La Spagna franchista: simbologia, rappresentazioni e linguaggi del potere Le origini del discorso franchista La guerra civile spagnola non può essere semplicemente considerata una lotta intestina e fratricida, una contrapposizione tra fascismo e antifascismo, tra autoritarismo e mobilitazione per le libertà dell'individuo, ed il campo di battaglia che tra il 1936 ed il 1939 decide il futuro dell'Europa: si è trattato sì di questo ma di molto altro ancora. Nasce dal contrasto tra il tradizionalismo, legato alla Chiesa Cattolica, e le correnti di pensiero illuministiche diffuse a partire dal XVIII secolo; contrasto che caratterizza la penisola iberica fin dall'epoca dell'invasione napoleonica. Ancora, questa guerra nasce dal proseguimento di uno scontro politico tra fazioni differenti giunto ad un aspro culmine, che polarizza ideologicamente gran parte del paese, ed i cui echi raggiungono presto il resto dell'Europa. Le elezioni per la costituente del giugno 1931 videro acquisire al PSOE, il partito socialista, la maggioranza relativa, con 120 seggi su un totale di 470. Alla destra conservatrice andarono 80 seggi, e lo stesso risultato raggiunse il partito Izquierda Republicana guidato da Manuel Azaña.1 Il resto fu diviso tra il partito radicale, i centristi di Alejandro Lerroux e liste minoritarie a carattere regionale. Fu varato un governo provvisorio ed il parlamento elaborò una costituzione dai tratti illuministici e anticlericali. Le riforme intraprese, volte a ridimensionare la Chiesa Cattolica e le Forze Armate, allarmarono i settori conservatori e reazionari, diffondendo i timori per una sorta di complotto giudaico-comunista-massonico. In realtà, la seconda repubblica presentava ancora dei tratti chiaramente conservatori, a causa anche della presenza di cattolici moderati come Maura e Alcalá-Zamora; ma il paese era scosso da aneliti di rivendicazioni e da una violenza disorganizzata e caotica, creando serie aspettative su enormi cambiamenti dell'assetto sociale. Si stavano diffondendo, soprattutto in Andalusia e nella Catalogna, idee radicali, comuniste e anarchiche che si radicarono fra la popolazione rurale. Nel maggio 1931 iniziarono le prime violenze contro il clero, incendi e distruzioni di chiese e conventi, che spesso non risparmiarono il patrimonio artistico e culturale. Di conseguenza, piano piano si intensificava il carattere apocalittico con cui il pericolo di un'espansione del “terrore rosso” si stava insinuando nell'immaginario di buona parte della popolazione spagnola. La comunità ecclesiastica dell'epoca contava all'incirca 115,000 persone: secondo le stime furono massacrati 13 vescovi, 4,184 sacerdoti, 2,365 appartenenti ad altri ordini e 283 suore, in gran parte durante l'estate del 1936. Nel gennaio del 1936 il presidente della Repubblica Alcalá-Zamora sciolse le Cortes e indisse elezioni anticipate: l'instabilità politica aveva raggiunto alti livelli. La destra ottenne una leggera maggioranza di voti, ma il Frente Popular, composto dal PSOE, l'UGT (Unione Generale dei Lavoratori), il PCE (Partito Comunista di Spagna), il POUM (Partito Operaio di Unificazione Marxista) e da altre organizzazioni, raggiunse una maggioranza di 57 seggi. Tra scioperi e disordini sempre più quotidiani e implacabili, il 19 febbraio Manuel Azaña ricevette l'incarico di formare l'esecutivo, diventò presidente della Repubblica il 10 maggio e Casares Quiroga fu il nuovo primo ministro. La destra si preparava allo scontro armato: organizzatore dell'Alzamiento fu il generale Mola. I militari golpisti appartenevano all'UME (Unione Militare Spagnola), un'organizzazione clandestina nata in seno all'Esercito nel dicembre 1933, fondata da capi e ufficiali scontenti della Riforma Militare condotta da Manuel Azaña. Occorre sottolineare che il ridimensionamento dell'Esercito portò a dei miglioramenti in termini qualitativi: rimasero in servizio gli ufficiali più preparati tecnicamente, lo zoccolo duro dei professionisti, gli africanistas, ossia, quelli che sarebbero presto diventati i militari golpisti. Questi ufficiali di carriera, che avevano vissuto la guerra nel Marocco come una specie di riscatto nazionale dopo l'umiliazione del 1898, erano desiderosi di ricondurre il paese all'antico prestigio e di modernizzare le vecchie strutture delle Forze Armate; consideravano le concessioni autonomistiche alle regioni come l'anticamera 1 Manuel Azaña (Madrid, 10 gennaio 1880- Montauban, 3 novembre 1940), è stato un politico spagnolo, due volte capo del governo, dall'ottobre 1931 al settembre 1933 e dal 19 febbraio al 10 maggio 1936; e secondo Presidente della seconda Repubblica dal maggio 1936 all'aprile 1939. Inizialmente iscritto al Partito Repubblicano Riformista di Melquíades Álvarez, nel 1934 fonda la Izquierda Republicana. Nel 1935 contribuisce alla creazione del Frente Popular. dellosgretolamento dello Stato e poterono contare sull'appoggio di quella parte degli spagnoli che mal digeriva il clima anticattolico ed anticlericale che si respirava nel paese. Ciò che fece scattare la scintilla e che funse da giustificazione morale fu l'assassinio di Calvo Sotelo2 da parte della Guardia de Asaltos, la polizia repubblicana. Il 18 luglio il generale Mola inviò i telegrammi per dare inizio all'Alzamiento; il giorno dopo Franco giunse in Marocco per guidare l'armata coloniale. Nonostante non si trattasse di un golpe del tutto riuscito, la Repubblica non fu in grado di reprimerlo entro le prime quarantotto ore. Il primo ministro Casares Quiroga, dimessosi dalla sua carica alle 4 del mattino del 19 luglio, era, come la maggior parte delle forze politiche ed istituzionali di sinistra, restio a consegnare le armi al popolo, ma non riluttante nel minacciare di fucilazione chiunque avesse preso l'iniziativa di tale distribuzione. Quello che accadde fu che la contesa finì –o iniziò– con l'abbracciare il complesso di simboli, miti immaginari e fedi, patrimoni dei due schieramenti, nutrendosene pienamente. Note e parole suonate o scandite da entrambe le fazioni, quella nazionalista e quella repubblicana, in molti casi si sovrappongono, accomunando immaginari a primo acchito così lontani. Ricorrono, infatti, evocazioni astratte e richiami concreti: la Patria, ad esempio, aveva fatto il suo ingresso nelle canzoni di trincea già durante le guerre d'Africa o contro la Francia, e con le stesse vesti permane in quelle della fazione nazionalista; ma non è raro che le strofe cantate dalla fazione repubblicana rievochino immagini della propria bandiera, (sebbene si faccia altrettanto spesso riferimento alla bandiera rossa): «En el Ebro se han hundido/ las banderas italianas/ y en los puentes solo quedan las que son republicanas».3 La celebrazione della pace e della libertà, benché fosse prevalentemente presente nelle canzoni delle forze di sinistra, dopo il 1939 si fonde con la celebrazione della vittoria franchista. La fazione repubblicana si affidava spesso a riadattamenti di canti russi o europei, agli omaggi artistici di volontari stranieri che avevano raggiunto la Spagna per contribuire alla lotta armata, e anche al patrimonio tradizionale e folklorico regionale, in buona misura represso durante il regime del generale Primo de Rivera. Se la Patria cantata dai nazionalisti era dipinta con la più fervente sacralità, quale eredità immota, e sebbene fra i canti repubblicani appaiano, di tanto in tanto, invocazioni alla Spagna come patria di tutti («Por la España de mis padres/ vengo al campo para verte,/ italiano que proclamas/ el derecho del más fuerte»)4, quella della sinistra era, tuttavia, una patria che viveva nella terra fisica, feconda e polverosa. A tal proposito, esiste un intreccio complesso fra questi elementi ricorrenti e –in parte, con differenze evidenti o sottili– condivisi, dato da richiami mistici che uniscono i miti della terra, del sangue, del fuoco redentore, al culto dei caduti e al dualismo vita/morte, a sua volta strettamente connesso con l'esaltazione di un coraggio insieme lucido e disperato. La patria-terra degli anarchici e dei comunisti, ad esempio, è la culla di una vita misera e difficile, il cui senso di appartenenza è dato dallo scorrere del sudore e del sangue, dall'eterno ciclo delle stagioni e dei costumi della vita contadina. Si invoca e si rivendica proprio quella terra che non si possiede, con i suoi elementi, per cantare quel legame profondo e viscerale, e gli strumenti della terra diventano armi di lotta: «Gritan nuestros fusiles,/ gritan nuestros arados».5 Ciò che sorprende è il fatto che questa immagine dell'uomo che “nutre” la terra, con la sua linfa vitale, sia cantata anche dai soldati falangisti e legionari. Si tratta di un'astrazione differente, derivante dalla mitizzazione di tutti quei valori legati al sacrificio e al dovere, insiti nella sfera militare: Y al regar con su sangre la tierra ardiente, 2 José Calvo Sotelo (Tui, 6 maggio 1893- Madrid 13 luglio 1936) è stato un giurista e un politico conservatore, Ministro delle Finanze tra il 1925 ed il 1930 durante il regime di Miguel Primo de Rivera. 3 Dalla canzone Si me quieres escribir. La composizione della musica è anonima, mentre del testo esistono varie versioni, adottate da entrambe le parti in guerra. La prima di esse risale intorno al 1920, durante la guerra d'Africa. 4 Dall'Himno de la Sexta División, composto tra il 1936 ed il 1939 con la musica di Carlos Palacio ed il testo di Pedro Garfias. 5 Da Los Campesinos, composta a Madrid intorno al 1937. La musica è di Enrique Casal, il testo di Antonio Aparicio. murmuró el legionario con voz doliente: «Soy un hombre a quien la suerte hirió con zarpa de fiera. Soy un novio de la muerte que va a unirse en lazo fuerte con tal leal compañera.6 Il simbolo del sangue, dunque, giunge a legittimare la violenza purificatrice, a svelare quella dimensione intima e irrevocabile dell'uomo che rinuncia, si sacrifica e muore. È un'immagine spesso completata da quella del fuoco, metafora dell'ardore, di un potere distruttivo e fertile insieme e, di nuovo, di una redenzione necessaria. Non solo, però, fra i ranghi dell'esercito regolare. Evocando il sangue che scorre, i miliziani e i soldati delle brigate comuniste edificano il proprio personale culto dei caduti, estendendo la dolorosa commemorazione dei compagni caduti a tutte le vittime dell'oppressione, in ogni luogo e tempo; mentre nella fazione nazionalista tale culto assume tratti diversi, radicandosi e conservando un ruolo di primo piano lungo tutti gli anni di dittatura franchista. Dopo la guerra, la retorica del regime dipinse per molto tempo la vittoria dell'esercito nazionalista come una salvezza conquistata con il sangue, la pena, il sacrificio della carne e dello spirito, e la morte dei veri spagnoli, una liturgia che rievoca quella della Passione di Cristo. Francisco Franco Molti storiografi sono concordi nel non riconoscergli alcuna capacità o qualità tipica del leader e nessun carisma paragonabile alla fascinazione che altri dittatori, come Mussolini, furono capaci di esercitare sulle masse e sulla memoria storica. Questa mancanza è sempre stata sottolineata con due parole: freddezza (ben noto è l'aneddoto secondo cui era solito firmare le condanne a morte bevendo caffè), ma soprattutto, mediocrità. Nonostante questo, si può dire che fosse intimamente convinto di possedere numerosi talenti, come intellettuale, stratega e persino come sceneggiatore di cinema. Il regime di Franco non ebbe di certo ambizioni totalitarie, né pretendeva di riplasmare il paese ed i suoi abitanti a sua immagine e somiglianza. I suoi discorsi, il cui linguaggio deriva da una stretta compenetrazione tra la sfera religiosa e quella militare, rivelano l'animo del Generalísimo che, a colpi di ordine, religione e tradizionalismo, è ansioso di restituire la Spagna all'antico splendore e di strapparla definitivamente ai mali del XIX secolo, responsabile di ogni degrado. È necessario quindi estirpare las malas hierbas, la massoneria ed il comunismo su tutte, che minacciano il cattolicesimo, frenare la secolarizzazione, redimere il paese, ma non creare una religione politica totalizzante. La longevità del potere di Franco fu dovuta, in parte, alla sua maestria nel rimanere al timone mantenendo ben unite le forze politiche che gli gravitarono intorno e che spesso divergevano profondamente. In questo due sue qualità politiche giocarono un ruolo fondamentale: la prudenza nella risposta, verbale o fattuale, e la diffidenza, come sistema di relazione. El imperio: il richiamo alla Edad de Oro Il Caudillo aveva letto le biografie dei Re Cattolici ed ammirava appassionatamente la Reina Isabel, che citava spesso in scritti e conversazioni. I Re Cattolici costituiscono quindi un patrimonio ideologico-simbolico potentissimo. Dato che ogni cosa opposta a Franco ed al suo regime automaticamente implicava la perdita della españolidad, le due fasi storiche, quella attuale e quella di riferimento, procedono in parallelo: il centralismo castigliano, l'unificazione linguistica e politica, la nazione fondata sul cattolicesimo come identità collettiva senza spazio per altre religioni. I Re Cattolici, forgiando l'unità della nazione, sottomettono catalani, galiziani e soprattutto i mori, combattono contro i portoghesi, aboliscono i privilegi dei baschi ed espellono gli ebrei: sono i detentori esclusivi della verità e per questo il riferimento storico perfetto per il nuovo stato franchista. Franco si fa loro erede ed il 1936 torna ad essere il 1495, il passato rifondato nel presente 6 Da Novio de la muerte, una delle più importanti canzoni della Legione, composta nel 1921, con la musica di Juan Costa e le parole di Fidel Prado. L'Himno de la bandera gallega de la Falange, di cui non abbiamo dati precisi, recita, similarmente: «Nuestra sangre ha regado las tierras/ que nosotros hemos de labrar». si cristallizza e nel linguaggio tutto questo si manifesta in un abbondante uso della prefissazione: la Spagna dovrà ri-sorgere, ri-nascere, ri-creare, così come si era fatto durante la Reconquista contro l'invasione araba. Era stata la Spagna a salvare prima l'Europa occidentale dall'islamismo e poi a condurre in seno alla Chiesa milioni di nuovi fedeli con la conquista delle Americhe. La Regina Isabella e Santa Teresa, figurazioni astratte ed astoriche, sono il simbolo di una continuità d'intenti e d'operato e di un femminismo sano e santo che vince su quello laico: tutte le donne spagnole devono ricalcare silenziosamente la loro missione di fondatrici, nobilitata ora da un altare ricostruito. Devono cioè operare quotidianamente nell'invisibilità e nel silenzio, in un umile ausilio alla sfera maschile della società, quella che detiene il comando. Isabella è madre e moglie esemplare ed allo stesso tempo saggia Regina ed amministratrice, perfetta governante, ovunque attenta a non oscurare il prestigio di suo marito. Vertebrar a España: José Antonio Primo de Rivera e la Falange José Antonio Primo de Rivera, primogenito del matrimonio di Miguel Primo de Rivera y Orbaneja, marchese di Estella, e Casilda Sáenz de Heredia, nacque il quattordici aprile del 1903 a Madrid, in seno ad una famiglia ricca ed erede di una tradizione militare antica di circa tre secoli. Nel 1923 suo padre creò, con un golpe, un direttorio militare ed impose, con il consenso del re Alfonso XIII, un regime autoritario e centralista. Questa parentesi, lunga all'incirca sette anni, viene inclusa nella tradizione ideologica dei pronunciamenti liberali del XIX secolo, dove l'esercito si fa interprete ed esecutore della volontà nazionale. Durante il suo discorso in occasione della fondazione della Falange Española, il 29 ottobre 1933, nel Teatro de la Comedia di Madrid, asserisce: […] sí, nosotros llevamos corbata; sí, de nosotros podéis decir que somos señoritos. Pero traemos el espíritu de lucha precisamente por aquello que no nos interesa como señoritos; venimos a luchar por que a muchos de nuestras clases se les impongan sacrificios duros y justos, y venimos a luchar por que un Estado totalitario alcance con sus bienes lo mismo a los poderosos que a los humildes. Y así somos, porque así lo fueron siempre en la Historia los señoritos de España. La Falange unì perfettamente la tradizione iberica, cattolica e nazionalista, e le teorie corporative che stavano prendendo piede in alcuni paesi europei. Presto si fuse al gruppo riunito attorno al giornale La conquista del Estado, fondato nel 1931 da Ramiro Ledesma Ramos e Onésimo Redondo, ossia la Junta de Ofensiva Nacional-Sindicalista (JONS), il cui simbolo del fascio di frecce dei Re Cattolici passò poi ad essere simbolo del partito e dello Stato spagnolo. Entrambi i movimenti erano proiettati nel pensiero e nel tentativo di costruzione di un ordine alternativo a marxismo e liberalismo, in una tensione estranea, almeno ideologicamente, alle categorie politiche di destra e di sinistra. Nei 26 punti del programma della Falange era chiaramente avversato il sistema capitalista e proclamato il diritto al lavoro per tutti i cittadini spagnoli senza distinzione alcuna. In diversi scritti José Antonio tratteggia sapientemente la vita miserabile dei contadini: ma il fine non è sovversivo, rimanendo quello falangista un movimento profondamente conservatore; bensì, si tratta piuttosto della “rivendicazione di un'unità”, nella cultura e nella tradizione, che abbracci la totalità del popolo e che lo protegga dai mali della modernità e delle internazionali massonica, socialista e capitalista, che tanta sofferenza avevano già recato alla patria. Secondo la sua visione, la funzione della politica è per gran parte religiosa e poetica, il leader assume i tratti del profeta e, conseguentemente, la compenetrazione tra popolo e capo è un processo impregnato di quello stesso amor patrio che avvolge in generale tutte le componenti della sua ideologia. All'interno dell'alternanza fra avvicinamento ed allontanamento da un chiaro e netto legame con gli altri fascismi europei, e della rivendicazione di una peculiarità tutta spagnola, si ponga l'attenzione sulle parole dello stesso José Antonio Primo de Rivera: […] la Falange Española de las Jons no es un movimiento fascista: tiene con el fascismo algunas coincidencias en puntos esenciales de valor universal pero va perfilándose cada día con caracteres más peculiares y está segura de encontrar precisamente por este camino sus posibilidades más fecundas. El fascismo no es una táctica –la violencia–. Es una idea –la unidad–. En un Estado fascista no triunfa la clase más fuerte ni el partido más numeroso –que no por ser más numeroso ha de tener siempre razón, aunque otra cosa diga un sufragismo estúpido– sino que triunfa el principio ordenado común a todos, el pensamiento nacional constante, de que el Estado es órgano. El Estado liberal no cree en nada, ni siquiera en sí mismo. Asiste con los brazos cruzados a todo tipo de experimentos, incluso a los encaminados a la destrucción del Estado mismo. Para encender una fe, no de derecha (que en el fondo aspira a conservarlo todo, hasta lo injusto), ni de izquierda (que en el fondo aspira a destruirlo todo, hasta lo bueno); sino una fe colectiva, integradora, nacional, ha nacido el fascismo. En su fe reside su fecundidad, contra la que no podrán nada las persecuciones... Si algo merece llamarse de veras un Estado de trabajadores, es el Estado fascista. El fascismo es una actitud universal de vuelta hacia uno mismo. Nos dicen que imitamos a Italia. Sí, lo hacemos en lo de buscar nuestra íntima razón de ser en las entrañas propias. Pero esa actitud, copiada si se quiere, aunque sea eterna, da los resultados más auténticos. Italia se ha encontrado a Italia. Nosotros, volviéndonos hacia nosotros, encontraremos e España. Ai primi di luglio 1936, qualche giorno prima dello scoppio della guerra civile, le autorità repubblicane imprigionarono José Antonio nel carcere di Alicante. Diversi piani furono pensati per liberarlo, ma molti non vennero tentati ed altri non ebbero successo. Il giovane e suo fratello Miguel si videro accusati di ribellione militare e cospirazione contro la Repubblica. Il 16 novembre iniziò il processo e José Antonio poté difendere se stesso, il fratello e la nuora Margarita Larios, ottenendo una riduzione delle loro condanne. Egli, invece, venne giustiziato in tutta fretta il 20 novembre, per timore che il Gabinetto dei ministri modificasse la sentenza capitale in ergastolo. Quella data si mutò nel día del dolor, ed ogni anno si svolse il trasferimento dei suoi resti, fino alla destinazione definitiva: el Valle de los Caídos. Il linguaggio della repressione La natura violenta del regime, fin dai suoi albori durante la Guerra Civile, si estrinseca anche attraverso il linguaggio, come canale di comunicazione tra chi detiene il potere e chi lo subisce. Già nel 1937 il processo di simbiosi è giunto al suo termine ed i nemici di Franco diventano i peggiori nemici della patria ferita. L'idea de las dos Españas si riflette nei ritratti antitetici che il discorso franchista vuole imporre all'immaginario collettivo: la lotta fratricida si converte così in una battaglia tra la vida y la muerte, el bien y el mal, la verdad y la mentira. Analizzando la lunga rosa di aggettivi e sostantivi ricorrenti, atti a dipingere ed imprimere una determinata visione del nemico, possiamo dunque suddividerli per ambito da cui vengono tratti: -Dal mondo animale: ratas, sabandijas [vermi], addirittura monstruos. -Dalla sfera clinica: enfermidades, plagas, enanos. -Dalla sfera delle azioni dannose e distruttive: hordas revolucionarias, responsables, agresores, canallas, prostitutas, criminales, traidores, inspiradores del mal. -Dalla sfera emozionale: codiciosos [avidi], egoístas. -Dalla sfera astratta: el peligro, la pesadilla [l'incubo]. -Dal mondo inanimato: barro [fango], planta parásita, mala hierba. -Dall'ambito religioso: generaciones incrédulas, fariseos, demonios, nuevo infiel, maquinación satánica. L'onnipresente contrapposizione noi/loro, se da un lato coinvolge e rende partecipe una parte dell'uditorio, dall'altro lato ha lo scopo di determinare come certa la presenza del nemico, seppur vago e deforme. L'anti-Spagna veniva ritratta all'interno di una cornice di dissoluzione, depravazione e ovviamente, di peccati quali egoismo e odio di classe. Sovente il lessico adottato tratteggia immagini orrorifiche ispirate direttamente all'inferno, il volto del nemico oscilla tra il selvaggio e il mostruoso. Su tutti gli aggettivi, rojo fu quello più caricato di connotazioni negative e terrore. Sinonimo di comunista, venne adoperato anche come aggettivo in relazione ad un ampio ventaglio di sostantivi spregiativi, come ad esempio fraude e barbarie, per incrementarne il collegamento con il male, la minaccia ed il pericolo. Il Cinema: l'edificazione della nazione franchista Già negli anni della guerra civile, il regime nascente aveva intuito il ruolo di primo piano che avrebbe potuto avere il cinema nella costruzione di una nuova coscienza nazionale. Fino al 1943, quando poi le relazioni fra Germania e Spagna entreranno in una crisi dovuta all'andamento della guerra, i due paesi si lanciano insieme nella cooproduzione di molteplici pellicole, tra cui il documentario España heróica (Fritz C. Monch, Paul Laven, Joaquín Reig, 1938), in cui intervenne anche Goebbels. Il documentario ha una colonna sonora di spari ed esplosioni, interrotta solo dall'inno falangista Cara al sol; si susseguono le immagini di trincee, bombardamenti aerei, sfilate militari, soldati fieri ed intrepidi, omaggi ai caduti. Su tutto svettano croci e bandiere come simboli fissi e ricorrenti. Ad un certo punto si mostra Guernica, la cui devastazione, secondo la voce di sottofondo, è dovuta non ai pesanti bombardamenti tedeschi ma a patrullas de encendiarios: a dimostrazione di ciò, continua la voce, si vedano le latte di benzina poste proprio all'ingresso della Chiesa. Lo stesso accade per i rapporti con l'Italia, con cui si firma nel 1938 un accordo per la produzione di film spagnoli in Italia. L'anno dopo iniziano le riprese per la prima produzione franco-fascista: Los hijos de la noche/I figli della notte (Benito Perojo, 1939). In seguito, il regime franchista prenderà sempre maggiori distanze dal fascismo italiano dopo l'esito definitivo della Seconda Guerra Mondiale. Il più grande simbolo del patriottismo raccontato sul grande schermo è senza dubbio Raza (1942), basato su un romanzo scritto dallo stesso Francisco Franco sotto pseudonimo e diretto da José Luis Sáenz de Heredia, cugino del fondatore della Falange, José Antonio Primo de Rivera. Il film, interpretato da Alfredo Mayo (uno dei volti-simbolo del cinema franchista), Ana Mariscal, José Nieto, Blance de Silos, Rosina Mendía, Pilar Soler, Manuel Soto, racconta le vicissitudini di una famiglia modellata secondo il perfetto spirito dell'hispanidad. Il marinaio Pedro Churruca, continuatore delle eroiche gesta patriottiche dei suoi antenati, muore a Cuba durante la guerra ispano-americana del 1898. La bella e giovane vedova, Isabel Acuña, si farà carico da sola dei suoi tre figli: Isabel, da bambina la miniatura di una perfetta donna franchista, continuerà per la stessa strada e si unirà in nozze con un militare, Jaime decide di prendere i voti, Pedro sceglie la carriera politica e José quella militare. Pedro-figlio è un deputato repubblicano: sembra avere un animo attratto dall'avidità e dalla menzogna. Pedro Churruca-padre, invece, è perseguitato dagli stessi demoni del Caudillo; inveisce contro la relajación de las costumbres, la masonería: «los diputados masones reciben órdenes del extranjero», lamenta ad un certo punto. Insegna ai suoi figli: «El deber es tanto más hermoso cuanto más sacrificio se entraña». Lo scoppio della guerra civile li travolge tutti: Jaime, che presta le sue cure a bambini malati in un convento, viene sequestrato con gli altri sacerdoti da un'orda di miliziani. Potrebbe usare il suo cognome in un estremo e disperato tentativo di salvezza, ma, coraggioso e fedele al suo spirito ed ai suoi compagni, si rifiuta di farlo. Dopo una lenta e dolorosa via crucis, verranno tutti fucilati in riva al mare. José viene anch'egli arrestato dai repubblicani e condannato a morte. Durante il processo, infuriato, tuona: «¡Mi sangre es de España!». Fortunatamente sopravviverà alla fucilazione. Intanto Pedro-figlio, con l'uniforme dell'esercito repubblicano, riceve la visita di una donna che lo prega di darle delle preziose informazioni da consegnare alle truppe di Franco, esortandolo con queste parole: «un servicio puede redimir una vida». Pedro in un primo momento si rifiuta, ma poi, convinto, cede. Tuttavia i repubblicani scoprono l'intrigo e l'affrontano: Pedro, in un culmine di intima redenzione e fervore patriottico, risponde che le truppe di Franco faranno soccombere «los hombres huecos [vuoti, fatui]», fiero proclama la sua appartenenza fra coloro che «sienten en el fondo de su espíritu la semilla superior de la raza, los elegidos para la gran empresa de devolver España a su destino, ¡ellos!, y no vosotros materialistas sordos» –li schernisce– «llevarán sus banderas hasta el altar del triunfo, para ellos fatalmente ha de llegar el día de la victoria». La scena finale ci mostra infatti il desfile de la Victoria svoltosi a Madrid alla fine della guerra civile, ed in tal proposito l'ultima battuta, pronunciata da Isabel, è: «Esto se llama raza, hijo mío». Ciò ci ricorda un'immagine simile, una sfilata militare narrata da Salaverría: «Era el regimiento que pasaba, los soldados que pasaban, la fuerza, el valor, la tradición, la leyenda, lo sublime, la raza, que pasaban». Raza è in effetti la versione romanzata e resa in chiave artistica dell'intera ideologia del primo franchismo, ci sono tutti gli elementi: lo spirito militare è l'anima della nazione, votato alla salvezza della Patria, a cui appartiene il sangue degli eroi versato in sacrificio, spinti da un supremo dovere (deber è, appunto, la parola che ricorre più di tutte). La raza rappresenta la comunità spagnola unita da un glorioso passato, un oscuro presente ed un fulgido avvenire; di storia, fede, tradizioni e destino comuni. Appare la famiglia come un tempio sacro; abbondano le invettive contro la democrazia ed il parlamentarismo. La fine del regime È a partire dal 1966 che fu sempre più evidente agli occhi di tutti il fatto che il potere di Franco sarebbe invecchiato con lui, accompagnandolo fino alla fine. Un cattedratico, Jiménez de Parga, creò un'espressione per definire quella che si prospettava come la fine parallela di Franco e del franchismo: diceva «cuando se produzca el hecho biológico». La lunga e penosa malattia ebbe termine il 20 novembre del 1975. L'evento produsse nel popolo spagnolo un'evidente commozione, in moltissimi si recarono a porgere l'ultimo saluto al Generalísimo. Don Juan Carlos, l'erede designato, e doña Sofia, i quali erano stati proclamati Re di Spagna dal Consiglio del Regno e le Cortes, vollero recitare, come primo atto ufficiale nelle nuove vesti, una preghiera nella camera ardente del Caudillo. L'ombra del potere franchista non si dissolverà in pochi giorni. Secondo molti, diverse tracce del quarantennio sono ancora adesso visibili nelle istituzioni e nella società spagnola. La transizione non ha dissolto il legame intenso e privilegiato che lega Chiesa e Stato: questa continua ad avere un ruolo rilevante nell'istruzione pubblica e privata ed importanti appoggi nel mondo dell'informazione. La Falange non è mai stata dichiarata illegale. Nella destra spagnola attuale è presente una parte che da molti viene spesso collegata, nelle convinzioni, in certi meccanismi, al precedente regime. Più difficili da individuare e da indagare sono le tracce “nello spirito”: per quasi quarant'anni la Spagna è rimasta divisa fra lo stigma e l'assoluta esaltazione, fra l'impero e l'inferno. Si parla spesso, oggi, con un tono accusatorio, del cammino intrapreso dal 1975 in poi all'insegna dell'olvido, della dimenticanza, della scelta di non riaprire vecchie ferite. Non è facile dare una risposta sufficientemente valida: riaprire le vecchie ferite è, in ogni tempo ed in ogni luogo, un processo macchinoso e doloroso: si rischia che il sangue riprenda a scorrere, e che i vecchi rancori non possano essere incanalati nella costruzione di una democrazia migliore.