SCHEDA TERZA Il cristiano e la vita politica - WebDiocesi

SCHEDA TERZA
Il cristiano e la vita politica
“Prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli locale, regionale, nazionale e mondiale significa
affermare il dovere dell’uomo, di ogni uomo, di riconoscere la realtà concreta e il valore della libertà di
scelta che gli è offerta per cercare di realizzare insieme il bene della città, della nazione, dell’umanità (…)
Pur riconoscendo l’autonomia della realtà politica, i cristiani, sollecitati ad entrare in questo campo di
azione, si sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e il Vangelo e di dare, pur in mezzo
ad un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante
un servizio efficiente e disinteressato agli uomini” (Octogesima Adveniens, Lettera di Paolo VI per l’80°
della Rerum Novarum)
Giovanni Paolo II, nell’esortazione apostolica Christifideles laici, afferma che la politica è la «molteplice e varia azione
economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente “il
bene comune”» (1). Perciò la politica, ad ogni suo livello, non va considerata soltanto come un metodo per costituire,
consolidare ed esercitare il potere pubblico; né va vista come una procedura tecnica per il buon andamento di quanto
corrisponde alla natura, alla finalità, ai mezzi e alle forme di organizzazione dello Stato. La politica è soprattutto un
servizio al bene comune, che necessariamente include il bene integrale di ogni persona appartenente ad una determinata
società.
I cristiani vivono nel mondo come gli altri uomini, sono cittadini come gli altri, devono essere responsabili della
costruzione della polis come tutti gli altri: non è loro concesso di disertare dalla città, né di fare una «fuga mundi»
disinteressandosi dell'evoluzione del vivere civile, ma con creatività, intelligenza e competenza devono prendere parte
alla realizzazione di una società in cui crescano l'umanizzazione e la qualità della convivenza. La sequela di Cristo poi fa
loro possedere una determinata visione del mondo e dell'essere umano e delle convinzioni che non vanno assolutamente
relegate nell'intimo o nel privato. La fede cristiana che confessa un Dio che si è fatto uomo, storia degli uomini, non può
accettare di non contribuire a plasmare la vita sociale e la cultura degli uomini. I cristiani devono poter esprimere le loro
convinzioni nello spazio pubblico e politico e poter di conseguenza lavorare a servizio dell'umanità ribadendo con
fermezza che «la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita» (2)
La Chiesa allora ha un’alta stima per la genuina azione politica; la dice “degna di lode e di considerazione” (Gaudium et
Spes, n. 75), l’addita come “forma esigente di carità” (Octogesima adveniens, n. 46). Riconosce che la necessità di una
comunità politica e di una pubblica autorità è inscritta nella natura sociale dell’uomo e quindi deriva dalla volontà di
Dio(3). Più estesamente l’enciclica Gaudium et Spes al n. 75 afferma che:
“La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al
bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità (…) Tutti i cristiani devono prendere
coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d'esempio, sviluppando in se
stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano
armonizzarsi l'autorità e la libertà, l'iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e
la proficua diversità. In ciò che concerne l'organizzazione delle cose terrene, devono ammettere la legittima
molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera
onesta il loro punto di vista. I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune; mai però
è lecito anteporre il proprio interesse a tale bene. Bisogna curare assiduamente la educazione civica e politica, oggi
particolarmente necessaria, sia per l'insieme del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano
svolgere il loro ruolo nella vita della comunità politica. Coloro che sono o possono diventare idonei per l'esercizio
dell'arte politica, così difficile, ma insieme così nobile. Vi si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badare al
proprio interesse e a vantaggi materiali. Agiscono con integrità e saggezza contro l'ingiustizia e l'oppressione,
l'assolutismo e l'intolleranza d'un solo uomo e d'un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed equità al
servizio di tutti, anzi con l'amore e la fortezza richiesti dalla vita politica”.
Nel documento della Commissione Episcopale per i Problemi Sociali e il Lavoro del 1998, intitolato: “Le comunità
cristiane educano al sociale e al politico”, si dice al n. 4 che:
“Per una evangelizzazione integrale occorre educare alla dimensione sociopolitica cristiani che sappiano essere
cittadini consapevoli e attivi, che sul territorio facciano la loro parte e non subiscano passivamente gli avvenimenti;
lavoratori coscienti e non solo dipendenti; intellettuali che non vivano le loro competenze chiusi nelle élites culturali,
ma sappiano portare energie alla ricerca di un futuro più umanizzato; politici non più maestri di tattiche e strategie
estranee alla gente, ma che riscoprano idealità e competenze per la costruzione del bene comune che è nelle
aspirazioni profonde di tutti. La sfida non è rivolta a qualche addetto ai lavori o a gruppi con sensibilità particolari,
ma è compito di tutta la Chiesa e di tutte le Chiese”.
Leone XIII ha affermato che per i fedeli: «l’astensione totale dalla vita politica non sarebbe meno biasimevole che il rifiuto
di qualsiasi concorso al pubblico bene: tanto più che i cattolici in ragione appunto dei loro principi, sono più che mai
obbligati di portare nei propri impegni integrità e zelo» (4). E Paolo VI invitava tutti a fare, a questo proposito, un serio
esame di coscienza: «Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta
ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste
parole non avranno peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria
responsabilità e da un’azione effettiva. (...) In tal modo, nella diversità delle situazioni, delle funzioni, delle organizzazioni,
ciascuno deve precisare la propria responsabilità e individuare, coscienziosamente, le azioni alle quali egli è chiamato a
partecipare» (5). Giovanni Paolo II indirizzava direttamente ai fedeli laici, le seguenti parole: «Situazioni nuove, sia
ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l’azione dei
fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a
nessuno rimanere in ozio» (6).
L’attività politica non è allora un optional dei cristiani, ma un preciso obbligo morale. È necessario che i cristiani
apportino alla vita sociale l’elemento vivificatore dei principi evangelici, rispettando l’autonomia delle realtà terrene,
che, pure, costituisce un principio evangelico. Si deve perciò prendere la decisione di influire positivamente sulla vita
politica, evitando così un’apparente vita cristiana, che non può essere autentica se trascura i doveri sociali.
I cristiani devono uscire dallo stereotipo di essere angosciati e spaesati. Papa Benedetto XVI nel suo viaggio a Praga
del 27.09.2009 ha affermato che per contribuire a realizzare il bene comune in una società molto secolarizzata bisogna
puntare sulle “minoranze creative”, cioè su persone che si mettono ad operare, progettare e fermentare la società nella
consapevolezza del proprio limite ma anche della propria missione.
“Normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve
comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà
molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un
concetto vero di libertà e di pace. Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo
intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di non
sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può
accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio ancora di più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare
Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico ed umano. Poi, nel settore
educativo, la Chiesa ha molto da fare e da dare, per quanto riguarda la formazione. In Italia parliamo del problema
dell’emergenza educativa. È un problema comune a tutto l’Occidente: qui la Chiesa deve di nuovo attualizzare,
concretizzare, aprire per il futuro la sua grande eredità. Un terzo settore è la "Caritas". La Chiesa ha sempre avuto
questo come segno della sua identità: quello di venire in aiuto ai poveri, di essere strumento della carità”.
Il pluralismo politico dei cattolici nella realtà odierna italiana non può eludere due questioni. La prima è la
responsabilità, che è anche capacità di giudizio delle necessarie mediazioni storiche e dei punti che non possono essere
sottoposti a vincoli di schieramento, ma che vanno affermati e raggiunti anche con il ricorso ad iniziative trasversali tra le
forze politiche. L'altra questione è quella della significatività: il pluralismo politico non può essere sinonimo di
dispersione e di irrilevanza delle ragioni espresse dai cattolici impegnati in politica. Un positivo pluralismo delle opzioni
politiche non esclude, anzi esige, la ricerca del più alto grado di unità possibile, cominciando a ricercarlo nello
schieramento in cui ci si trova, e, in prospettiva, può favorire anche il superamento, almeno parziale, delle cause che
possono aver determinato le divisioni.
Un pluralismo responsabile delle scelte politiche richiede la comprensione dei problemi del proprio tempo e del proprio
contesto (quindi richiede intelligenza, competenza, condivisione, capacità di rappresentanza) e nel contempo un
riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa. Da qui la necessità di unire la formazione tecnico-politica con quella
morale. Il Concilio Vaticano II ricorda che «la vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia
in vista del suo fine ultimo sia per il bene delle varie società, di cui l’uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà
mansioni da svolgere»(7). Tale formazione implica lo sviluppo delle attitudini politiche opportune, ma ancora più a monte
l’acquisizione della necessaria dottrina morale e religiosa e la pratica assidua delle virtù sociali.
Il tutto per sostenere, come ha affermato Benedetto XVI durante l’omelia nella celebrazione Eucaristica sul sagrato del
Santuario di Nostra Signora di Bonaria, in Sardegna, del 7 settembre 2008, quella crescita di “una nuova generazione di
laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”.
Domande per un approfondimento insieme:
Cosa fare concretamente affinché i cattolici, che oggi militano in partiti diversi, riescano a convergere nella loro
ispirazione, per un positivo sviluppo della vita ecclesiale e sociale?
Bibliografia
1)
2)
3)
4)
5)
6)
Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 42.
Giovanni XXIII, Enc. Mater et Magistra, 15-V-1961: AAS 53 (1961) 453.
C.E.I., La verità vi farà liberi, Lib. Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1995, n. 1102.
Leone XIII, Enc. Immortale Dei, 1-XI-1885: “Leonis XIII Acta” 5 (1885) 146.
Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14-V-1971, nn. 48 e 49.
Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 3; cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 31 e
43.
7) Concilio Vaticano II, Dich. Gravissimum educationis, n. 1.