Lezione 6
La retribuzione del lavoro.
1. Introduzione. Quando si parla di scambio, si ammette di solito
che l'acquirente del prodotto (in questo caso il padrone) abbia di
fronte a sé un prodotto omogeneo di cui conosce tutte le
caratteristiche. Nel caso del lavoro non può essere così: i
lavoratori sono diversi l'uno dall'altro per quanto riguarda
carattere, personalità, capacità di apprendere ecc.; e né le
caratteristiche dei lavoratori né il loro comportamento sul lavoro
sono perfettamente osservabili.
Abbiamo insomma un problema di
ignoranza.
Ci sono molte componenti di questa ignoranza; possiamo
radunarle in tre grandi gruppi:
a) l'ignoranza delle caratteristiche personali del lavoratore. Le
qualità di un lavoratore non possono essere scoperte tutte prima
della sua assunzione, e possono rivelarsi peggiori, o migliori, di
quanto previsto; se la retribuzione è basata sul tempo di lavoro,
nel primo caso il lavoratore renderà di meno, e nel secondo di
più, della media;
b) l'ignoranza del comportamento effettivo del lavoratore. Per
fare un esempio, un agente di commercio pagato con uno stipendio
fisso che dice che non ha venduto niente a causa di difficoltà di
mercato potrebbe in realtà avere "battuto la fiacca";
c) l'ignoranza del contributo del singolo lavoratore alla
produzione complessiva. In linea di principio, ogni lavoratore
dovrebbe ricevere una retribuzione pari al suo contributo
marginale; ma questo è molto difficile da individuare in un lavoro
collettivo, come è tipicamente il caso in un'impresa moderna. Ciò
può creare dei problemi: se la retribuzione è la stessa a parità
di fatica, di orario, ecc. i lavoratori più necessari si
riterranno retribuiti meno del giusto; ma se i lavoratori più
utili sono pagati di più a parità di fatica e di orario, e questa
maggiore utilità non è facilmente percepibile, i lavoratori pagati
di meno si sentiranno discriminati.
Nell'ambito del ragionamento delle lezioni precedenti, questa
ignoranza consiste quindi essenzialmente nell'impossibilità di
conoscere la produttività del singolo lavoratore. Il problema che
si pone è allora il seguente: come deve essere, e come è, la
struttura della retribuzione, non essendo possibile fissare una
salario eguale alla produttività marginale, come suggerito dalla
teoria. E' questo il problema che studieremo in questa lezione.
2. Il contratto di lavoro. Il problema può essere impostato anche
in un altro modo, più propizio per la trattazione: quale tipo di
contratto di lavoro converrà al padrone offrire al lavoratore,
data l'ignoranza di cui abbiamo parlato?
Prima di entrare nel merito, osserviamo che qualsiasi tipo di
contratto di lavoro ha due caratteristiche essenziali:
a) deve essere accettabile per il lavoratore;
1
b) è tipicamente un contratto incompleto, e con una parte
implicita.
La prima caratteristica non richiede commenti. La seconda invece
sì. Un contratto di lavoro è necessariamente incompleto in quanto
non può prevedere, di solito, tutti i casi che possono verificarsi
(che è la definizione di contratto completo), e quindi parte delle
prestazioni non sono esplicitate, ma appunto lasciate implicite.
Il padrone compra il tempo di lavoro, ma quanto il lavoratore
lavorerà in questo tempo è monitorabile solo in parte; il
contratto prevede implicitamente che il lavoratore lavori in modo
"normale".
In effetti, la teoria classica dell'impresa, come enunciata da
Coase settant'anni fa1, assume che le imprese esistono proprio
perché l'attività produttiva è troppo complessa e ricca di
elementi incerti per potere essere basata su una serie di
contratti fra padrone e lavoratori; all'interno dell'impresa
quindi si ha una struttura gerarchica basata sul principio di
autorità. Fra parentesi, è degno di nota che il soggetto
fondamentale della teoria economica che assume l'universalità del
mercato sia strutturato al suo interno secondo altri principi.
La caratteristica fondamentale di un contratto implicito è che
deve essere, come si dice in gergo, self enforcing: non esistendo
una clausola che può essere violata, l'unica cosa che può
garantire il contratto è che convenga a entrambe le parti. Ciò
vuole dire che il lavoratore deve potere guadagnare di più
nell'impresa con cui ha un contratto che se cambiasse per un'altra
(non necessariamente in termini monetari); e che il padrone deve
potersi attendere da quel lavoratore un guadagno maggiore che
sostituendolo. In altri termini, i contratti di lavoro devono
essere fatti in modo tale che il lavoratore una volta assunto sia
incentivato a lavorare più e/o meglio di un eventuale sostituto
(tenendo conto dei costi di sostituzione). Tutto ciò è tanto più
vero quanto meno il lavoro è monitorabile, cioè quanto più contano
l'iniziativa e l'autonomia del lavoratore; e quindi in linea di
massima quanto più il lavoro è qualificato.
3. Gli elementi di un contratto di lavoro. A prima vista,
sembrerebbe che la soluzione stia nel pagare un lavoratore in base
alla quantità prodotta, ovvero a cottimo: sarà suo interesse
produrre di più per guadagnare di più. Ma questo sistema può
andare bene solo in casi particolari. Ci sono infatti quattro tipi
di ostacoli:
a) Individuare il contributo dei singoli lavoratori in un lavoro
di team può essere difficile e/o arbitrario, come abbiamo visto;
b) Sempre in un lavoro di team, l'incentivazione individuale
riduce la propensione dei lavoratori a collaborare fra loro;
c) I lavoratori, interessati solo alla massima produzione nel
breve periodo, possono essere trascurati nei confronti degli
1
R. Coase, The nature of the firm, "Economica", 1937.
2
impianti e delle caratteristiche qualitative che non compaiono
nella misurazione dell'output;
d) Soprattutto, la retribuzione a cottimo fa sì che il lavoratore
sopporti interamente il rischio dei periodi in cui la domanda è
bassa. Il lavoratore normalmente è più avverso al rischio
dell'impresa; per semplicità supponiamo che il lavoratore lo sia e
l'impresa no. Ciò vuol dire che al lavoratore non basterà
semplicemente compensare il basso reddito dei periodi di scarsa
domanda con l'alto reddito di quelli di alta domanda; vorrà di
più. Al padrone converrà quindi cercare una struttura di salario
che stabilizzi il salario lungo il ciclo (si vedano gli esercizi 5
e 6).
4. Seguito. Un contratto di lavoro quindi è composto di solito di
tre elementi, con pesi diversi a seconda delle situazioni:
a) una componente fissa, che non dipende dalla produzione;
b) una componente variabile legata alla performance del singolo
lavoratore;
c) una componente variabile, legata alla performance dell'impresa
o del reparto.
Se mettiamo insieme b e c, possiamo più semplicemente dire che
un contratto di lavoro si basa su due elementi: il tempo di lavoro
e la produzione del lavoro.
Il peso delle tre componenti varia da caso a caso. Nel caso di
un rappresentante di commercio, per esempio, la componente b è la
più importante, ma di solito è presente anche la componente a, per
evitare che le provvigioni debbano essere troppo alte per
compensare del rischio. Nel caso del cosiddetto lavoro operaio
"alla catena" la componente a è di gran lunga la più importante,
in quanto il lavoro è facilmente monitorabile. la componente b è
però presente, sotto forma di cottimo, per motivare il lavoratore
a lavorare con ritmi più intensi (è questo il motivo per cui la
retribuzione a cottimo è spesso giudicata quella più propizia allo
sfruttamento dei lavoratori), e lo è anche la componente c, al
fine di mantenere un buon "clima" in fabbrica. In molti casi in
cui i risultati del lavoro dipendono dalla prestazione del gruppo
(imprese di servizi
qualificati, per esempio) la componente c è
particolarmente importante.
5. Contratto di lavoro e tecnologia. Essenzialmente, quindi, ciò
che determina il peso delle diverse componenti della retribuzione
è la tecnologia del lavoro da svolgere. Esiste però anche qui un
conflitto di interessi fra padrone e lavoratori. Il padrone sarà
interessato a legare il più possibile la retribuzione alla
prestazione, con il vincolo di non pagare troppo per l'avversione
al rischio e per gli altri effetti negativi della retribuzione a
cottimo, mentre i lavoratori saranno interessati a massimizzare la
retribuzione a tempo, meno rischiosa e meno propizia allo
sfruttamento. Ne consegue che quale sarà il peso delle componenti
3
della retribuzione dipenderà anche
relativo dei padroni e dei lavoratori.
dal
potere
contrattuale
6. Efficienza dei contratti di lavoro. Abbiamo visto più sopra che
c'è un interesse comune del lavoratore e dell'impresa alla
stipulazione di contratti impliciti self-enforcing. Infatti, entro
certi limiti che vedremo subito il lavoratore ha interesse a dire
al padrone "lavoro di più se mi paghi di più" e il padrone ad
accettare; ma questo accordo non è sovente esplicitabile in un
elenco di mansioni o di prestazioni, in quanto questo "di più"
consiste tipicamente nel mettere più iniziativa, più attenzione,
ecc. - tutte cose difficilmente misurabili. Ciò che garantisce il
contratto è il fatto che se il lavoratore lascia il lavoro
guadagna di meno, e se il padrone deve sostituire il lavoratore
guadagna di meno; a entrambi quindi conviene rispettare il
contratto, anche senza obblighi formali. Il limite inferiore del
contratto (il minimo che il padrone deve pagare) è quindi la somma
che fa sì che il lavoratore non trovi un lavoro migliore altrove,
e il limite superiore (il massimo che il lavoratore può ottenere)
è la somma tale per cui ciò che rende al padrone superi quanto il
padrone può ottenere sostituendolo. Entro questi limiti, ogni
accordo è efficiente.
7. Ancora sui salari efficienza. L'intero ragionamento del
paragrafo precedente poggia sull'assunzione che la produttività
cresca con la retribuzione;
e in effetti sia la teoria che gli
studi empirici confermano questo risultato, che abbiamo introdotto
nella lezione 4. Abbiamo visto i motivi di ciò. In primo luogo,
un'impresa che offra salari più alti può attirare un'offerta di
lavoratori potenziali più ampia fra cui scegliere; non solo, ma ci
saranno lavoratori potenziali bravi che non si offrirebbero a un
salario più basso, avendo più occasioni altrove. Questo riguarda
l'assunzione dei lavoratori: salari più alti consentono di
assumere i migliori. Ci sono però anche quattro motivi che
riguardano i lavoratori già assunti. Il primo è che se la paga è
più alta, i lavoratori sanno che se si comportano male e perdono
il lavoro perdono appunto una paga più alta. Il secondo, più
importante, è nella forma di un circolo virtuoso. Sapendo che il
lavoratore non se ne andrà, l'impresa ha interesse a investire
nella sua formazione, e in generale a "fargli fare carriera"; e il
lavoratore sa che se se ne va rinuncia a tutto ciò; quindi avrà
meno incentivi ad andarsene, e così via. Il terzo è forse il più
importante di tutti, ma difficile da valutare: la gente è disposta
a lavorare più è
meglio se ritiene di essere trattata in modo
"fair".
Un
contratto
esplicito
esclude
per
sua
natura
considerazioni di fairness; mentre un contratto implicito che
offra "una paga alta a chi lavora tanto" può indurre per ciò
stesso i lavoratori a lavorare tanto. Questo è un dato empirico di
notevole importanza; il fatto che gli economisti non abbiano
ancora trovato una spiegazione teorica non deve indurre a
4
trascurarlo2.
Infine, come abbiamo già suggerito, un lavoro più
costoso induce a una maggiore attenzione nell'uso di tutte le
risorse.
Il risultato di tutto ciò è che dobbiamo abbandonare lo schema
semplice in cui c'è un lavoratore con una produttività marginale
cui viene offerta una retribuzione pari ad essa; la produttività
cresce con la retribuzione, e quindi il padrone offrirà (in linea
di principio) quella paga che
eguaglierà la produttività
marginale, tenendo conto degli effetti della paga stessa. Poiché
parte degli effetti riguardano i lavoratori già assunti, al
padrone converrà aumentare la paga dei lavoratori in forza
rispetto a quelli entranti. In altri termini, i lavoratori anziani
saranno pagati più di quelli entranti.
8. Conseguenze dei salari efficienza: disoccupazione involontaria.
Le conseguenze di tutto ciò sono rilevanti soprattutto sotto due
aspetti. In primo luogo, i salari efficienza sono una delle
possibili
spiegazioni
dell'esistenza
di
disoccupazione
involontaria.
Infatti,
nel
modello
neoclassico
la
piena
occupazione era garantita dalla concorrenza fra lavoratori
potenziali. Risulta ora invece che la concorrenza non può fare
ridurre i salari oltre un certo limite, e a quel livello non c'è
motivo che ci sia piena occupazione, come risulta dalla figura 1.
Figura 1: Salario efficienza e disoccupazione
Nella fig. 1, il salario efficienza We determina una
disoccupazione pari a Ls - Ld. Questa disoccupazione è per
definizione involontaria, in quanto esistono lavoratori che
sarebbero disposti a lavorare a quel salario (in effetti, anche a
un salario inferiore) ma che ciononostante non vengono assunti.
Questo è particolarmente vero nei periodi di crisi: i padroni
La letteratura su questo tema è vasta, interessante e in rapida espansione.
Buoni punti di partenza
sono G. A. Akerlof e J. Yellen, The fair-wage
hypothesis and unemployment, Quarterly journal of economics, maggio 1990, e E.
Fehr e S. Gatcher, Fairness in the Labour Market, a Survey of Experimental
Results, in F. Bolle e M. Lehmann-Waffenschmidt (a cura di), Surveys in
Experimental Economics, Physica Verlag, 2001.
2
5
terranno i lavoratori migliori, e quindi la concorrenza dei
lavoratori esterni può essere efficace solo se accettano un
salario molto inferiore, il che porta facilmente il punto di
equilibrio al disotto della retta Y della lezione precedente.
L'evidenza empirica sembra suffragare l'importanza dei salari
efficienza sulla disoccupazione, e su ciò torneremo nella parte
macroeconomica.
9. Conseguenze dei salari efficienza: differenze salariali. In
secondo luogo, l'importanza dei salari efficienza è diversa a
seconda del tipo di impresa. Possiamo aspettarci che sia massima
(e quindi che si abbiano salari più alti) nelle imprese in cui
contano molto fattori come la motivazione del lavoratore, il suo
impegno, la sua iniziativa, eccetera, e meno dove il lavoro è più
standardizzato e monitorabile. Questo spiega perché tipicamente le
relazioni
di
lavoro
(orari,
mansionario,
distribuzione
di
responsabilità, ecc.) tendono a essere più informali col crescere
della qualifica media del gruppo di lavoratori interessato.
10.
Il ciclo della retribuzione.
Abbiamo visto che sovente è
interesse tanto del lavoratore che dell'impresa stipulare un
accordo (tipicamente implicito) che stabilisca che il
contratto
di lavoro sia di lunga durata. Il lavoratore può così contare su
una
carriera,
e
per
l'impresa
ha
senso
investire
nella
preparazione e nella qualificazione del lavoratore. C'è un altro
elemento che interviene a far sì che ci sia un interesse a
contratti di lungo periodo, e cioè l'apprendimento. In
molti
casi, man mano che opera in un'impresa, un lavoratore diventa
sempre più esperto di quell'impresa, ma sempre meno delle altre.
Egli diventa quindi sempre più utile per l'impresa, ma anche
sempre più ricattabile, perché le sue conoscenze sono sempre meno
vendibili all'esterno. Il lavoratore quindi ha interesse a non
dedicare tutto il suo tempo alla formazione per l'impresa: parte
dovrà dedicarlo a mantenere delle qualifiche "di riserva"; a meno
che l'impresa non gli garantisca un impiego di lunga durata.
11. Il rispetto del contratto implicito e l'anzianità. Cosa è che
garantisce che le due parti rispettino il contratto implicito del
paragrafo
precedente?
Per
quanto
riguarda
l'impresa,
essenzialmente
la
reputazione:
se
licenzia
lavoratori
in
violazione del contratto implicito, avrà poi molte difficoltà a
ottenerne il rispetto da parte di altri lavoratori. Per quanto
riguarda i lavoratori, soprattutto la struttura temporale delle
retribuzioni, che ora discuteremo. La sostanza del discorso, come
è intuibile, è che tipicamente un contratto di lavoro prevederà
retribuzioni iniziali più basse (e quindi più basse della
produttività marginale in termini di valore) e retribuzioni finali
più alte, più alte anche della produttività marginale. E' anche
intuibile che in linea di principio l'andamento temporale delle
6
retribuzioni dovrebbe essere tale da far sì che lungo tutto il
periodo (il cosiddetto ciclo viale del lavoratore) la somma,
opportunamente attualizzata del
costo del lavoro sia pari al
ricavo a lui attribuibile (chi non fosse familiare con l'idea di
attualizzazione consulti l'appendice a questa lezione). La
situazione è illustrata nella figura 2.
Figura 2: L'andamento della retribuzione in funzione
dell'anzianità
Nella figura 2, il lavoratore è assunto al tempo 0, e la sua
produttività marginale in termini di valore è inizialmente
crescente (man mano che perfeziona il suo apprendimento) e quindi
-supponiamo- costante; potrebbe essere sempre crescente, in caso
di apprendimento costante, o anche calante, se l'anzianità rende
il lavoratore inadeguato. Ciò non ha qui importanza. Il salario
invece è sempre crescente, ed è inferiore alla produttività fino a
un certo punto, e quindi superiore. Si noti che l'area cde deve
essere maggiore dell'area abc, in quanto il contratto
che
prevede,
implicitamente
o
esplicitamente,
questo
andamento
temporale è proposto al tempo 0, e i flussi futuri vengono
scontati di più (si veda nel caso l'appendice). Al tempo t*,
generalmente implicito, il contratto ha termine: idealmente, t* è
l'età della pensione. Questa struttura temporale è quella propria
del "modello giapponese" classico o del "modello FIAT" fino alla
fine degli anni sessanta del secolo scorso: il lavoratore assunto
alla FIAT sapeva che poteva restarci tutta la vita, se si
comportava bene; ed avere accesso alle colonie e alla scuola FIAT
per i figli, all'assistenza mutualistica aziendale, e così via. La
paga era bassa, ma una vita più o meno dignitosa era assicurata.
Questo modello è andato in crisi da un quarto di secolo circa.
Perché?
12. Anzianità e tecnologia.
Nel paragrafo precedente abbiamo
implicitamente supposto che sia il lavoratore che l'impresa
abbiano un orizzonte abbastanza lungo da consentire dei contratti
7
impliciti o espliciti che durano molto tempo. Questo può essere
vero o meno, e in ultima analisi dipende dalla tecnologia in senso
lato, quella che Marx definiva "livello delle forze produttive".
In un periodo di rapidi cambiamenti tecnologici, quale quello
attuale, ciò è più difficile che in un periodo più statico:
un'impresa non sa che prodotti farà fra qualche anno, non sa di
che capacità avrà bisogno, non sa dove saranno localizzati gli
stabilimenti, ecc. Stipulare dei contratti di lavoro con un
andamento temporale del tipo di quello descritto può essere molto
rischioso per l'azienda (se il contratto è esplicito) o per il
lavoratore (se è implicito) se il lavoratore diventa obsoleto. In
queste condizioni la contrattazione è assai più difficile e
turbolenta. Parte dell'enfasi posta dai padroni in questa fase
sulla flessibilità, di cui diremo, dipende anche dalla necessità
di creare un clima favorevole alla rinegoziazione di contratti del
tipo qui descritto, sostituendo lavoratori più giovani (e che
possono essere pagati meno) a lavoratori più anziani che
hanno
accumulato competenze in realtà obsolete.
13. Seguito. Prima di abbandonare l'argomento, è bene ricordare
ancora che la necessità di vincolare il lavoratore all'impresa e
viceversa non è l'unica motivo per cui le retribuzioni tendono a
crescere in funzione dell'anzianità. Se ne possono individuare
altri tre, e cioè:
a) man mano che il lavoratore impara, la sua produttività
marginale cresce, e cresce quindi anche la sua retribuzione;
b) l'apprendimento del lavoratore richiede investimenti nella sua
formazione. Il lavoratore non sarà disposto a sostenerli a meno
che non venga in qualche modo garantito che l'investimento verrà
ricompensato;
c) le esigenze dei lavoratori crescono con l'età (nel corso del
suo ciclo di vita un lavoratore può smettere di vivere con i
genitori, dovere mantenere dei figli, dovere mantenere dei
genitori
anziani:
ogni
volta
le
sue
esigenze
aumentano,
soprattutto se il sistema di welfare funziona male). Se l'impresa
vuole motivare il lavoratore a un contratto di lunga durata, deve
tenere conto di ciò.
Ora, tutte e tre queste caratteristiche perdono rilevanza (per
l'impresa) in un regime di rapido cambiamento tecnologico, e
quindi la loro considerazione rafforza quanto abbiamo detto più
sopra a proposito della flessibilità.
14. La tassazione del lavoro dipendente e l'equilibrio del mercato
del lavoro. Come si è già sottolineato, il costo del lavoro
dipendente rilevante per la domanda di lavoro è il salario lordo,
mentre quello rilevante per l'offerta di lavoro è il salario
netto3. La differenza fra i due è rilevante: in Italia, fatto 100
Ricordo che in realtà quanto appena scritto è corretto dal punto di vista
economico, ma non da quello della terminologia correntemente impiegata. La
grandezza rilevante per la domanda di lavoro è il costo del lavoro, che
3
8
il costo del lavoro il salario netto è pari circa a 50, gli oneri
a carico dei lavoratori, composti in parti più o meno eguali da
ritenute fiscali e previdenziali, circa a 20, e quelli a carico
del datore di lavoro circa a 304. Questo solleva due problemi:
Quale è l'effetto della differenza fra i due costi sull'equilibrio
del mercato del lavoro? E chi paga effettivamente le imposte e i
contributi?
L'equilibrio del (o meglio, di un) mercato del lavoro si ha là
dove il ricavo marginale, espresso dalla curva di domanda, è pari
al costo marginale, espresso dalla curva di offerta. Ragionando in
questi termini, è evidente che la curva di offerta rilevante per
l'equilibrio è quella relativa al salario lordo. Essa (SL nella
figura 3) passa più in alto di quella del salario netto (SN):
infatti, in corrispondenza di ogni valore del salario netto ci
sarà una determinata offerta di lavoro, ma ad essa corrisponderà
un salario lordo più alto di quello netto. L'equilibrio si avrà
perciò in corrispondenza di una quantità di lavoro (e di un
salario netto) più bassi di quelli che si avrebbero se non ci
fossero ritenute previdenziali e fiscali, l* e wn* anziché l° e
wn°.
Figura 3:
Equilibrio del mercato del lavoro, nuova versione
Il fatto che la tassazione riduca l'occupazione a livello di
impresa, ovviamente, non dimostra che sia sbagliato tassare i
redditi da lavoro: la perdita di occupazione a livello aggregato
va infatti commisurata al guadagno dovuto all'utilizzo dei
proventi della tassazione. Il discorso tuttavia può essere un po'
comprende il salario lordo
e gli oneri a carico del datore di lavoro.
Qui
comunque useremo la terminologia economica, e chiameremo salario lordo il costo
del lavoro.
4 Questo dato va preso come ordine di grandezza. A livello di Unione Europea
(escludendo le ultime adesioni), si può assumere (nuovamente solo come ordine di
grandezza) che il salario netto sia normalmente intorno al 50% del costo del
lavoro, mentre il peso relativo delle altre due voci è piuttosto variabile.
9
approfondito distinguendo fra contributi destinati alla previdenza
per il lavoratore da una parte e contributi di solidarietà e tasse
dall'altra. In linea di principio, i primi possono essere
ragionevolmente assimilati al salario netto; mentre per i secondi
l'effetto disincentivante può effettivamente essere ridotto con
opportune politiche, per esempio imponendo contributi a carico
dell'imprese commisurati non al salario lordo ma al valore
aggiunto o al fatturato, in modo da non disincentivare l'uso del
fattore lavoro5.
15. La tassazione del lavoro: chi paga le tasse. Chi paga le
imposte sul lavoro? A prima vista, i padroni e i lavoratori pagano
ciascuno i contributi a loro carico; in realtà, però, i padroni
possono cercare di rifarsi riducendo i salari, e i lavoratori
aumentandoli, cioè traslando i maggiori costi. L'esito dipenderà
dall'elasticità relativa della domanda e dell'offerta di lavoro.
Supponiamo (figura 4) che la domanda sia rigida e l'offerta sia
elastica, cioè, semplificando, che i padroni abbiano molto bisogno
dei lavoratori e i lavoratori abbiano alternative valide su un
altro mercato. In tal caso, come risulta dalla figura, il salario
netto è quasi eguale a quello che si avrebbe in assenza di
tassazione, e la perdita di occupazione è minima.
Figura 4: Domanda rigida, offerta elastica
L'imposta è infatti pagata dai padroni: il gettito complessivo è
dato da (wl-wn) moltiplicato per la quantità di lavoro individuata
dalla
linea
rossa,
ma
i
lavoratori
pagano
solo
(w*-wn)
moltiplicato per tale quantità.
Se invece la domanda di lavoro è flessibile, e l'offerta è
rigida, saranno i lavoratori a pagare, come si vede dalla figura
5. E' questa la situazione che si ha se le imprese sono sottoposte
a una forte pressione concorrenziale e i lavoratori hanno molto
bisogno di lavorare.
Il paese che più si è spinto su questa strada è probabilmente la Danimarca, a
quanto pare con buoni risultati.
5
10
Figura 5:
Domanda elastica, offerta rigida
In questo caso, infatti, senza tassazione la retribuzione
sarebbe
w*;
la
tassazione
determina
l'equilibrio
in
corrispondenza di wl, con i lavoratori che percepiscono solo wn e
versano
allo
stato
la
somma
corrispondente
al
rettangolo
individuato dall'ordinata (rossa) dell'equilibrio, da w* e da wn.
Si noti che la distanza fra le due funzioni di offerta è la stessa
nelle due figure.
16. Una conclusione generale. Invadendo un po' la parte di
macroeconomia, possiamo osservare come in Italia, e in generale in
Europa, il salario lordo è cresciuto molto, e più di quello netto,
nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, soprattutto
dopo la metà degli anni cinquanta. Il sistema di welfare si
espandeva rapidamente, e ci si trovava in un ambiente più simile
alla figura 4 che non alla figura 5, quindi l'onere gravava
soprattutto sui padroni. Quattro fattori hanno contribuito a ciò:
il lungo boom postbellico, la forza dei partiti di orientamento
marxista o cattolico favorevoli alla redistribuzione a favore dei
lavoratori, l'espansione dell'industria e quindi il crescente
potere dei sindacati più forti, quelli degli operai, e infine la
relativa debolezza della concorrenza internazionale. Tutto ciò
contribuiva evidentemente alla rigidità della domanda di lavoro. A
partire soprattutto dagli anni ottanta, tutti questi fattori sono
venuti progressivamente a mancare, e la situazione complessiva è
divenuta più simile a quella della figura 5. La domanda di lavoro
è diventata più elastica, e l'onere di pagare la parte non netta
del salario si è spostato progressivamente sui lavoratori; e
infatti la crescita del salario lordo si è accompagnata,
soprattutto negli ultimi anni e soprattutto in Italia, a una
stagnazione o a una riduzione del salario netto.
17. Il salario minimo garantito. Come abbiamo visto, se il salario
viene stabilito dal mercato del lavoro nulla garantisce che il che
il suo valore sia sufficiente, nel doppio senso di consentire al
11
lavoratore una vita dignitosa e di corrispondere agli standard
minimi che la società ritiene debbano essere garantiti ai
lavoratori6. Per ovviare a ciò, in alcuni paesi esiste un salario
minimo sotto il quale la retribuzione non può scendere. Ciò
solleva un problema: quali sono gli effetti del salario minimo
sull'occupazione?
Cominciamo dal primo. Si ammette generalmente che gli effetti
disincentivanti
sull'occupazione
del
salario
minimo
siano
presenti, ma molto limitati. Il motivo di ciò è triplice. In primo
luogo, questo salario è appunto minimo, e i contratti di lavoro
"normali" fissano retribuzioni superiori. Quindi la platea di
lavoratori interessata è limitata. In secondo luogo, per alcune
categorie di lavoratori marginali, soprattutto per i giovani,
esistono contratti specifici che consentono condizioni di favore
(apprendistato, contratti di formazione-lavoro, ecc.) grazie
di
solito a contributi pubblici, il che consente di fatto di aggirare
il vincolo del salario minimo; e infine per molti lavoratori
marginali assunti "in nero" il vincolo è violato illegalmente, ma
dato il regime complessivo di illegalità
della prestazione di
lavoro l'effetto disincentivante di questa nuova violazione è
limitato.
Per questi stessi motivi, tuttavia, il salario minimo è sovente
uno strumento poco efficace: se il salario di equilibrio è al
disopra di esso, lo strumento è largamente inutile; e se è al
disotto, la pressione dell'offerta di lavoro tenderà a far sì che
il vincolo sia violato7.
Abbiamo già ricordato che la Costituzione italiana impone che questo vincolo
sia rispettato.
7A titolo di esempio, riporto parte dell'abstract
di S. Bezen, The Impact of
the Regulation of Low Wages on Inequality and Labour-Market Adjustment: A
Comparative Analysis, Oxford Review of Economic Policy, 1, 2000:
"In all
continental European countries there exist non-market mechanisms that determine
or "regulate" wage rates for the low-paid. We consider the experience of three
countries that have national minimum wages France, Belgium, and the Netherlands-and three where low wage rates are determined through widespread collective
bargaining--Germany, Italy, and Denmark. We find that overall there is less
inequality (both wage and income) and less poverty than in the United Kingdom
and the United States, where low wages are less regulated. Furthermore, patterns
of labour-market adjustment--employment, unemployment, and gross job flows--vary
greatly, suggesting that there is no one-to-one mapping between the presence of
mechanisms to regulate low wages and labour-market performance. Furthermore,
wage shares have been falling since the early 1980s. It is therefore difficult
to attribute high and persistent rates of unemployment found in certain
countries to the existence of mechanisms to 'regulate' low wages".
6
12
Esercizi
1.
Supponiamo che una data impresa occupi due tipi di lavoratori, A e B,
secondo la funzione di produzione (in termini di valore) Y = XL(A)aL(B)b, dove
L(.) indica la quantità di lavoro di quel tipo utilizzata. Se a = 0.7, b = 0.6,
il salario unitario lordo dei lavoratori di tipo A è 10, quello dei lavoratori
di tipo B 8 e X vale 1, quante unità saranno chieste di A e quante di B?
2. Con riferimento ai dati dell'esercizio precedente, supponiamo che il salario
del tipo A aumenti del 10%. Come varia la domanda di L(A)? E quella di L(B)?
3. Sempre con riferimento ai dati dell'esercizio 1, supponiamo ora che
l'elasticità parziale di Y rispetto a L(A), cioè a, aumenti del 10%. Come varia
la domanda di L(A)? E quella di L(B)?
4. I mastri scalpellini che costruivano le antiche cattedrali sovente
scalpellavano direttamente la pietra dalla cava, o dal masso trasportato in
prossimità del cantiere, e la montavano da soli là dove andava collocato. Questo
tipo di lavoro si presta particolarmente o no alla retribuzione a cottimo?
5. La funzione di utilità per il reddito di un dato lavoratore è U = Y 0.5. Egli
sa, per esperienza passata, che se viene pagato ogni mese in base a quanto
rende, guadagnerà 100 se le cose vanno bene, ma solo 10 se vanno male, e che
normalmente in un anno ci sono sei mesi in cui le cose vanno bene e sei in cui
vanno male. Si verifichi che un contratto che preveda invece un pagamento di 50
tutti i mesi, indipendentemente dal risultato, conviene sia al lavoratore che al
padrone. (Note: supponiamo per semplicità che il tasso di sconto sia 0; ma è
bene vedere l'appendice. Inoltre, ricorderete -spero- che una funzione di
utilità del tipo U = Ya implica avversione al rischio quando a è compresa fra
zero e uno).
6. Cercate di spiegare, intuitivamente, perché il lavoratore è più avverso al
rischio dell'impresa.
7. In una delle scene iniziali del film Fist, che si svolge negli USA durante la
grande depressione degli anni 30, Sylvester Stallone, un lavoratore poco
qualificato da poco immigrato, viene licenziato sui due piedi senza che il
padrone si preoccupi di sostituirlo. Spiegate perché questo comportamento non è
in contrasto con la discussione dei contratti impliciti del par. 6.
8. A seguito del suo licenziamento, Stallone diventa sindacalista (del sindacato
camionisti) e propone ai padroni un accordo in base al quale il sindacato si
impegna a non sabotare i camion in cambio di un aumento di stipendio. Questo
accordo può essere considerato un contratto implicito?
9. Sia la funzione di domanda di lavoro Ld = 100 – 0.1wl, e quella di offerta Ls
= –20 + 1.9wn. Il salario netto è il 75% di quello lordo. Quanto valgono in
equilibrio L, wl e wn? In corrispondenza dell’equilibrio, la domanda è elastica?
E l’offerta?
10.
Con
riferimento
all’esercizio
precedente:
quale
è
il
gettito
fiscale/contributivo? Quanto paga ogni unità di lavoro? Quanto pagano i
lavoratori complessivamente? Quanto pagano gli imprenditori? Quanto vale la
perdita di occupazione dovuta alla tassazione?
11. In regime di globalizzazione, le imprese multinazionali hanno maggiori
possibilità di decentrare la loro produzione. Ciò porta al cosiddetto dumping
fiscale sul mercato del lavoro, cioè alla tendenza da parte dei vari paesi di
attrarre la produzione (e quindi aumentare l'occupazione) riducendo le imposte
sul lavoro. Verificate graficamente che questa politica è in effetti efficace.
12. Cercate dei dati che confermino (o smentiscano) quanto scritto nel par. 16.
13
13. Cercate dei dati sulla legislazione dei vari paesi europei in materia di
salario minimo.
14. Usando il sito www.repec.org, cercate degli studi empirici che riportino
dati sugli effetti del salario minimo sull'occupazione.
Soluzioni
1. Bisogna impostare un sistema di due equazioni in due incognite, eguagliando
le produttività marginali al salario.
4. Si; e infatti su molte costruzioni medievali sono ancora visibili i simboli
con cui i lavoratori "firmavano" le pietre che collocavano.
5. Che convenga al datore di lavoro è ovvio, visto che spenderà 600 invece di
660. Un reddito di 50 al mese darà al lavoratore un'utilità di 7.07, mentre
l'altra soluzione darà un'utilità attesa di 6.58.
6. L'impresa può ricorrere
facilmente di un lavoratore.
al
credito
e
all'accumulo
di
scorte
molto
più
7. Il lavoratore licenziato è addetto a mansioni molto semplici, e ci sono molti
disoccupati; quindi è facilmente sostituibile, e il padrone non ha bisogno di
offrire un contratto implicito per evitare che se ne vada.
8. Si.
9. wl = 78.688,
elastica.
wn
=
59.016,
L
=
92.131.
La
domanda
è
rigida,
l'offerta
10. 1812.4; 0.984; 90.656; 1721.7; 1.87. Per calcolare questi valori (tranne il
primo) bisogna calcolare l'equilibrio che si avrebbe senza tassazione.
11. Costruite un grafico di equilibrio con tassazione, e guardate cosa succede
se la domanda diventa molto elastica (che è l'effetto della globalizzazione). Si
noti che questa politica di dumping è a tutti gli effetti una strategia non
cooperativa in un dilemma del prigioniero.
14
Appendice. Lo sconto dei valori futuri.
In generale, se ammettiamo che un reddito futuro valga meno di
un reddito odierno, possiamo dire, indicando il valore del
reddito con X, che
VA =
aX1
dove "eguale" significa in questo caso "ha per lo noi lo stesso
valore di" e a è un fattore di sconto ovviamente minore di 1.
Questa relazione significa quindi che "per ottenere il valore
che ha per noi oggi, cioè al tempo 0, una grandezza X ottenuta
al tempo
1, occorre moltiplicare tale grandezza per il
fattore
di sconto a"; o, che è lo stesso, che il valore attuale di
un reddito X ottenuto al tempo 1 è dato da aX. Per esempio, se
X vale 100 e a 0.9, 100 lire al periodo 1 valgono per noi, oggi,
90 lire.
Poniamoci ora la domanda: quanto varrà per noi al tempo 1 un
reddito X ottenuto al tempo 2? La risposta sarà aX; avremo cioè
che
VA1
= aX2
nell'ipotesi, tutt'altro che ovvia ma comunemente accettata, che
il fattore di sconto a sia costante. La relazione precedente può
essere letta come segue: "al tempo 1 saremo indifferenti fra
ricevere VA(1) lire subito o un titolo di credito per X lire
esigibile
al tempo 2". Allora, quanto varrà al tempo 0 un
reddito X ottenibile al tempo 2? La risposta è a²X. Infatti,
questo reddito varrà al tempo 1 aX; e un reddito aX al tempo 1
varrà aaX al tempo 0. Per esempio, se X vale 100 e a 0.9, VA
varrà 81: per noi sarà lo stesso ricevere 81 lire oggi o 100 al
periodo 2.
Possiamo ora porci il problema seguente: quanto varrà oggi
un
flusso di redditi formato da X lire al periodo 1 e Y lire al
periodo 2, se il fattore di sconto è a? La risposta sarà
ovviamente data da
VA = aX + a²Y
per esempio, se X = 100, Y = 200 e a= 0.8, questo flusso di
redditi
varrà
per noi oggi 80 + 128 = 208
lire.
La
generalizzazione della formula precedente al caso di più di due
periodi è allora ovvia: in generale, il valore di un flusso di
redditi futuri sarà dato da
[1]
n
VA =  (anXn)
t=1
15
sarà cioè pari alla somma dei singoli redditi che costituiscono
il flusso, ciascuno moltiplicato per il fattore di sconto elevato
al periodo cui il flusso si riferisce.
Fra
parentesi, dovrebbe essere chiaro a questo
punto
perché
l'anno iniziale viene di solito definito anno 0: i flussi di
quell'anno devono restare inalterati (sono percepiti o pagati
subito). L'applicazione della formula [1] deve perciò lasciare il
valore inalterato, e ciò si verifica se n=0.
Di solito, il fattore a viene scritto come 1/(1+r), dove r è
il saggio di sconto o di
preferenza intertemporale. Questa
formulazione, equivalente ma apparentemente più
complicata,
consente il rapido calcolo del valore del flusso se t è infinito:
il limite della sommatoria
n
 [1/(1+r)t]
t=1
per n che tende all'infinito vale infatti semplicemente 1/r.
Inoltre, in questa formulazione risulta evidenziato r, che è una
grandezza di notevole importanza, essendo qualcosa di molto
simile a un tasso di interesse.
16