18 Azione Cattolica 20 SETTEMBRE 2009 “Educare al bene comune” è stato il tema del convegno organizzato dal settore adulti Essere cristiani oggi l tema quanto mai attuale ed urgente del bene comune è stato variamente dibattuto in una “due giorni” di grande spessore, tenuta a S. Fidenzio, e promossa dal settore adulti dell’Ac veronese. Relatori d’eccezione Giuseppe Savagnone, docente di Filosofia, giornalista ed editorialista di Avvenire, e Paolo Trionfini, docente universitario e vicepresidente nazionale di Azione Cattolica. Il professor Savagnone, coinvolgente conduttore della prima giornata, con le sue doti umane e la limpidissima intelligenza, ha portato una ventata di aria pura, in un momento in cui tutto sembra prendere il colore ed il sapore assai grigio del potere, ove tutti i valori vengono annacquati. In un crescendo di argomenti e di idee, partendo dal concetto di “legalità”, che, pur riduttiva e talvolta contraddittoria rispetto al bene comune, è tuttavia largamente disattesa, Savagnone è arrivato alla formulazione di “bene comune” come l’insieme delle condizioni materiali, culturali e spirituali che permettono la felicità e la piena realizzazione della persona e, conseguentemente, della comunità umana. E quindi: adeguata attenzione alle risorse materiali, al dignitoso lavoro, ad un sano mercato e, pur nella sobrietà, sufficiente disponibilità di oggetti di consumo per tutti. E poi: bene comune promosso a livello culturale da una scuola che funzioni; da musei, chiese, beni artistici ed am- I bientali visitabili e fruibili; da televisione e spettacoli intelligenti, divertenti e formativi. E ancora: modelli etici di alto profilo per non comunicare ai giovani messaggi negativi secondo i quali i furbi, i disonesti e gli amorali, non solo sfuggono ad ogni condanna, ma possono ambire a ruoli di rilievo. Bene comune come esercizio delle virtù, come cooperazione, come spiritualità degna dell’uomo, come rispetto dei valori religiosi, la cui eliminazione dalla sfera pubblica risponde ad un principio di bieco statalismo. La tanto declamata, e spesso fraintesa, laicità comporta la capacità di percepire la realtà dell’altro e di dialogare. Uno stato sanamente laico sarà capace di dar spazio alle voci delle tradizioni religiose; una fede laica non si chiuderà in uno sterile integralismo perché la vera laicità implica l’ascolto delle varie voci, onde entrino in dialogo e sviluppino frater- sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e a edificazione della Chiesa, sia nella Chiesa stessa che nel mondo...”. Per far questo occorre lavorare sulla scommessa educativa, su cui l’Ac da sempre appoggia le sue radici, spendendo il bagaglio formativo alla luce del Vangelo e orientando i principi della convivenza umana verso il Regno di Dio. In quanto laici siamo chiamati ad abbattere i muri che fanno concepire la Chiesa isolata dal mondo, mentre, secondo il mandato di Gesù morto e risorto per tutti gli uomini, essa non vive per se stessa ma per l’umanità intera. L’impegno delle comunità cristiane sta nel costruire ponti, cancellando il linguaggio che porta a forme di separazione. La profezia culturale che ci fa conoscere la storia è importante, perché solo valutando nel loro insieme gli ambiti e i fatti dell’esistenza dell’uomo, possiamo, attraverso il Vangelo, comprendere la vita ed orientarla verso il disegno di Dio. Siamo chiamati a contribuire affinché le comunità cristiane siano luoghi di discernimento e sappiano leggere i segni dei tempi in forma ecclesiale, secondo lo spirito della corresponsabilità. La lettura del Vangelo non deve essere un impegno privato, ma di tutti e per tutti, per combattere l’esasperato individualismo che ci logora dentro, in un momento storico in cui il volto dei potenti della terra, che decidono il destino degli ultimi, diventa l’idolo attorno al quale i riti collettivi dell’umanità si consumano. Questa cultura rischia di renderci schiavi, facendoci perdere di vista la scommessa del Vangelo. Ci viene chiesto di far luce, di togliere la patina che avvolge lo sguardo del cuore per leggere secondo lo sguardo di Dio, il tutto partendo da uno stile che Questo sabato 19 settembre a San Massimo Torna Festinsieme A ppuntamento questo sabato 19 settembre al Seminario di San Massimo per tutti gli associati giovani e adulti per incontrarsi, raccontarsi l’estate trascorsa e gettarsi a capofitto nell’anno pastorale che sta per iniziare. Il programma prevede l’accoglienza e la preghiera alle 15, a cui seguirà la presentazione delle linee iuseppe Savagnone, palermitano, editorialista del quotidiano Avvenire e del Giornale di Sicilia, docente di Storia e filosofia nei licei statali, direttore del Centro diocesano per la pastorale della cultura di Palermo, membro del Forum della Cei per il Progetto culturale e autore di numerosi libri, è stato splendido relatore al convegno “Educare al bene comune”. Ha poi voluto rispondere ad alcune domande sull’Azione Cattolica e sul ruolo dei laici nella Chiesa. – Secondo una famosa risposta di Vittorio Bachelet a Paolo VI, accolta peraltro con compiacimento dal Pontefice, “l’Azione Cattolica è obbediente in piedi”. Oggi che esistono forti spinte anticlericali ed accuse alla gerarchia di autoritarismo e indebite ingerenze a livello civile, quale potrebbe essere secondo lei il ruolo e la mediazione di un’associazione cattolica laicale devota alla Chiesa ma convinta della propria laicità e maturità di coscienza? «Oggi più che mai c’è un estremo bisogno di laici consapevoli e maturi nella fede, che sappiano essere interlocutori e non solo esecutori di fronte alle direttive della gerarchia ecclesiastica. La Chiesa non è e non deve essere una democrazia, ma è una comunione e il suo cammino deve svolgersi, per rispettare la logica del Vangelo, secondo uno stile sinodale. Già dentro la Chiesa questo può liberare la gerarchia dal rischio di una autoreferenzialità perniciosa, arricchendola di un franco contributo critico da parte dei laici. Ancora più necessaria è la presenza di un simile laicato nella vita civile. Come il Papa ha scritto nella Deus caritas est (nn. G nità, guardando in faccia le diversità. Paolo Trionfini, vicepresidente nazionale di Ac ci ha aiutati, nella seconda giornata, a declinare il bene comune, considerandolo come un talento prezioso dato da Dio, che dobbiamo trafficare, per non correre il rischio di seppellirlo. L’Azione Cattolica, tra le sue attenzioni, dà ampio spazio al bene comune che ha annoverato nei programmi triennali e nei cammini formativi con tre direttrici di marcia, a partire dal quotidiano per calarlo nel territorio e poi portarlo nel mondo. Nell’Apostolicam Actuositatem (n. 3) si dice che i laici “mettendo «ciascuno a servizio degli altri il suo dono al fine per cui l’ha ricevuto, contribuiscano anch’essi come buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute da Dio» (1 Pt 4,10) alla edificazione di tutto il corpo nella carità (cfr. Ef 4,16). Dall’aver ricevuto questi carismi, anche i più semplici, e prospettive unitarie e quindi, separatamente, i programmi dei settori. Alle 19 sarà celebrata la S. Messa. Alle 20 la cena concluderà, insieme a “quattro ciacole” la festa. Anche quest’anno saranno presenti degli “stand” dedicati a: Comunicazione; Acr Guide; Acr Centro Diocesano; Giovani; ristrutturazione di S. Giovanni in Loffa; mo- stre del 140°; Ave; filmati e foto dei campi. L’invito alla Festinsieme è aperto a tutti, anche ad amici e persone di altre parrocchie vicine. Un’occasione unica per stare insieme e gustare lo spirito della nostra associazione. Sarebbe un vero “peccato” mancare. Marco Dal Forno Intervista a Giuseppe Savagnone, editorialista di Avvenire «C’è bisogno di laici maturi» 28 e 29), la Chiesa istituzionale non deve fare politica, ma illuminare le coscienze. Devono essere i cittadini cristiani a prendersi le loro responsabilità in questo ambito, ispirandosi al Vangelo e al Magistero, ma da uomini e donne liberi. L’Azione Cattolica è forse una delle poche realtà ecclesiali che oggi persegue in modo esplicito il programma di formare simili laici. Ripongo in essa molte speranze». – L’Azione Cattolica ha precorso molti dei temi conciliari, fra cui quello della corresponsabilità dei laici nella Chiesa. Dal suo osservatorio privilegiato, a che livello giudica attualmente questa “corresponsabilità”? È in progresso o in regresso? «Purtroppo registro da molti anni una strana dicotomia: da una parte si continua a parlare di un “ritorno al Concilio Vaticano II”, esaltato e mitizzato; dall’altra c’è un sempre maggiore allontanamento dai suoi insegnamenti, permesso anche dalla totale ignoranza, nella pastorale ordinaria, dei suoi documenti fondamentali, dalla Lumen Gentium alla Dei Verbum alla Gaudium et Spes, che le nuove generazioni non conoscono neppure di nome. Uno degli aspetti più gravi di questo allontanamento dall’insegnamento conciliare è il crescente clericalismo, che ha sempre più reso irrilevanti i laici sulla scena pubblica del nostro paese e all’interno della Chiesa stessa. Siamo ben lontani dalla corresponsabilità!». Giuseppe Savagnone – È ampiamente dimostrato dalla storia che il benessere materiale, pur molto importante, senza libertà, spiritualità e speranza, non soddisfa l’uomo. Oggi, da più parti, la comunità scientifica tende a “ridimensionare” i valori religiosi e cristiani, pensando di rendere un servizio alla verità, all’intelligenza umana e alla sua libertà. Secondo lei, la Chiesa è pronta per un dialogo aperto, approfondito, costruttivo e fraterno con questi “avversari”, anche attraverso le professionalità dei suoi laici? E a suo parere, alcuni attacchi alla fede potrebbero avere origine da un’inquietudine di fondo di agostiniana memoria, che avvallerebbe la nota asserzione di un romanzo (Il vangelo secondo Pilato) in voga alcuni anni fa per cui “solo l’indifferenza è atea”? «A ridimensionare i valori religiosi oggi non sono tanto gli scienziati, quanto dei cattivi filosofi travestiti da scienziati. Uno scienziato serio sa che i problemi dell’esistenza di Dio o dell’immortalità dell’anima non si possono non dico risolvere, ma neppure affrontare con il metodo scientifico, perché sono oggetto di un altro livello di ricerca razionale, che è quello della filosofia. Sfortunatamente la comunità cristiana non dedica sufficiente spazio, nella sua pastorale, alla formazione di persone che riflettano su questi problemi in modo adeguato. Ci si accontenta di una fede molto emotiva e tradizionale, che non si pone troppe domande. Di fronte a questa situazione, è facile ai cattivi filosofi di cui si parlava fare breccia nella mente della gente, perfino dei credenti stessi. Il ritorno di un ateismo aggressivo, che sta riempiendo la nostra editoria, dovrebbe essere visto dai cristiani come una sfida a pensare di più, perché è dalla scarsa razionalità, e non da un vero approfondimento dei problemi, che derivano questi attacchi, e il solo modo di affrontarli è di rispondere pacatamente ponendosi proprio sul terreno della ragione. Ma per questo non bastano i riti, è necessaria un’opera di educazione che abitui a pensare e a discutere. Quanto alla radice di queste posizioni, spesso davvero c’è un’inquietudine. Ma dovremmo chiederci come mai coloro che la pro- ci è proprio, come ricordava Benedetto XVI l’anno scorso a Roma durante la XII Assemblea: “L’Azione Cattolica è scuola di santità”. Ciascun cristiano è chiamato a rispondere in pienezza al Signore secondo lo stile del discepolo, nella logica della gratuità, e questo è un passo importante nell’impegno verso il bene comune. La gratuità crea un ottimo antidoto contro la cultura contemporanea. Solo nella civiltà dell’amore nasce la preoccupazione per l’altro, che traduciamo in uno stile di vita che diventa un insegnamento potente, in misura tanto maggiore dove la società non è più abituata a preoccuparsi degli altri. Uno slogan associativo di qualche anno fa recitava così: “Abitare la casa per abitare il mondo”. Vivendo la dimensione della casa si riesce poi a vivere il mondo. Ne ricaviamo che più “siamo Ac” e più diventa significativo il nostro spenderci per il bene comune. La paradossalità della nostra laicità sta nell’essere “cittadini del mondo senza essere del mondo” (Lettera a Diogneto) ed in questa paradossalità del quotidiano siamo chiamati a percorrere le vie del mondo ed influire sulla sua storia consapevoli che esso è il luogo teologico dove Dio continua a parlare. Nostro compito quindi è preparare lo spazio a Dio nella storia. Nella Dal Ben Claudio Bolcato Vicepresidenti diocesani Settore Adulti di Ac vano non trovino in noi degli interlocutori capaci, se non altro, di interessarli». – Il terremoto d’Abruzzo ha dimostrato sul campo la vitalità delle comunità parrocchiali che, quando tutto – letteralmente – crolla, risultano insostituibili luoghi di identità, aggregazione e mutuo aiuto. Nella vita normale è invece evidente che tra parrocchia e società civile, pur in parte costituite dalle stesse persone, sembra esserci un muro, più o meno alto. Quanto, secondo lei, è alto questo muro? E perché esiste? L’Ac, presente in molte parrocchie, può farci qualche cosa? «Sì, il muro è alto perché i laici, all’interno del tempio, vengono valorizzati solo come vice-preti e sostituti del parroco nell’amministrare la Comunione ai malati o nel fare il catechismo, senza dare peso alla loro missione nel mondo, quella di cui parla il Concilio. Il risultato è una schizofrenia, per cui il laico, dentro la parrocchia, non è più un professionista, una madre di famiglia, un operaio, ma solo un lettore o un catechista, e fuori segue le mode e la mentalità del mondo, senza essere capace di ripensarle in prospettiva evangelica. Clericalismo dentro il tempio, laicismo fuori. L’Azione Cattolica, proprio perché, a differenza di altre realtà ecclesiali, opera calandosi nel cuore delle parrocchie, può essere un valido fermento che porta a unificare le persone, superando il dualismo sacro-profano e restaurando una identità cristiana matura, capace di essere, in modo diversi, sempre se stessa, sia dentro che fuori le mura del tempio». Margherita Frigo Sorbini