Saluto al convegno QUALE FUTURO PER IL NORD TRA BENESSERE E PAURA Uomini di speranza di fronte al cambiamento VICINI ALLE PERSONE, DISTINTI DAI PARTITI. DENTRO LE SITUAZIONI, AL DI SOPRA DELLE PARTI. Prendo la parola all’inizio della riunione anzitutto per salutare gli intervenuti a nome dell’Arcivescovo di Milano, il Card. Dionigi Tettamanzi, Metropolita della nostra regione, e a nome di tutti i vescovi delle Diocesi di Lombardia. Desidero anche ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l’incontro, a cominciare dai responsabili della Regione Lombardia, per includere i funzionari e tutti i soci di A.C. che si sono impegnati nel rendere possibile la manifestazione. Non è mio compito, come vescovo referente per le associazioni laicali della Chiesa di Lombardia, entrare nel merito del tema oggetto del nostro incontro. Altri lo faranno. Mi limito piuttosto a dare il contributo dei vescovi lombardi a fissare il punto di vista della Chiesa e dunque la natura, la peculiarità e, se si vuole, anche i limiti del contributo che dalla Chiesa può e deve venire al dibattito pubblico e politico in senso lato. Faccio riferimento al Concilio, che rappresenta un sicuro punto di riferimento circa la concezione della Chiesa, il suo rapporto col mondo e, segnatamente, la relazione tra Chiesa, territorio e comunità politica. Nella riflessione conciliare circa la Chiesa, centrale è la teologia della Chiesa particolare. Sappiamo bene la distinzione tra Chiesa particolare e Chiesa universale. La Chiesa non è un’organizzazione internazionale che ha in Roma la sua centrale ideologica e la sua direzione strategica e che semplicemente si dota di terminali operativi in periferia. Essa si invera, si realizza e vive dentro una concreta porzione di umanità, dentro una precisa comunità di persone. Essa è comunità di credenti in Gesù Cristo che, raccolti intorno al loro pastore, si alimentano alla Parola, celebrano l’Eucaristia, testimoniano la carità. Dunque, è una comunità territorialmente situata e identificabile, ma – qui sta il punto decisivo che mi preme chiarire – è appunto Chiesa, cioè “popolo di Dio”, per evocare un’altra espressione cardine dell’ecclesiologia conciliare. Parlando di Chiesa, prima di tutto ci riferiamo a un popolo, non a un territorio. Facciamo riferimento a persone, famiglie, comunità. Alla Chiesa sta a cuore la sorte delle persone. Essa partecipa intimamente della loro condizione (vedi proemio “Gaudium et spes”) e si preoccupa del loro destino umano ed eterno. Non si pone dunque sul piano della retorica localistica e dell’ideologia del territorio. Anzi: ne corregge le angustie e le chiusure, perché mette piuttosto l’accento sull’universale umano, e stimola ad allargare nel tempo e nello spazio gli orizzonti delle persone e del bene comune. La Chiesa è popolo ma, più specificamente, popolo di Dio. Cioè fedele a Lui e alla sua Parola. La Chiesa non insegue gli umori del popolo. Non è interessata al consenso. Quando è necessario, anzi, sfida l’opinione corrente e si propone come “comunità alternativa”, imperniata su quei valori di accoglienza, fraternità, gratuità e perdono che vanno in controtendenza nella cultura di oggi. Essa non ha esitazione a bonificare e purificare il senso comune, a sfidare le facili riduzioni del Vangelo a tradizione umana. Si tratta di praticare la doppia legge dell’immanenza e della trascendenza da sempre presente nella teoria e nella pratica dei cristiani, e di cui ci parla, dalle origini del cristianesimo un testo quale la lettera A Diogneto, manifesto insuperato e insuperabile della tradizione cattolica; là si proclamano la “compagnia” dei battezzati con gli uomini e, insieme, la “differenza cristiana”, la cosiddetta cittadinanza paradossale dei cristiani. Su queste basi si comprende la distinzione e, talora, la distanza della Chiesa rispetto alle parti politiche. Dentro le situazioni, la Chiesa è al di sopra delle parti o comunque si pone su un altro piano. Come ammoniva Sturzo, la politica è il regno di una ben intesa parzialità (cioè della competizione e del confronto democratico tra legittimi punti di vista di parte), la religione è il regno dell’universalità. Una tale alterità del punto di vista della Chiesa non significa estraneità o indifferenza. E neppure ossessione paralizzante e magari pavida per una malintesa equidistanza. Quella di chi si preoccupa di non scontentare, di non turbare nessuno, specie se questi dispone di potere. A maggior ragione, quando le ideologie politiche si fanno religione, quando avanzano pretese totalizzanti e magari si propongono di fare concorrenza alla Chiesa stessa, di delegittimarla e di prenderne il posto come più genuina espressione del popolo, la Chiesa non si sottrae al dovere della franca presa di distanze, della denuncia critica e profetica. Di tale alterità della Chiesa e del compito che essa si accolla di bonificare, integrare e correggere la ragion politica e i suoi riduzionismi (o i suoi assolutismi) troviamo traccia chiarissima nel magistero di Papa Benedetto. Faccio riferimento in particolare alla sua prima enciclica “Deus caritas est”, ai par. 28-29. In quel testo, in continuità con le distinzioni conciliari, si rinviene una bussola sicura per orientarci anche dentro i problemi e, perché tacerlo, le tensioni presenti. Ne richiamo i punti salienti: o la chiara distinzione tra Chiesa e comunità politica (“la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato… la società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica”). o l’indeclinabile responsabilità della Chiesa di proclamare le ragioni della giustizia e le esigenze etiche ad essa immanenti soprattutto purificando e potenziando la ragione (“origine e scopo della politica si ritrovano nella giustizia e questa è di natura etica… è un problema che riguarda la ragione pratica, ma, per operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile… la Chiesa vuole contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato”). o L’attenzione e la spinta alla responsabilità dei laici cristiani (“il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è proprio dei fedeli laici. Come cittadini dello Stato, essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica… Missione dei fedeli laici è pertanto configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità”). Un richiamo, questo relativo alla responsabilità dei laici cristiani, che a sua volta rinvia a due avvertenze. La prima riguarda noi pastori e cioè il dovere di incoraggiare positivamente i laici a riconoscere l’importanza di operare nell’ambito del sociale, scommettendo con fiducia su chi, con spirito libero e animo generoso, si gioca nel campo della politica. La seconda, in certo modo reciproca, è un monito rivolto ai laici cristiani impegnati: alludo alla cura di non invocare a copertura delle proprie posizioni politiche l’autorità della Chiesa o addirittura di avanzare la pretesa di sostituirsi ad essa. Al riguardo, il Concilio ha parole forti: “a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”, G. S. 43. Specie quando si sostengono posizioni in aperto contrasto con principi basilari dell’etica cristiana. Penso alla fondamentale uguaglianza degli uomini in quanto figli di un unico Padre, un principio che dunque si oppone a ogni discriminazione o pregiudizio. E penso alla speciale attenzione e sollecitudine per ogni persona umana, a cominciare da quelle che scontano una condizione di fragilità e di debolezza. La proclamazione di tali principi è dovere inscritto nella sua missione e nessuno può arrogarsi il diritto di mettere a tacere la Chiesa. Ringrazio dunque nuovamente la presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per aver opportunamente deciso di convocare questa riunione dei laici di A.C. nella prestigiosa e storica sede della Regione Lombardia. A voi tutti, soci qui presenti della Azione Cattolica, rivolgo l’invito a vivere nelle associazioni diocesane e nei gruppi parrocchiali ciò che il vostro gesto esprime. Esso è invito ai laici cristiani perché vivano sempre con responsabilità la loro condizione di cittadini; l’auspicio che insieme formuliamo è che sempre meglio i credenti sappiano inverare la loro condizione di cittadini fedeli al Vangelo e leali alla Costituzione e alle giuste leggi della Regione e dello Stato.