La gravidanza costituisce un rischio di malaria anche nelle persone

27 novembre 2006
8.oo-10.oo
MALATTIE INFETTIVE
Prof. Federico
MALARIA (parte finale)
La gravidanza costituisce un rischio di malaria anche nelle persone che vivono in zone endemiche e
che quindi hanno acquisito la premunizione verso questa malattia. Perché ciò avvenga non si sa, si
sa solo che il rischio diminuisce con le gravidanze successive; non si sa perché venga perduta
l’immunità alla malaria, si pensa che c’entrino fattori locali per cui i globuli rossi parassitati
andrebbero a rifugiarsi in zone di neo formazione e neovascolarizzazione della placenta dove
sarebbero “immuni” dalla risposta immunitaria (scusate il gioco di parole).
In gravidanza quindi c’è una strategia che consiste in un trattamento intermittente che limita il
pericolo di malaria.
Più del 70% delle donne africane in gravidanza si rivolgono a cliniche nel periodo prima della
nascita e questo dà un’opportunità ideale per il parto e per intervenire sulle donne.
La malaria congenita nelle zone endemiche è rarissima, anche se l’infezione placentare si verifica,
anche se vengono rilevati parassiti nel sangue funicolare (molto meno frequente che nel sangue
placentare) e ancora meno frequente è il riscontro di parassiti nel sangue neonatale e in
quest’ultimo caso già dopo pochi giorni scompare la parassitemia. Quindi la malaria neonatale è
rarissima: i parassiti possono entrare nel circolo fetale alla nascita o prima, ma non sopravvivono
per indurre un’infezione clinicamente evidente nel neonato; se penetrano nel circolo fetale per lo
più non inducono nessuna risposta anticorpale nel feto, sono gli anticorpi materni acquisiti per via
transplacentare che inducono l’eliminazione della parassitemia nel feto e nel neonato. Si dice che
quando viene acquisita la malaria in età neonatale sia più dovuta ad una nuova infezione che alla
malaria trasmessa dalla madre.
Questo non si verifica invece nella malaria “d’importazione”:se una donna occidentale non
immune acquisisce la malaria durante una vacanza in un paese dei tropici ed è incinta, la malaria si
ha anche nel feto e in forma particolarmente grave. Quindi questa eventualità dovrebbe sconsigliare
viaggi non indispensabili a persone non immuni in zone endemiche.
MALARIA PERNICIOSA DEL BAMBINO
La malaria perniciosa del bambino è caratterizzata dalla maggior frequenza di malaria cerebrale,
grave anemia, ipoglicemia, mentre le altre manifestazioni di cui abbiamo parlato l’altra volta sono
meno frequenti.
Si stima che i bambini africani abbiano da 1,6 a 5,4 episodi di febbre malarica ogni anno.
Il 90% delle morti per malaria si verificano nell’area sub-sahariana tra i giovani bambini; ogni 30
secondi un bambino africano muore per malaria.
La malaria è la causa di 1 su 5 delle morti in età infantile, questa causa inoltre basso peso alla
nascita, anemia, disturbi cognitivi ed epilessia, però è prevenibile e trattabile.
PREVENZIONE E PROFILASSI
Un capitolo a parte merita la prevenzione della malaria (specialmente nelle donne in gravidanza):
 tende con reti trattate con insetticidi,
 trattamento preventivo intermittente in gravidanza,
 combinazioni di farmaci antimalarici.
Tenete presente quindi che la profilassi antimalarica si articola su 2 punti:
1. Evitare la puntura della zanzara: bisogna tener presente che la zanzara anopheles femmina,
diversamente dalla tigre, punge nelle ore notturne, quindi dal tramonto all’alba; preferisce i
vestiti scuri; bisogna usare lozioni repellenti (toloamide, l’autan); bisogna usare le reti sulle
brandine e prima di coricarsi e chiudere la rete bisogna assicurarsi che le zanzare non siano
dentro!!!
2. Chemioprofilassi: va fatta quando un soggetto non immune si reca in una zona endemica. Le
indicazioni alla chemioprofilassi sono variabili e dipendono dalla zona in cui ci si reca, nel
senso che ci sono zone di clorochino-resistenza e altre no, dipendono dall’entità
dell'endemia malarica, dalla durata del soggiorno nella zona (se uno va per 2 anni in africa
non deve fare chemioprofilassi, se uno va per un viaggio di 10, 15, 20 giorni fino a 3 mesi è
consigliata la chemioprofilassi).
La chemioprofilassi si avvale di 2 farmaci più importanti: clorochina e meflochina.
In alcune zone in cui la malaria è abbastanza rara come il nord Africa e nel sud-est dell’Asia non è
consigliata la chemioprofilassi.
La chemioprofilassi è consigliata in alcune zone con CLOROCHINA o Proguanil (Paludrine) in
alcune zone del Medio Oriente e dell’America centrale nelle zone rurali delle isole Mauritius perché
vi è il Plasmodium Vivax prevalente e non c’è ancora un’elevata resistenza al Plasmodium
Falciparum, allora va bene la clorochina.
CLOROCHINA + PROGUANIL in alcune zone del sub-continente Indiano.
La MEFLOCHINA invece va impiegata in tutta l’africa, specialmente equatoriale; un’alternativa
potrebbe essere il Malarone o la Doxiciclina. È diventato il farmaco più usato con l’aumentare della
corichino-resistenza.
Dosi di somministrazione:
o CLOROCHINA: 2 compresse di clorochina (ognuna da 250 mg di solfato di clorochina pari
a 150 mg di clorochina base), quindi 300 mg di clorochina ogni settimana a cominciare da
una settimana prima dalla partenza, per tutto il periodo in cui si è esposti e per 4 settimane
dopo. Si continua la profilassi anche quando non si è più esposti perché questi farmaci sono
efficaci solo quando il parassita è presente nel sangue, non già nel fegato del soggetto
infettato. In assenza di ciò potrebbe capitare che, contraendo la malaria in una zona a rischio
e seguendo essa il normale periodo di incubazione, il parassita fuoriesca dal fegato quando
non vi è più la protezione dal farmaco.
o MEFLOCHINA: una compressa da 250 mg ogni settimana a partire da una settimana prima
della partenza verso le zone endemiche, per tutta la durata del soggiorno e per le 4 settimane
successive al ritorno. Forse la meflochina (Lariam) è il farmaco più efficace che protegge in
più del 95% dei casi e ha alcuni effetti collaterali, per esempio turbe psicotiche, incubi,
eccetera, che però sono molto rari.
o MALARONE: è costituito da un’associazione di Atovaquone e Proguanil; si impiega una
compressa al giorno partendo da pochi giorni prima, per tutta la durata della permanenza
nella zona endemica, fino a una settimana dopo.
Abbiamo visto quindi che la chemioprofilassi è una pratica fondamentale che va seguita in maniera
scrupolosa perché riduce di moltissimo fino quasi ad annullare il pericolo di infezione malarica.
La maggior parte dei casi di malaria d’importazione che osserviamo è in soggetti che non hanno
effettuato o avevano effettuato non correttamente la profilassi (molti tendono a sospenderla appena
tornati dalla zona endemica, va invece continuata, come abbiamo detto, per 4 settimane o per 1
settimana come nel caso del malarone), in questi casi la malaria si manifesta più tardivamente.
TRATTAMENTO
La terapia si avvale degli stessi farmaci. Bisogna distinguere le zone clorochino-resistenti e le zone
dove non vi è clorochino-resistenza.
Nelle zone dove la malaria è data da plasmodium vivax e nelle zone in cui il plasmodium
falciparum non è clorochino-resistente si impiega la clorochina.
o La CLOROCHINA si impiega alle dosi di 4 compresse da 150 mg ciascuna (600 mg)
subito, più 2 compresse (300 mg) a distanza di 6-8 ore, e 2 compresse ogni 24 ore per 2-3
giorni.
Nella malaria da plasmodium vivax, siccome abbiamo detto che ci sono le forme epatiche che sono
resistenti alla clorochina, se si vuol fare l’eradicazione completa della malaria ed evitare le recidive,
allora finito il ciclo si usa la Primachina, un farmaco che può dare delle gravi crisi emolitiche in
pazienti che hanno difetti enzimatici degli eritrociti, soprattutto deficit di glucosio-6-fosfato
deidrogenasi eritrocitaria. Questi casi prima di dare la Primachina, che è l’unico antitodo appunto
contro le forme epatiche, bisogna fare un dosaggio nel soggetto della glucosio-6-fosfato
deidrogenasi eritrocitaria.
o PRIMACHINA: 1 compressa da 15 mg al giorno per 15 giorni(dopo il ciclo di clorochina),
oppure si può aumentare la dose a 45 mg, cioè 3 compresse ogni settimana per 6 mesi.
Nella malaria da plasmodium falciparum si può usare la Meflochina:
o MEFLOCHINA: 3 compresse da 250 mg subito e 2 compresse dopo 6-8 ore, inoltre, nei
soggetti che pesano più di 60 kg, si somministra un’altra compressa nelle successive 6-8 ore.
Tutto il ciclo terapeutico consta di 5 o 6 compresse al massimo e questo ha una notevole
rilevanza anche economica.
In molti casi si usa ancora il Chinino, il primo farmaco antimalarico usato in occidente quando in
Cina usavano l’artemisina. Il chinino veniva dall’America del Sud: è un estratto dalla corteccia e
delle foglie di una pianta, la cincona. Il “traffico” di questa pianta è cominciato solo attorno alla fine
del ‘500 – inizio del ‘600 ed è stato fonte di arricchimento, ad esempio per la Compagnia delle
Indie, perché la malaria era diffusissima. Resta tuttora un farmaco importantissimo, perché
assomma ad una disponibilità rapida un’alta efficacia.
o CHININO per via orale: 4 compresse da 150 mg (600mg) ogni 8 ore per circa 7 giorni.
Alla terapia con chinino si fa seguire in genere la Doxiciclina, oppure la Pirimetanina o sulfadoxina.
Quando usiamo il chinino e quando la meflochina?
Nelle forme gravi si usa il chinino perché l’effetto è più rapido. Il rovescio della medaglia è che la
terapia con questo farmaco è più lunga e che dà una serie di disturbi noti col nome di cinconismo:
vertigini, acufeni, ipoacusia, nausea, vomito, tutti sintomi che cessano una volta conclusa la terapia.
Altri farmaci sono il Malarone e l’Arthemether, un derivato di una pianta cinese, l’artemisia, che è
stato il primo rimedio al posto del chinino e che è attivo contro tutte le forme di malaria.
Di fronte a una malaria grave si impiega il chinino per via parenterale in soluzioni diluite
(l’intramuscolare è dolorosissima); la somministrazione deve essere lenta perchè potrebbe dare
effetti collaterali come lo shock chininico.
o CHININO per via parenterale: infusione venosa lenta di 250 ml con 10 mg per Kg di peso di
chinino ogni 8 ore. Quando il paziente sta bene si può passare a somministrazione via orale.
Nella malaria grave si possono usare anche derivati dell’artemisina per via endovenosa.
CLASSIFICAZIONE DELLA RESISTENZA DELLA MALARIA DA PLASMODIUM
FALCIPARUM ALLA CLOROCHINA NELL’UOMO
 S: eliminazione delle forme asessuate del parassita durante il trattamento, senza
recrudescenze.
 R I: eliminazione delle forme asessuate del parassita durante il trattamento, seguita da
recrudescenze.
 R II: marcata riduzione ma non completa eliminazione delle forme asessuate.
 R III: nessuna riduzione delle forme asessuate.
Ci sono delle tabelle dove si possono trovare le zone in cui c’è una resistenza della malaria alla
clorochina: ad esempio la resistenza alla clorochina c’è in tutta l’Africa, come c’è in parte dell’Asia,
in parte del Medio Oriente e in parte dell’ America Latina; ci sono dei siti i cui non c’è resistenza
alla clorochina, come in Africa del Nord, in America Centrale e in Argentina, in alcune zone
dell’Asia Centrale e Sud-Occidentale e in Asia Orientale.
Ci sono dei TEST DIAGNOSTICI RAPIDI della malaria e sono stati fatti anche dei tentativi di
VACCINAZIONE antimalarica che si fanno sostanzialmente con tre tipi di vaccino:
1) PRE-ERITROCITARIO: agisce contro lo sporozoita bloccando del tutto l’infezione quando
è ancora nelle fasi iniziali, in quei pochi minuti che passano dal momento in cui viene
inoculato fino a quando raggiunge il fegato; questo è facilitato dal fatto che esiste una
proteina “circum-sporozoita”, una proteina antisporozoita che circonda dall’esterno lo
sporozoita che ha alcuni epitopi fissi e questo favorisce l’allestimento del vaccino.
2) EMATICO: è quello anti-merozoiti, che riduce la densità dei parassiti ematici, i sintomi e il
rischio di morte.
3) “ALTRUISTICO”: contro i gametociti, sono vaccini detti altruistici, nel senso che non
prevengono la malaria ma impediscono che essa possa essere trasmessa ad altri soggetti. In
che modo? Quando la zanzara succhia il sangue ad un paziente con un infezione malarica,
essa assume anche gli anticorpi contro i gametociti che il soggetto ha fatto e che si trovano
nel suo sangue; quindi questi anticorpi agiscono addirittura all’interno della zanzara ed
impediscono l’accoppiamento e la formazione dello zigote. Questa dunque rappresenta una
soluzione molto interessante.
4) Un quarto tipo di vaccino agisce contro il fosfatidil-inositolo presente sulla membrana dei
parassiti.
Attualmente sono in fase di sperimentazione vaccini a pluricomponenti, costituiti da vaccini
antisporozoiti ed antimerozoiti in un’unica soluzione. I risultati ottenuti non sono dei migliori,
qualche speranza di eradicare la malaria mediante un vaccino tuttavia permane.
TRIPANOSOMIASI
La tripoanosomiasi è un’altra malattia protozoaria dovuta a parassiti della famiglia delle
Tripanosomatidae, di cui ci sono due principali specie patogene per l’uomo: Tripanosoma Cruzi,
responsabile della tripanosomiasi americana o malattia di Chagas, e tripanosoma Brucei,
responsabile della tripanosmiasi africana. Si trovano due tipi di tripanosmiasi africana: Tripanosoma
brucei gambiense responsabile della tripanosmiasi dell’Africa occidentale, e Tripanosoma brucei
rhodesiense responsabile della tripanosomiasi dell’Africa orientale. Tripanosomi esistono in 3
diversi morfotipi: l’amastigote che è una forma esclusivamente intracellulare e si trova solo
nell’uomo; il tripomastigote che è una forma extracellulare; l’epimastigote che è una forma che si
sviluppa nell’intestino del vettore.
Quindi per quanto riguarda la tripanosmiasi africana il tripanosoma brucei gambiense e il
tripanosoma brucei rhodesiense hanno una differenza sintomatologica ed ecologica, è diffusa in
Africa e provoca una malattia chiamata “malattia del sonno”, il principale organo bersaglio è il
cervello, i vettori sono le glossine (mosche tse tse, dal volo silenzioso), si trasmette tramite punture
di insetti e la forma che si moltiplica nell’uomo è il tripomastigote.
Il tripanosoma cruzi è diffuso in America Centrale e Meridionale, provoca la malattia di Chagas,
interessa cuore, colon ed esofago, i vettori sono le cimici della famiglia delle Reduviidae, le quali
quando pungono defecano e la puntura pruriginosa porta il soggetto a grattarsi e autoinocularsi il
tripanosoma, l’amastigote è la forma di moltiplicazione nell’uomo.
TRIPANOSOMIASI AMERICANA
Tripanosoma cruzi è responsabile della malattia di Chagas o tripanosomiasi americana. Vettori di
questo protozoo sono alcune cimici alate dette Triatomine. Serbatoio: più di 150 specie di animali
domestici e selvatici. Il vettore elimina con le feci il parassita, quindi non lo inietta con la puntura.
Il tripomastigote si diffonde così nel sangue e negli spazi intercellulari e penetra all’interno delle
cellule in cui si trasforma in amastigote. Si divide nella forma di amastigote fino alla lisi della
cellula. A questo punto si trasforma in tripomastigote e, invadendo il sangue e gli spazi interstiziali,
può parassitare altre cellule. Si chiama tripanosomiasi americana perché è diffusa in America, dal
Messico, dall’America Centrale al Cile ed è una malattia dei poveri. La malattia è condizionata
dall’habitat del vettore che ama le case fatiscenti, di campagna, di fango, con crepe negli intonaci
dove si va ad annidare, i pavimenti in terra battuta, i soffitti di paglia, quindi le case della povera
gente, della campagna. Fino a qualche tempo fa la malattia era principalmente diffusa nelle
campagne, poi nelle favelas, che sono le baracche che circondano le grandi metropoli nel Sud
America, il vettore ha ritrovato l’ambiente delle case della campagna, quindi la malattia si è diffusa
anche nella periferia delle grandi città.
Nelle zone endemiche la malattia ha un’ampia diffusione, perciò l’infezione si verifica in età
infantile, precoce. Infatti la malattia si manifesta in una forma acuta e poi nella forma cronica. La
forma acuta, nell’85% dei casi, interessa i bambini con meno di 10 anni. Poiché il periodo di tempo
che passa tra la forma acuta e la forma cronica è molto lungo, addirittura si tratta di decenni, le
forme croniche si manifestano soprattutto nell’adulto (età media: 35-40 anni). La trasmissione
naturale avviene attraverso il vettore (le Triatomine) ma esistono anche altre modalità di
trasmissione come con emotrasfusione; trasmissione congenita; trasmissione di laboratorio.
Quest’ultima è particolarmente pericolosa: il tripanosoma è uno dei parassiti con il quale è più
pericoloso lavorare in laboratorio ed è quindi richiesta molta attenzione e professionalità.
I principali focolai della malattia di Chagas sono due: sud America (Brasile ed Argentina) e
America Centrale (Messico). Nella prima zona il vettore vive nelle case dell’uomo e negli stretti
paraggi, nella seconda zone nelle aree domestiche e in quelle non abitate.
Diffusione della malattia.
Negli anni ’80 c’erano 17milioni di infezioni umane; 750000 nuove infezioni all’anno, 5 milioni di
infezioni clinicamente manifeste; 45000 decessi all’anno. Attualmente la diffusione si stima sia di
13 milioni di infezioni umane; circa 3 milioni di infezioni clinicamente manifeste, circa 200000
nuove infezioni all’anno.
Patogenesi.
Nell’infezione acuta il parassita si localizza nei linfonodi, si moltiplica all’interno delle cellule sotto
forma di amastigote. Ne deriva, nel sito di inoculazione, una risposta infiammatoria che è un
granuloma detto chagoma. Se il punto d’ingresso è sul viso, a livello dell’occhio si ha il segno di
Romaña.
La malattia inizia 6-10 giorni dopo l’infezione e dura 1-2 mesi e in questa fase si trovano i parassiti
nel sangue. L’infezione acuta si manifesta rapidamente. L’infezione cronica è un’infezione più
persistente, generalmente asintomatica, però dal 15% al 30% dei casi, a lungo andare, si sviluppano
alcuni danni d’organo, come un danno cardiaco, nervoso e a livello dell’apparato digerente. Una
caratteristica è la cardiomegalia, il megacolon e il megaesofago. La cardiomegalia porta a
insufficienza di pompa, aritmie, formazione di aneurismi, manifestazioni trombo-emboliche;
megaesofago e megacolon sono dovuti a disturbi neurologici che compromettono la peristalsi. Il
danno dell’ospite ha una patogenesi su base immunitaria e sembra che sia mantenuto
dall’insorgenza di manifestazione autoimmune piuttosto che dalla persistenza del parassita stesso.
La forma acuta è una risposta infiammatoria da rottura di pseudocisti, infiltrato mononucleare,
immunoglobuline contro antigeni del tripanosoma, attivazione del complemento, infiltrazione
linfocitaria con distruzione di tessuti anche non parassitizzati, si ha una distruzione focale del
tessuto di conduzione cardiaco e alterazioni infiammatorie e degenerative.
La forma cronica è una situazione indeterminata che si evidenzia soltanto con indagini strumentali
come l’elettrocardiogramma (blocco di branca destra) e la biopsia del setto endomiocardico. La
malattia cronica è caratterizzata da manifestazioni neurologiche:lesioni infiammatorie attive
minime, fibrosi locale, perdita pronunciata di neuroni a livello cardiaco e colico, aneurismi apicali,
morte improvvisa dovuta non a insufficienza cardiaca congestizia, ma soprattutto a fenomeni
embolici e aritmie; a livello dei muscoli si ha miocardite diffusa da lieve ad intensa con presenza di
macrofagi, cellule linfatiche e fibrosi ma assenza di parassiti, si può avere inoltre insufficienza
cardiaca congestizia.
Clinica.
Forma acuta: Chagoma nel punto di ingresso, segno di Romaña a livello della palpebra e della
congiuntiva, febbre che può essere anche elevata, malessere con sintomi generali, linfoadenopatia,
cardiomiopatia talora con shock cardiogeno, meningonevrassite (rara), disturbi intestinali. È una
malattia grave, con una mortalità di circa il 10%.
La forma cronica si manifesta dopo anni o decenni dalla forma acuta. È caratterizzata dalla triade
sintomatologia cuore, esofago e colon. A livello del cuore si possono avere aneurismi, proprio
perché si lisano le fibrocellule muscolari cardiache; il megaesofago il megaesofago comportano
disturbi quali disturbi della deglutizione, polmoniti ab ingestis per rigurgito nelle vie aeree, stipsi
ostinata fino al quadro del megacolon tossico che è un quadro estremamente grave e spesso mortale.
Diagnosi.
Nella forma acuta c’è il dato epidemiologico per i residenti nelle zone endemiche, ricerca dei
tripomastigoti nel sangue con esame a fresco oppure dopo colorazione, oppure esame colturale in
terreni particolari per protozoi o la xenodiagnosi (si prende il sangue dal soggetto, lo si mette in un
contenitore; sopra il sangue si mette un parafilm; sopra si mette il vettore; il vettore succhia il
sangue; dopo qualche tempo si esamina il vettore per vedere se nello stomaco ci sono gli
epimastigoti. È una tecnica né semplice né rapida), infine l’esame sierologico ci consente di rilevare
gli anticorpi con la immunofluorescenza ed ELISA.
Nella forma cronica non si trova più il parassita nel sangue, però si trovano gli anticorpi. Un
megacolon non può essere dovuto alla forma cronica del morbo di Chagas se il soggetto è
sieronegativo per gli anticorpi. Quindi bastano la presenza degli anticorpi e i segni clinici particolari
che sono la cardiomiopatia, il megaesofago, il megacolon.
Terapia.
Il trattamento eziologico ha una certa efficacia solo nelle forme acute. Le forme croniche sono
dovute più che alla persistenza dell’infezione agli esiti neurologici del danno che l’infezione ha
provocato.
I farmaci attivi sono: NIFURTIMOX e BENZNIDAZOLO.
Nella forma cronica la terapia è sintomatica.
TRIPANOSOMIASI AFRICANA
Vengono distinte due forme: la forma dell’Africa occidentale dovuta al Tripanosoma brucei
gambiense e la forma dell’Africa orientale dovuta al Tripanosoma brucei rhodesiense.
Il vettore per la tripanosomiasi gambiense è una mosca, Glossina palpalis, e per il Tripanosoma
brucei rhodesiense è la Glossina morsitans. Queste glossine sono caratterizzate dal volo silenzioso e
sono meglio conosciute come mosca tse-tse. Le due mosche hanno diverse abitudini ecologiche:
alla Glossina palpalis piace il clima umido e quindi la malattia si contrae vicino ai fiumi, nelle
foreste pluviali africane dove c’è un’alta umidità; la Glossina morsitans ama il clima secco,quindi
ama la savana, vive sotto le acacie, dove il clima è secco.
Il serbatoio della malattia sono vari animali: antilopi, pecore, suini, cani, l’uomo che in particolare
può essere serbatoio per la tripanosmiasi dell’africa occidentale. Questo perché questa malattia ha
un decorso prolungato, molto più cronico e l’uomo può essere serbatoio della malattia oltre agli
animali. La glossina si può infettare pungendo l’uomo che a lungo è portatore nel sangue dei
tripomastigoti di Glossina palpalis. Invece, per quanto riguarda la tripanosomiasi dell’Africa
orientale, questa è una malattia ad andamento molto più acuto. Proprio perché ha un andamento
acuto l’uomo non è serbatoio dell’infezione perché non ha tempo di esserlo, quindi il ciclo si svolge
tra animale serbatoio, la glossina morsitans, l’uomo (che non può infettare più la glossina).
Ciclo vitale.
La glossina punge l’uomo; il tripomastigote che assume con la puntura, all’interno dello stomaco
della mosca si trasforma in epimastigote; attraverso cicli di maturazione l’epimastigote si trasforma
in tripomastigote che viene poi iniettato nell’uomo con una successiva puntura.
Le differenze tra le due forme di tripanosomiasi africana, chiamata anche Malattia del sonno,
riguardano:
- virulenza, maggiore nel tripanosoma brucei rhodesiense, perché nel gambiense la
malattia ha più un andamento cronico;
- la forma gambiense è meno zoonotica, quindi la forma rhodesiense ha una maggiore
diffusione tra gli animali;
- il vettore della gambiense è la glossina palpalis e la glossina morsitans è il vettore
della rhodesiense;
- diffusione nell’Africa Occidentale per la tripanosomiasi gambiense (dall’Uganda al
Senegal all’Angola) e Africa Orientale per la rhodesiense;
- l’acquisizione del tripanosoma brucei gambiense avviene a livello di fiumi, foreste,
alla fine delle stagioni secche nelle savane della Guinea, per trasmissione
peridomestica nelle savene umide e nelle piantagioni di caffè e cacao; nel
tripanosoma brucei rhodesiense l’acquisizione avviene nella savana, durante attività
come pesca e caccia;
- caratteristiche epidemiche nell’Africa Occidentale sono la perdita di controllo dovuta
all’espansione del reservoir umano; nell’Africa Orientale i cambiamenti di habitat e
gli intensi contatti tra il bestiame e l’uomo;
-
il reservoir animale sono i maiali per il gambiense, con una minore estensione agli
animali domestici.
Patogenesi.
La patogenesi della tripanosmiasi è abbastanza interessante. Nel tripanosoma ci sono degli antigeni
profondi, citoplasmatici e nucleari, fissi, non variabili; invece in superficie vi è un antigene
variabile, cioè ha una diversa e variabile composizione antigenica e si chiama Variant Surface
Lipoprotein (VSG). Con l’infezione si formano gli anticorpi rivolti verso gli antigeni di superficie.
Quando c’è la formazione adeguata di questi anticorpi si ha la lisi del tripanosoma, quindi la
liberazione degli antigeni fissi. Tuttavia la malattia non finisce lì, la crisi tripanolitica, mediata
immunologicamente, corrisponde ai picchi febbrili della malattia. La febbre è quasi ondulante,
periodica. Distrutti i tripanosomi se ne formano altri che hanno caratteristiche antigeniche diverse
della lipoproteina di superficie e quindi non vengono più riconosciute dal sistema immunitario.
Allora succede che si forma questa nuova generazione di anticorpi verso questa nuova generazione
di tripanosomi che vengono ancora una volta distrutti. La lisi dei tripanosomi induce una risposta
immune non protettiva, perché l’antigene variabile di superficie crea nuove generazioni di parassiti
e con diverse caratteristiche antigeniche. Invece gli antigeni fissi, all’interno del parassita, non sono
accessibili.
Le malattie sono veri e propri eventi immunologici. L’attivazione policlonale B-cellulare indotta
dalla lipoproteina variabile di superficie è particolarmente intensa e causa una grossissima
produzione di immunoglobuline eterospecifiche, non specifiche. Questo stimolo antigenico induce
un aumento delle IgM, che possono comportarsi come autoanticorpi e indurre il danno
immunologico e forse la lipoproteina variabile di superficie è un potentissimo stimolatore
antigenico e si comporta come un mitogeno per le cellule B. Gli elevati livelli di IgM e dei
complessi Ag-Ab causano iperplasia del sistema reticolo-endoteliale e molte delle manifestazioni
cliniche della malattia.
D’altra parte c’è la soppressione di alcune funzioni immunologiche T-mediate. Tuttavia la
produzione di IFN aumenta, aumenta l’attività macrofagica che contribuisce alla distruzione dei
parassiti.
Il basso livello di citochine, in particolare di IL-2, porta a depressione della funzione T-cellulare.
L’anemia che accompagna la malattia è spesso dovuta a immunocomplessi che si depositano sul
globulo rosso e inducono la lisi immunitaria del globulo rosso stesso. Vi sono anche la lisi
piastrinica immunologica e l’aumento della permeabilità vascolare alla base dei fenomeni patologici
della malattia.
La meningoencefalite, che è la manifestazione più importante della malattia, si accompagna alla
comparsa dei tripanosomi nel liquor dove compaiono, inoltre, delle cellule particolari che hanno un
significato diagnostico notevole e che sono dette cellule di Mott (sono plasmacellule modificate con
all’interno grandi quantità di IgM ma incapaci di espellerle all’esterno).
La meningoencefalite è caratterizzata da infiltrati linfoidi perivascolari cerebrali e diffusa
degenerazione della sostanza bianca. Un aspetto, questo, che fa pensare che il danno cerebrale sia
soprattutto in rapporto a fenomeni immuni perivasali.
Clinica.
TRIPANOSOMIASI AFRICANA OCCIDENTALE
È dovuta a Tripanosoma brucei gambiense, ha un’incubazione di 2-3 settimane e nel 50% dei casi
vi è una reazione locale chiamata tripanoma che è un infiltrato nodulare nella sede della puntura
dell’insetto.
La malattia è di lunga durata, si protrae per mesi o anni e viene divisa in 2 fasi. In realtà non vi è
una netta divisione tra una fase e l’altra, ma in parte si intersecano i sintomi dell’una e dell’altra.
Queste 2 fasi sono: la FASE LINFOEMATICA, precoce, e la FASE MENINGOENCEFALITICA,
più tardiva.
La fase linfoematica, la più acuta, è caratterizzata da febbre elevata con brividi, con sensazione di
freddo intenso (il paziente, anche ai tropici, a 40°C, sente freddo molto forte), linfoadenopatia
diffusa, con le linfoghiandole di consistenza molle come prugna, interessamento cardiaco,
manifestazioni cutanee costituite dai cosiddetti tripanidi che sono degli eritemi a carta geografica;
epatosplenomegalia, verso la fine della prima fase cominciano a presentarsi i segni neurologici
precoci, in particolare il segno neurologico che è tanto caratteristico e che contraddistingue la
malattia è l’iperestesia profonda detta segno di Kerandel (il paziente non riesce a girare la chiave
nella toppa perché è un’azione che gli provoca dolore intenso).
Alla fase linfoematica subentra la fase meningoencefalitica che è più severa ed è una malattia
cronica caratterizzata da: turbe sensitive (è già comparsa precedentemente l’iperestesia profonda);
turbe psichiche ; turbe del sonno (danno il nome alla malattia, sono caratteristiche ma non costanti,
cioè se il paziente non è sonnolento non si può comunque escludere la malattia) con iniziale
inversione del ritmo (il paziente dorme di giorno e non dorme di notte) e seguente fase di
sonnolenza persistente; turbe motrici; turbe neuroendocrine.
Evoluzione: il paziente va in cachessia sonnolenta terminale.
TRIPANOSOMIASI AFRICANA ORIENTALE
È una malattia ad andamento più acuto, per cui il paziente non è serbatoio della malattia proprio
perché è acuta sin dall’inizio.
È caratterizzata da: febbre importante; interessamento cardiaco importante; rash; linfoadenopatia
(rara); interessamento grave, precoce rispetto alla forma occidentale, del SNC (senza distinzione tra
fase linfoematica e meningoencefalitica) che porta a morte il paziente.
Evoluzione: stato comatoso terminale con elevato grado di cachessia.
Diagnosi.
Nella malattia c’è un aumento di IgM e quindi i livelli ematici di questa classe immunoglobulinica
sono notevolmente aumentati. Ovviamente non ha valore diagnostico perché nei paesi tropicali il
riscontro di elevati livelli ematici di IgM è frequente (per esempio, sono elevati nella splenomegalia
della malaria) e quindi ha valore solo come screening.
Si fa diagnosi con l’isolamento dei tripanosomi da sangue, linfonodi, midollo osseo, liquor o con
esami sierologici (IF, ELISA, agglutinazione) che vengono fatti anche per la ricerca di anticorpi
specifici, anche di IgM, nel liquido cefalorachidiano.
L’andamento della parassitemia è variabile in rapporto alla crisi tripanolitiche che fanno crollare la
quantità di tripanosomi nel sangue. Ma i tripanosomi si riproducono perché ci sono tripanosomi con
diverse caratteristiche antigeniche della lipoproteina variabile di superficie.
Terapia.
La terapia si avvale, nella prima fase della tripanosomiasi dell’Africa occidentale, di
PENTAMIDINA nella prima fase e, nella seconda fase, di EFLORNITINA. Nelle ricadute postpentamidina si usa il MELARSOPROL e l’EFLORNITINA, nelle ricadute post-eflornitina, il
MELARSOPROL.
In realtà molti considerano di più l’impiego di melarsoprol che ha un buon passaggio liquorale,
quindi è efficace nel prevenire la fase menignoencefalitica. La terapia della tripanosomiasi
dell’Africa orientale si avvale di SURAMINA e di MELARSOPROL. Il melarsoprol, però, ha
degli effetti tossici importanti. Questi sono farmaci ricchi di effetti collaterali. In particolare gli
arseniacali (come il melarsoprol) provocano un’encefalite, una neuropatia periferica a volte
importante.
simona ronti