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Titolo rubrica: Parliamone…
L’export del vino italiano riprende a crescere,
ma adesso bisogna rispondere alla concorrenza
Dopo gli anni dei grandi investimenti, dopo gli anni della ricerca (ottenuta) della qualità,
adesso bisogna cambiare passo. I vini italiani devono rispondere con forza agli attacchi
concorrenziali dei nuovi produttori (su tutti Australia, Cile e Sudafrica) ristrutturando le
imprese e diversificando le esportazioni a livello geografico.
Vediamo com’è concentrato oggi l’export delle aziende vinicole italiane: il 90% delle
vendite è focalizzato su undici Paesi. Usa, Germania e Gran Bretagna assorbono quasi il
75% dell’export. Ma proprio su questi mercati negli ultimi anni il vino italiano ha sofferto la
concorrenza dei produttori emergenti.
I vini australiani negli Usa hanno da poco superato quelli italiani (leader dal 1974 al 2003),
sono ormai primi anche in Gran Bretagna e stanno raccogliendo successo anche in
Germania e in Canada.
Solo i vini pregiati sono rimasti immuni dalle trasformazioni degli ultimi anni che hanno
visto una rapida espansione della coltivazione della vite in tutto il mondo con brillanti
risultati. Il settore ha quindi bisogno di interventi strutturali. Interventi che consentano alle
imprese italiane di raggiungere dimensioni adeguate ad affrontare la concorrenza
internazionale, in primo luogo, e poi di dare il via alla fase di meccanizzazione per
abbattere i costi produttivi.
In Italia, solo l’8% delle aziende viticole dispone di una superficie superiore a 5 ettari e il
70% sta sotto i due ettari. Ben altra cosa in California, dove la media aziendale si aggira
sui 30 ettari, così come in Australia è sui 400 ettari. Inoltre, in Australia l’85% della
produzione è in mano a quattro aziende, mentre in Italia sono trecentomila i produttori che
imbottigliano.
I diretti concorrenti hanno quindi aziende più strutturate, costi di manodopera e
produzione più bassi, politiche commerciali più aggressive e buoni livelli qualitativi. Il
sistema vino Italia è frammentato e fatica ad adottare politiche di marketing innovative per
non cedere ulteriore terreno ai concorrenti extra Ue sulle piazze dove la presenza del
Made in Italy è consolidata e per entrare nei mercati emergenti. E fortunatamente molti
Paesi hanno iniziato ad apprezzare l’enologia italiana.
L’Egitto, ad esempio, ha incrementato del 316% le importazioni di vino; la Slovenia del
221%, il Vietnam del 197%, la Slovacchia del 159%, la Russia del 90%, la Repubblica
Ceca del 57%, l’India del 45%.
In Cina il vino sta diventando uno status symbol occidentale e, malgrado le dimensioni di
questo mercato siano ancora modeste, le potenzialità sono incredibili. Soprattutto se
avranno effetto le attività di sensibilizzazione e di educazione alla cultura del vino che
alcune cantine italiane hanno iniziato a sviluppare in collaborazione con Great Wall, uno
dei più grandi produttori cinesi di vino.
L’ultima tendenza sono i winebar che stanno prendendo piede nelle metropoli asiatiche.
Una moda va sfruttata per non lasciare campo aperto agli spagnoli, ai francesi e agli
australiani già pronti ad aggredire il mercato.
Maurizio Scuccato
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