Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 1 TECNICHE IMMUNOCHIMICHE Le cellule fondamentali del sistema immunitario animale sono i linfociti. Queste cellule ricircolano costantemente nell'organismo: dal sangue alla linfa, agli organi linfatici e da questi di nuovo nel sangue, assicurando un costante controllo di tutto il corpo. Esistono due classi di linfociti: linfociti T: sono coinvolti nella risposta immunitaria cellulare o cellulo-mediata, hanno un’ipersensibilità ritardata e si occupano della produzione di linfochine; stimolano o sopprimono la produzione e la funzione di altre cellule T. linfociti B (quelli che più ci interessano in questa sede): sono coinvolti nella risposta immunitaria umorale, hanno il compito di sintetizzare immunoglobuline o anticorpi solitamente sotto il controllo di cellule T regolatorie e si differenziano in plasmacellule. Le linee cellulari linfocitarie (come pure gli eritrociti, granulociti, monociti e megacariociti) hanno origine dalle cellule staminali. Nella vita embrionale le cellule staminali da cui originano i linfociti non si trovano nel tessuto linfatico, bensì nel midollo osseo e nel timo (organi linfopoietici, segnalati in blu e marrone nella figura a lato): queste cellule staminali sono pluripotenti, cioè precursori non ancora orientati verso la differenziazione in linfociti T e B. La specifica competenza immunitaria dei due tipi di linfociti si manifesta solo dopo aver lasciato il midollo osseo e raggiunto un organo linfatico (in verde, a lato) nel quale viene definita in modo irreversibile la loro evoluzione nell'una o nell'altra classe linfocitaria. Negli organi linfopoietici la proliferazione cellulare è antigene-indipendente, mentre nei tessuti linfocitari periferici la proliferazione è antigenedipendente. I linfociti B diventano quindi immunocompetenti e in grado di produrre anticorpi specifici solo dopo essere stati opportunamente stimolati da determinati antigeni. Il come questo avvenga è spiegato dalla teoria della selezione clonale. Milza Timo Midollo osseo Linfonodi, placca di Peyer, adenoidi etc. Ciascun linfocita B nei tessuti linfocitari produce un tipo leggermente diverso di anticorpo, ciascuna con un sito di legame che riconoscerà strutture molecolari specifiche. Queste immunoglobuline sono esposte sulla superficie esterna dei linfociti. Quando un antigene raggiunge i tessuti linfoidi ed entra in contatto con i linfociti B, solo i linfociti che portano sulla loro superficie un anticorpo specifico per l'antigene possono legare l’antigene stesso. Il legame stimola la cellula portatrice dell’anticorpo a proliferare per generare rapidamente una numerosa progenie di linfociti identici (clone). Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 Questa risposta primaria è coadiuvata da una specifica classe di cellule T dette cellule T helper, che riconoscere un antigene legato e possono, dopo questo riconoscimento, stimolare la proliferazione dell’appropriato linfocita B trasmettendogli una proteina segnale, l’interleuchina 2. 2 Diversi cloni di linfociti B Un antigene si lega alla cellula B che espone sulla sua superficie gli anticorpi affini a quell’antigene I linfociti appartenenti al clone così ottenuto evolvono rapidamente in plasmacellule produttrici dell'anticorpo specifico per l'antigene attivatore. Le plasmacellule sono morfologicamente simili ai linfociti, ma producono anticorpi solubili. Inoltre, sono più ricche di citoplasma, all’interno del quale vi è un reticolo endoplasmatico molto sviluppato, espressione di un’elevata sintesi proteica inerente la produzione di anticorpi. La cellula è stimolata a moltiplicarsi ed origina plasmacellule, che producono l’anticorpo in forma solubile. Non tutte le cellule dei linfociti B evolvono in plasmacellule, alcune di esse rimangono in uno stato di latenza dopo essere state sensibilizzate e possono indurre una risposta immunitaria molto rapida nel caso di un successivo contatto con lo stesso antigene. Queste cellule sono depositarie della cosiddetta “memoria immunitaria”. ANTIGENI L’antigene, come suggerito dalla descrizione precedente, è semplicemente una molecola che, introdotta in un animale per via parenterale, è in grado di attivare la risposta anticorpale. Gli antigeni sono tipicamente macromolecole solubili in acqua e che possiedono un alto grado di complessità chimica. Maggiore il peso molecolare, maggiori le probabilità che funzionino come antigeni. Le proteine eterologhe (cioè, provenienti da organismi diversi dall’animale trattato) di massa molecolare >10000 sono generalmente degli ottimi antigeni, ma i piccoli peptidi non sono di solito antigenici. Le glicoproteine e i polisaccaridi delle pareti cellulari batteriche sono in genere antigenici, ma i polisaccaridi più semplici, come l’eparina (massa molecolare 17000) invece no. L'epitopo rappresenta quella porzione di antigene riconosciuta dall'anticorpo; un antigene può avere sulla sua superficie uno o più epitopi diversi oppure anche identici tra loro (proteine multimeriche). Gli apteni sono piccole molecole (ad es., farmaci o pesticidi) che non riescono, da soli, a provocare una risposta immunitaria. Queste molecole sono però in grado di provocare una risposta immunitaria in seguito ad un loro legame con proteine carrier (ad esempio, l’albumina). Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 3 ANTICORPI Gli anticorpi, prodotti dalle plasmacellule, appartengono al gruppo di proteine note come immunoglobuline (Ig), classificabili in cinque diverse classi: IgG, IgA, IgM, IgE, e IgD. Gli anticorpi strutturalmente più semplici sono le IgG, Fab costituite da quattro catene Catene leggere polipeptidiche: due catene 25 KD Hinge 220 aa leggere identiche tra di loro e due catene pesanti anch'esse Catena identiche tra loro. leggera Le catene leggere sono costituite da una regione variabile (VL; in giallo nella figura) Catene pesanti Catena costituita da circa 110 residui 50 KD pesante nella porzione ammino termi440 aa nale della molecola e da una regione costante (CL; in azzurro) costituita da un centinaio di amminoacidi nella porzione carbossi terminale. Le catene pesanti possiedono anch’esse una regione variabile di circa 110 amminoacidi (VH) nella porzione ammino terminale e tre regioni costanti (CH1, CH2, CH3) nella regione carbossi-terminale formate complessivamente da circa 330 amminoacidi. Le regioni variabili sono caratterizzate da un’elevata eterogeneità strutturale legata alla funzione anticorpale svolta dalle IgG. All’interno delle regioni VL e VH si trovano intersperse delle sequenze amminoacidiche ipervariabili (chiamate anche "complementary determining regions", CDR): che determinano la specificità di legame dell’anticorpo. Le catene leggere e quelle pesanti presentano, sia nelle regioni variabili sia in quelle costanti, legami disolfuro intracatena. Inoltre le due catene pesanti sono legate covalentemente tra loro da due ponti disolfuro preceduti da una regione cerniera (hinge), che permette una certa flessibilità delle due catene polipeptidiche e quindi una certa capacità di adattamento all’antigene. La regione di IgG detta Fab è direttamente coinvolta nel legame con l’antigene ed è costituita dall’intera catena leggera e dalle regioni VH e CH1 della catena pesante. Trattando le immunoglobuline con papaina, è possibile rompere la catena polipeptidica H a livello dell’hinge, staccando di fatto i 2 Fab dal resto delle catene pesanti (che rimangono unite tra loro grazie ai legami disolfuro intercatena, formando la cosiddetta porzione Fc). La risoluzione della struttura cristallografica di alcuni complessi immunoglobulina-antigene ha dimostrato che la regione variabile di una catena leggera interagisce con quella di una catena pesante e l'insieme origina un dominio variabile, globulare. La regione CL e la corrispondente regione CH1 formano un dominio costante, globulare anch’esso, mentre le restanti regioni costanti delle catene pesanti danno origine ad altri due domini costanti. Così ogni singola molecola di IgG contiene due domini variabili e quattro domini costanti con una flessibilità limitata tra i vari domini. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 4 Altri tipi di immunoglobuline (pentamero) (dimero) Ponte disolfuro Regione cerniera Catena J Catena J Le IgG rappresentano circa l’80% delle immunoglobuline presenti nel siero, e sono gli anticorpi utilizzati prevalentemente nelle tecniche immunochimiche. Gli altri tipi di anticorpi sono mostrati nella figura sopra. Le immunoglobuline D (IgD) hanno una funzione ancora abbastanza misconosciuta, ma sono espresse superficialmente dai linfociti B immaturi e sembrano coinvolte nel processo di maturazione dei linfociti stessi (in pratica, inibiscono lo sviluppo dei linfociti quando riconoscano degli autoantigeni, prevenendo malattie autoimmuni). Le immunoglobuline E (IgE) sono associate ai mastociti e coinvolte nei processi di resistenza ai parassiti e nelle allergie. Le immunoglobuline M (IgM) sono la prima classe di anticorpi che compare nel siero dopo l’iniezione di un antigene; sono costituite da cinque subunità (cinque molecole di IgG) unite tra loro mediante ponti disolfuro tra le catene pesanti di subunità contigue e da una catena supplementare detta catena J legata con ponti disolfuro a due catene pesanti. Si ritiene che la polimerizzazione delle IgM inizi proprio dalla catena J. Le immunoglobuline A (IgA) sono immunoglobuline particolarmente importanti in quanto presenti nelle secrezioni. Una molecola di IgA è dimerica e i due monomeri sono contrapposti e legati con ponti disolfuro; tra le porzioni Fc contrapposte è presente una catena J ausiliaria e anche un polipeptide aggiuntivo, avvolto a spirale, detto pezzo secretorio. Le IgA sono presenti anche nel colostro, il primo latte secreto dalla mammella. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 5 INTERAZIONE ANTICORPO-ANTIGENE L’affinità dell’antigene per l’anticorpo è una misura della forza di interazione tra una molecola di antigene ed una di anticorpo, valutata in termini di semplice equilibrio: Ka + Ab (anticorpo) Ag (antigene) Ab-Ag (complesso) L’affinità, espressa dalla costante Ka (=1/Kd) varia in un Interazioni idrofobiche ampio range (105-1012 M-1), in dipendenza dal tipo specifico di antigene e di anticorpo, e quindi dal numero e tipo di interazioni che si formano tra antigene ed epitopo. Interazioni di van der Waals Ovviamente anche la temperatura, il pH, la forza ionica etc hanno un’influenza sull’equilibrio. Legami ionici La reazione completa tra Ag ed Ab è invece descritta da Ponti H un parametro detto avidità, che è la misura della stabilità globale dei complessi antigene-anticorpo, e dipende da: - Affinità (vista sopra) - Valenza dell’anticorpo per l’antigene e viceversa (considerate che gli anticorpi sono normalmente multivalenti. Una molecola IgG contiene due siti di legame per il suo epitopo; una IgM ne contiene dieci. Inoltre, molti antigeni sono a loro volta multimerici, e presentano molte copie dello stesso epitopo.) - Arrangiamento geometrico e spaziale dei componenti che interagiscono (se l’antigene è molto grande, può impedire che l’anticorpo si leghi a più di un epitopo etc.). - Formazione di macroaggregati (lattici). Se si utilizzano miscele di anticorpi (sieri policlonali) si possono avere sullo stesso antigene epitopi multipli riconosciuti da diversi anticorpi, con formazione di un lattice in cui la stabilità intrinseca di ciascun legame anticorpo-epitopo è la stessa che si avrebbe in isolamento, ma poiché l’antigene è tenuto insieme da altre interazioni, la dissociazione è globalmente sfavorita. La formazione di questi aggregati è alla base del fenomeno della immunoprecipitazione, che consiste nella precipitazione Zona di equiEccesso di Eccesso di dell’anticorpo da parte valenza anticorpo antigene dell’antigene (o viceversa). La precipitazione è massima per concentrazioni di anticorpo ed Anticorpo antigene che consentano precipitato la formazione degli aggregati. L’avidità di un anticorpo per l’antigene è l’effettivo determinante del successo delle tecniche immunochimiche. Antigene aggiunto Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 6 ANTICORPI POLICLONALI (SIERO) Gli anticorpi usati nelle tecniche Antigene Siero immunochimiche vengono prodotti tramite immunizzazione di animali di laboratorio (soprattutto conigli e topi) contro un determinato antigene. L’operazione è seguita dal prelievo di sangue dell’animale e dall’estrazione del siero, che, se la immunizzazione ha avuto successo, conterrà molti tipi diversi di immunoglobuline anti-antigene, diretti ciascuno verso un differente epitopo. La fase di immunizzazione è diversa da antigene ad antigene e da animale ad animale, ma consiste generalmente in iniezioni successive di antigene disciolto in soluzione fisiologica ed eventualmente addizionato di adiuvanti. Gli adiuvanti sono sostanze che provocano un rilascio lento dell’antigene ed aumentano la risposta infiammatoria. Un tipo classico è l’adiuvante di Freund (una miscela di oli e di frammenti di parete di Micobacterium tuberculosis) completo o incompleto (privo di micobatteri inattivati). Esempio: protocollo di immunizzazione di topi con un antigene umano. Fase Antigene iniettato Soluzione Adiuvante di Freund completo N° di iniezioni 4 1 40-100 g in 100 l 2 3 Ogni 7 gg 40-100 g in 100 l Adiuvante di Freund completo 4 Ogni 15 gg 100 g in 100 l Soluzione fisiologica 1 72 h prima del prelievo L’uso di un adiuvante e la esposizione ripetuta dell’animale all’antigene (serie di iniezioni) consente di innalzare moltissimo la risposta anticorpale. Come si vede, il protocollo prevede il prelievo del siero dopo un’esposizione all’antigene di circa 100 giorni. Questo permette di raggiungere nel sangue i massimi livelli anticorpali (stato di iperimmunità). Quando Tempo Gli anticorpi del siero presentano eterogeneità nelle regioni variabili (non ci sono solo IgG…) e nelle regioni costanti. Questa eterogeneità deriva ovviamente dal fatto che la gli anticorpi del siero derivano da molti differenti cloni di plasmacellula, per cui si parla anche di anticorpi policlonali. La eterogeneità di questi anticorpi può essere ridotta, ad esempio mediante una cromatografia di affinità in cui un antigene viene immobilizzato su una resina - in questo caso si selezioneranno solo gli anticorpi ad elevata specificità verso quel particolare antigene, e soprattutto verso gli epitopi lasciati più esposti dopo l’immobilizzazione dell’antigene stesso. Anche questi anticorpi saranno comunque ancora eterogenei. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 7 ANTICORPI MONOCLONALI Gli anticorpi monoclonali derivano da un unico clone plasmacellulare e sono quindi identici nella struttura delle regioni costante e variabile. La tecnologia per la produzione di anticorpi monoclonali, messa a punto negli anni ’70, prevede l’isolamento di una singola plasmacellula che produca il tipo desiderato di IgG e la sua successiva fusione in vitro con cellule di mieloma (tumore delle cellule B) per dare un ibridoma: una cellula immortale e che produce elevate quantità della specifica IgG desiderata. Ottenimento delle plasmacellule. Topo inoculato con l’antigene Si usano plasmacellule di topo. opportuno L’animale viene immunizzato seguendo un protocollo simile a Plasmacellule isolate dalla milza quello visto per i policlonali. L’ultima immunizzazione, in cui si omette l’uso dell’adiuvante di Freund, viene eseguita 72 ore prima del sacrificio dell'animale. Quest'ultima immunizzazione serve a sincronizzare il ciclo cellulare delle Fusione cellulare in plasmacellule con quello delle cellule presenza di PEG mielomatose, così che entrambi i tipi cellulari siano nella fase S del ciclo. La milza viene asportata e frantumata finemente (per esempio facendola passare attraverso l’ago di una siringa) e se ne ottengono i linfociti B maturi (fino a circa 108 cellule). Selezione e clonaggio degli ibridomi milzamieloma Cellule di mieloma coltivate in vitro Cloni che producono un unico tipo di anticorpo Anticorpi monoclonali dal terreno di coltura Fusione. I linfociti B maturi vengono mescolati con cellule di mieloma murino ed esposte per tempi molto brevi (tipicamente 1 min) ad una alta concentrazione (40-50%) di polietilenglicole (PEG) che favorisce la fusione tra cellule diverse. Si formano cellule ibride a corredo cromosomico aneuploide a cui contribuisce materiale genetico dei due stipiti cellulari. La linea mielomatosa utilizzata per produrre gli ibridi deve avere due caratteristiche: 1) non deve produrre immunoglobuline, per ovvi motivi. 2) non deve essere in grado di esprimere il gene per l’enzima ipoxantina guanina fosforibosil-transferasi (HGPRT), per consentire una successiva selezione degli ibridi milza-mieloma. Sintesi ‘ex novo’ Recupero 2 Aminopterina Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 8 Selezione degli ibridi milza-mieloma. Milza-mieloma MielomaMilza-milza In un terreno di coltura le plasmacelmieloma lule normali producenti gli anticorpi moriranno per apoptosi nel giro di alcuni giorni, le cellule ibride linfocitimieloma continueranno a proliferare, Le plasmacellule di Le cellule mielomatose milza (e gli ibridi milzama soprattutto cresceranno e prevar(e gli ibridi mielomamilza) muoiono dopo ranno le cellule di mieloma appartemieloma) non alcuni giorni in vitro per posseggono l’enzima nenti alla linea cellulare originaria. apoptosi HGPRT e muoiono nel Per eliminare le cellule di mieloma, terreno selettivo HAT deficitarie dell’enzima HPGRT, si utilizza un terreno di coltura contenente un inibitore della diidrofolato reduttasi: l’aminopterina, che inibisce la via di sintesi de novo delle basi puriniche e pirimidiniche. In questo terreno (HAT) le cellule di mieloma e Terreno selettivo HAT gli ibridi mieloma-mieloma non solo non possono sintetizzare i nucleotidi purinici de novo (causa la presenza di aminopterina) ma neppure tramite la via di recupero, perché deficitari dell’enzima HGPRT – quindi muoiono. Potranno sopravvivere solo le cellule che possiedono l’HGPRTcellule ibride che hanno ricevuto dai linfociti B di milza il gene per questo enzima. Gli ibridi ottenuti sono tra loro molto eterogenei; alcuni possono non essere stabili e morire, altri possono essere stabili ma non produrre Ig, altri ancora possono produrre anticorpi non utili, ma tra tutti questi ci saranno anche gli ibridi capaci di produrre gli anticorpi specifici per l’antigene utilizzato nel processo di immunizzazione. Screening e clonaggio. Per ‘pescare’ da questa moltitudine le cellule giuste si effettua uno screening, cioè si seminano gli ibridi ottenuti su piastre apposite (dotate di molti pozzetti) e poi si valuta la specificità e la concentrazione degli anticorpi prodotti in ogni pozzetto utilizzando metodi sensibili quali l’ELISA indiretta (vedi oltre). Da questa valutazione si può dedurre in quale pozzetto è presente l'ibrido con la specificità desiderata. Una volta trovati i pozzetti positivi, le cellule corrispondenti vengono sottoposte alla "limiting dilution", sono cioè diluite in un elevato volume di terreno di coltura che viene poi ridistribuito in diversi pozzetti; questa operazione deve essere ripetuta almeno tre volte, con l’obiettivo di ottenere in un pozzetto una singola cellula, da cui poi si origina una colonia di cellule. Questo corrisponde al clonaggio della cellula producente un singolo anticorpo. Sulle diverse colonie cellulari ottenute si ripete lo screening più volte in quanto le cellule producenti anticorpi possono non essere stabili e portare ad un decadimento del titolo di anticorpi. Quando le cellule produrranno un titolo costante di anticorpi si potrà essere certi di aver selezionato un clone. Per verificare che in un pozzetto venga prodotto un unico anticorpo omogeneo si può effettuare una elettroforesi in condizioni native di un aliquota del terreno di coltura. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 9 TECNICHE DI IMMUNOPRECIPITAZIONE Abbiamo visto come la reazione antigene-anticorpo può dar luogo in vari casi (soprattutto per anticorpi policlonali) alla formazione di aggregati di elevatissimo peso molecolare che diventano insolubili nelle soluzioni acquose. Abbiamo anche visto che questi immunoprecipitati si formano quando antigene e anticorpo sono presenti in determinati rapporti stechiometrici. Poiché la quantità di precipitato può essere dosata mediante varie tecniche (centrifugazione, turbidometria…) si può utilizzare l’immunoprecipitazione per evidenziare e titolare anticorpi ed antigeni. Quando l’immunoprecipitazione avviene all’interno di un gel si parla più propriamente di immunodiffusione. Sono stati messi a punto diversi metodi di immunodiffusione che possono essere utilizzati per il dosaggio di antigeni. Tra questi l'immunodiffusione radiale semplice, l'immunodiffusione doppia e l'immunoelettroforesi. L'immunodiffusione radiale semplice consiste nello scavare dei pozzetti in un terreno di agar in cui sia stato disciolto un anticorpo specifico. Dentro i pozzetti vengono poste soluzioni contenenti varie diluizioni di un dato antigene. Man mano che l'antigene diffonde nell'agar si forma un precipitato ad anello che si muove verso la periferia, divenendo stazionario nella zona di equivalenza. Il diametro dell'anello è funzione della concentrazione di antigene. Ponendo in un grafico il diametro dell'anello (l'area del cerchio) al punto di equivalenza contro la concentrazione di antigene, si ottiene una retta di taratura che consente di determinare la concentrazione dell'antigene in un campione ignoto. Immunodiffusione doppia (metodo di Ouchterlony). Si utilizza un gel d’agar nel quale sono scavati diversi pozzetti equidistanti da un pozzetto centrale. Nel pozzetto centrale si deposita l’anticorpo e nei pozzetti attorno i diversi antigeni. Anticorpo ed antigene diffondono nell’agar, in corrispondenza del punto di equivalenza si forma l’immunoprecipitato, che può essere meglio evidenziato mediante colorazione con Coomassie Brilliant Blue. Questa tecnica permette di stabilire se gli antigeni depositati nei diversi pozzetti sono o non sono identici o se hanno epitopi in comune. Si ha AB AB AC BD una reazione di identità tra più antigeni contenenti identici epitopi quando le bande di precipitazione si fondono lungo una linea continua (caso a). Si ha invece una reazione di non identità quando il pozzetto centrale contiene anticorpi contro AB AC entrambi gli antigeni, ma questi non hanno un epitopo in comune: si ottengono in questo caso due bande di precipitazione che si intersecano (caso b). Si ha infine una reazione di identità parziale quando i due antigeni hanno almeno un epitopo in comune, ma gli anticorpi utilizzati riconoscono sia l’epitopo in comune sia un altro epitopo proprio di uno solo degli antigeni (caso c). La posizione relativa della banda di precipitazione fornisce anche una stima semiquantitativa della concentrazione di antigene: infatti la distanza della banda di precipitazione dal pozzetto contenente l’antigene è proporzionale alla quantità di antigene presente: tanto maggiore è la quantità di antigene tanto maggiore è la distanza della banda. a c b Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 10 L'immunoelettroforesi è una tecnica che unisce la specificità della reazione di immunoprecipitazione con la separazione di molecole mediante elettroforesi. Solitamente si utilizza un gel d'agarosio su cui si praticano due incisioni parallele e alcuni pozzetti. Nei pozzetti si depositano gli antigeni (indicati come HS e HSA nel caso a lato; notate che HS rappresenta una miscela di antigeni che include HAS) e si fa avvenire l'elettroforesi. Al termine dell'elettroforesi, le due incisioni parallele sono riempite con un antisiero opportuno e si lascia in incubazione per una notte. Gli antigeni diffondono radialmente e gli anticorpi diffondono lateralmente dando quindi luogo ad archi di precipitazione. Questa tecnica può essere usata per valutare la presenza di determinati antigeni in un siero o estratto, nonché per valutare la purezza di una preparazione di antigene etc. L'immunoelettrodiffusione, chiamata anche immunoelettroforesi quantitativa o "rocket elettroforesi" è una tecnica concettualmente simile alla immunodiffusione radiale semplice, ma che implica un processo elettroforetico. Come nell'immunodiffusione radiale semplice, si impiega un gel di agarosio in cui sia presente un determinato anticorpo. In questa matrice vengono scavati dei piccoli pozzetti nei quali viene posto l’antigene d’interesse. L’antigene deve avere un pI sufficientemente basso da garantirgli una carica decisamente negativa al pH del gel; l’anticorpo, invece, dovrebbe avere carica preferibilmente nulla o positiva. Applicando una corrente continua gli antigeni migrano verso l'anodo e incontrano gli anticorpi che si muovono invece verso il catodo; quando antigene e anticorpo avranno raggiunto l'equivalenza stechiometrica si formeranno gli immunoprecipitati insolubili che daranno archi di precipitazioni vagamente simili a missili – da cui il nome della tecnica. Più l'antigene è concentrato nel pozzetto, più alto sarà il suo arco di precipitazione. Ponendo in grafico l'altezza degli archi contro la concentrazione si otterrà una retta di taratura che servirà per determinare la concentrazione di un antigene in un campione ignoto. Un limite della tecnica è, come detto, che funziona solo per antigeni che abbiano un pI abbastanza basso – non funziona con antigeni alcalini o con miscele di antigeni. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 11 DOSAGGIO RADIO IMMUNOLOGICO (RIA) Questo metodo serve per la quantificazione (‘titolazione’) di antigeni in una soluzione a concentrazione ignota. Il metodo è basato sulla competizione tra un antigene non marcato e una quantità fissa dello stesso antigene radioattivo, per il legame con un numero limitante e costante di siti anticorpali. Solitamente l’antigene viene marcato con iodio radioattivo (in genere 125I), cercando di alterare il meno possibile la sua immunoreattività. Per il RIA si utilizzano spesso anticorpi specifici legati ad una fase solida (ad es. sulle pareti di una provetta). E’ necessario costruire prima di tutto una curva di taratura, a questo scopo, si fanno reagire gli anticorpi (Ab) con una quantità nota di antigene marcato (*Ag) e quantità crescenti di antigene non marcato (Ag). Si formano quindi complessi Ag/Ab e *Ag/Ab; nel caso Ag sia in largo eccesso su *Ag si avrà dell’ Ag marcato libero. Campione contenente l’antigene (freddo) Antigene marcato (con 125I) Campione non contenente l’antigene Anticorpo specifico fissato al fondo del pozzetto Poco 125I rimane legato Tutto lo 125I rimane legato La quantità di *Ag libero (ed eventualmente anche di *Ag legato) può essere facilmente misurata recuperando il sovranatante. Si può quindi costruire la curva di taratura, riportando la radioattività legata/radioattività libera contro la concentrazione nota di Ag. Dalla curva di taratura si può poi calcolare la concentrazione di una soluzione contenente un titolo sconosciuto di Ag. Quando l’anticorpo non sia fissato su una fase solida ma libero in soluzione, si può sempre ricorrere al RIA, ma occorre trovare modi per separare l’antigene legato da quello non legato. L’antigene libero può essere separato mediante cromatografia a scambio ionico, oppure adsorbimento al carbone attivato o alla silice. Il complesso Ag/Ab può invece essere separato utilizzando un anticorpo che reagisca con l’anticorpo complessato formando un precipitato oppure si può separare mediante precipitazioni con solventi o sali opportuni. Il RIA è un tipo di saggio che presenta elevata sensibilità ed elevata specificità. Presenta tuttavia anche diversi inconvenienti: - Il pericolo radiologico legato all’uso di 125I (o 131I). La durata breve dei reagenti (l’emivita dell’isotopo 125I è solo 60 gg…) obbliga a marcature frequenti. Reagenti ed apparecchiature (sistemi per la scintillazione) sono piuttosto costosi. Per questi motivi, sono stati messi a punto altri tipi di saggi di laboratorio dove gli antigeni sono marcati in altro modo (con tags fluorescenti o coniugazione con enzimi). Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 12 DOSAGGIO IMMUNOENZIMATICO (ELISA) L'ELISA è una tecnica molto utilizzata, basata sulla coniugazione chimica di enzimi (quali ad es. la fosfatasi alcalina o la perossidasi) con anticorpi o antigeni. L’attività di questi enzimi è facilmente monitorabile e consente di quantificare la concentrazione di complesso coniugato (‘marcato’) con facilità e precisione. A seconda del particolare metodo utilizzato, l’ELISA può servire per il dosaggio di antigeni o anticorpi. Anticorpi su fase solida Trattamento con antigene marcato (a titolo noto) e antigene non marcato (titolo ignoto). Lavaggio. Aggiunta del substrato Misura dell’attività enzimatica Metodo del doppio anticorpo. In questo metodo, illustrato a lato, è un anticorpo che deve essere coniugato con un enzima indicatore. Si fa reagire una soluzione ignota di antigene con un anticorpo specifico legato ad una fase solida, si lava e si aggiunge un secondo anticorpo, marcato; (questo anticorpo dovrà essere policlonale oppure dovrà essere un anticorpo monoclonale diverso da quello immobilizzato… capace di riconoscere un diverso epitopo dell'antigene). Dopo un secondo lavaggio si aggiunge il substrato dell'enzima. In questa tecnica, l'attività enzimatica misurata sarà direttamente proporzionale alla quantità di antigene presente. Metodo competitivo: presenta molte analogie con il RIA. Si fa reagire una quantità nota di antigene marcato con un enzima ed una quantità ignota dello stesso antigene libero, con uno specifico anticorpo legato ad una fase solida (ad es., il fondo del pozzetto di una piastra). Sul sito di legame dell'anticorpo si crea competizione tra l'antigene marcato e quello non marcato. Dopo aver lavato il complesso con tampone, si aggiunge il substrato dell'enzima e si determina, mediante saggi colorimetrici o spettrofotometrici, l'attività catalitica. L'attività misurata in queste condizioni è proporzionale alla frazione di antigene marcato presente nella miscela. La differenza tra l'attività misurata in presenza del campione e quella misurata in una reazione di controllo in cui si è omesso l'antigene “freddo” consente di risalire alla concentrazione di antigene nel campione ignoto. Trattamento con antigene (titolo ignoto). Lavaggio. Trattamento con secondo anticorpo (marcato con un enzima). Lavaggio. Aggiunta del substrato Misura dell’attività enzimatica Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 13 Metodo ELISA indiretto: serve per titolare un anticorpo, anziché un antigene. Il materiale da dosare (ad es., un siero umano) viene fatto reagire con l’apposito antigene legato ad una fase solida. Dopo reazione del siero con l’antigene immobilizzato, il materiale che non si è legato viene rimosso mediante lavaggio. Si aggiunge poi un anticorpo anti-IgG (ad es., se il siero era umano, si può aggiungere un anticorpo estratto da un animale di laboratorio immunizzato contro le porzioni costanti di IgG umane) coniugato con un enzima. Si lava di nuovo e si aggiunge substrato dell’enzima: l’attività misurata sarà proporzionale alla quantità di anticorpo specifico presente nel siero originale. E’ un tipo di saggio molto usato in diagnostica. Ad esempio, alcuni test per evidenziare la presenza nel sangue di anticorpi contro HIV utilizzano l’ELISA indiretta (figura sotto). Test ELISA indiretto per la ricerca di IgG anti-HIV1 Albumina Proteine di HIV Siero Piastra per ELISA Anticorpi anti-umani coniugati con fosfatasi Aggiunto substrato della fosfatasi; sviluppo di colore. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 14 WESTERN BLOTTING Miscela di proteine Questo sistema combina la risoluzione dell’elettroforesi con la sensibilità della rivelazione immunochimica. Le bande proteiche da un gel in cui sia avvenuta la separazione elettroforetica vengono trasferite ad una membrana immobilizzante e poi trattate con un anticorpo marcato, specifico per la proteina d’interesse, la cui banda viene quindi riconosciuta. Incubazione con anticorpo marcato anti-A A Elettroblottin g B SDS-Page Filtro Incubazione con anticorpo marcato anti-B Autoradiogrammi Le proteine devono essere trasferite dal gel alla membrana mantenendo la forma e il livello di diffusione acquisiti alla fine della prima separazione elettroforetica. Il trasferimento su membrana può avvenire per semplice diffusione, oppure per flusso di solvente in sistemi sottovuoto, ma più di frequente si utilizza un sistema di elettroblotting. Il gel viene normalmente posto al catodo e la membrana all’anodo, il tampone può essere simile al quello utilizzato nella prima separazione (ad es., tris-glicina pH Catodo 8.3) e può contenere SDS o metanolo. Le caratteristiche del tampone dipendono Gel prevalentemente dal tipo di proteina da Membrana trasferire; se la proteina è fibrosa, molto apolare, poco solubile e di alto PM, in Carta da filtro assenza di SDS non si assiste al trasfeTovaglioli rimento. Proteine piccole, che si legano poco alla membrana e che diffondono in essa, necessitano invece di Tris Glicina Anodo addizionato di 20% di metanolo. Le membrane che si impiegano possono essere di diverso materiale, ma tutte presentano dei pori. Questi pori, che possono avere una grandezza diversa per meglio adattarle agli scopi, hanno un diametro che diminuisce progressivamente nell’attraversamento della membrana. Il diametro sarà maggiore nella parte esposta al gel, e minore nella parte esposta all’anodo, le proteine si legano alla matrice con interazioni idrofobiche ed elettrostatiche e la dimensione decrescente dei pori favorisce il blocco delle proteine all’interno della membrana. La prima membrana impiegata è stata quella di nitrocellulosa che ha una capacità legante di 80-100 mg/cm² in cui prevalgono interazioni elettrostatiche ed è ancora oggi la migliore per scopi generali. Una seconda membrana impiegata è quella di PolyVinylDiFluoride (PVDF), con una capacità di 170-200 mg/cm² e che presenta interazioni idrofobiche con le proteine. Ha una maggiore resistenza meccanica e chimica di quella di nitrocellulosa, viene impiegata quando le proteine recuperate devono essere caratterizzate e sequenziate e la sua capacità legante aumenta in presenza di SDS. Esistono anche membrane di nylon, con una capacità legante molto elevata, che sono consigliate per ottimizzare il rilevamento per chemiluminescenza. Metodologia Biochimica 2002 – Lez. 6 15 SITI INTERESSANTI Per quelli di voi che volessero approfondire l’argomento immunochimica e che hanno accesso al World Wide Web: Sito Web Commento www.whfreeman.com/immunology/CHAPS.HTML Versione on-line (condensata ma completa: copre tutti gli argomenti fondamentali ed ha molte belle figure) di un manuale di immunologia edito dalla W.H. Freeman & Co. (USA). ntri.tamuk.edu/monoclonal/introduction.html Introduzione alle tecniche di immunochimica dalla Texas A&M University (Kingsville, Texas, USA). www.kcom.edu/faculty/chamberlain/Website/MSTUAR T/lect4.htm Saggi per la misurazione dell’interazione antigeneanticorpo da un corso di immunologia on line. (Da un college di Kisksville, Missouri) www.uct.ac.za/microbiology/western.htm#copper Descrizione del western blotting dal capitolo di un manuale on-line di biologia molecolare già visto nella lezione passata. Dall’Università di Cape Town (Sud Africa).