RICERCA INTERCULTURALE E PROCESSI DICAMBIAMENTO
CAP.13 LAVORARE IN UNA COOPERATIVASOCIALE: ATTEGGIAMENTI DEGLI
OPERATORI VERSO GLI IMMIGRATI ED EFFETTI“IROCINI” DEL SOSTEGNO
ISTITUZIONALE. Vezzali e Giovannini.
Il fenomeno dell'immigrazione è rilevante per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese ed è
quindi necessario favorire i processi di integrazione attraverso la riduzione del pregiudizio.
La ricerca analizzata in questo capitolo si è quindi posta l'obiettivo di esaminare atteggiamenti
impliciti ed espliciti nei confronti degli immigrati da parte di lavoratori italiani di una cooperativa
sociale che eroga servizi per gli immigrati. Questo perché gli atteggiamenti di coloro che operano in
queste cooperative dovrebbero essere improntati alla tolleranza,ma non sempre vi è corrispondenza
fra valutazioni consapevoli e inconsapevoli. Spesso infatti i giudizi positivi sono dovuti alla
desiderabilità sociale e alla presentazione di un'immagine di sé positiva, mentre in realtà esprimono
in maniera implicita atteggiamenti negativi. Gli atteggiamenti impliciti, rilevati con tecniche
indirette, sono attivati dalla mera presenza dell'oggetto di atteggiamento, sono automatici e meno
influenzati da bias di autopresentazione.
Lo studio è stato svolto nell'ambito di una cooperativa sociale di Reggio Emilia che si occupa di
servizi sociali rivolti agli immigrati favorendo l'inserimento di quest'ultimi nella comunità
territoriale in una prospettiva di reciproca integrazione. Essa promuove e gestisce servizi relativi a
bisogni primari quali vitto, pernottamento o primo alloggio,accoglienza ai minori e inserimento
scolastico. In tale contesto atteggiamenti negativi o ambivalenti verso gli immigrati potrebbero
pregiudicare non solo la qualità del servizio offerto ma anche le opinioni degli immigrati rispetto
agli atteggiamenti italiani nei loro confronti.
Si è partiti dall'ipotesi che il contatto cooperativo positivo ed amichevole riduca sia il pregiudizio
implicito che quello esplicito solo quando il sostengo istituzionale percepito è moderato e che tali
effetti siano mediati dall'ansia intergruppi. Sono stati coinvolti nella ricerca tutti i 44 lavoratori tra
cui 33 italiani e 11 stranieri di età compresa tra i 20 e i 45anni circa.
Per la rilevazione degli atteggiamenti impliciti i partecipanti hanno completato individualmente alla
presenza di un ricercatore l' Implicit Association Test (IAT)e poi rispondevano ad un questionario
che includeva misure di contatto cooperativo, sostegno istituzionale, ansia intergruppi e ingroup
bias esplicito. L’Implicit Association Test è uno strumento che è stato sviluppato da Tony
Greenwald e dai suoi collaboratori (Greenwald, McGhee e Schwartz, 1998) per studiare la forza dei
legami associativi tra concetti rappresentati in memoria.Lo IAT viene somministrato attraverso il
computer. Consiste in una serie di prove di categorizzazione: in ciascuna di queste prove, al centro
del monitor compare uno stimolo e al partecipante viene chiesto di classificarlo, il più velocemente
ed accuratamente possibile. Gli stimoli sono generalmente parole oppure immagini e appartengono
a quattro diverse categorie. Due di queste categorie rappresentano dei concetti, mentre le altre due
rappresentano due attributi opposti bipolari. Ogni volta che uno stimolo appare sul monitor, il
rispondente lo deve ricondurre alla categoria di riferimento. Un aspetto fondamentale dello IAT
consiste nel fatto che il partecipante ha a disposizione due soli tasti di risposta. Le prove dello IAT
sono suddivise in cinque blocchi. Tre di questi blocchi hanno una funzione di permettere al
rispondente di apprendere le modalità di risposta, mentre i restanti due sono critici per l’indagine
delle associazioni d’interesse.
Dai risultati si può evincere, come ipotizzato, che il contatto è risultato associato a minore
ingroupbias esplicito ed implicito e a ridotta ansia quando il sostegno normativo percepito era
moderato ma non quando era alto. Questo aspetto “ironico” è dovuto al fatto che dove viene
promossa in maniera forte l'uguaglianza sociale i soggetti sono maggiormente posti a pressioni di
desiderabilità sociale. Questo però non vuol dire che non sia opportuno promuovere norme di
uguaglianza ma che questo non deve avvenire in forma elevata in quanto se fosse così un elevato
livello di identificazione ai valori della cooperazione così come un'elevata motivazione alla
desiderabilità sociale inibisce gli effetti del contatto.
Possiamo concludere affermando quindi che il contatto riduce il pregiudizio implicito per quelli che
percepiscono moderato sostegno normativo perché limita l'ansi provata verso gli immigrati.
IVANA VASTOLA N65/431