Pagina Verona Fedele di settembre 2009

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Azione Cattolica
20 SETTEMBRE 2009
“Educare al bene comune” è stato il tema del convegno organizzato dal settore adulti
Essere cristiani oggi
l tema quanto mai attuale
ed urgente del bene comune è stato variamente dibattuto in una “due giorni” di
grande spessore, tenuta a S. Fidenzio, e promossa dal settore
adulti dell’Ac veronese.
Relatori d’eccezione Giuseppe Savagnone, docente di
Filosofia, giornalista ed editorialista di Avvenire, e Paolo
Trionfini, docente universitario
e vicepresidente nazionale di
Azione Cattolica.
Il professor Savagnone,
coinvolgente conduttore della
prima giornata, con le sue doti
umane e la limpidissima intelligenza, ha portato una ventata
di aria pura, in un momento in
cui tutto sembra prendere il colore ed il sapore assai grigio
del potere, ove tutti i valori
vengono annacquati. In un crescendo di argomenti e di idee,
partendo dal concetto di “legalità”, che, pur riduttiva e talvolta contraddittoria rispetto al
bene comune, è tuttavia largamente disattesa, Savagnone è
arrivato alla formulazione di
“bene comune” come l’insieme delle condizioni materiali,
culturali e spirituali che permettono la felicità e la piena
realizzazione della persona e,
conseguentemente, della comunità umana. E quindi: adeguata attenzione alle risorse
materiali, al dignitoso lavoro,
ad un sano mercato e, pur nella
sobrietà, sufficiente disponibilità di oggetti di consumo per
tutti. E poi: bene comune promosso a livello culturale da una scuola che funzioni; da musei, chiese, beni artistici ed am-
I
bientali visitabili e fruibili; da
televisione e spettacoli intelligenti, divertenti e formativi. E
ancora: modelli etici di alto
profilo per non comunicare ai
giovani messaggi negativi secondo i quali i furbi, i disonesti
e gli amorali, non solo sfuggono ad ogni condanna, ma possono ambire a ruoli di rilievo.
Bene comune come esercizio delle virtù, come cooperazione, come spiritualità degna
dell’uomo, come rispetto dei
valori religiosi, la cui eliminazione dalla sfera pubblica risponde ad un principio di bieco
statalismo. La tanto declamata,
e spesso fraintesa, laicità comporta la capacità di percepire la
realtà dell’altro e di dialogare.
Uno stato sanamente laico sarà
capace di dar spazio alle voci
delle tradizioni religiose; una
fede laica non si chiuderà in uno sterile integralismo perché
la vera laicità implica l’ascolto
delle varie voci, onde entrino
in dialogo e sviluppino frater-
sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per
il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa, sia nella
Chiesa stessa che nel mondo...”. Per far questo occorre
lavorare sulla scommessa educativa, su cui l’Ac da sempre
appoggia le sue radici, spendendo il bagaglio formativo alla luce del Vangelo e orientando i principi della convivenza
umana verso il Regno di Dio.
In quanto laici siamo chiamati
ad abbattere i muri che fanno
concepire la Chiesa isolata dal
mondo, mentre, secondo il
mandato di Gesù morto e risorto per tutti gli uomini, essa non
vive per se stessa ma per l’umanità intera. L’impegno delle
comunità cristiane sta nel costruire ponti, cancellando il linguaggio che porta a forme di
separazione. La profezia culturale che ci fa conoscere la storia è importante, perché solo
valutando nel loro insieme gli
ambiti e i fatti dell’esistenza
dell’uomo, possiamo, attraverso il Vangelo, comprendere la
vita ed orientarla verso il disegno di Dio. Siamo chiamati a
contribuire affinché le comunità cristiane siano luoghi di
discernimento e sappiano leggere i segni dei tempi in forma
ecclesiale, secondo lo spirito
della corresponsabilità. La lettura del Vangelo non deve essere un impegno privato, ma di
tutti e per tutti, per combattere
l’esasperato individualismo
che ci logora dentro, in un momento storico in cui il volto dei
potenti della terra, che decidono il destino degli ultimi, diventa l’idolo attorno al quale i
riti collettivi dell’umanità si
consumano. Questa cultura rischia di renderci schiavi, facendoci perdere di vista la
scommessa del Vangelo. Ci
viene chiesto di far luce, di togliere la patina che avvolge lo
sguardo del cuore per leggere
secondo lo sguardo di Dio, il
tutto partendo da uno stile che
Questo sabato 19 settembre a San Massimo
Torna Festinsieme
A
ppuntamento questo sabato 19
settembre al Seminario di San
Massimo per tutti gli associati
giovani e adulti per incontrarsi, raccontarsi l’estate trascorsa e gettarsi a
capofitto nell’anno pastorale che sta
per iniziare. Il programma prevede
l’accoglienza e la preghiera alle 15, a
cui seguirà la presentazione delle linee
iuseppe Savagnone, palermitano, editorialista del
quotidiano Avvenire e del
Giornale di Sicilia, docente di Storia
e filosofia nei licei statali, direttore
del Centro diocesano per la pastorale
della cultura di Palermo, membro
del Forum della Cei per il Progetto
culturale e autore di numerosi libri, è
stato splendido relatore al convegno
“Educare al bene comune”. Ha poi
voluto rispondere ad alcune domande sull’Azione Cattolica e sul ruolo
dei laici nella Chiesa.
– Secondo una famosa risposta
di Vittorio Bachelet a Paolo VI, accolta peraltro con compiacimento
dal Pontefice, “l’Azione Cattolica
è obbediente in piedi”. Oggi che esistono forti spinte anticlericali ed
accuse alla gerarchia di autoritarismo e indebite ingerenze a livello
civile, quale potrebbe essere secondo lei il ruolo e la mediazione di
un’associazione cattolica laicale
devota alla Chiesa ma convinta
della propria laicità e maturità di
coscienza?
«Oggi più che mai c’è un estremo
bisogno di laici consapevoli e maturi
nella fede, che sappiano essere interlocutori e non solo esecutori di fronte alle direttive della gerarchia ecclesiastica. La Chiesa non è e non deve
essere una democrazia, ma è una comunione e il suo cammino deve
svolgersi, per rispettare la logica del
Vangelo, secondo uno stile sinodale.
Già dentro la Chiesa questo può liberare la gerarchia dal rischio di una
autoreferenzialità perniciosa, arricchendola di un franco contributo critico da parte dei laici. Ancora più necessaria è la presenza di un simile
laicato nella vita civile. Come il Papa
ha scritto nella Deus caritas est (nn.
G
nità, guardando in faccia le diversità. Paolo Trionfini, vicepresidente nazionale di Ac ci
ha aiutati, nella seconda giornata, a declinare il bene comune, considerandolo come un talento prezioso dato da Dio, che
dobbiamo trafficare, per non
correre il rischio di seppellirlo.
L’Azione Cattolica, tra le sue
attenzioni, dà ampio spazio al
bene comune che ha annoverato nei programmi triennali e
nei cammini formativi con tre
direttrici di marcia, a partire
dal quotidiano per calarlo nel
territorio e poi portarlo nel
mondo. Nell’Apostolicam Actuositatem (n. 3) si dice che i
laici “mettendo «ciascuno a
servizio degli altri il suo dono
al fine per cui l’ha ricevuto,
contribuiscano anch’essi come
buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio» (1 Pt
4,10) alla edificazione di tutto
il corpo nella carità (cfr. Ef
4,16). Dall’aver ricevuto questi
carismi, anche i più semplici,
e prospettive unitarie e quindi, separatamente, i programmi dei settori. Alle
19 sarà celebrata la S. Messa. Alle 20
la cena concluderà, insieme a “quattro
ciacole” la festa. Anche quest’anno saranno presenti degli “stand” dedicati
a: Comunicazione; Acr Guide; Acr
Centro Diocesano; Giovani; ristrutturazione di S. Giovanni in Loffa; mo-
stre del 140°; Ave; filmati e foto dei
campi.
L’invito alla Festinsieme è aperto a
tutti, anche ad amici e persone di altre
parrocchie vicine. Un’occasione unica
per stare insieme e gustare lo spirito
della nostra associazione. Sarebbe un
vero “peccato” mancare.
Marco Dal Forno
Intervista a Giuseppe Savagnone, editorialista di Avvenire
«C’è bisogno di laici maturi»
28 e 29), la Chiesa istituzionale non
deve fare politica, ma illuminare le
coscienze. Devono essere i cittadini
cristiani a prendersi le loro responsabilità in questo ambito, ispirandosi al
Vangelo e al Magistero, ma da uomini e donne liberi. L’Azione Cattolica
è forse una delle poche realtà ecclesiali che oggi persegue in modo esplicito il programma di formare simili laici. Ripongo in essa molte speranze».
– L’Azione Cattolica ha precorso molti dei temi conciliari, fra cui
quello della corresponsabilità dei
laici nella Chiesa. Dal suo osservatorio privilegiato, a che livello giudica attualmente questa “corresponsabilità”? È in progresso o in
regresso?
«Purtroppo registro da molti anni
una strana dicotomia: da una parte si
continua a parlare di un “ritorno al
Concilio Vaticano II”, esaltato e mitizzato; dall’altra c’è un sempre
maggiore allontanamento dai suoi
insegnamenti, permesso anche dalla
totale ignoranza, nella pastorale ordinaria, dei suoi documenti fondamentali, dalla Lumen Gentium alla
Dei Verbum alla Gaudium et Spes,
che le nuove generazioni non conoscono neppure di nome. Uno degli aspetti più gravi di questo allontanamento dall’insegnamento conciliare
è il crescente clericalismo, che ha
sempre più reso irrilevanti i laici sulla scena pubblica del nostro paese e
all’interno della Chiesa stessa. Siamo ben lontani dalla corresponsabilità!».
Giuseppe Savagnone
– È ampiamente dimostrato dalla storia che il benessere materiale,
pur molto importante, senza libertà, spiritualità e speranza, non
soddisfa l’uomo. Oggi, da più parti, la comunità scientifica tende a
“ridimensionare” i valori religiosi
e cristiani, pensando di rendere un
servizio alla verità, all’intelligenza
umana e alla sua libertà. Secondo
lei, la Chiesa è pronta per un dialogo aperto, approfondito, costruttivo e fraterno con questi “avversari”, anche attraverso le professionalità dei suoi laici? E a suo parere, alcuni attacchi alla fede potrebbero avere origine da un’inquietudine di fondo di agostiniana
memoria, che avvallerebbe la nota
asserzione di un romanzo (Il vangelo secondo Pilato) in voga alcuni
anni fa per cui “solo l’indifferenza
è atea”?
«A ridimensionare i valori religiosi oggi non sono tanto gli scienziati,
quanto dei cattivi filosofi travestiti da
scienziati. Uno scienziato serio sa
che i problemi dell’esistenza di Dio
o dell’immortalità dell’anima non si
possono non dico risolvere, ma
neppure affrontare con il metodo
scientifico, perché sono oggetto di
un altro livello di ricerca razionale,
che è quello della filosofia. Sfortunatamente la comunità cristiana
non dedica sufficiente spazio, nella
sua pastorale, alla formazione di
persone che riflettano su questi
problemi in modo adeguato. Ci si
accontenta di una fede molto emotiva e tradizionale, che non si pone
troppe domande. Di fronte a questa
situazione, è facile ai cattivi filosofi di cui si parlava fare breccia nella mente della gente, perfino dei
credenti stessi. Il ritorno di un ateismo aggressivo, che sta riempiendo la nostra editoria, dovrebbe essere visto dai cristiani come una
sfida a pensare di più, perché è dalla scarsa razionalità, e non da un
vero approfondimento dei problemi, che derivano questi attacchi, e
il solo modo di affrontarli è di rispondere pacatamente ponendosi
proprio sul terreno della ragione.
Ma per questo non bastano i riti, è
necessaria un’opera di educazione
che abitui a pensare e a discutere.
Quanto alla radice di queste posizioni, spesso davvero c’è un’inquietudine. Ma dovremmo chiederci come mai coloro che la pro-
ci è proprio, come ricordava
Benedetto XVI l’anno scorso a
Roma durante la XII Assemblea: “L’Azione Cattolica è
scuola di santità”. Ciascun cristiano è chiamato a rispondere
in pienezza al Signore secondo
lo stile del discepolo, nella logica della gratuità, e questo è
un passo importante nell’impegno verso il bene comune. La
gratuità crea un ottimo antidoto contro la cultura contemporanea. Solo nella civiltà dell’amore nasce la preoccupazione
per l’altro, che traduciamo in
uno stile di vita che diventa un
insegnamento potente, in misura tanto maggiore dove la società non è più abituata a
preoccuparsi degli altri. Uno
slogan associativo di qualche
anno fa recitava così: “Abitare
la casa per abitare il mondo”.
Vivendo la dimensione della
casa si riesce poi a vivere il
mondo. Ne ricaviamo che più
“siamo Ac” e più diventa significativo il nostro spenderci
per il bene comune. La paradossalità della nostra laicità sta
nell’essere “cittadini del mondo senza essere del mondo”
(Lettera a Diogneto) ed in questa paradossalità del quotidiano siamo chiamati a percorrere
le vie del mondo ed influire
sulla sua storia consapevoli
che esso è il luogo teologico
dove Dio continua a parlare.
Nostro compito quindi è preparare lo spazio a Dio nella
storia.
Nella Dal Ben
Claudio Bolcato
Vicepresidenti diocesani
Settore Adulti di Ac
vano non trovino in noi degli interlocutori capaci, se non altro, di interessarli».
– Il terremoto d’Abruzzo ha
dimostrato sul campo la vitalità
delle comunità parrocchiali che,
quando tutto – letteralmente –
crolla, risultano insostituibili
luoghi di identità, aggregazione e
mutuo aiuto. Nella vita normale
è invece evidente che tra parrocchia e società civile, pur in parte
costituite dalle stesse persone,
sembra esserci un muro, più o
meno alto. Quanto, secondo lei, è
alto questo muro? E perché esiste? L’Ac, presente in molte parrocchie, può farci qualche cosa?
«Sì, il muro è alto perché i laici,
all’interno del tempio, vengono valorizzati solo come vice-preti e sostituti del parroco nell’amministrare
la Comunione ai malati o nel fare il
catechismo, senza dare peso alla loro missione nel mondo, quella di cui
parla il Concilio. Il risultato è una
schizofrenia, per cui il laico, dentro
la parrocchia, non è più un professionista, una madre di famiglia, un
operaio, ma solo un lettore o un catechista, e fuori segue le mode e la
mentalità del mondo, senza essere
capace di ripensarle in prospettiva evangelica. Clericalismo dentro il
tempio, laicismo fuori. L’Azione
Cattolica, proprio perché, a differenza di altre realtà ecclesiali, opera calandosi nel cuore delle parrocchie,
può essere un valido fermento che
porta a unificare le persone, superando il dualismo sacro-profano e
restaurando una identità cristiana
matura, capace di essere, in modo
diversi, sempre se stessa, sia dentro
che fuori le mura del tempio».
Margherita Frigo Sorbini