Ebbro d’amore Eravamo seduti uno di fronte all’altro, io e lui, il mio cuore batteva forte mentre il chiarore lunare lottava contro le ombre della notte illuminando il mio volto impaziente, pronto a modellare le labbra per pronunciare quello che il mio cuore agognava di dire. Sorseggiavamo un liquoroso vino d’annata, era un rosso e si accoppiava compiutamente con la piccola cacciagione che offriva questo ristorante in riva al mare. Le onde, sotto l’influenza della luna e increspate da un leggero zeffiro, sbattevano contro le rocce producendo un suono dolce e, allo stesso tempo, veemente come la passione che mi bruciava dentro. Non era facile aprire il mio cuore, ma esso era propenso, e voleva donarsi a lui. Il vino era dolce, vellutato, fresco come la brezza leggera che accarezzava i nostri capelli, lo guardavo intensamente e d’improvviso gli dissi “ Ti amo ”. L’emozione lo tramortì per un minuto, le mie parole lo colpirono come un fulmine che non era stato annunciato con solennità da alcun lampo. Non sapevo se lui provasse le mie emozioni, se erano uguali in tutto e per tutto a quelle che provavo io, ma non potevo più nascondermi, era passato troppo tempo oramai. Eppure lui taceva. Continuavamo a gustare la piccola cacciagione a noi offerta mentre io continuavo attraverso un flusso di parole dense di pathos a esprimere quello che il mio cuore voleva “ so che può fare paura all’inizio, che tutto potrà sembrare difficile, ma mano nella mano mostreremo agli altri che l’amore sa vincere”. I suoi occhi si coprirono di lacrime. “ Vedi questo vino? ” gli chiesi, “impose un duro lavoro a chi lo produsse, oggi l’amore impone a noi un duro lavoro, accogliere quello che desideriamo essere, non siamo più amici, forse non lo siamo mai stati, siamo qualcosa di più”. Lui annuì. Ci servirono della frutta fresca, abbinata ad un bianco aromatico, i suoi occhi erano ebbri. Preso da un turbamento teneramente dolce gli dissi: “ Ricordi il giorno in cui di fronte ad una crostata di frutti di bosco mi dicesti che la tradizione impone che a una crostata dobbiamo abbinare un bianco?” Io non risposi perché le tue parole riflettevano esattamente quello che non volevo tu pensassi: ad una crostata abbiniamo un bianco, alla carne rossa un vino rosso, ad un aquila un aquila, ad un falco un falco, ad un uomo una donna. Li mi ammutolii, rotte le mie parole dal mio pianto, e rimasi a guardarlo, rimaneva fermo. Ad un certo punto prese la mia mano con la sua, fredda, congelata dall’emozione, e divenne tale anche la mia in quel preciso istante, forse perché non mi aspettavo nulla da lui, nè una parola, nè un bacio, nè una carezza, solo il peso del suo sguardo che mi condannava o mi assolveva. “Andiamo via da qui” mi disse con una voce calma, presto zittita da un soffio di vento, prese la bottiglia di vino piena a metà dal tavolo e mi portò tra gli scogli. Una leggera malinconia velò il mio cuore, preso ancora dal quel turbamento che poco a poco divenne timore, ma lui conscio dello stato d’animo in cui soggiornava il mio cuore mi invitò a sedermi accanto a lui, mi fissò per qualche istante e poi, ad un certo punto, prese il vino e lo versò delicatamente nel mare, goccia a goccia. Il mare tinse la sua superficie di rosso per qualche istante. “ Il mare è infinito” disse per poi tacere un istante “ modella le terre, crea i confini, fa vibrare le navi che lo solcano e ospita nel ventre suo milioni di creature, e né io nè tu potremo mai modificare il colore di quella superficie adesso sporca di rosso”. Posò un dito della sua mano sulla superficie del mare per poi tirarlo fuori ancora gocciolante, lo avvicinò alla mia bocca facendone cadere poche gocce sulle mie labbra, “ Vedi? Questo vino non muterà il suo sapore salato, eppure lo renderà testimone di un amore che nasce.” La luna brillava alta nel cielo, il vino insieme al mare s’infrangeva tra le onde mosse dal vento e le modellava, mentre la notte cullava me e lui in un mare di stelle.