Ud1_Il Positivismo e il romanzo naturalista
Il positivismo
È un movimento filosofico e culturale ispirato ad alcune idee guida
fondamentali riferite in genere alla esaltazione del progresso e del metodo
scientifico che nasce in Francia nella prima metà dell’800 e che si diffonde
nella seconda metà del secolo a livello europeo e mondiale.
Il termine positivismo deriva etimologicamente dal latino positum, participio
passato neutro del verbo ponere, tradotto come ciò che è posto, fondato, che
ha le sue basi nella realtà dei fatti concreti.
Positivo vorrà dire allora:

ciò che è reale, concreto, sperimentale, contrapponendosi a ciò che è
astratto;

ciò che è utile, efficace, produttivo in opposizione a ciò che è inutile.
Contesto storico-sociale
Nella seconda metà dell'Ottocento il positivismo rappresenta l'elaborazione
ideologica di una borghesia industriale e progressista per cui, in particolare
in Inghilterra, ma anche nel resto d'Europa, trova corrispondenze con
l'affermazione del pensiero economico del liberismo.
Il Positivismo appare strettamente legato ai notevoli successi ottenuti dalle
scienze esatte nei diversi campi di applicazione (chimica, meccanica,
elettrologia, ottica e biologia). Nello stesso tempo non va sottovalutata
l'influenza del processo di organizzazione scientifica e tecnica della società e
dei sistemi di produzione sulla maturazione delle nuove idee positivistiche, le
quali daranno, a loro volta, un impulso notevole a tale processo.
È in questa fase che il positivismo si caratterizza per la fiducia nel progresso
scientifico e per il tentativo di applicare il metodo scientifico a tutte le sfere
della conoscenza e della vita umana.
Il positivismo diviene la cultura predominante della classe borghese. Secondo
Ludovico Geymonat, infatti, sebbene non possa stabilirsi una rigida identità tra
positivismo e borghesia, in quanto essa ha incoraggiato il positivismo ma per
certi aspetti lo ha anche contrastato, non vi è dubbio che il positivismo della
seconda metà dell' 800, ha rappresentato anche e in modo rilevante gli ideali
borghesi quali l'ottimismo nei confronti della moderna società industriale e il
riformismo politico in opposizione al conservatorismo e nello stesso tempo al
rivoluzionarismo marxista fortemente critico nei confronti del moderno sistema
industriale che non teneva conto dei "costi umani" collegati allo sviluppo
economico. Non a caso il positivismo si diffonde soprattutto nei paesi più
progrediti industrialmente mentre è limitatamente presente in quelli meno
sviluppati come l'Italia.
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Il positivismo si sviluppa in un periodo in cui l'Europa, dopo la guerra di Crimea
e quella Franco-prussiana sta attraversando un periodo di pace che favorisce la
borghesia nell'espansione coloniale in Africa e in Asia e nella contemporanea
evoluzione del capitalismo industriale in un fenomeno economico
internazionale.
C'è una profonda trasformazione anche nei modi di vita della città dove si
verificano in pochi anni cambiamenti più incisivi di quelli avvenuti nei secoli
precedenti con le innovazioni tecnologiche dell'uso della macchina a vapore,
dell'elettricità, delle ferrovie che mutano profondamente non solo le dimensioni
spazio-temporali ma anche quelle intellettuali. Tutto questo porterà nei primi
anni del '900 a quella esaltazione delle "magnifiche sorti e progressive"
raggiunte dall'Europa della Belle epoque che si avvia al crollo delle illusioni nel
baratro della Prima guerra mondiale.
Caratteri comuni e distintivi
Pur comprendendo pensatori che si diversificano tra loro sia per formazione
intellettuale, che per temi affrontati e soluzioni specifiche, il positivismo può
essere sintetizzato nei seguenti aspetti distintivi:
1) La scienza è la sola forma di conoscenza possibile e il metodo della
scienza è l'unico valido: pertanto il ricorso a cause o principi che non
siano riconducibili al metodo della scienza non fa progredire il cammino
della conoscenza, ma va considerato una pericolosa ricaduta nella
metafisica.
2) Il metodo della scienza, essendo l'unico valido, va esteso a tutti i campi
d'indagine, compresi quelli che riguardano l'uomo e i fenomeni sociali.
3) Il progresso della scienza rappresenta la base del progresso umano e lo
strumento per una riorganizzazione complessiva della vita sociale,
capace di trovare adeguate soluzioni ai numerosi problemi di ordine
politico e sociale posti dalla Restaurazione e dalla rivoluzione industriale.
4) La filosofia, non avendo oggetti suoi propri, o campi privilegiati di
indagine sottratti alla scienza, tende a coincidere con la totalità del
sapere positivo o, più in particolare, con l'enunciazione dei principi
comuni alle varie scienze. La funzione peculiare della filosofia consiste
quindi nel riunire e nel coordinare i risultati delle singole scienze, in
modo da realizzare una conoscenza unificata e generale. In ciò, il
positivismo si contrappone alla convinzione, tipicamente romantica, che
la filosofia debba essere separata dalla scienza in quanto disciplina
contraddistinta da problemi e metodi del tutto diversi.
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Positivismo e Illuminismo: affinità e differenze
Per certi aspetti il positivismo appare una originale riproposta del programma
illuministico con cui presenta delle affinità quali:

la fiducia nella ragione e nel sapere al servizio dell'uomo come mezzi per
conseguire la "pubblica felicità", obiettivo questo fallito dagli illuministi
per cui i positivisti si propongono di portare ordine, tramite il metodo
scientifico applicato in ogni campo delle conoscenze umane, per una
riorganizzazione globale della società resa caotica dalle rivoluzioni che
l'hanno sconvolta.

esaltazione della scienza vista in contrapposizione alla metafisica: il
metodo scientifico avrebbe dovuto sostituire la metafisica nella storia del
pensiero.

una visione laica e tutta immanente della vita dell'uomo in contrasto con
i pensatori cattolici.

Nello stesso tempo il positivismo si caratterizza per incisive differenze
con l'illuminismo:

mentre gli illuministi combattevano contro la tradizione metafisica e
religiosa e i privilegi dell'aristocrazia, in un mondo ancora dominato da
una cultura aristocratico-religiosa, i positivisti, che pure si oppongono a
quella tradizione che ostacola la razionalizzazione della cultura e della
società, agiscono contro posizioni anacronistiche e in nome di un
atteggiamento culturale che è già consolidato in una società borghese
stabilmente al potere e caratterizzata da una mentalità scientifica e laica
ormai largamente condivisa.

mentre il riformismo illuminista tendeva a tradursi in una rivoluzione,
come fu poi quella francese, il riformismo positivista è antirivoluzionario
e, pur contrastando la vecchia tradizione, è ostile alle nuove forze
rivoluzionarie del proletariato e alla pretesa scientificità dell'ideologia
socialista.

gli illuministi ricorrono alla scienza, pur con il suo limite, contro la
metafisica e la religione; i positivisti rendono la scienza una metafisica di
certezze assolute con la fondazione di una nuova religione scientifica.
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Il Naturalismo
Il Naturalismo è in letteratura quel movimento che nasce in Francia alla fine
dell'Ottocento come applicazione diretta del pensiero positivista e che si
propone di descrivere la realtà psicologica e sociale con gli stessi metodi usati
dalle scienze sociali.
Il Naturalismo riflette in letteratura la generale diffusione del pensiero
scientifico, che basa la conoscenza sull’osservazione, sull’ipotesi e
sull’esperimento. Lo scrittore naturalista applica alla letteratura il metodo
sperimentale, che è alla base del movimento filosofico del positivismo. Egli
deve rappresentare la realtà in modo oggettivo ed impersonale lasciando alle
cose stesse il compito di denunciare il degrado e le ingiustizie della società. Gli
scrittori naturalisti adottano in genere un narratore onnisciente, che sa tutto
dei personaggi e che racconta la storia in terza persona.
L'opera narrativa diventa così un laboratorio per l'osservazione fredda e
distaccata della realtà, di cui lo scrittore, al pari di uno scienziato, deve
registrare impassibilmente i fenomeni. Questo movimento letterario respinge
ogni eccesso della fantasia e del sentimento; l'obiettivo finale è quello di avere
un'opera d'arte oggettiva, in cui l'autore si limita ad una narrazione
impassibile delle varie vicende della vita quotidiana.
Il fattore dominante è quindi rappresentato dal canone dell'impersonalità
dell'opera d'arte. Vi è inoltre una riduzione dell'opera d'arte a documento
scientifico: il naturalismo va verso l'identificazione dell'arte con la scienza.
Applicando all'arte i metodi e i risultati della scienza, si può riprodurre la realtà
con una perfetta obiettività.
Il naturalismo privilegia il romanzo in quanto solo nel romanzo possono essere
distesamente affrontate le condizioni umane. Il romanzo sperimentale mette in
luce le manifestazioni passionali e intellettuali dell'individuo e rappresenta
l'uomo nell'ambiente sociale che lui stesso ha creato trasformandolo
incessantemente e lasciandosi a sua volta trasformare.
L'opera dello scrittore deve sottolineare la dipendenza dell'uomo dalle
condizioni ambientali, quindi la sua essenziale mancanza di libertà.
L'attenzione è puntata non tanto sulla natura quanto sulla società, intesa come
meccanismo di sopraffazione e di abbrutimento dei singoli. Fondamentale è la
tesi che il male e la malattia siano causa del deterioramento delle strutture
sociali. Il romanziere naturalista deve «affondare il suo bisturi» nella società
umana indagandone le passioni e i comportamenti e risalendo alla cause che li
determinano (la descrizione di una condizione è quindi condotta con il rigore
dell'analisi clinica).
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Scriveva Hippolyte Taine1 che l'individuo è la risultante del concorso di tre
fattori determinanti: l'ambiente (mileu), il momento storico (moment
historique) e la razza d'appartenenza (race). Per gli scrittore naturalistici una
visione fortemente negativa della realtà sociale attuale (nuova società
industrializzata) è associata ad un ottimismo fondato sul progresso della
scienza.
Il naturalismo è volto principalmente allo studio e alla rappresentazione della
realtà umana colta nei suoi aspetti più concreti (tutti fenomeni correlati
all'industrializzazione: le metropoli industriali, le plebi cittadine, la condizione
miserabile di alcune classi sociali, ecc.). I protagonisti dei romanzi
appartengono in prevalenza alle classi subalterne, alla piccola
borghesia e al proletariato, per convenzione sempre trascurati dal dominio
della letteratura. Descrivere l'ambiente è per gli scrittori naturalisti una
necesità, perché i comportamenti dei personaggi sono "determinati"
dall'ambiente stesso, dall'ereditarietà e dalla razza: milieu, moment e race,
secondo la teorizzazione di H. Taine. Le vicende della vita sociale e collettiva,
che costituiscono il tema dominante della narrativa naturalista, sono osservate
e narrate secondo i più rigidi canoni dell'oggettività: lo scrittore rimane
ditaccato e impassibile dinanzi alla storia che racconta.
Il caposcuola e teorico del Naturalismo è Emile Zola; esponenti di punta sono i
fratelli Goncourt e Guy de Maupassant.
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È considerato il maggior teorico del naturalismo francese e uno dei principali fautori del positivismo sociologico.
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Émile Zola - Il romanzo sperimentale
Nel 1880 Émile Zola (1840-1902) pubblicò il saggio Il romanzo
sperimentale. Sulla scia di idee espresse dal fisiologo francese Claude
Bernard, Zola volle dare alla letteratura la stessa coerenza metodologica della
scienza medica, la stessa capacità di offrire una conoscenza certa. L'ipotesi di
fondo è quella della congruenza delle varie forme del sapere e dell'operare
dell'uomo, della loro radicale unità nel segno della scienza. Il romanzo è un
documento, uno strumento di indagine che utilizza l'invenzione per analizzare i
meccanismi delle vicende umane con la stessa freddezza con la quale uno
scienziato studia i fenomeni naturali. Tra il romanziere e lo scienziato vi è una
differenza di ambiti, non di atteggiamento: "il metodo sperimentale, nelle
lettere come nelle scienze, si avvia a determinare i fenomeni naturali,
individuali e sociali, di cui la metafisica non aveva dato fino a questo punto che
spiegazioni irrazionali e soprannaturali".
Occorre considerare che tutto è collegato, che se il terreno proprio del medico
sperimentale è il corpo dell'uomo nei fenomeni dei suoi organi, in condizioni
normali e patologiche, il terreno proprio di noi romanzieri naturalisti è
ugualmente il corpo dell'uomo nei suoi fenomeni mentali e passionali,
allo stato normale e morboso. … bisogna ben tener conto delle idee che la
nostra epoca si fa della natura e della vita. Lo ripeto, noi [romanzieri
naturalisti] portiamo avanti necessariamente il lavoro del fisiologo e del
medico, che hanno proseguito quello del fisico e del chimico. Perciò facciamo il
nostro ingresso nella scienza. [...]
In ciò sta il nucleo della nostra polemica con gli scrittori idealisti. Il loro punto
di partenza poggia sempre su una base irrazionale qualsiasi, si tratti della
rivelazione, della tradizione, dell'autorità stabilita. Scrive Claude Bernard che
non bisogna ammettere niente di occulto: non vi sono che fenomeni e cause di
fenomeni. Noi scrittori naturalisti sottoponiamo ogni fatto all'osservazione ed
all'esperimento, mentre gli scrittori idealisti ammettono forze misteriose che
sfuggono all'investigazione e perciò restano ignote, al di fuori delle leggi della
natura. Il problema di una rappresentazione ideale del mondo si riduce, dal
punto di vista scientifico, al problema dell'indeterminato e del determinato. Ciò
che non conosciamo, che ancora ci sfugge, è l'ideale, e lo scopo del
nostro sforzo di uomini è di restringerne il campo ogni giorno,
conquistando la verità sull'ignoto. Siamo tutti idealisti, se si intende con
ciò che tutti noi ci occupiamo dell'ideale. Ma chiamo idealisti quelli che si
rifugiano nell'ignoto per il piacere di esservi, che hanno interesse solamente
per le ipotesi più fantasiose, che essi rifiutano di sottoporre alla verifica
dell'esperimento, con la pretesa di possedere essi stessi, e non le cose, la
verità. La loro opera è, lo ripeto, inutile e nociva, mentre l'osservatore e lo
sperimentatore sono i soli a lavorare per la potenza e la felicità
dell'uomo, rendendolo a poco a poco padrone della natura. Non vi è
grandezza, né dignità, né bellezza, né moralità del non conoscere,
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nell'inventare falsità, nel pretendere che si è tanto più grandi quanto più si
cresce nell'errore e nella confusione. Le sole opere grandi e morali sono le
opere veritiere. [...]
Non siamo né chimici né fisici né fisiologi ma romanzieri che si avvalgono della
scienza. Non abbiamo davvero la pretesa di fare delle scoperte in fisiologia, che
del resto non pratichiamo, ma solamente, prima di studiare l'uomo, crediamo
di non poterci esimere dal tener conto delle recenti scoperte della fisiologia.
Aggiungerò che i romanzieri sono certamente i lavoratori che si
avvalgono di un maggior numero di scienze umane perché trattano di
tutto e tutto devono sapere, essendo divenuto il romanzo un'indagine
complessiva sulla natura e sull'uomo. Perciò siamo stati spinti ad applicare
al nostro lavoro il metodo sperimentale dal momento in cui esso è divenuto lo
strumento di ricerca più efficace. Noi raccogliamo l'intero processo di indagine
e ci lanciamo nella conquista dell'ideale servendoci di tutte le conoscenze
umane.
È chiaro che sto qui parlando del come delle cose e non del loro perché. Per
uno scienziato sperimentale, l'ideale, l'indeterminato che egli cerca di
ridurre, non riguarda che il come. Egli lascia ai filosofi l'altro ideale, quello
del perché, che dispera di poter mai determinare. Credo che, ugualmente, i
romanzieri sperimentali non debbano preoccuparsi della mancanza di questo
genere di conoscenza, se non vogliono perdersi nelle fantasie dei poeti e dei
filosofi. È già un compito abbastanza gravoso cercare di conoscere il
meccanismo della natura senza affannarsi intorno alle origini di questo
meccanismo. Se un giorno lo si conoscerà sarà certamente in virtù del metodo
e la cosa migliore è dunque cominciare dall'inizio, dallo studio dei fenomeni,
piuttosto che sperare che un'improvvisa rivelazione ci consegni il segreto
dell'universo. Siamo degli operai e lasciamo ai metafisici l'incognita del perché
in cui si dibattono inutilmente da secoli per fermarsi all'incognita del come, i
cui margini si restringono ogni giorno davanti alla nostra investigazione. Per
noi romanzieri sperimentali deve esistere un solo ideale, quello che possiamo
conquistare.
Del resto, nella lenta conquista dell'ignoto che ci circonda,
riconosciamo umilmente la condizione di ignoranza in cui versiamo.
Cominciamo appena ad avanzare, niente altro; e la sola nostra vera forza
consiste nel metodo [... ]. Ne consegue che se i medici in quasi tutti i casi
devono procedere per via empirica, a maggior ragione ciò vale per i romanzieri
la cui scienza è più complessa e meno definita. Non si tratta, lo dico ancora
una volta, di creare in tutto e per tutto la scienza dell'uomo, come individuo e
come membro sociale, si tratta di uscire a poco a poco e con tutte le esitazioni
del caso, dall'oscurità in cui siamo circa noi stessi, felici quando, in mezzo a
tanti errori, possiamo individuare una verità. Noi procediamo per esperimenti,
il che vuol dire che, ancora per molto tempo, dobbiamo servirci del falso per
arrivare al vero. [...]
Si è detto spesso che gli scrittori devono aprire la strada agli scienziati. È vero
poiché abbiamo visto nell'Introduzione che l'ipotesi e l'attività empirica
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precedono e preparano la scienza, la quale si costituisce da ultimo mediante il
metodo sperimentale. L'uomo ha iniziato con il tentare alcune spiegazioni dei
fenomeni, i poeti hanno espresso il loro sentimento e gli scienziati poi sono
venuti a controllare le ipotesi ed a determinare la verità. È sempre il ruolo dei
pionieri che Claude Bernard assegna ai filosofi. Si tratta di un compito elevato
che ancor oggi gli scrittori devono compiere. Ma tutte le volte che una verità è
stabilita dagli scienziati, gli scrittori devono abbandonare immediatamente le
loro ipotesi per conformarsi a questa verità: diversamente rimarrebbero
nell'errore per partito preso, senza utilità per nessuno. In tal modo il
progredire della scienza fornisce a noi scrittori un terreno solido sul
quale dobbiamo poggiare per formulare nuove ipotesi. In una parola,
la determinazione di un fenomeno elimina l'ipotesi sostituendola ed
allora occorre dislocare l'ipotesi più oltre, nel nuovo terreno
sconosciuto che si presenta. [...]
Il romanziere sperimentale è dunque quello che accoglie i fatti provati,
mostrando nell'uomo e nella società il meccanismo dei fenomeni di cui la
scienza è padrona, e che fa intervenire il suo sentimento personale unicamente
nei fenomeni il cui determinismo non è ancora stabilito, sforzandosi di
controllare il più possibile il sentimento personale, l'idea a priori, con
l'osservazione e l'esperimento.
(Il romanzo sperimentale, trad. it. di I. Zaffagnini, Pratiche Editrice, 1980)
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La poetica di Zola
Le esigenze di trasformare il romanzo in uno strumento scientifico e di
rappresentare la realtà in tutte le sue forme, anche quelle più crude,
tradizionalmente rifiutate dal buon gusto letterario, furono riprese da Emile
Zola, lo scrittore che diede la sistemazione più compiuta alle teorie naturaliste
e quasi riassunse nella sua opera il movimento, ponendosi come un vero e
proprio caposcuola.
Le concezioni che stanno alla base della narrativa zoliana si trovano esposte
nella forma più organica nel volume Il romanzo sperimentale del 1880.
Prendendo le mosse dal fisiologo Claude Bernard, Zola sostiene che il metodo
sperimentale delle scienze, applicato in un primo tempo ai corpi inanimati
(chimica, fisica), poi ai corpi viventi (fisiologia), deve essere ora applicato
anche alla sfera "spirituale", agli atti intellettuali e passionali dell'uomo. Di
conseguenza la letteratura e la filosofia, che hanno come oggetto di indagine
proprio tali atti, devono entrare a far parte delle scienze, adottando il metodo
sperimentale (donde la formula «romanzo sperimentale»: il romanzo diviene
come il resoconto di un'esperienza scientifica esposto al pubblico).
Il presupposto di tali teorie è la convinzione che anche le qualità "spirituali"
sono un dato di natura come quelle fisiche e che leggi fisse, deterministiche,
reggono il funzionamento del corpo umano così come il pensiero e i sentimenti.
Il romanziere-scienziato, mediante l'esperimento, ha il compito di individuarle:
osservato un tipo di temperamento, egli lo pone ad agire in determinate
situazioni per verificare come si sviluppino le sue passioni e come vengano
modificate dall'ambiente. La scienza, sostiene Zola, non ha ancora trovato con
certezza tutte le leggi che regolano la vita passionale e intellettuale dell'uomo,
ma due principi si possono già affermare: l'ereditarietà biologica e l'influsso
esercitato dall'ambiente sociale, che è anch'esso un ambiente materiale, e che
modifica continuamente i meccanismi della vita individuale.
La conclusione a cui approda tutto il discorso di Zola è questa: come il fine
della scienza sperimentale è far sì che l'uomo diventi padrone dei fenomeni per
dominarli, così anche il fine del «romanzo sperimentale» è impadronirsi dei
meccanismi psicologici per poi poterli dirigere. Quando si possederanno le leggi
generali dell'agire umano, si dovrà solo operare in conformità sugli individui e
sugli ambienti per migliorare le condizioni della società. Il romanziere ha quindi
un fine importantissimo: aiutare le scienze politiche ed economiche nel
regolare la società ed eliminare le sue storture, fornendo ai legislatori e ai
politici gli strumenti per dirigere i fenomeni sociali. Come si vede, alla base del
«romanzo sperimentale» zoliano sta una concezione progressista della società
e della funzione dello scrittore, a cui viene assegnato un preciso impegno
sociale e politico.
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