoma è uno dei parassiti con il quale è più pericoloso lavorare in laboratorio ed è quindi richiesta molta attenzione e professionalità. I principali focolai della malattia di Chagas sono due: sud America (Brasile ed Argentina) e America Centrale (Messico). Nella prima zona il vettore vive nelle case dell’uomo e negli stretti paraggi, nella seconda zone nelle aree domestiche e in quelle non abitate. Diffusione della malattia. Negli anni ’80 c’erano 17milioni di infezioni umane; 750000 nuove infezioni all’anno, 5 milioni di infezioni clinicamente manifeste; 45000 decessi all’anno. Attualmente la diffusione si stima sia di 13 milioni di infezioni umane; circa 3 milioni di infezioni clinicamente manifeste, circa 200000 nuove infezioni all’anno. Patogenesi. Nell’infezione acuta il parassita si localizza nei linfonodi, si moltiplica all’interno delle cellule sotto forma di amastigote. Ne deriva, nel sito di inoculazione, una risposta infiammatoria che è un granuloma detto chagoma. Se il punto d’ingresso è sul viso, a livello dell’occhio si ha il segno di Romaña. La malattia inizia 6-10 giorni dopo l’infezione e dura 1-2 mesi e in questa fase si trovano i parassiti nel sangue. L’infezione acuta si manifesta rapidamente. L’infezione cronica è un’infezione più persistente, generalmente asintomatica, però dal 15% al 30% dei casi, a lungo andare, si sviluppano alcuni danni d’organo, come un danno cardiaco, nervoso e a livello dell’apparato digerente. Una caratteristica è la cardiomegalia, il megacolon e il megaesofago. La cardiomegalia porta a insufficienza di pompa, aritmie, formazione di aneurismi, manifestazioni trombo-emboliche; megaesofago e megacolon sono dovuti a disturbi neurologici che compromettono la peristalsi. Il danno dell’ospite ha una patogenesi su base immunitaria e sembra che sia mantenuto dall’insorgenza di manifestazione autoimmune piuttosto che dalla persistenza del parassita stesso. La forma acuta è una risposta infiammatoria da rottura di pseudocisti, infiltrato mononucleare, immunoglobuline contro antigeni del tripanosoma, attivazione del complemento, infiltrazione linfocitaria con distruzione di tessuti anche non parassitizzati, si ha una distruzione focale del tessuto di conduzione cardiaco e alterazioni infiammatorie e degenerative. La forma cronica è una situazione indeterminata che si evidenzia soltanto con indagini strumentali come l’elettrocardiogramma (blocco di branca destra) e la biopsia del setto endomiocardico. La malattia cronica è caratterizzata da manifestazioni neurologiche:lesioni infiammatorie attive minime, fibrosi locale, perdita pronunciata di neuroni a livello cardiaco e colico, aneurismi apicali, morte improvvisa dovuta non a insufficienza cardiaca congestizia, ma soprattutto a fenomeni embolici e aritmie; a livello dei muscoli si ha miocardite diffusa da lieve ad intensa con presenza di macrofagi, cellule linfatiche e fibrosi ma assenza di parassiti, si può avere inoltre insufficienza cardiaca congestizia. Clinica. Forma acuta: Chagoma nel punto di ingresso, segno di Romaña a livello della palpebra e della congiuntiva, febbre che può essere anche elevata, malessere con sintomi generali, linfoadenopatia, cardiomiopatia talora con shock cardiogeno, meningonevrassite (rara), disturbi intestinali. È una malattia grave, con una mortalità di circa il 10%. La forma cronica si manifesta dopo anni o decenni dalla forma acuta. È caratterizzata dalla triade sintomatologia cuore, esofago e colon. A livello del cuore si possono avere aneurismi, proprio perché si lisano le fibrocellule muscolari cardiache; il megaesofago il megaesofago comportano disturbi quali disturbi della deglutizione, polmoniti ab ingestis per rigurgito nelle vie aeree, stipsi ostinata fino al quadro del megacolon tossico che è un quadro estremamente grave e spesso mortale. Diagnosi. Nella forma acuta c’è il dato epidemiologico per i residenti nelle zone endemiche, ricerca dei tripomastigoti nel sangue con esame a fresco oppure dopo colorazione, oppure esame colturale in terreni particolari per protozoi o la xenodiagnosi (si prende il sangue dal soggetto, lo si mette in un contenitore; sopra il sangue si mette un parafilm; sopra si mette il vettore; il vettore succhia il sangue; dopo qualche tempo si esamina il vettore per vedere se nello stomaco ci sono gli epimastigoti. È una tecnica né semplice né rapida), infine l’esame sierologico ci consente di rilevare gli anticorpi con la immunofluorescenza ed ELISA. Nella forma cronica non si trova più il parassita nel sangue, però si trovano gli anticorpi. Un megacolon non può essere dovuto alla forma cronica del morbo di Chagas se il soggetto è sieronegativo per gli anticorpi. Quindi bastano la presenza degli anticorpi e i segni clinici particolari che sono la cardiomiopatia, il megaesofago, il megacolon. Terapia. Il trattamento eziologico ha una certa efficacia solo nelle forme acute. Le forme croniche sono dovute più che alla persistenza dell’infezione agli esiti neurologici del danno che l’infezione ha provocato. I farmaci attivi sono: NIFURTIMOX e BENZNIDAZOLO. Nella forma cronica la terapia è sintomatica. TRIPANOSOMIASI AFRICANA Vengono distinte due forme: la forma dell’Africa occidentale dovuta al Tripanosoma brucei gambiense e la forma dell’Africa orientale dovuta al Tripanosoma brucei rhodesiense. Il vettore per la tripanosomiasi gambiense è una mosca, Glossina palpalis, e per il Tripanosoma brucei rhodesiense è la Glossina morsitans. Queste glossine sono caratterizzate dal volo silenzioso e sono meglio conosciute come mosca tse-tse. Le due mosche hanno diverse abitudini ecologiche: alla Glossina palpalis piace il clima umido e quindi la malattia si contrae vicino ai fiumi, nelle foreste pluviali africane dove c’è un’alta umidità; la Glossina morsitans ama il clima secco,quindi ama la savana, vive sotto le acacie, dove il clima è secco. Il serbatoio della malattia sono vari animali: antilopi, pecore, suini, cani, l’uomo che in particolare può essere serbatoio per la tripanosmiasi dell’africa occidentale. Questo perché questa malattia ha un decorso prolungato, molto più cronico e l’uomo può essere serbatoio della malattia oltre agli animali. La glossina si può infettare pungendo l’uomo che a lungo è portatore nel sangue dei tripomastigoti di Glossina palpalis. Invece, per quanto riguarda la tripanosomiasi dell’Africa orientale, questa è una malattia ad andamento molto più acuto. Proprio perché ha un andamento acuto l’uomo non è serbatoio dell’infezione perché non ha tempo di esserlo, quindi il ciclo si svolge tra animale serbatoio, la glossina morsitans, l’uomo (che non può infettare più la glossina). Ciclo vitale. La glossina punge l’uomo; il tripomastigote che assume con la puntura, all’interno dello stomaco della mosca si trasforma in epimastigote; attraverso cicli di maturazione l’epimastigote si trasforma in tripomastigote che viene poi iniettato nell’uomo con una successiva puntura. Le differenze tra le due forme di tripanosomiasi africana, chiamata anche Malattia del sonno, riguardano: - virulenza, maggiore nel tripanosoma brucei rhodesiense, perché nel gambiense la malattia ha più un andamento cronico; - la forma gambiense è meno zoonotica, quindi la forma rhodesiense ha una maggiore diffusione tra gli animali; - il vettore della gambiense è la glossina palpalis e la glossina morsitans è il vettore della rhodesiense; - diffusione nell’Africa Occidentale per la tripanosomiasi gambiense (dall’Uganda al Senegal all’Angola) e Africa Orientale per la rhodesiense; - l’acquisizione del tripanosoma brucei gambiense avviene a livello di fiumi, foreste, alla fine delle stagioni secche nelle savane della Guinea, per trasmissione peridomestica nelle savene umide e nelle piantagioni di caffè e cacao; nel tripanosoma brucei rhodesiense l’acquisizione avviene nella savana, durante attività come pesca e caccia; - caratteristiche epidemiche nell’Africa Occidentale sono la perdita di controllo dovuta all’espansione del reservoir umano; nell’Africa Orientale i cambiamenti di habitat e gli intensi contatti tra il bestiame e l’uomo; - il reservoir animale sono i maiali per il gambiense, con una minore estensione agli animali domestici. Patogenesi. La patogenesi della tripanosmiasi è abbastanza interessante. Nel tripanosoma ci sono degli antigeni profondi, citoplasmatici e nucleari, fissi, non variabili; invece in superficie vi è un antigene variabile, cioè ha una diversa e variabile composizione antigenica e si chiama Variant Surface Lipoprotein (VSG). Con l’infezione si formano gli anticorpi rivolti verso gli antigeni di superficie. Quando c’è la formazione adeguata di questi anticorpi si ha la lisi del tripanosoma, quindi la liberazione degli antigeni fissi. Tuttavia la malattia non finisce lì, la crisi tripanolitica, mediata immunologicamente, corrisponde ai picchi febbrili della malattia. La febbre è quasi ondulante, periodica. Distrutti i tripanosomi se ne formano altri che hanno caratteristiche antigeniche diverse della lipoproteina di superficie e quindi non vengono più riconosciute dal sistema immunitario. Allora succede che si forma questa nuova generazione di anticorpi verso questa nuova generazione di tripanosomi che vengono ancora una volta distrutti. La lisi dei tripanosomi induce una risposta immune non protettiva, perché l’antigene variabile di superficie crea nuove generazioni di parassiti e con diverse caratteristiche antigeniche. Invece gli antigeni fissi, all’interno del parassita, non sono accessibili. Le malattie sono veri e propri eventi immunologici. L’attivazione policlonale B-cellulare indotta dalla lipoproteina variabile di superficie è particolarmente intensa e causa una grossissima produzione di immunoglobuline eterospecifiche, non specifiche. Questo stimolo antigenico induce un aumento delle IgM, che possono comportarsi come autoanticorpi e indurre il danno immunologico e forse la lipoproteina variabile di superficie è un potentissimo stimolatore antigenico e si comporta come un mitogeno per le cellule B. Gli elevati livelli di IgM e dei complessi Ag-Ab causano iperplasia del sistema reticolo-endoteliale e molte delle manifestazioni cliniche della malattia. D’altra parte c’è la soppressione di alcune funzioni immunologiche T-mediate. Tuttavia la produzione di IFN aumenta, aumenta l’attività macrofagica che contribuisce alla distruzione dei parassiti. Il basso livello di citochine, in particolare di IL-2, porta a depressione della funzione T-cellulare. L’anemia che accompagna la malattia è spesso dovuta a immunocomplessi che si depositano sul globulo rosso e inducono la lisi immunitaria del globulo rosso stesso. Vi sono anche la lisi piastrinica immunologica e l’aumento della permeabilità vascolare alla base dei fenomeni patologici della malattia. La meningoencefalite, che è la manifestazione più importante della malattia, si accompagna alla comparsa dei tripanosomi nel liquor dove compaiono, inoltre, delle cellule particolari che hanno un significato diagnostico notevole e che sono dette cellule di Mott (sono plasmacellule modificate con all’interno grandi quantità di IgM ma incapaci di espellerle all’esterno). La meningoencefalite è caratterizzata da infiltrati linfoidi perivascolari cerebrali e diffusa degenerazione della sostanza bianca. Un aspetto, questo, che fa pensare che il danno cerebrale sia soprattutto in rapporto a fenomeni immuni perivasali. Clinica. TRIPANOSOMIASI AFRICANA OCCIDENTALE È dovuta a Tripanosoma brucei gambiense, ha un’incubazione di 2-3 settimane e nel 50% dei casi vi è una reazione locale chiamata tripanoma che è un infiltrato nodulare nella sede della puntura dell’insetto. La malattia è di lunga durata, si protrae per mesi o anni e viene divisa in 2 fasi. In realtà non vi è una netta divisione tra una fase e l’altra, ma in parte si intersecano i sintomi dell’una e dell’altra. Queste 2 fasi sono: la FASE LINFOEMATICA, precoce, e la FASE MENINGOENCEFALITICA, più tardiva. La fase linfoematica, la più acuta, è caratterizzata da febbre elevata con brividi, con sensazione di freddo intenso (il paziente, anche ai tropici, a 40°C, sente freddo molto forte), linfoadenopatia diffusa, con le linfoghiandole di consistenza molle come prugna, interessamento cardiaco, manifestazioni cutanee costituite dai cosiddetti tripanidi che sono degli eritemi a carta geografica; epatosplenomegalia, verso la fine della prima fase cominciano a presentarsi i segni neurologici precoci, in particolare il segno neurologico che è tanto caratteristico e che contraddistingue la malattia è l’iperestesia profonda detta segno di Kerandel (il paziente non riesce a girare la chiave nella toppa perché è un’azione che gli provoca dolore intenso). Alla fase linfoematica subentra la fase meningoencefalitica che è più severa ed è una malattia cronica caratterizzata da: turbe sensitive (è già comparsa precedentemente l’iperestesia profonda); turbe psichiche ; turbe del sonno (danno il nome alla malattia, sono caratteristiche ma non costanti, cioè se il paziente non è sonnolento non si può comunque escludere la malattia) con iniziale inversione del ritmo (il paziente dorme di giorno e non dorme di notte) e seguente fase di sonnolenza persistente; turbe motrici; turbe neuroendocrine. Evoluzione: il paziente va in cachessia sonnolenta terminale. TRIPANOSOMIASI AFRICANA ORIENTALE È una malattia ad andamento più acuto, per cui il paziente non è serbatoio della malattia proprio perché è acuta sin dall’inizio. È caratterizzata da: febbre importante; interessamento cardiaco importante; rash; linfoadenopatia (rara); interessamento grave, precoce rispetto alla forma occidentale, del SNC (senza distinzione tra fase linfoematica e meningoencefalitica) che porta a morte il paziente. Evoluzione: stato comatoso terminale con elevato grado di cachessia. Diagnosi. Nella malattia c’è un aumento di IgM e quindi i livelli ematici di questa classe immunoglobulinica sono notevolmente aumentati. Ovviamente non ha valore diagnostico perché nei paesi tropicali il riscontro di elevati livelli ematici di IgM è frequente (per esempio, sono elevati nella splenomegalia della malaria) e quindi ha valore solo come screening. Si fa diagnosi con l’isolamento dei tripanosomi da sangue, linfonodi, midollo osseo, liquor o con esami sierologici (IF, ELISA, agglutinazione) che vengono fatti anche per la ricerca di anticorpi specifici, anche di IgM, nel liquido cefalorachidiano. L’andamento della parassitemia è variabile in rapporto alla crisi tripanolitiche che fanno crollare la quantità di tripanosomi nel sangue. Ma i tripanosomi si riproducono perché ci sono tripanosomi con diverse caratteristiche antigeniche della lipoproteina variabile di superficie. Terapia. La terapia si avvale, nella prima fase della tripanosomiasi dell’Africa occidentale, di PENTAMIDINA nella prima fase e, nella seconda fase, di EFLORNITINA. Nelle ricadute postpentamidina si usa il MELARSOPROL e l’EFLORNITINA, nelle ricadute post-eflornitina, il MELARSOPROL. In realtà molti considerano di più l’impiego di melarsoprol che ha un buon passaggio liquorale, quindi è efficace nel prevenire la fase menignoencefalitica. La terapia della tripanosomiasi dell’Africa orientale si avvale di SURAMINA e di MELARSOPROL. Il melarsoprol, però, ha degli effetti tossici importanti. Questi sono farmaci ricchi di effetti collaterali. In particolare gli arseniacali (come il melarsoprol) provocano un’encefalite, una neuropatia periferica a volte importante. simona ronti