SERGIO LETIZIA LO STATO NELLA CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA 1 9 4 6 I N D I C E IL MATERIALISMO STORICO.............................................................................. 3 SUL CONCETTO DI STATO ................................................................................. 9 GLI AGGREGAMENTI SOCIALI PRIMITIVI .................................................. 15 ORIGINE DELLO STATO ...................................................................................... 26 EVOLUZIONI E TRASFORMAZIONI DELLO STATO ................................... 35 LO STATO ANTICO O SCHIAVISTA .............................................................. 39 LO STATO FEUDALE........................................................................................... 44 LO STATO MODERNO RAPPRESENTATIVO O BORGHESE..................... 49 LO STATO NELLA SOCIETÀ SOCIALISTA .................................................... 53 B I B L I O G R A F I A ................................................................................. 66 IL MATERIALISMO STORICO Non esiste alcuna opera di Carlo Marx e di Federico Engels che possa definirsi appropriatamente ed esclusivamente filosofica; .tuttavia i numerosi scritti che di loro possediamo offrono la possibilità di avere una visione abbastanza chiara e completa, anche se rilevata frammentariamente, di quella concezione che va sotto il nome di materialismo dialettico o storico. Siffatta esposizione frammentaria ha, ovviamente, lo svantaggio di nuocere alla comprensione delle idee filosofiche dei due pensatori tedeschi, in quanto richiede una notevole facoltà di assimilazione e soprattutto una conoscenza abbastanza vasta di tutte le loro opere ed è per questo che, fra gli stessi seguaci di Marx, molti sono coloro che hanno tacciato il materialismo storico di incompletezza e più numerosi ancora coloro che, non avendone afferrato chiaramente i concetti basilari, hanno inteso superarlo con modificazioni, adattamenti ed errate interpretazioni, che lo hanno danneggiato più delle critiche frequenti e violente mosse dagli avversari. Ciò nonostante il materialismo storico resta ancora la sola teoria che offra una spiegazione scientifica e razionale dei fenomeni umani dal punto di vista sociale. Esso rappresenta il punto di arrivo nello svolgimento di tutto il pensiero materialistico in senso lato, che Marx libera dall'empirismo e munisce dell'arma irresistibile della dialettica. In questo senso la filosofia marxista si può ricollegare da una parte al materialismo precedente nella persona del suo ultimo rappresentante L.Feuerbach e dall'altro alla scuola hegeliana, della quale rigetta i metodi aprioristici e le premesse idealistiche. Luigi Feuerbach, sostituendo l'io individuale e sensibile all'io astratto degli idealisti,. che nel tentativo di superare il dualismo tra pensiero e essere avevano ridotto l'essere ad attributo del pensiero, ne capovolge il concetto e giunge ad affermare che non è il pensiero che determina l'essere, ma è l'essere che determina il pensiero. Feuerbach non si accorge tuttavia che l'uomo da lui analizzato e messo al posto di Dio nella realtà appartiene ad una forma determinata della società. Egli, in sostanza, idealizza l'uomo isolandolo in un momento del suo divenire, senza tener conto che, come afferma Marx, "l'essenza umana è l'insieme di tutti i rapporti sociali", i quali continuamente mutano, mutando con se stessi l'essenza umana. E Marx, modificando il concetto di Feuerbach, pone una delle pietre miliari della concezione materialistica della storia: "non è la coscienza degli uomini che determina la loro maniera d'essere, ma al contrario è la loro maniera sociale d'essere che determina la loro coscienza." Hegel, d'altra parte, gli offre con la sua dialettica la chiave per l'interpretazione dei fatti sociali ed umani: quella dialettica che si presenta come inutile strumento nelle mani dell'idealista tedesco che, ancorato alla concezione dell'idea demiurgo della realtà, non sa andare al di là dell'affermazione che tutto ciò che ' reale è razionale. Il materialista Marx trova che il pensiero conforme alle regole della logica formale è un caso particolare del pensiero dialettico e che l'affermazione hegeliana, valida per la cosa in se, il noumeno, sopprime nei fenomeni umani e sociali l'elemento del divenire, cristallizzando l'essere presente. Sorge così la nuova formula: "tutto ciò che è reale diviene irrazionale e viceversa". A questo punto Marx può essere in grado di affermare: "la dottrina materialistica, secondo cui gli uomini sono il prodotto delle circostanze e dell'educazione non tiene conto che le circostanze sono modificate precisamente dagli uomini e che lo stesso educatore deve essere educato." Ormai l'interpretazione dei fenomeni sociali ha il suo metodo materialistico e dialettico: l'uomo è prodotto e produttore. "Lo sviluppo tecnico, giuridico, filosofico, letterario, artistico, ecc, - afferma Engels in una sua lettera - poggia sullo sviluppo economico: ma tutti reagiscono insieme e separatamente l'uno sull'altro e sulla base economica." Uno dei difetti comuni del nostro secolo è la mania di voler sintetizzare cristallizzazioni le verbali, elaborazioni che del nella loro pensiero in inevitabile incompletezza mutilano i concetti e ne snaturano e travisano il contenuto. Così si è voluto condensare il materialismo storico ed esprimerlo nella elementare e troppo semplicistica affermazione che l'uomo è il prodotto dell'ambiente e che i fenomeni umani e sociali sono determinati esclusivamente dal fattore economico. Si è voluta prospettare, in una parola, la concezione marxista come una teoria nella quale fosse assolutamente superfluo inserire l'uomo considerato come attività pensante e cosciente. Questa presunta negazione dello spirito umano non poteva non ferire la sensibilità dei mortali nella stessa maniera in cui la ferì la volgarizzazione delle teoria darwininana con l'affermazione denigratoria che l'uomo deriva dalla scimmia. Eppure Engels aveva spiegato in termini chiari: "non esiste dunque un effetto automatico della situazione economica, come alcuni amano raffigurarsi per comodità. Sono gli uomini che fanno la storia, ma in un dato ambiente che li condiziona sulla base di dati rapporti effettivi. ".(lettera del 1894) E con ciò egli fa giustizia sommaria di tutte le speculazioni che si sono fatte e che si fanno intorno all'automatismo determinante del fatto economico. L'ambiente e con particolare importanza i rapporti economico agiscono sull'uomo, il quale ne prende coscienza modificandoli a sua volta. Tutto il progresso umano poggia su questo processo dialettico e la scienza e la storia, vieppiù che si estendono le nostre cognizioni, lo confermano. Se questa, è, quindi, la vera essenza del materialismo storico come dottrina della conoscenza, la deduzione principale che se ne può trarre è quella che l'uomo, per mezzo di questo processo di azioni e reazioni, tende, modificando continuamente l'ambiente, che risulta così progressivamente arricchito dei prodotti del suo pensiero e della sua attività, a far scemare nei suoi confronti l'influenza della dell'ambiente originario, quello fisico naturale, In sintesi l'uomo tende a dominare sempre più le forze della materia. Questa deduzione collima perfettamente con la più empirica constatazione dei dati di fatto esistenti. Da quanto sopra esposto risulta evidente ed occorre tener presente che, a differenza di quanto pretenderebbero alcuni, il materialismo storico non dà la spiegazione delle cause dei diversi fenomeni, ma la spiegazione del modo da seguire per scoprire queste cause. Ciò significa che l'interpretazione materialistica della storia ha soprattutto un valore metodologico. E se oggi, nel tentativo di spiegare tutti i fenomeni umani e sociali dei tempi passati e il loro svolgimento, esistono, specialmente nei dettagli, delle lacune, ciò non si deve imputare al materialismo storico e alla sua validità come dottrina della conoscenza, ma unicamente al fatto che spesso si ignorano i dati necessari perché possa aversi una rappresentazione oggettiva per lo meno approssimativa dei fenomeni stessi, in un dato momento della loro esistenza. SUL CONCETTO DI STATO Stato, secondo la concezione corrente, è ogni ordinamento giuridico territorialmente sovrano. A questa definizione crediamo che nessuno possa muovere obiezioni serie, anche perché essa, anche a corrispondere alla vera essenza dello Stato analizzato nel periodo storico, è generalmente accettata da tutti i giuristi, anche se appartenenti a scuole diverse e divergenti nei metodi e nell'indirizzo. Tutt'al più si potrebbe ad essa rimproverare una sinteticità concettuale. Santi Romano, che non può essere sicuramente accusato di aver nutrito simpatie per il materialismo storico, ha reso ancor più chiaro il concetto, aggiungendo: *Lo Stato è una unità ferma e permanente: ha una esistenza a sè oggettiva e concreta, esteriore e visibile: ha una organizzazione e struttura che assorbe gli elementi che ne fanno parte e che è superiore e preordinata così agli elementi stessi, come alle loro relazioni, in modo che non perde la sua identità, almeno sempre e necessariamente, per singole mutazioni di tali elementi." Questi concetti, appunto perché corrispondenti alla realtà ed universalmente riconosciuti, rivestono una importanza fondamentale. Da essi possono trarsi due principi veramente interessanti: 1) lo Stato è un ente territoriale: 2) lo Stato ha una esistenza a sè ed è collocato al di sopra degli individui ad esso sottoposti. Tali principi evitano di creare inutili e dannose confusioni tra società e Stato. L'idolatria per quest'ultimo ha generato una specie di suggestione che fa vedere lo Stato anche dove esso non esiste, dove esiste invece una semplice convivenza umana. La società è una cosa, lo Stato un'altra. La prima presuppone soltanto un insieme umano in qualche modo ordinato e regolato per un fine comune; il secondo presuppone una relazione con un territorio determinato, che è la principale sua caratteristica, ed un potere che esiste al di fuori e al di sopra degli individui ad esso sottoposti. Non è necessario, come afferma lo Stammler, che una norma, per essere diritto, venga emanata da quella organizzazione sociale che noi chiamiamo Stato. La stessa esistenza, dai tempi remoti dell'antichità sino ai nostri giorni, di un diritto immediatamente e spontaneamente originatosi senza l'intervento dello Stato, lo dimostra. Non ogni potere, continua lo Stammler, non ogni istituzione, non ogni assemblea è Stato, nel vero e proprio senso della parola. E ciò risulta ancor più evidente quando ci si riferisca, ad esempio, alla libera assemblea di una qualsiasi comunità primitiva, anche se questa ponga delle norme di carattere giuridico, poiché in questa assemblea rudimentale manca "l'esistenza a sè oggettiva e concreta" di un potere superiore e, possiamo affermare, estraneo alla comunità. Così pure possiamo considerare le orde e le tribù nomadi come viventi in un ordinamento giuridico, ma non in uno Stato, perchè manca in questo caso la relazione con un territorio determinato. Ora è evidente che questo rapporto tra Stato e territorio implica un rapporto tra individuo e territorio: in una parola implica un determinato rapporto di proprietà. Ciò porta A. Labriola ad affermare che lo Stato è un reale ordinamento di difese per garantire e perpetuare un metodo di convivenza, il cui fondamento è o una forma di produzione economica o un accordo ed una transazione tra diverse forme: in breve lo Stato suppone o un sistema di proprietà o l'accordo fra più sistemi di proprietà. Parimenti, per la stessa relazione tra individuo e territorio, lo Stato esclude la relazione naturale del sangue, che assume un carattere secondario e trascurabile. "I rapporti giuridici - dice Marx - e così pure le forme dello Stato non possono essere spiegati nè da se stessi, nè da ciò che si chiama evoluzione naturale dello spirito umano; essi hanno le loro radici nelle condizioni generali di esistenza." Dall'analisi delle caratteristiche fondamentali dello Stato risulta chiaro che esso presuppone un determinato sistema di proprietà e un legame tra gli uomini non basato sul sangue, ma sul territorio. Inoltre l'esistenza a sè di un potere statale superiore presuppone un contrasto di interessi e delle antitesi sociali, che sono la diretta conseguenza delle differenziazioni economiche alle quali ha portato un determinato sistema di proprietà. Se,quindi, in un determinato momento della storia umana noi riusciamo a trovare una società che è fondata su vincoli di sangue e non di territorio; se essa ha per base un sistema di proprietà che è quello comunistico, il quale elimina la possibilità delle antitesi sociali e delle differenziazioni economiche, nulla più ci vieta di affermare che lo Stato in quella determinata forma sociale non è necessario e non esiste. Questa determinata forma sociale esiste ed c' l'ordinamento gentilizio. Sorge così il problema dell'origine dello Stato. Alla luce del materialismo storico uno dei più importanti fenomeni sociali trova cos' la sua spiegazione razionale e e scientifica. Lo Stato, considerato come una realtà immutabile che trova la sua spiegazione e la sua ragion d'essere ora nella mitologia, ora nella religione, ora nella filosofia, viene da questo momento sezionato ed analizzato nel suo aspetto dinamico. "In tal modo - per dirla con A. Labriola - il materialismo storico, per ora idealmente almeno, ha superato lo Stato e superandolo lo ha inteso a fondo, così nel suo modo di origine, come nelle ragioni della sua naturale sparizione. E lo ha inteso appunto perché non gli si leva contro in modo unilaterale e soggettivo, come fecero già più volte in altri tempi cinici e stoici ed epicurei di ogni maniera, e poi settari religiosi e cenobiti visionari, e utopisti da conventicola, e da ultimo anarchisti di ogni tinta e colore." "I termini entro i quali si aggira la genesi e lo sviluppo dello Stato, dal suo punto iniziale di apparizione entro una determinata comunità, in cui cominciò la differenziazione economica, sino a questo momento, in cui la sua sparizione principia a disegnarsi nella mente, ce lo rendono ormai comprensibile." GLI AGGREGAMENTI SOCIALI PRIMITIVI Uno dei problemi che hanno maggiormente assillato gli studiosi del XIX secolo è stato quello della ricerca delle origini delle prime aggregazioni sociali. Dopo avere acquistato un carattere autonomo come scienza nei confronti della storiografia, la sociologia con l'aiuto dell'antropologia, dell'etnografia, della paleontologia e della glottologia, nel tentativo di trovare e di formulare una legge generale di formazione e di svolgimento della società, dette vita a due concezioni teoriche sulle origini dell'aggregazione sociale. La prima, sostenuta dal Morgan, dal Mac Lennan e soprattutto dallo Spencer, ricercò tali origini nell'orda, di cui ancor oggi si trovano tracce presso i popoli selvaggi; la seconda, invece, sostenuta da Sumner Maine, nel gruppo gentilizio, che si riscontra presso i popoli storici e soprattutto in quelli di origine aria. Mentre l'orda, per adoperare la stessa espressione dello Spencer, rappresenta una nebulosa sociale, in quanto massa incoerente di uomini, donne e fanciulli, viventi in un regime di promiscuità che non può definirsi propriamente società, il gruppo gentilizio rappresenta una aggregazione sociale che possiede già una propria organizzazione ed è fondata su vincoli di sangue ben determinati. Il Carle ritiene che le due teorie si integrino a vicenda e che il gruppo gentilizio si origini da quei nuclei di vita umana e sociale che cominciano a formarsi nella stessa nebulosa dell'orda e che, svolgendosi, unendosi e confederandosi variamente fra di loro, condurranno poi alla formazione di una vera e propria organizzazione sociale. Già nell'orda, infatti, alla quale talvolta l'umanità sembra voler ritornare specialmente in periodi di grandi cataclismi sociali, i membri, in determinati momenti in cui si presenta più grave la necessità dell'offesa o della difesa, si concentrano e cooperano in maniera tale che essa finisce per assumere il carattere di una organizzazione, differenziandosi nel capo supremo, nei suoi consiglieri e nella massa dei subordinati. Certamente non è molto facile avere, sia pure approssimativamente, una idea chiara e precisa di tutte le manifestazioni di questo fenomeno sociale, che potremmo definire abbastanza appropriatamente l'anello di congiunzione tra il mondo animale e l'umanità. Né, d'altronde, si può pretendere che il processo di formazione delle prime aggregazioni sociali sia stato identico e simultaneo per tutti i gruppi umani, i quali hanno operato e vissuto in condizioni ambientali molto diverse. Flora, fauna, clima, fiumi, montagne, pianure nel primo periodo di formazione sociale hanno avuto importanza preponderante, perché sono stati i coefficienti che hanno condizionato il sistema di vita degli uomini primitivi ed hanno influito sulla velocità e sul contenuto delle formazioni e delle prime trasformazioni sociali. Gli anzidetti coefficienti non vanno dimenticati se si vogliono risolvere determinati problemi, in quanto ne costituiscono il filo conduttore. Un enorme lavorio cerebrale si è svolto attorno alla questione se l'umanità abbia esordito col gruppo matriarcale o con quello patriarcale. L'indecisione è derivata principalmente dal fatto che in identiche formazioni sociali, come ad esempio quella gentilizia, a volta si è riscontrato vigere il sistema matriarcale, altre volte quello patriarcale e talvolta un sistema misto. Quando si cerca la verità in un buio così fitto, almeno sino ad oggi, come quello della preistoria umana, non è certamente facile raggiungere la meta. Tuttavia, per chi ammette una promiscuità primitiva, e la grande maggioranza dei sociologi sembra orientata verso questa soluzione, il problema non può avere che un'uica via di uscita. In questo regime l'unica relazione sicura e manifesta è quella che lega i figli alla madre e intorno alla donna dovevano necessariamente polarizzarsi le forze costituenti i primitivi gruppi umani. Nel mondo animale, che possiamo immaginare del resto non molto lontano dall'uomo primitivo, la cosa rientra nella normalità. Il Carle, sempre nel tentativo di conciliare opposte teorie, afferma che l'umanità ha esordito con un gruppo che ha del patriarcale e del matriarcale nello stesso tempo, giustificando questa affermazione col fatto che il vincolo materno e paterno hanno entrambi le loro basi nei sentimenti spontanei dell'umana natura. Ma, per essere valida, questa affermazione presuppone che l'uomo abbia sempre potuto individuare o supporre il proprio padre, dato che il sentimento dell'umana natura poggia sempre su vincoli reali o supposti tali: e non è sufficiente a convalidare l'ipotesi il far riferimento alla pratica della couvade, che sembra un uso particolare di alcune popolazioni e comunque deve essere apparso in periodo molto posteriore ai tempi cui ci riferiamo. Engels, nella sua opera sulle origini della famiglia, ci offre una spiegazione di quella che Marx chiama la sconfitta storica mondiale del sesso femminile e che segna il passaggio dal matriarcato al patriarcato, giustificandola colla progressiva esclusione dai rapporti sessuali dei parenti più prossimi, esclusione che tende a creare la possibilità individuazione del vincolo paterno nella della famiglia sindiasmatica, e con la formazione progressiva di un possesso naturalmente ed esclusivamente maschile dei mezzi di produzione (armi, bestiame, chiavi), che dà la possibilità all'uomo di rovesciare il computo della discendenza in linea femminile e quindi il diritto ereditario materno. Questa legge di carattere generale non esclude le eccezioni, là dove il processo evolutivo non crea le condizioni necessarie perchè si possa compiere questa rivoluzione. Qui , infatti, il matriarcato continuerebbe a sussistere in forme più o meno pure, in diretta relazione alle condizioni di vita e di ambiente. Le nostre cognizioni sul gruppo gentilizio, dalla dissoluzione del quale sorge quel particolare sistema sociale che va sotto il nome di Stato, seppure insufficienti, sono molto estese, in quanto la costituzione gentile prolunga la sua esistenza sino agli albori della storia. Il periodo della aggregazione gentilizia dovette certamente essere il più lungo che l'umanità abbia percorso. Lo stesso Carle ammette che la forma patriarcale della gens, che ebbe una configurazione così accentuata presso le popolazioni italiche, dovette essere il frutto di una lunga evoluzione anteriore; il che collima perfettamente con la tesi di Engels, che riporta le origini del patriarcato al perfezionamento e all'aumento dei mezzi di produzione. Come nota Fustel de Coulanges, le difficoltà per lo storico che voglia conoscere la gens antica sono molto grandi, perchè le informazioni che si hanno su di essa datano da un tempo in cui era divenuta solo l'ombra di se stessa. Sia ad Atene che a Roma, infatti, nel periodo al quale risalgono le prime notizie storiche, essa era stata trasformata dalle rivoluzioni anteriori. In Roma la "gens" si presenta ormai come una aristocrazia chiusa in mezzo ad una plebe numerosa, stante fuori di essa. priva di diritti, ma tenuta a doveri; mentre in Atene la sua natura originaria è profondamente alterata dalla democrazia. Tuttavia, alla luce delle nostre cognizioni e della logica non è difficile individuare quelle caratteristiche che dovettero costituire il fondamento dell'ordinamento gentile e che servono a differenziarlo da qualsiasi altro ordinamento sociale. I caratteri distintivi del gruppo gentilizio sono: l) il vincolo del sangue che lega i membri attraverso il culto e la discendenza da un comune antenato; 2) il regime comunistico che in esso impera. Per quanto riguarda il vincolo del sangue nessun dubbio dovrebbe esistere in proposito e molto acutamente Fustel de Coulanges fa osservare che l'antica legislazione che dà ai gentiles il diritto di eredità, le credenze religiose che non vogliono comunità di culto se non dove sia comunità di nascita e i termini del linguaggio, che attestano nella gens una origine comune, si pongono decisamente contro quella formulazione teorica che tende a far passare i vincoli che legano i mmbri della gens come una parentela artificiale. Il difetto più grande di coloro che negano la parentela naturale è, secondo il pensiero dello storico francese, quello di supporre che la società umana abbia potuto cominciare per via di una convenzione o di un artificio. Questa sola considerazione è sufficiente a togliere alla teoria della parentela artificiale qualsiasi fondamento seriamente scientifico. Una società come quella gentile, necessariamente fondata su vincoli di sangue, presuppone altresì logicamente un regime comunistico e le tracce di questa proprietà comune si trovano nella mitologia e nella storia di tutti i popoli. I libri di Mencio e di Meng-tse parlano di una proprietà comune familiare nell'antica Cina e così pure il Codice indiano di Manù e la Bibbia ebraica. La proprietà collettiva si ritrova, inoltre, nelle istituzioni germaniche della "marca" e delle "allmende", come nel "mir" russo. A Roma stessa il possesso dell'"ager publicus" ci autorizza a supporre che anticamente esistesse una forma di proprietà che non fosse quella individuale. A Sparta, ancora il tempo di Licurgo, esiste una divisione dei beni in parti uguali ed indivisibili, il divieto delle alienazioni e una specie di comunione, perché a ciascuno è lecito, in caso di necessità, di servirsi degli animali domestici e dei frutti degli altri. Il Morgan, soltanto centocinquanta anni fa, vivendo in mezzo agli Irochesi, tribù indigena dell'America del Nord, ebbe modo di constatare come la loro costituzione fosse basata ancora sulla proprietà collettiva. La proprietà privata, evidentemente, è una istituzione molto recente, che implica una organizzazione economica e sociale del tutto diversa da quella gentile. Per quanto riguarda l'evoluzione della gens, nessun dubbio sussiste sul fatto che essa fosse non una associazione di famiglie, ma la famiglia stessa, che poteva indifferentemente comprendere un ramo solo o più rami, La gens originaria, certamente, con l'aumento dei suoi membri, dovette scindersi in due o più gens, le quali continuavano a collegarsi in un organismo che le comprendeva, la fratria, che, a sua volta, costretta a seguire lo stesso processo, dà vita ad un altro organismo, la tribù (nell'accezione odierna generalizzata), che in definitiva comprende tutti i discendenti della "gens" originaria. Nella società gentile, basata sul vincolo del sangue e su di un regime comunistico non v'e posto, come abbiamo già detto, per lo Stato. Il semplice meccanismo economico-produttivo che le dà vita, rendendo impossibile la proprietà privata e la divisione del lavoro, elimina qualsiasi possibilità di differenziazioni economiche e la conseguente formazione di contrasti sociali. In tal modo qualsiasi autorità rimane nell'ambito della collettività e viene esercitato nel modo più semplice e naturale. Le poche spontaneamente norme e si giuridiche tramandano che di si formano generazione in generazione, allo stesso modo che i Greci si tramandavano i loro poemi epici, vengono imposte ed osservate dalla collettività stessa. Così, come afferma Engels a proposito della società irochese, senza soldati e senza poliziotti, senza prefetti e senza giudici, senza prigionie senza processi, tutto ha il suo corso regolare. In sintesi, ogni membro della collettività compartecipa di quelle funzioni, che, in epoche posteriori, sono state progressivamente attribuite in modo esclusivo a individui, ceti o caste, in relazione alle particolari condizioni sociali in cui si sono venuti a trovare per effetto della differenziazione economica. Solo posteriormente all'ordinamento gentile sorge la necessità della formazione di un potere pubblico particolare separato dalla collettività dei rispettivi cittadini. Come questo potere si sia venuto a formare e lentamente si sia innalzato al di sopra della collettività per poi finire da ultimo a porsi contro di essa dopo avere esaurito la propria funzione, sarà dimostrato in seguito. Cercheremo così di tracciare a grosse linee, dalla nascita alla morte, la vita di quel prodotto della società che va sotto il nome di Stato. ORIGINE DELLO STATO "Ad un certo periodo della loro evoluzione - afferma Carlo Marx nella prefazione alla "Critica delle economia politica" le forze produttive della società si trovano ad essere in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti nel seno di queste società. Da forme favorenti l'evoluzione delle forze produtive, questi rapporti divengono catene che ostacolano queste ultime. Allora incomincia un'epoca di rivoluzioni sociali, Con la trasformazione della base economica, tutta la sovrastruttura edificata su di essa si trasforma ad una andatura o volte più lenta, a volte più rapida." Soltanto tenendo presenti queste considerazioni basilari, si può riuscire a comprendere il significato e la portata e nello stesso tempo individuare le cause di quel profondo rivolgimento sociale che ha portato, come ultima conseguenza, alla formazione dello Stato. Dalla disgregazione della società gentile, nel cui seno si erano sviluppate forze produttive che contrastavano con l'ordinamento della società stessa, sorgono nuovi rapporti di produzione che implicano nuovi rapporti sociali; in una parola, sorge una società nuova. Questo processo rivoluzionario è molto lento, nè d'altronde poteva essere diversamente, perché in questa prima infanzia dell'evoluzione umana e sociale i mezzi rudimentali a disposizione dell'uomo non permettono una trasformazione rapida del processo produttivo. Il fatto che i rapporti sociali siano in stretta con le forme di produzione è indiscutibile, altrimenti non si spiegherebbe mai come i moderni beduini vivano in una forma di società che, per quanto i fatti ci consentono di giudicare, è rimasta sostanzialmente identica per 5.000 anni e più, nonostante l contatti con le società adiacenti. Nè questo caso è unico, perché la medesima cosa si può rilevare, sia pure in modo meno appariscente, per gli esquimesi e per la maggior parte dei popoli che vivono allo stato selvaggio. Certamente non è molto facile individuare nel tempo, sia pure approssimativamente, il momento in cui la rivoluzione che ha portato alla formazione dello Stato, e che potremmo definire abbastanza appropriatamente la rivoluzione schiavista, ha auto inizio; nè d'altra parte è possibile seguirne il processo in tutte le sue fasi, sia perché le nostre cognizioni, almeno sino ad oggi, sono molto limitate, sia perchè e principalmente questo rivolgimento sociale si è manifestato ed attuato in epoche diverse ed in diverse maniere presso i popoli antichi, viventi in condizioni di ambiente dissimili. Occorre, infatti, tener presente che in questo periodo della storia umana il fattore geo-fisico predomina su tutti gli altri e nella sua naturale varietà determina condizioni generali di vita molto differenti. A grosse linee, però, possiamo individuare le fasi principali che l'umanità percorre per arrivare a quel periodo che Engels chiama della "civilizzazione" e che si compendia nella nascita e nell'affermazione dello Stato. Dalla produzione comune e per l'uso, che caratterizza la società gentile, si arriva alla produzione mercantile, che caratterizza la nuova società statalista attraverso la divisione del lavoro e la conseguente appropriazione individuale. È nella fase terminale della produzione mercantile che noi troviamo sovvertiti tutti i rapporti di produzione mediante l'introduzione della proprietà privata fondiaria, del lavoro schiavo come forma di lavoro dominante, dei commercianti come classe mediatrice tra i produttori e da ultimo della moneta. In questo periodo sorge la necessità della creazione di un potere pubblico particolare che, ergendosi al di sopra della società, eserciti la funzione precipua di comporre i dissidi ed i contrasti sociali scaturiti dalla differenziazione economica. ma che per la sua stessa natura finisce per estraniarsi dalla società e per divenire uno strumento di dominazione nelle mani della classe prevalente economicamente. Questa nuova società basata sullo Stato, le cui unità costituenti non sono più gruppi di consanguineità,ma di località, è una società nella quale l'ordinamento della famiglia è interamente dominato dall'ordinamento della proprietà e in essa si sviluppano liberamente quegli antagonismi e quelle lotte di classe che, secondo la concezione materialistica della storia, costituiscono la sostanza di tutta la storia a noiu nota, Lo Stato, si può affermare senza tema di smentita, incomincia a sorgere con la divisione del lavoro. La divisione del lavoro porta necessariamente al progressivo frazionamento della proprietà comune, alla appropriazione individuale dei prodotti e alla istituzione della proprietà privata. La divisione del lavoro trasforma la produzione comune e per l'uso in produzione mercantile, con la conseguenza della scomparsa del dominio dell'uomo sulla produzione e della creazione della moneta come mercanzia generale. La società basata sui vincoli di sangue si fraziona sempre più, Il diritto paterno con devoluzione della fortuna ai figli favorisce l'accumulazione della ricchezza nella famiglia e la famiglia diviene un potere di fronte alla gente. Parallelamente altri fenomeni sociali si manifestano a completamento della profonda trasformazione sociale. La schiavitù, sconosciuta prima, prende consistenza. Il prigioniero di guerra, condizione ignota alla società precedente perchè il vinto veniva generalmente ucciso e in casi eccezionali ammesso a far parte della "gens" con gli stessi diritti dei membri, viene ora considerato come forza lavoro, come fonte di arricchimento e ridotto in schiavitù. Nella nuova società, dove vi è posto come uomini soltanto per coloro che posseggono, la guerra degenera in ruberia sistematica per terra e per mare e diviene una fonte normale di acquisto di bestiame, schiavi e tesori. La prima grande divisione sociale in possessori e in non possessori, liberi e schiavi, patrizi e plebei, clienti e cittadini, è ormai un fatto compiuto. Gli uomini incominciano ad essere classificati secondo la proprietà, e quindi secondo il territorio, e gli affari sinora amministrati dalle singole tribù vengono deferiti, come ad Atene con la costituzione attribuita a Teseo, ad un consiglio comune, ossia ad una amministrazione centrale, che rappresenta la forma embrionale dello Stato. "Ma con ciò - come nota Engels a proposito della formazione e della evoluzione dello stato -città ad Atene nacque un diritto popolare comune che stava al di sopra dei diritti consuetudinari delle tribù e delle genti, Il cittadino ateniese ha, come tale, determinati diritti e una nuova protezione giuridica anche sul territorio dove era estraneo alla tribù. Ma con ciò era dato il primo passo allo sfacelo completo della costituzione gentile". La successiva divisione in classi, l'introduzione dell'ipoteca e dell'usura e l'impoverimento della maggior parte dei cittadini liberi, costretti a darsi essi stessi schiavi o a formare parassitarie clientele, finiscono per permettere alla classe predominante, quella dei possidenti di impossessarsi dell'amministrazione centrale, ossia dello Stato. Questa è in sintesi la genesi dello Stato secondo i fautori della concezione materialistica della storia ed il problema da essi posto trova così spiegazione razionale e scientifica. Il prof. Ercole, valente storico di diritto pubblico, tentò in un interessante studio sulle origini dello stato-città di dimostrare la erroneità della interpretazione marxista. Partendo dalla confutazione di quella teoria gentilizia in precedenza illustrata, volle dimostrare come lo Stato debba presupporsi coevo all'apparire del genere umano sulla superficie tarrestre. Tutta la sua opera, però, risente di un errore fondamentale, quello di confondere società e Stato, cosicché le conclusioni da lui formulate, sebbene frutto di studio accurato e profondo, non sono condivisibili. "La società politica - egli afferma - non ha avuto origine storica, perché è sempre esistita da che più uomini si sono trovati a vivere insieme sulla terra." Nessuno può mettere in dubbio che esiste società quando più uomini, vivendo insieme sulla terra, cooperano; ma ciò non autorizza l'affermazione che questa società è politica. Ancor oggi il fatto semplice ed elementare che più uomini si associno e cooperino per un fine comune importa una società che, a seconda del fine, può assumere denominazioni diverse, ma che non può confondersi con la società in senso generale, nè tanto meno con la società politica in senso proprio, la quale trova la sua espressione nello Stato. Il concetto di società poliica è un concetto molto complesso, in quanto essa assorbe in se stessa tutti i possibili fiini che in un determinato momento della evoluzione sociale una società può avere, fra i quali predomina di gran lunga quello politico, proprio esclusivamente di questo tipo di società. Società politica è, quindi, quella forma che la società umana assume in un determinato momento del suo sviluppo. Ora l'Ercole, per rendere valida la sua teoria, avrebbe dovuto dimostrare quello che è impossibile dimostrare, ossia che la società umana abbia potuto far propria e perseguire sin dalle origini un fine politico, cioè a dire il fine della tutela di un interesse che si presume generale, ma che, appunto perché ha bisogno di essere garantito, non coincide più immediatamente con l'interesse generale comune e tutti i membri indistintamente della collettività. Finchè i membri della società hanno un interesse comune, il fine politico rimane estraneo. Esso sorge solamente quando gli interessi individuali non coincidono più, ossia quando la società gentile, fondata sui vincoli del sangue e su un regime comunistico, crolla al primo agitarsi nel suo seno dei contrasti sociali, frutto della divisione del lavoro e della differenziazione economica. Da questo momento la storia di tutta la società svoltasi sino ad oggi è storia delle lotte delle classi, che per esercitare il proprio predominio hanno sempre avuto bisogni, come necessario complemento, dello Stato. EVOLUZIONI E TRASFORMAZIONI DELLO STATO Il fine di questo studio è quello di cogliere, attraverso un esame sinteitico dei più importanti e decisivi avvenimenti storici, che spesso apparentemente si contraddicono e si confondono, l'invisibile filo che, secondo la concezione materialistica della storia, li collega e li spiega. Per il raggiungimento di tale fine è necessario, non già analizzare le varie forme che lo Stato ha assunto della sua nascita ai giorni nostri, bensì le cause economiche e sociali che ne hanno determinato la trasformazione. Quello che interessa è la sostanza e non la forma dei fenomeni sociali, perché questa molte volte induce ad astrazioni dalla realtà e porta a valutazioni arbitrarie dei fatti e degli avvenimenti storici. Così, riferendoci allo Stato antico, si sente spesso parlare di democrazia in contrapposizione ad altre forme politiche più o meno oligarchiche o dispotiche, ma se consideriamo le cose nella loro vera essenza, non tardiamo ad accorgerci che è impossibile conciliare il concetto di democrazia con l'organizzazione politico-sociale dello Stato antico, a meno che non si voglia considerarlo in un senso del tutto relativo. La tanto decantata democrazia ateniese non era altro che la democrazia dei padroni di schiavi e in ultima analisi non può identificarsi che con una forma oligarchica, ossia nel predominio sulla maggioranza dei componenti ls collettività ateniese da parte di una minoranza di privilegiati, tra i quali, e solo per essi, vigeva un sistema democratico. Nel primo periodo della sua esistenza lo Stato si presenta già come un sistema di forze che mantiene l'equilibrio sociale mediante la coazione esercitata sulla maggioranza delle forze umane produttive, la cui condizione giuridica è simile a quella delle cose e che sono tenute fuori da qualsiasi manifestazione della vita pubblica che non sia il lavoro. Così si calcola che ad Atene esistessero 90.000 cittadini contro 565.000 schiavi nel periodo della sua maggiore floridezza. Se poi a determinare e ad attuare la volontà dello Stato la classe dominante interviene con tutti i suoi membri o con parte di essi, questo è un problema di secondaria importanza. Quello che importa rilevare e che, fatta eccezione - come nota A: Labriola - di alcuni momenti critici nei quali le classi sociali, per estrema incapacità a mantenersi in una condizione di relativo equilibrio per adattamento, entrano in una fase più o meno prolungata di anarchia, lo Stato ci appare sempre come il garante differenziazione delle antitesi economica e sociali come lo frutto della strumento di dominazione della classe economicamente prevalente. Naturalmente intorno allo Stato si forma sempre un ceto, che, senza essere l'espressione di uno dei particolari interessi antitetici che si agitano nel seno della società, tuttavia finisce per identificare il proprio interesse con quello esclusivo dell'esistenza dello Stato. Riesce in tal modo chiaro come vengano progressivamente a consolidarsi aristocrazie e gerarchie nate dall'uso dei poteri politici e da qui le dinastie, che a lume di logica sembrano del tutto irrazionali, e come accada talvolta che gli organi direttivi dello Stato tendano ad isolarsi, contrapponendosi alla intera società. Se tutto ciò spiega situazioni del tutto contingenti, non per questo autorizza a pensare che in un solo momento della sua esistenza lo Stato sia venuto meno alla sua funzione sostanziale, in quanto segue sempre dappresso lo svolgersi delle antitesi sociali e ne garantisce l'equilibrio, cosicché ad ogni spostamento delle forze sociali segue un adattamento dello Stato e ad ogni capovolgimento dei rapporti sociali una sua trasformazione. Tre sono state le grandi rivoluzioni sociali rispetto alle quali lo Stato ha subito delle trasformazioni radicali. Per rendersene conto occorre avere una visione completa e sinteticamente chiara delle tre fasi corrispondenti all'evoluzione statale e rilevarne i caratteri essenziali. LO STATO ANTICO O SCHIAVISTA La prima manifestazione dello Stato si riscontra in una società caratterizzata dal lavoro schiavo come forma predominante di produzione. Questa fase ha inizio con l'affermarsi della CittàStato e termina con la caduta dell'impero romano. Lo Stato romano nelle sue forme repubblicana e imperiale ne realizza la espressione più significativa. L'organizzazione economico-sociale della CittàStato per la sua stessa natura non tarda a fare della guerra di conquista una delle sue caratteristiche essenziali. Il lavoro fondato sulla schiavitù è ovviamente solo relativamente produttivo per due ragioni principalmente: l) insufficiente stimolo al lavoro dello schiavo determinato dalla mancanza di un interesse diretto, che impedisce il normale svolgimento di tutta la sua capacità produttive; 2) necessità di una produzione alta che serva a soddisfare nello stesso tempo l'alimentazione dello schiavo e della famiglia del padrone. Ove si tenga presente che la tecnica produttiva agricola in questo primo periodo era allo stato embrionale, si riesce a comprendere come l'unica soluzione fosse rappresentata dall'impiego intensivo degli schiavi. Sorge, conseguentemente, la necessità della guerra come mezzo di acquisto degli schiavi, il cui aumento comporta la necessità della coltivazione di aree sempre più estese e quindi nuove guerre. La guerra, però, richiede un esercito ben organizzato, donde la formazione di una casta di guerrieri professionisti che vivono senza produrre. Accanto a tale casta parassitaria altre ne sorgono, perchè la classe dominante ha bisogno di un apparato per mantenere il proprio predominio. La vecchia religione gentilizia si trasforma e si adegua al nuovo stato di cose e nuovi potenti dei tengono a freno gli istinti umani compressi dalla paura e della superstizione, mentre il dio Termine garantisce i confini della proprietà terriera. La religione entra al servizio dello Stato, e quindi della classe dominante, e la casta sacerdotale prende posto accanto alle altre istituzioni statali. Una parte della plebe, formata da liberi cittadini, una volta proprietari, che l'avversa fortuna e la concorrenza delle grandi famiglie ha diseredato, non trova possibilità di impiego in altri lavori produttivi (arti, mestieri e commercio) e, di fronte alla prospettiva della perdita della libertà, finisce per formare quel fenomeno tipico parassitario della clientela, gravitante attorno alle famiglie patrizie che hanno in mano le redini ed i beni dello Stato. Alla primitiva divisione in classi secondo il censo segue una lenta stratificazione sociale, il cui strato superiore è costituito dall'aristocrazia patrizia, che fonda le sue basi sociali sul grande possesso fondiario, e, poi, scendendo in basso, troviamo i cavalieri, un ceto rurale di piccoli proprietari, un ceto industriale, la plebe nelle sue molteplici gradazioni e, da ultimo, gli schiavi. A Roma i due poli opposti del contrasto sociale non sono rappresentati, come sembrerebbe, dai patrizi e dai plebei. Questi ultimi costituiscono l'appendice necessaria dei primi e i contrasti che tra essi sorgono non rivestono il carattere di antitesi sociali, in quanto non scaturiscono da interessi economici divergenti. La plebe romana lotta nel periodo repubblicano per una maggiore partecipazione alla vita dello Stato, ma questa lotta non acquista mai il carattere di una rivolta contro l'organizzazione economico-sociale dello stesso, perché essa trae da questa i suoi mezzi di esistenza. Ciò risulta ancora più evidente quando si rifletta sul fatto che essa si inquadra a suo agio nel sistema monarchico-imperiale, che le garantisce il sostentamento a spese dello Stato per mezzo delle "frumentationes". I due poli opposti del contrasto sociale sono invece costituiti dai cittadini e dai non cittadini, dai liberi e dagli schiavi, ai quali ultimi si aggiungono progressivamente le popolazioni dei territori conquistati, le quali vedono le proprie terre passare di proprietà dello Stato romano, che ne concentra il possesso in poche famiglie. Sono queste ultime le forze rivoluzionarie che premono e che lo Stato tiene a freno col suo apparato politicomilitare, che diviene necessariamente sempre più formidabile. Così, quando le popolazioni soggette riescono ad ottenere la cittadinanza romana, si accorgono che nuovi legami le stringono e le mantengono in uno stato simile alla schiavitù. I liberi fittaioli delle campagne vengono vincolati al terreno che coltivano, alienabili con esso e rivendicabili se lo abbandonano; il loro stato è ereditario, come divengono ereditarie le professioni di interesse pubblico, che nel periodo imperiale predominano di gran lunga su tutte le altre. Lo Stato cresce nei suoi compiti e con l'acuirsi dei contrasti sociali si assume la cura di soddisfare una massa di bisogni economici e sociali, ai quali aveva sinora provveduto l'attività privata. Tutta la vasta burocrazia e l'organizzazione sociale di questo gigantesco impero, il cui possesso terriero si è concentrato nelle mani di una piccola minoranza che lo dirige, riflette, come ha notato il Bonfante, un mostruoso socialismo di Stato che si presenta come una rete di acciaio e vincola nelle sue maglie ogni attività economico-produttiva. La grande crisi economico-sociale non tarderà a manifestarsi e lo stato romano, minato profondamente all'interno, al primo urto esterno si frantumerà e crollerà, trascinando con sè tutto un mondo inuna delle più singolari catastrofi che l'umanità abbia mai veduto. LO STATO FEUDALE Dopo la caduta dell'impero romano l'umanità sembra cadere in preda ad un disorientamento generale e si manifestano in tutta la loro portata le estreme conseguenze di una crisi profonda. Si prolunga per tre secoli circa un periodo di anarchia, reso ancor più torbido e caotico dalle ondate dei barbari che si susseguono ininterrottamente e che finiscono inevitabilmente per insabbiarsi in questa società senza coesione. Istituzioni, usi, costumi, leggi, consuetudini differenti e sinora estranee trovano così modo di amalgamarsi e fondersi. Da questa catastrofe nella quale tutti i valori materiali sembrano annullarsi, solo quelli individuali e spirituali escono intatti e trovano la loro esaltazione nelle idee religiose del cristianesimo, che si afferma trionfante. Lentamente, però, le conseguenze materiali fanno riacquistare all'uomo il senso della propria funzione sociale e quando gli ultimi effetti della crisi saranno svaniti, lo troviamo inquadrato in una società nuova, con nuove classi, al cui vertice sarà sempre lo Stato; ma uno Stato che è l'espressione di nuove forme di produzione, di nuovi rapporti sociali, di nuovi interessi. Questo Stato è lo Stato feudale. L'economia feudale si presenta come una economia basata quasi esclusivamente sulla produzione della terra. Della organizzazione della grande industria romana non rimane più traccia e prende il suo posto un artigianato che produce esclusivamente per l'uso locale. La mancanza conseguente della necessità di un esteso e largo scambio dei prodotti elimina quasi completamente la classe dei commercianti. In tal modo l'economia feudale ci appare come una economia chiusa, "curtense", formata di compartimenti stagni costituiti dai feudi e dagli altri possessi allodiali. Allo schiavo antico si è sostituito il servo della gleba, legato alla terra insieme con la propria famiglia per tutta la vita e tenuto a corrispondere parte dei suoi prodotti al feudatario, che vive isolato nel suo castello, da cui domina come un piccolo tiranno. Se questa è l'organizzazione economico-sociale, la sovrastruttura politica edificata su di essa deve rispecchiarla fedelmente. Così lo Stato feudale si presenta non come un sistema politico compatto e rigidamente articolato, bensì diseguale e frazionato nei suoi elementi costitutivi, i feudi, collegati esclusivamente dal rapporto di vassallaggio, all'apice del quale troviamo il sovrano che esercita il potere per diritto divino. Accanto ai nobili - baroni, conti e marchesi- si pone, sullo stesso piano di privilegio il clero. Ma quando l'economia si evolve, i bisogni si accrescono, l'industria e il commercio prendono piede, allora anche in questa società i contrasti tra le classi si acuiscono e vediamo chiaramente delinearsi e differenziarsi sempre più signori feudali, vassalli, maestri di corporazione, artigiani e servi della gleba. Nuove forme produttive si sviluppano nei borghi adiacenti ai castelli feudali: sono i borghigiani, avanguardia di quella classe che da essi prese il nome di borghese, la quale, sviluppando le nuove forme della produzione, trasforma i rapporti della società feudale in vincoli che ostacolano la produzione stessa. Interprete delle nuove esigenze economiche e sociali la borghesia si presenta così alla ribalta della storia come la classe rivoluzionaria che smantellerà e distruggerà la società feudale. "La scoperta dell'America e la circumnavigazione dell'Africa - afferma Marx nel "Manifesto" - offrirono alla borghesia che emergeva un nuovo terreno. Il mercato indiano e cinese, la colonizzazione dell'America, lo scambio con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci, dettero impulso nuovo ed inaspettato al commercio, alla navigazione, all'industria e insieme favorirono il rapido sviluppo dell'elemento rivoluzionario in seno alla società feudale, che di già veniva sfasciandosi." "In quel momento il modo della produzione industriale propria del feudo o della corporazione non bastava più ai bisogni, che venivano crescendo col crescere dei nuovi mercati. Ai maestri delle corporazioni si va sostituendo il medio ceto industriale e la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni cedette il posto alla divisione del lavoro per entro alle singole officine." Parallelamente a questo processo rivoluzionario dei modi della produzione e del traffico si svolge la marcia rivoluzionaria della borghesia contro la società feudale. Questa marcia incomincia con la formazione dei primi Comuni, che, diretti da un gruppo esiguo di industriali e di mercanti, rappresentano i prodromi della nuova società borghese, e termina con la presa della Bastiglia, LO STATO MODERNO RAPPRESENTATIVO O BORGHESE Dalla dissoluzione dello stato feudale basato su una economia curtense, sul diritto divino, sui privilegi di nascita, sorge un nuovo Stato. Il rapido perfezionamento di tutti gli strumenti della produzione, la rapidità delle comunicazioni, la scoperta di nuova ingenti risorse economiche, la necessità sempre maggiore dello scambio dei prodotti, implicanonuovi rapporti sociali basati sull'iniziativa privata libera da ogni vincolo, che si manifesta in questo periodo della storia umana come la forma più rispondente alle necessità della produzione. Per questo la classe rivoluzionaria, rappresentata dalla borghesia, si libera di tutti i vincoli del feudalesimo e nella costituzione del nuovo Stato afferma la uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge, ossia la uguaglianza degli uomini nei nuovi rapporti sociali e la libertà, che si concreta nella liberazione della produzione e dello scambio da ogni legame. Anche la società borghese ha bisogno dello Stato, ossia di un potere pubblico che si colloca al di sopra e al di fuori della collettività dei cittadini, perché non elimina i contrasti sociali, ma li pone su un piano nuovo. L'iniziativa privata, lo sviluppo della produzione, nella quale il capitale si afferma come elemento preponderante e decisivo, e da ultimo la libera concorrenza finiscono per creare le condizioni per cui una minoranza, formata dai più audaci, dai più esperti, dai più fortunati e anche dai meno scrupolosi, è messa in grado di impossessarsi dei mezzi di produzione e di scambio. I principi della libertà, della uguaglianza e della fraternità, che erano serviti alla borghesia per combattere la sua battaglia, si traducono nelle nuove costituzioni statali, ma non trovano concreta attuazione nella traduzione giuridica. Dove la democrazia compromette l'affermarsi o il permanere della nuova classe dominante, come in Francia dopo la rivoluzione, la borghesia ricorre alla dittatura. Per effetto della evoluzione economica che tende a creare la concentrazione delle grandi industrie, nelle quali si afferma sempre più la divisione del lavoro, si forma in seno alla borghesia stessa un gruppo capitalistico che predomina, attorno al quale necessariamente gravitano, pur differenziandosene, quei ceti medi che vanno dal medio industriale al piccolo proprietario terriero o al burocrate che vede nello Stato la sua ragion d'essere. Di contro si forma una classe di salariati, proletariato in senso lato, che, sviluppandosi le industrie, cresce di numero e si addensa in grandi masse. Questa classe lotta, dapprima inconsciamente, per un miglioramento delle proprie condizioni di vita messe in pericolo dalle crisi frequenti della superproduzione capitalista, e poi, trovando un ostacolo nello Stato, che gli appare come lo strumento della classe dominante, cerca di ottenere condizioni migliori di lotta mediante l'esercizio di diritti politici sempre più ampi. "La più alta forma dello Stato - afferma Engels - è la repubblica democratica, che nei nostri moderni rapporti sociali diviene necessità di più in più inevitabile ed è la forma dello Stato nella quale l'ultima lotta decisiva tra borghesia e proletariato può essere combattuta. Essa non tiene più conto delle differenze di possesso, tuttavia in essa la ricchezza esercita i suoi poteri indirettamente, ma altrettanto sicuramente." In altra opera lo stesso Engels ipotizza come la borghesia termina la propria funzione. "In un modo o nell'altro, con o senza trust, certo è che lo Stato, rappresentante ufficiale della società capitalista, deve assumere la direzione della produzione. Questa necessità del passaggio alla proprietà dello Stato emerge prima di tutto nelle grandi imprese di comunicazione: le poste, i telegrafi e le ferrovie. Se le crisi hanno rivelato l'incapacità della borghesia ad una ulteriore direzione delle forse produttive moderne, le recenti trasformazioni delle grandi imprese di produzione e di scambio in società per azioni, in trust, in proprietà dello Stato, dimostrano che la borghesia è divenuta superflua. Tutte le funzioni sociali del capitalismo sono ora compiute da impiegati salariati. Il capitalismo non ha più nessuna funzione sociale, salvo quella di incassare i guadagni." LO STATO NELLA SOCIETÀ SOCIALISTA Fin dai più remoti tempi dell'antichità vi sono stati grandi ingegni come Platone, Campanella e Moro, che hanno preconizzato o si sono fatti fautori dell'avvento di una società umana che realizzasse in senso assoluto i principi della lbertà e della giustizia e nella quale fossero eliminati tutti i contrasti sociali nelle loro svariate e deleterie manifestazioni. I sistemi ideati da questi uomini, però, non seppero mai liberarsi del loro carattere utopistico, in quanto dettati esclusivamente da esigenze ideali e costruiti al di fuori della realtà. Per questo essi on poterono realizzarsi, nè tanto meno trovare rispondenza nelle esigenze immediate della collettività e rimasero per tutti come l'espressione individuale e irrealizzabile di spiriti superiori. "L'umanità - afferma Marx nella prefazione alla "Critica alla economia politica" - non si pone mai che quei problemi che può risolvere; a guardare da vicino si troverà sempre che che il problema non si pone che laddove esistono già le condizioni materiali necessarie alla sua soluzione o almeno sono in via di apparizione." La società, quindi, segue ilsuo corso, che è evolutivo appunto perchè è la risultante di un processo dialettico. Tutta la realtà, nel suo incessante divenire, è la risultante di questo processo, i cui termini l'uomo non sempre è in grado di individuare e di comprendere, ma che, man mano che le nostre cognizioni scientifiche aumentano, si manifestano in misura sempre maggiore. Se volgiamo lo sguardo, però, alla storia dell'umanità riusciamo ad individuare i termini di questo processo di azioni e reazioni, attraverso il quale si manifesta il suo divenire. Tutta la evoluzione è un dialogo tra l'uomo, concepito come attività cosciente, e l'ambiente, che dapprima si risolve esclusivamente nelle forze naturali, alle quali si aggiungono progressivamente fattori tecnico-economico-produttivi e tutta la sovrastruttura giuridica, politica, filosofica e morale che si eleva al di sopra di essi. Sotto questo punto di vista l'evoluzione statale non è altro che il prodotto delle lotte di classe, ossia di un processo dialettico tra forze sociali antitetiche. Mantenendosi così strettamente nell'ambito della realtà, la concezione marxista non perde mai il suo carattere scientifico. Per questo se il materialismo storico preconizza l'avvento di una società senza classi, che non possa dar luogo allo sviluppo delle disuguaglianze da cui si genere il dominio dell'uomo sull'uomo, è perché, come afferma A. Labriola, "esso annuncia l'avvento della produzione comunistica non come postulato di critica, nè come meta di una volontaria elezione, ma come il risultato dell'immanente processo della storia". In una società senza classi lo Stato non ha più ragione di esistere come potere pubblico, e quindi governo degli uomini, che si eleva al di sopra e al di fuori della società. Secondo la concezione materialistica della storia, quindi, quando la borghesia avrà esaurito la propria funzione e le forze della produzione capitalistica diverranno delle catene che ostacoleranno le forze produttive, allora maggioranza della collettività costituita da tali forze con il proletariato all'avanguardia si renderà cosciente delle contraddizioni esistenti nel seno della società e si contrapporrà alle forze del capitalismo, divenute ormai improduttive e antisociali, e perverrà alla conquista del potere dello Stato. La prima esigenza del proletariato una volta pervenuto al potere sarà, secondo la teoria marxista, la trasformazione dei mezzi di produzione in proprietà dello Stato e in questo modo, chiarisce Engels, "esso sopprime se stesso come proletariato, sopprime tutte le differenze ed i contrasti di classe e quindi anche lo Stato come Stato, perché, divenendo esso effettivamente il rappresentante di tutta la società, esso si rende superfluo." "Quando non vi saranno più classi sociale che debbano essere tenute sottomesse - aggiunge Engels - quando non vi sarà più il dominio di una classe sull'altra; nella lotta per l'esistenza, che ha la sua origine nell'anarchia della produzione, quando saranno eliminati i conflitti e la violenza che ne derivano, allora non vi sarà nessuno da reprimere e da tenere a freno, allora sparirà la necessità del potere statale, che oggi adempie a questa funzione. Il primo atto col quale lo Stato agirà come vero rappresentante di tutta la società, la trasformazione dei messi di produzione in proprietà sociale sarà il suo ultimo atto indipendente come Stato. L'intervento del potere statale nei rapporti sociali a poco a poco diventerà superfluo e cesserà di per sè. Invece del governo degli uomini si avrà l'amministrazione delle cosee la direzione dei processi di produzione. Lo Stato non si abolisce, lo Stato si estingue". I critici del socialismo scientifico, e quindi del materialismo storico hanno trovato, che in prec3edenza si muovevano esclusivamente sul piano teorico, hanno poi trovato un valido argomento nell'esperienza russa sul rilievo che lo Stato nella repubblica sovietica non ha cessato di esistere, ma al contrario si è imposto come un ente più necessario e forte che nella società borghese. Tale argomentazione è apparsa al senso comune abbastanza convincente e non sono mancati coloro che, dopo essersi professati marxisti ortodossi, di fronte ad essa non sono riusciti a far altro che ricorrere all'arma suicida del revisionismo. Costoro in verità non si sono accorti di essere loro stessi nell'impossibilità di rispondere alle obiezioni e non il materialismo storico. In questo ultimo secolo, infatti, l'acuirsi della lotta politica ha generato nelle classi sulle quali si ripercuote direttamente l'effetto nocivo delle contraddizioni esistenti nel seno della società borghese .un'atttrazione inevitabile verso quella parte economico sociale della elaborazione marxista che si trova compendiata nel "Manifesto dei Comunisti". del 1848. Questa attrazione, che doveva forzatamente acquistare il carattere di una accettazione dogmatica da parte delle classicui più direttamente si dirigeva a causa del loro basso livello culturale ed intellettuale, ha fatto sentire, sebbene in misura minore, i suoi effetti anche in quei ceti che vanno sotto il nome di piccolo-borghesi, nei quali prevale l'elemento intellettuale. Così noi troviamo tra i fautori del marxismo, da una parte una classe operaia che, pressata dal disagio economico, lo ha accettato come una fede e che tende ad afferrarne coll'evolversi delle proprie condizioni materiali anche la concezione dialettica; dall'altra un folto gruppo di intellettuali in senso lato, alcuni dei quali però, per pigrizia mentale, si sono fermati alle conclusioni economico-sociali, senza afferrare la concezione filosofica dalle quali sono derivate direttamente e che serve a spiegarle ed a comprenderle. Questi ultimi sono i possibili revisionisti del marxismo, in quanto non avendone colto l'idea centrale, non hanno compreso che esso o va accettato del tutto o del tutto rigettato. Il materialismo storico pretende di offrire la spiegazione dei fenomeni sociali: rigettarlo quindi solo in quanto nella Russia sovietica non è morto lo Stato, senza chiedersene il perché e tentare di spiegarne le cause alla sua luce, significa non averlo compreso affatto. Engels, applicando il metodo della interpretazione materialistica della storia, giunge alla conclusione che lo Stato, ad un determinato momento della evoluzione sociale, muore. Solo quando si dimostrerà che, giunto tale momento, lo Stato sopravvivrà, si potrà riconoscere che il metodo marxista è errato. Obiettivamente, quindi, va posto il problema se l'evoluzione sociale avesse posto in essere in Russia quelle condizioni che, secondo il materialismo storico, costituiscono i presupposti indispensabili per la realizzazione della società socialista e della morte dello StatoLo Stato muore, secondo il materialismo storico, nella società socialista, che si affermerà allorquando le nuove forze produttive che si sviluppano in seno alla società borghese esigeranno nuove forme di produzione e si troveranno ad essere in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti nel seno di questa società. Solo allora avrà inizio il processo rivoluzionario che porterà al potere la classe che interpreta più direttamente queste esigenze ed essa, eliminando con la socializzazione dei mezzi di produzione le differenze ed i contrasti di classe, renderà lo Stato interprete di tutta la società e quindi superfluo quale potere sovraordinato rispetto alla società in funzione di compositore dei contrasti predetti. Questo è, a grosse linee, lo sviluppo della società umana dalla fase capitalista a quella socialista secondo la teoria marxista.. In concreto, però, il momento in cui la società capitalista avrà esaurito la propria funzione va individuato, secondo la concezione materialistica della storia, allorché si verificheranno le seguenti condizioni: 1) si sarà formata, mediante lo sviluppo e l'accentramento delle grandi industria una classe salariale che rappresenterà la stragrande maggioranza delle forze umane produttive; 2) si sarà trasformato il modo di produzione capitalistico da forma interprete delle condizioni economiche a forma di produzione anti-economica e anti-sociale, in quanto l'interesse del capitalista, dopo aver coinciso con l'interesse dell'intera società, si sarà posto contro le esigenze della stessa. Ora, per quanto riguarda la Russia non si può affermare che tali condizioni si fossero verificate nel momento in cui la rivoluzione instaurò il regime socialista. La Russia si presenta, ancora al principio del 1900 come una nazione retrograda sotto tutti i punti di vista. Mentre la borghesia nei Paesi più industrializzati dell'Europa, dopo un secolo di potere, aveva completamente trasformato la fisionomia economico-sociale e politica della società, in Russia viveva ancora lo Stato feudale in tutte le sue manifestazioni: potere assolutista, aristocrazia, privilegi, servi della gleba (mugjik), latifondo, produzione in gran parte curtense. Naturalmente i rapporti di produzione erano già in contraddizione con le nuove forme di produzione che in quel paese si erano venute lentamente sviluppando. Un certo fermento rivoluzionario, già alla fine dell'800, agitava il Paese. Ma, a ben guardare, le forze rivoluzionarie, anche se in gran parte proclamatesi socialiste - il che è spiegabile con il parallelismo cronologico di altri movimenti rivoluzionari sviluppatisi in Europa -, erano costituite da uomini che coscientemente o incoscientemente esprimevano delle esigenze che non erano socialiste, bensì di carattere borghese. Il fatto che in mezzo ad essi il nucleo più ardito e preparato fosse costituito dai comunisti non deve trarre in inganno, perché la borghesia esprimeva in quel momento rivoluzionario anche le esigenze ideali del proletariato e le dei classi si trovavano a fianco in una lotta comune, come già accaduto e anche in modo più visibile durante la rivoluzione francese. Socialisti rivoluzionari (non marxisti), cadetti, mnscevichi e tutta l'intellighenzia russa esprimevano più o meno inconsciamente le esigenze delle classe borghese, pur lottando talvolta sotto una bandiera ammantata genericamente di socialismo. Questa confusione ideologica, unitamente con la incapacità sostanziale della borghesia russa, che non aveva avuto modo, per ragioni ambientali e politiche, di formarsi le ossa, serve a spiegare come cessa nel momento conclusivo si trovò disorientata e mancò dell'energia necessaria per impadronirsi del potere. Quando la grande guerra mondiale nel 1918 provocò la crisi politica dello stato assolutista russo, le forze rivoluzionarie, scomparsa la pressione che le tratteneva, si manifestarono in tutta la loro forza e travolsero l'ordinamento feudale russo. La borghesia mancò nell'istante decisivo e i massimalisti, con a capo Lenin, ne approfittarono per tramutare quella che doveva essere la rivoluzione dell'89 russa in una rivoluzione socialista. Ma la storia non si ferma invano: la società segue il suo processo dialettico ed è appunto perché è l'uomo che fa la storia, ma in un dato ambiente che lo condiziona, che la società socialista non nacque in Russia, in quanto l'iniziativa privata doveva ancora svolgere la propria funzione. La distribuzione della terra ai contadini sembrò in un primo momento risolvere tutti i problemi; ed invero la distribuzione del latifondo feudale è una esigenza delle nuove forme produttive espresse dal sistema economico borghese, ma è una esigenza loro anche l'iniziativa privata, perchè esse possano rispondere appieno alle esigenze economiche che in questo momento interpretano, Quando però il potere statale in mano ai bolscevichi interviene per imporre una produzione socializzata, allora la produzione entra in crisi. Da questo momento in poi la costituzione delle repubbliche socialiste sovietiche, in cui erano affermati i principi massimi del comunismo,è costretta a seguire un processo di involuzione per adeguarsi alle realtà economica e sociale. Tutta la storia russa di questi ultimi venticinque anni si concreta nel tentativo compiuto dalla classe dirigente comunista di trovare un punto intermedio di incontro tra le esigenze economico sociali del paese, che dovrebbero esprimersi in una forma di produzione capitalista e le affermazioni programmatiche del comunismo ortodosso. Per questo la Russia attraversa oggi la inevitabile fase borghese in una forma degenere che assume il carattere di un socialismo di Stato. Né davvero la Stato poteva morire, perchè le contraddizioni ed i contrasti sociali non sono scomparsi, come non sono scomparse le classi e la proprietà privata. Anzi lo Stato si è accresciuto di mole e di autorità, perché ha la funzione di mantenere l'equilibrio sociale mediante un ordinamento politico-economico-sociale che non è quello rispondente naturalmente alla situazione reale del paese, ma che, a torto o a ragione, è imposto coattivamente. Se lo Stato non muore, non è quindi perché la teoria marxista di interpretazione della storia è errata, è soltanto perché il processo dialettico della società non ha creato in Russia quelle condizioni che costituiscono il presupposto della società socialista. Lo stesso Stalin, del resto, in una sua opera sul materialismo storico si guarda bene dal confutare la tesi di Engels sulla morte dello Stato e, non potendo per ovvie ragioni di carattere politico chiarire completamente il suo pensiero, si limita ad affermare che "non si può estendere la formula generale di Engels sulle sorti dello Stato socialista in generale al caso particolare e concreto della vittoria del socialismo in un solo paese, singolarmente considerato che è circondato da stati capitalisti, che è esposto alla minaccia di una aggressione armata dall'esterno; paese che non può per conseguenza fare astrazione dalla situazione internazionale, che deve avere a sua disposizione un esercito ben armato, degli organi produttivi ben organizzati e un forte esercito di sorveglianza; paese che per conseguenza deve avere un proprio Stato sufficientemente forte per poter difendere le conquiste del socialismo da una aggressione esterna." Queste dichiarazioni confermano implicitamente che nel 1917 in Russia non è scoppiata la rivoluzione socialista. Quello che è interessante notare è che in Russia la società borghese si è manifestata nelle sue conseguenze pratiche: dallo sviluppo enorme e dall'accentramento delle industrie (anche se ai capitalisti si è sostituito, acquistandone tutte le peculiarità, lo Stato e per esso la classe di chi detiene il potere) all'importanza sempre crescente, almeno sino ad oggi, della proprietà privata. Né d'altronde si è constatata la sparizione del proletariato, che al contrario, sebbene sotto altre forme, costituisce sempre il polo opposto del contrasto sociale rispetto alla classe dei funzionari di partito che interpretano lo Stato, assolutista quanto quello zarista. L'esperienza russa, in conclusione, non rappresenta che il tentativo di attraversare la fase borghese dell'evoluzione della società in una forma degenere e coatta che è socialismo di Stato. 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LABRIOLA: "Revisione e critica delle più recenti teorie sulle origini del diritto" (Roma, 1901) - C.MARX-F.ENGELS: "Il manifesto del partito comunista" (Ed.Valenti, Milano,1918) - C.MARX-F.ENGELS: "Scritti filosofici" (Casa Editr."Unita", Roma, 1945) - C.MARX - "Critica della economia politica" (Istit.Edit.Italiano, Milano, 1945) - PLEKHANOV: "Questioni fondamentali del marxismo" (Ist.Ed.Ital,,Milano,1945) - H.SPENCER: "Principi di sociologia" (Un..Tipogr.Editr., Milano 1881) - G.STALIN: "Questioni del leninismo" (Ed.Lingue Estere, Mosca, 1946) - M.A.VACCARO: "Le basi sociologiche del diritto e dello Stato" (Torino, 1895)