CENNI SUI FONDAMENTI DELL’ECUMENISMO
E
STATO ATTUALE DEL MOVIMENTO
Treviso, giovedì 26 febbraio 2009
Relazione a IRC
Il tema indicato dal titolo è pretenzioso e, in un incontro come il nostro, può essere affrontato solo
per sommi capi. Ciò dipende da un passato, ricco di storia e protagonisti. E da un presente di
cammino ecumenico che, al contrario di quanto spesso si crede, è in continua crescita, una realtà in
continuo movimento. Nei giudizi sommari (e solitamente negativi), si confondono le prospettive a
medio termine con tutta l‘opera ecumenica fatta di dialoghi, incontri, eventi, documenti,…
Il titolo dato indica già il percorso che vi verrà proposto. La prima parte è reperibile con facilità da
molti testi, per questo sarà ridotta. Mentre verrà sviluppata soprattutto la seconda parte, almeno
nelle linee portanti.
Tra tutti i contributi utilizzati, sono da segnalare due testi che per la loro autorevolezza sono stati
riferimento per l’architettura della riflessione. Sono:
o la “Relazione introduttiva del Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità
dei Cristiani all'incontro di preghiera e riflessione di Benedetto XVI con i Cardinali”, tenutosi il
venerdì 23 novembre 2007 dal cardinale Walter Kasper a Roma1,
o e la prolusione proposta all’ISE di Venezia, giovedì 30 ottobre 2008, in occasione dell’apertura
dell’anno accademico 2008-2009, da Mons. Francesco Coccopalmerio dal titolo “Il cammino
verso la piena unità. Recenti passi ecumenici della chiesa cattolica e della chiesa ortodossa” 2.
Breve introduzione storica
Dal punto di vista etimologico il termine ecumenismo deriva dal greco oikmene e significa “casa
comune”, “casa abitata”. In senso più ampio poi “terra abitata”, “mondo abitato”. In senso
cristiano l’uso del termine, a partire dal IV sec. È usato come sinonimo di universale; designerà in
seguito la “Chiesa universale” e la totalità della Chiesa sparsa nel mondo.
Dal punto di vista storico, il movimento ecumenico ha origine piuttosto recente. Si è sviluppato
inizialmente nelle chiese protestanti, investendo prima il mondo ortodosso poi quello cattolico.
Non è possibile stabilire una data che indichi in modo preciso la nascita di tale movimento. Se
facciamo riferimento alla Preghiera per l'unità troviamo già nel 1740 in Scozia la nascita di un
movimento pentecostale il cui nuovo messaggio per il rinnovamento della fede chiamava a pregare
per e con tutte le chiese3. L'elenco di esperienze che da allora si mossero in questa direzione è assai
nutrito4. Sottolineo solo l'intervento nel 1894 da parte di Papa Leone XIII. Egli in vari documenti,
incoraggiava la pratica dell’Ottavario di preghiere per l’unità nel contesto della Pentecoste (a
questa iniziale apertura del mondo cattolico seguirono poi notevoli chiusure).
Comunemente, si indica l'anno di convocazione della Conferenza missionaria mondiale di
Edimburgo nel 1910, quale inizio dell'ecumenismo moderno. Tra i partecipanti un ignoto
rappresentate delle giovani chiese indirizzò un pesante rimprovero alla cristianità occidentale (le
Il testo per esteso è reperibile nel sito www.diocesitv.it nella Sezione Pastorale, dentro la pagina dell’ufficio
Ecumenismo e Dialogo Interreligioso, che si apre sulla relativa voce
2
Nostra trascrizione da registrazione audio, non rivista dall’autore, non ancora pubblicata, reperibile presso il sito della
diocesi di Treviso, vedi nota 1
3
Il predicatore evangelico Jonathan Edwards invita ad un giorno di preghiera e di digiuno per l’unità, affinché le chiese
ritrovino il comune slancio missionario.
4
Dati reperiti all'indirizzo http://www.prounione.urbe.it/att-act/i_sett-preg_2009g.html (11 febbraio 2009)
1
divisioni nacquero in Europa). Quelle parole aprirono gli occhi sullo scandalo originato dalla
divisione tra i cristiani davano in terra di missione.
Da quell'incontro nacquero tre filoni di impegno ecumenico: evangelizzazione, servizio e dottrina.5
Nel 1961 la corrente missionaria dell'ecumenismo protestante si unì a quelle del servizio e della
dottrina fondando il Consiglio missionario internazionale, già unito al Consiglio ecumenico delle
Chiese.
Dopo il 1920 anche il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli diffuse un'enciclica che chiamava
tutti i cristiani a riunirsi, dando vita all'attiva partecipazione all'ecumenismo delle Chiese ortodosse.
La Chiesa Cattolica invece si mantenne ferma nel rifiutare il movimento: dal punto di vista
cattolico, l'unità della Chiesa poteva significare solo il ritorno delle “sette” scismatiche all'unica
vera Chiesa. Un'enciclica del 1928 di Papa Pio XI, Mortalium Animos6, riaffermò questa posizione
e ancora nel 1954 ai cattolici fu proibito di partecipare alla seconda assemblea del Consiglio
ecumenico delle Chiese.
L'atteggiamento dei cattolici nei confronti del movimento ecumenico iniziò a cambiare con Papa
Pio XII e subì una decisiva svolta con papa Giovanni XXIII, che indisse nel 1959 il Concilio
Vaticano II e, nel 1960 istituì il Segretariato per l'Unità dei cristiani.
Oggi la Chiesa Cattolica si trova, di fatto, a sostenere il dialogo ecumenico in modo “consistente”,
con una funzione che spesso risulta di mediazione tra le chiese cristiane e le comunità nate dalla
Riforma. Nel 1964 l’impegno all’unità tra i cristiani è divenuto“uno dei principali intenti del sacro
Concilio ecumenico Vaticano II”7. Da allora la Chiesa Cattolica ha sostenuto il dialogo ecumenico
con dialoghi e confronti teologici (a dispetto di un pregiudizio di chiusura che forse l’accompagna,
essa è stata protagonista di dialoghi e conversazioni ufficiali con circa 15 Chiese o famiglie
confessionali. Nei vari testi di Enchiridion Oecumenicum sono state scritte più di 10.000 pagine) 8,
ha vissuto momenti d’incontro entrati nella storia e che tutt'oggi conducono il cammino ecumenico9
1. ALCUNI ELEMENTI E PRINCIPI DELL’ECUMENISMO
Il fondamento biblico dell'ecumenismo è indiscutibile e impegna ogni cristiano ad assumerlo con
quell'esigenza che ogni pagina del vangelo porta in sé. “Ut unum sint” (Gv 17,21) è il testamento
che Gesù ci ha lasciato alla vigilia della sua morte, se possibile, queste parole sono quanto mai
5
- Dall'attivismo evangelizzatore del moderno ecumenismo nacque il Consiglio missionario internazionale (1921),
comprendente 17 organizzazioni nazionali che coordinavano la strategia di missione e aiutavano le nuove chiese.
- I tentativi di travalicare le barriere confessionali e nazionali giunsero a frutto nel 1925, quando si riunì a Stoccolma
la conferenza cristiana universale di Vita e Azione, per individuare l'applicazione dei precetti del Vangelo al mondo
dell'industria, alla società, alla politica e alle relazioni internazionali.
- Il movimento, sostenitore dell'ecumenismo dottrinale, condusse alla convocazione della prima conferenza mondiale
di Fede e Costituzione (1927) e a una seconda conferenza di Fede e Costituzione (Edimburgo 1937), anno in cui
un'ulteriore conferenza di Vita e Azione si riunì all'Università di Oxford. I delegati delle due conferenze vollero
coordinare unanimemente il loro lavoro e nel 1938 venne nominato un comitato provvisorio per formare un organo
rappresentativo delle chiese. La formazione del Consiglio ecumenico delle Chiese, che sarebbe dovuta avvenire nel
1941, fu rimandata di sette anni per lo scoppio della seconda guerra mondiale.
6
http://www.vatican.va/holy_father/pius_xi/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19280106_mortalium-animos_it.html
(11 febbraio 2009)
7
Unitatis redintegratio, 1
8
Alla fine del fascicolo è riportato l'elenco degli Enchiridion Oecumenicum e un minimo di indici tematici.
9
L'incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli Atenagora I nel 1964, durante il Concilio Vaticano II. Al
termine del colloquio entrambi deliberarono l'abrogazione delle scomuniche del 1054, anno dello Scisma d'Oriente.
L'anno successivo si ritrovarono a Gerusalemme e quella occasione, in comune accordo, rilasciarono la “Dichiarazione
comune Cattolico-Ortodossa del 1965”. Questo documento attivò una commissione congiunta per il dialogo tra le due
confessioni cristiane tutt'ora operante.
All'indomani del Concilio Vaticano II l'arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey e papa Paolo VI si incontrarono; il
Papa donò il proprio anello a un Michael Ramsey in lacrime. Il frutto di quel primo incontro del 1966 fu l'avvio della
commissione Arcic per il dialogo interreligioso.
2
obbliganti ogni credente cristiano. Non si tratta di argomento intellettuale per appassionati, ma di
vita concreta cristiana. Tale stile di vita non può essere messo in discussione a seconda dei risultati
che si ottengono o della reciprocità più o meno riuscita. L’ecumenismo è necessario nella vita del
credente anche quando l’altro con il quale si cerca l’unità non desidera ancora percorrere questa
strada. Una testimonianza significativa ci è data dalle Paolo VI nel saluto ad Atenagora il 6 gennaio
del 1964, egli gli rivolse questa frase: “Le parole del Cristo: «Che siano una cosa sola. Ut unum
sint!». Tornate più volte sulle sue labbra di moribondo, non lasciano dubbi su una delle sue
intenzioni più care per le quali egli [Giovanni XXIII] offrì la sua lunga agonia e la sua vita
preziosa”.
Il Concilio Vaticano II ha definito la promozione dell’unità dei cristiani come uno dei sui principali
intenti (UR 1) e come un impulso dello Spirito Santo (UR 1; 4). Perciò da quel momento è
diventato un impegno imprescindibile della Chiesa Cattolica e un riconosciuto operare dello Spirito
Santo.
Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato, nel suo magistero,che la ricerca ecumenica è una via
irreversibile (UUS 3), e Papa Benedetto XVI, fin dal primo giorno del suo Pontificato, ha assunto
come impegno primario quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena
e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo10. Con autorevolezza possiamo affermare che
l’ecumenismo non è una scelta opzionale, ma è un sacro obbligo.
Naturalmente, ecumenismo non è sinonimo né di umanesimo bonario, né di relativismo
ecclesiologico. Esso poggia sulla ferma consapevolezza che la Chiesa Cattolica ha di se stessa e sui
principi cattolici, di cui parla il Decreto sull’ecumenismo (UR 2-4). È un ecumenismo della verità e
della carità; le due sono intimamente connesse e non possono sostituirsi a vicenda. Innanzitutto va
rispettato il dialogo della verità. Le norme concrete sono esposte in modo vincolante nel “Direttorio
ecumenico” del 1993 11.
Il risultato più significativo dell’ecumenismo negli ultimi decenni - ed anche il più gratificante - non
sono i vari documenti, ma la ritrovata fraternità, il fatto che ci siamo riscoperti fratelli e sorelle in
Cristo, che abbiamo imparato ad apprezzarci gli uni gli altri ed abbiamo intrapreso insieme il
cammino verso la piena unità (cf. UUS 42). Su questo cammino, la cattedra di Pietro è diventata nel
corso degli ultimi quarant’anni un punto di riferimento sempre più importante per tutte le Chiese e
tutte le Comunità ecclesiali. Se all’entusiasmo iniziale è subentrato un atteggiamento di maggiore
sobrietà, ciò dimostra che l’ecumenismo è diventato più maturo, più adulto. Esso è ormai una realtà
quotidiana, percepita come una normalità nella vita della Chiesa. È con grande gratitudine che
dobbiamo riconoscere in tale sviluppo l’agire dello Spirito che guida la Chiesa.
In maniera più specifica, possiamo distinguere tre campi nell’ecumenismo: con le chiese orientali e
ortodosse, con le Comunità ecclesiali nate dalla Riforma e il pentecostalismo.
2. LE RELAZIONI CON LE ANTICHE CHIESE ORIENTALI E CON LE CHIESE
ORTODOSSE DEL PRIMO MILLENNIO
Per prime vanno ricordate le relazioni con le antiche Chiese orientali e con le Chiese ortodosse del
primo millennio, che noi riconosciamo come Chiese12 in quanto, a livello ecclesiologico, come noi
hanno mantenuto la fede e la successione apostoliche.
CHIESE ORIENTALI PRE-CALCEDONIANE
Già nei primi dieci anni di dialogo, ovvero nel periodo tra il 1980 ed il 1990, sono stati
realizzati importanti risultati. Grazie al consenso raggiunto tra Papa Paolo VI e Papa
10
Omelia del 20 aprile 2005 tenuta davanti al collegio cardinalizio
DIRETTORIO PER L'APPLICAZIONE DEI PRINCIPI E DELLE NORME SULL'ECUMENISMO, Pontificio
Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, 25 marzo 1993
12
la stessa realtà non si può riferire alle comunità nate dalla Riforma del XV secolo
11
3
Giovanni Paolo II con i Patriarchi rispettivi è stato possibile superare le antiche controversie
cristologiche (monofisismo13) sorte intorno al Concilio di Calcedonia (451) e, per quanto
riguarda la Chiesa assira dell’oriente, intorno al Concilio di Efeso (381) (nestorianesimo14).
Nella sua seconda fase, il dialogo si è concentrato sull’ecclesiologia, ovvero sul concetto di
comunione ecclesiale e sui suoi criteri. L’ultimo incontro è stato a Damasco dal 27 gennaio
al 2 febbraio 2008. In quella sede è stata discussa per la prima volta la bozza di un
documento su “NATURA, COSTITUZIONE E MISSIONE DELLA CHIESA”. Grazie a questo dialogo,
Chiese di antica tradizione e addirittura di tradizione apostolica, prendono di nuovo contatto
con la Chiesa universale dopo aver vissuto ai suoi margini per 1500 anni. Che ciò accada
solo lentamente, passo per passo, è del tutto normale date le circostanze, ovvero i lunghi
secoli di separazione e le grandi differenze di cultura e di mentalità.
LE CHIESE ORTODOSSE DI TRADIZIONE BIZANTINA, SIRIANA E SLAVA
Il dialogo con queste chiese è stato avviato ufficialmente nel 1980. Con tali Chiese abbiamo
in comune i dogmi del primo millennio, l’Eucaristia e gli altri sacramenti, la venerazione di
Maria madre di Dio e dei santi, la struttura episcopale della Chiesa. Consideriamo queste
Chiese, insieme alle antiche Chiese orientali, come Chiese sorelle delle chiese locali
cattoliche.
Differenze esistevano già nel primo millennio, ma non erano percepite in quell’epoca come
un fattore di divisione all’interno della Chiesa. La separazione vera e propria è avvenuta
tramite un lungo processo di allontanamento e di alienazione, a causa di una mancanza di
comprensione e di amore reciproci, come ha osservato il Concilio Vaticano II (UR 14).
Quello che avviene oggi è dunque, necessariamente, un processo inverso di mutua
riconciliazione.
I primi importanti passi sono stati compiuti già durante il Concilio. Va ricordato ad esempio
l’incontro e lo scambio di corrispondenza tra Papa Paolo VI ed il Patriarca ecumenico
Athenagoras, il famoso “Tomos agapis”, e la cancellazione dalla memoria della Chiesa delle
scomuniche reciproche del 1054, nel penultimo giorno del Concilio. Su tali basi, è stato
possibile riprendere alcune forme di comunione ecclesiale del primo millennio:
 lo scambio di visite, di messaggi e di missive tra il Papa ed i Patriarchi, tra cui
soprattutto il Patriarca ecumenico (Bartolomeo I);
 la cordiale coesistenza e collaborazione in molte chiese locali; la concessione per
uso liturgico di edifici di culto da parte della Chiesa Cattolica a cristiani ortodossi
che vivono da noi nella diaspora, in segno di ospitalità e di comunione.
Durante l’Angelus pronunciato in occasione della festa di S. Pietro e Paolo del 2007, Papa
Benedetto XVI ha sottolineato che con queste Chiese siamo già in una comunione ecclesiale
pressoché piena.
Nei primi dieci anni del dialogo, dal 1980 al 1990, è stato puntualizzato ed evidenziato ciò
che abbiamo in comune a proposito dei sacramenti (soprattutto dell’Eucaristia) e del
ministero episcopale e sacerdotale.
Tuttavia, la svolta politica del 1989/90, invece di semplificare le relazioni, le ha complicate.
Nel ritorno alla vita pubblica delle Chiese cattoliche orientali (offensivamente chiamate
chiese uniate), dopo anni di brutali persecuzioni e di eroica resistenza pagata anche al prezzo
del sangue, è stata vista dalle Chiese ortodosse la minaccia di un nuovo “uniatismo”.
Così, negli anni novanta, nonostante gli importanti chiarimenti apportati dall’incontro di
Balamand (1993) a Baltimora (2000) il dialogo si è arenato. La situazione di crisi si è acuita
13
Dottrina cristologica che afferma la presenza in Gesù Cristo di una sola natura, quella divina.
Dottrina teologica che professa la presenza, in Cristo, di due nature (divina e umana) e di due persone (dio e uomo)
distinte, e rifiuta l’unione ipostatica (cioè l’unione delle due nature, umana e divina, in un’unica persona, divina).
14
4
soprattutto nelle relazioni con la Chiesa ortodossa russa dopo l’erezione canonica di quattro
diocesi in Russia nel 2002 15.
Tutto ciò non deve far pensare che il cammino ecumenico con le chiese ortodosse sia
concluso, anzi.
Recenti passi ecumenici della Chiesa Cattolica e della chiesa ortodossa
In occasione dell'Udienza al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I in occasione della Solennità
dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e dell’Apertura dell’Anno Paolino (il 28 giugno 2008)
Benedetto XVI ha rivolto significative parole al Patriarca di Costantinopoli16. Ha ribadito
non solo il desiderio di procedere sulla strada di un ulteriore approfondimento dei rapporti
con il mondo ortodosso (anche grazie ai sempre più frequenti contatti con Costantinopoli)
ma la volontà di pensare l’anno paolino come una straordinaria opportunità per rafforzare il
dialogo tra i cristiani nella comprensione del mistero dell’unità. Naturalmente emergeva,
così come in altre circostanze, l’attenzione del pontefice nei confronti del mondo ortodosso:
tanto più che Bartolomeo I aveva deciso di celebrare un anno paolino in modo da sviluppare
ancora di più la riflessione ecumenica sull’apostolo delle genti.
L’attenzione di Benedetto XVI va inserita nel quadro più vasto e articolato dell’impegno per
l’unità della chiesa che il papa ha indicato come una delle sue priorità fin dai primi passi del
suo pontificato. Infatti già nel messaggio ai cardinali del 20 aprile 2005, all’indomani della
sua elezione, Benedetto XVI dichiara di assumersi, “come impegno primario quello di
lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i
seguaci di Cristo”17. Non si tratta di una ambizione, ma di un impellente dovere, per il quale
non erano certamente sufficienti le manifestazioni di buoni sentimenti. Per Benedetto XVI
“occorrono gesti concreti, che entrino negli animi e smuovano le coscienze sollecitando
ciascuno a quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso sulla via
dell’ecumenismo” 18.
A. Parole e gesti di Benedetto XVI per il dialogo con la chiesa ortodossa.
Nel ripercorrere le parole e i gesti di Benedetto XVI per la promozione del dialogo con
la chiesa ortodossa, sono due gli elementi che appaiono centrali: la ripresa dei lavori
della commissione teologica cattolico-ortodossa e gli incontri del papa con il patriarca
15
Nel dicembre 2007 Kirill aveva proposto di abolire le diocesi cattoliche esistenti in Russia, come primo passo per
risolvere i problemi di rapporti della Santa Sede con il Patriarcato di Mosca. “Noi – aveva detto in proposito - non le
riconosceremo mai e contesteremmo sempre la presenza di diocesi cattoliche normali nel territorio della Russia e
consideriamo questo una sfida alla nostra comune idea, legata al principio territoriale delle amministrazioni
ecclesiastiche”. Nei giorni che precedevano la sua elezione, in un’intervista al quotidiano Trud, Kirill ha dichiarato che
“il [futuro] patriarca e il papa non si incontreranno finché non vi saranno progressi sui temi che costituiscono
problemi nelle nostre relazioni”
16
“La celebrazione dei santi Pietro e Paolo, patroni della chiesa di Roma, così come quella di s. Andrea patrono della
chiesa di Costantinopoli, ci offrono annualmente la possibilità di uno scambio di visite che sono sempre occasioni
importanti per fraterne conversazioni e comuni momenti di preghiera. Cresce così la conoscenza personale reciproca,
si armonizzano le iniziative e aumenta la speranza, che tutti ci anima, di poter giungere presto alla piena unità in
obbedienza al mandato del Signore. Quest’anno qui a Roma, alla festa patronale si aggiunge la felice circostanza
dell’inaugurazione dell’anno paolino che ho voluto indire per commemorare il secondo millennio della nascita di s.
Paolo con l’intento di promuovere una sempre più approfondita riflessione sulle verità teologiche e spirituale lasciata
alla chiesa dall’apostolo delle genti con la sua vasta e profonda opera di evangelizzazione. Ho appreso con piacere che
anche vostra Santità ha indetto un anno paolino, questa felice coincidenza pone in evidenza le radici della nostra
comune vocazione cristiana e la significativa sintonia che stiamo vivendo di sentimenti e di impegni pastorali per
questo rendo grazie al Signore Gesù Cristo che con la forza del suo spirito guida i nostri passi verso l’unità”.
Dall'Udienza al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I in occasione della Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e
dell’Apertura dell’Anno Paolino, 28.06.2008
17
Discorso di sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione
dell'unità dei cristiani, Sala Clementina, Venerdì, 17 novembre 2006
18
Dall’omelia della Messa di chiusura del Congresso Eucaristico Italiano, Bari, domenica 29 maggio 2005
5
ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Si tratta di due elementi che procedono di
pari passo continuando l’opera del pontefice per rapportare, approfondire e sviluppare il
dialogo tra cattolici e ortodossi.
La ripresa dei lavori della commissione teologica cattolico-ortodossa
Fin dal primo incontro ufficiale con una delegazione del patriarcato ecumenico di
Costantinopoli a Roma nei giorni 29-30 giugno 2005, appare evidente l’intenzione di
Benedetto XVI di proseguire nella strada, già tracciata da Paolo VI e rafforzata da
Giovanni Paolo II, della costruzione di un rapporto diretto con Costantinopoli. Anche
attraverso una serie di incontri, con un calendario ben definito. Per questo, in questo
giugno 2005 Benedetto XVI rivolgendosi alla delegazione del patriarcato ecumenico,
ricorda la storia del dialogo tra Roma e Costantinopoli, a partire dal concilio Vaticano II
e chiede alla delegazione di “portare i miei saluti al patriarca ecumenico informandolo
del mio proposito di proseguire con ferma determinazione nella ricerca della piena
unità da tutti i cristiani” 19.
Pochi mesi dopo Benedetto XVI conferma pubblicamente questo suo proposito nel
messaggio indirizzato al patriarca Bartolomeo in occasione della visita del patriarca a
Bologna (18-20 novembre 2005) ospite del cardinale Carlo Cafarra, arcivescovo di
quella città. Proprio per questa e per altre dichiarazioni pubbliche, accompagnate da una
intensa attività diplomatica della quale i viaggi del cardinale Walter Kasper
rappresentano il segno più tangibile, si crea quindi un clima nel quale matura la
decisione di una nuova convocazione della commissione teologica cattolico-ortodossa
che torna quindi a riunirsi dopo anni di sospensione dei propri lavori.
A Roma nei giorni 12-15 dicembre 2005 la commissione procede così con cautela nella
definizione dell’agenda dei futuri lavori, con sessioni plenarie che sono precedute da
riunioni separate delle delegazioni in modo da giungere all’identificazione di un tema
comune con il quale riannodare il filo di una riflessione teologica cattolico-ortodossa
dopo anni di silenziose incomprensioni.
La scelta di affrontare il tema della natura del vescovo di Roma e di tornare a parlare
delle chiese unite, se da un lato mostra le difficoltà a superare le ragioni che avevano
portato alla sospensione dei lavori, dall’altro indica la consapevolezza che il dialogo
deve affrontare questioni aperte per un reale approfondimento teologico anche se questo
corre il rischio di tensioni all’interno della commissione e forse delle stesse delegazioni
nelle quali convivono molte posizioni, convivono una pluralità di posizioni. Un
incoraggiamento a proseguire su questa strada che appare sicuramente non facile ma
necessaria viene dallo stesso Benedetto XVI, il quale il 15 dicembre 2005 riceve in
udienza la commissione e che egli considera “il segno del desiderio di riprendere e
proseguire il dialogo che ha conosciuto negli ultimi anni serie difficoltà interne ed
esterne”20.
Per Benedetto XVI si devono eliminare le divergenze e cercare ogni strada per ristabilire
la piena comunione, lavorando dice il papa, con coraggio, lucidità e umiltà anche se
questa appare lontana dai disegni umani, ricucendo accordi di basso profilo e in questa
nuova stagione di dialogo per il papa si deve richiedere un impegno particolare “ai
teologi, ai pastori, alle comunità intere, ciascuno secondo il proprio ruolo dal momento
che tutti devono confidare nell’aiuto del Signore, poiché l’unità è innanzitutto un dono
del Signore”21, secondo quanto aveva già detto il decreto Unitatis ed redintegratio.
19
Discorso di sua Santità Benedetto XVI alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, Giovedì, 30
giugno 2005
20
Dal discorso ai membri del Comitato misto di Coordinamento del Dialogo Cattolico-Ortodosso, Roma 15 dicembre
2005, disponibile in francese, inglese, portoghese, spagnolo, tedesco.
21
idem
6
Dopo l’incontro a Roma, la commissione torna a riunirsi nei giorni 18-25 settembre
2006 a Belgrado ospite della chiesa ortodossa serba che non perde occasione per
manifestare il proprio appoggio al dialogo in atto. La commissione discute un testo nel
quale si parla della dimensione ecclesiologica e giuridica della natura sacramentale della
chiesa in particolare della dimensione sinodale e dell’autorità nella chiesa così come
questa si realizza a tre livelli: locale, regionale e universale.
Si tratta di un testo preparato nel 1990, ma poi mai discusso collegialmente che viene
considerato una buona parte di partenza per questa nuova fase dei lavori della
commissione. Le numerose osservazioni al testo mostrano l’attualità del tema e la decisa
volontà ad un confronto teologico per giungere ad un chiarimento considerato
fondamentale per proseguire il dialogo. Per questo si decide di dare la revisione di
questo testo ad una sottocommissione, che dovrà presentare un testo nella prossima
riunione con la speranza poi di poter procedere alla sua pubblicazione.
A Ravenna nei giorni 8-14 ottobre 2007 si ha così la terza riunione della commissione
mista durante il pontificato di Benedetto XVI. La riunione alla quale per un certo tempo
si è pensato potessero intervenire il papa e alcuni patriarchi delle chiese autocefale,
proprio per sottolineare il rilievo di questo momento, si apre in un clima non facile a
causa delle tensioni nel mondo ortodosso. Proprio in seguito a queste tensioni sulle quali
diremo qualcosa più avanti, prima ancora dell’inizio ufficiale dei lavori, la delegazione
russa, che pare pure aveva contribuito in modo determinante alla redazione del
documento, abbandona Ravenna per manifestare il suo dissenso nei confronti delle scelte
operate dal patriarcato di Costantinopoli nella composizione della delegazione ortodossa.
Nonostante questa assenza si giunge all’approvazione di un testo “Comunione ecclesiale,
collegialità e autorità” il così detto documento di Ravenna che mostra quanti passi sono
stati compiuti da cattolici e ortodossi non solo verso l’unità visibile della chiesa ma
anche sulla strada della reciproca comprensione delle differenze teologiche che si sono
venute creando nel corso dei secoli. Si tratta quindi non di giungere alla firma di un
accordo ma di impostare un cammino comune per un approfondimento del significato
dell’unità nella chiesa alla luce delle differenze dogmatiche esistenti con la speranza che
“si possa presto giungere a condividere lo stesso calice del Signore” come auspica
Benedetto XVI in un pensiero che egli rivolge alla commissione riunita a Ravenna
durante l’udienza generale del 10 ottobre 2007.
La pubblicazione ufficiale del documento di Ravenna il 15 novembre 2007 contribuisce
ad alimentare un nuovo clima di rapporti tra cattolici e ortodossi anche se non mancano
le osservazioni critiche su quanto è stato sottoscritto soprattutto sul valore da attribuire al
contenuto del documento, tanto che appare necessario procedere ad un ulteriore
approfondimento mentre prosegue tra dichiarazioni pubbliche e incontri più riservati la
riflessione del mondo ortodosso sul documento stesso.
Dopo tre incontri di carattere preparatorio nella primavera-estate 2008 da parte dei
gruppi linguistici della commissione si ha un incontro nel Comitato di coordinamento
della commissione stessa a Creta nei giorni 27 settembre 4 ottobre 2008 per discutere le
due cose emerse dagli incontri preparatori in vista della redazione di un nuovo
documento comune: il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della chiesa nel
primo millennio, così come era stato deciso a Ravenna.
Al termine dell’incontro si decide di tenere la prossima della commissione mista a Cipro
nell’autunno del 2009, dopo aver ricordato che lo scopo del dialogo tra la Chiesa
Cattolica e la chiesa ortodossa è il ristabilimento della piena comunione tra di esse. Tale
comunione fondata sull’unità della fede nella linea della esperienza e delle tradizioni
comuni della chiesa antica troverà la sua espressione nella comune celebrazione della
Santa Eucaristia.
7
Gli incontri del papa con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I
Mentre la commissione cattolica-ortodossa riprende e sviluppa i suoi lavori Benedetto
XVI rafforza le relazioni con il patriarcato di Costantinopoli. Relazioni che hanno il
momento più forte in occasione della visita del papa in Turchia.
Benedetto XVI aveva annunciato pubblicamente il 29 giugno 2006 la sua intenzione di
accettare l’invito del patriarca Bartolomeo a recarsi a Costantinopoli per la festa di
Sant'Andrea. Questa visita che ha luogo nonostante i timori espressi da qualche parte per
l’incolumità del papa e il disinteresse se non addirittura l’avversione del governo turco
assume un profondo valore per il dialogo ecumenico per almeno due ragioni:
o innanzitutto viene firmata una dichiarazione comune del papa e del patriarca nella
quale si conferma la scelta irreversibile e fondamentale dei cattolici e degli ortodossi
a favore del dialogo ecumenico rinnovando l’impegno per giungere all’unità visibile
della chiesa.
o E ciò, anche se la dichiarazione non si limita alla pure importante dimensione
ecumenica, infatti nella dichiarazione si parla della comune missione delle due
chiese, cioè l’annuncio del Vangelo, del ruolo di cattolici e ortodossi nel processo di
unificazione europea, in particolare nella difesa dei diritti della persona umana,
soprattutto la libertà religiosa testimone garante del rispetto di ogni altra libertà,
dell’azione comune per la promozione di un dialogo interreligioso autentico e leale
per combattere ogni forma di violenza e di discriminazione e dell’importanza del
tema della salvaguardia del creato per il futuro del mondo.
Durante la visita gli incontri ecumenici tra Benedetto XVI e Bartolomeo I sono ricchi di
gesti significativi “del comune impegno per proseguire sulla strada verso il
ristabilimento con la grazia di Dio della piena comunione”. Per rendere grazie al
Signore per il dono dei passi compiuti finora da cattolici e ortodossi, infatti viene
ricordata la rimozione degli anatemi del 1054 compiuta da Paolo VI e dal patriarca
Atenagora nel 1965 come segno di amore che ha guidato i rapporti tra Roma e
Costantinopoli in questi anni.
Proprio in questo spirito ecumenico con la condivisione dell’itinerario che porta alla
riconciliazione e alla pace nelle chiese Benedetto XVI affronta anche il tema del servizio
universale di Pietro che ha dato origine a opinioni diverse e a forti contrasti teologici che
ora sembrano poter essere superati soprattutto dopo le parole di Giovanni Paolo II
nell’enciclica Ut unum sint e il dialogo teologico ripreso di recente.
Il rilievo ecumenico di questo viaggio apostolico lo si coglie appieno rileggendo le
parole di Benedetto XVI alla delegazione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli
che era giunta a Roma, secondo una tradizione ormai consolidata, per prendere parte alla
festa dei Santi Pietro e Paolo nel giugno successivo la visita a Costantinopoli. In questa
occasione, 29 giugno 2007, Benedetto XVI parla della necessità di sviluppare “un amore
reciproco quale condizione previa per giungere a quella piena unità alla fede nella vita
ecclesiale, verso la quale siamo con fiducia incamminati”. In questa direzione si
collocano le tante iniziative ecumeniche promosse dalla Chiesa Cattolica e dalla chiesa
ortodossa per superare pregiudizi e incomprensioni che derivano da secoli di separazione
e contrapposizione. In questa fase, nella quale, come ricorda Benedetto XVI, sembra
possibile la soluzione anche della questione dell’ospitalità eucaristica, tanto si è andati
avanti nel confronto teologico si deve sempre tenere in mente che “solo il Signore può
orientare e guidare i nostri passi essendo l’unità, prima di tutto, dono di Dio da
chiedere con corale invocazione ed accogliere con umile docilità, consapevole dei
sacrifici che comporta il cammino di avvicinamento all’unità”.
In questo cammino ecumenico che deve vedere sempre più coinvolti i teologi, così come
viene auspicato già dal concilio Vaticano II, per Benedetto XVI un posto privilegiato
spetta alla catechesi per i giovani dal momento che essi devono avere “piena coscienza
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della propria identità ecclesiale e dei legami di comunione con gli altri fratelli in
Cristo” senza dimenticare tutto quello che non consente la piena comunione tra i
cristiani.
In questa prospettiva si comprende bene la presenza del patriarca Bartolomeo
all’apertura dell’anno paolino e la sua designazione quale relatore al recente sinodo dei
vescovi come un’ ulteriore testimonianza del rapporto diretto tra Roma e Costantinopoli
per non escludere nel cammino verso l’unità gli altri cristiani creando degli assi
privilegiati come da taluni si è paventato senza fondamento, ma per rafforzare il comune
impegno di Roma e Costantinopoli a proseguire il cammino pur nelle tante difficoltà
quotidiane che animano il dialogo ecumenico nel rispetto della vocazione all’unità che
Pietro e Andrea hanno testimoniato nella loro vita.
Si tratta quindi di un percorso in comune, che viene arricchito da un continuo e fraterno
scambio con gli altri cristiani come dimostrano, solo per rimanere nell’ambito della
chiesa romana i tanti incontri che Benedetto XVI ha avuto con delegazioni delle altre
chiese ortodosse. Come nel caso della visita a Roma dell’arcivescovo di Atene
Christodoulos nel dicembre 2006 e dell’arcivescovo ortodosso di Cipro Chrysostomos II,
nel giugno 2007. Non mancano poi gli inviti di Benedetto XVI ad approfondire il
dialogo con il mondo ortodosso come quando il 30 ottobre 2006 riceve la conferenza
episcopale della Grecia in visita ad limina e raccomanda ai vescovi di moltiplicare le
occasione di dialogo con la chiesa ortodossa per favorire ulteriori progressi sulla strada
della sospirata unità piena, solo per citare uno dei molti incontri dedicati da Benedetto
XVI proprio alla sensibilizzazione dei cattolici a questa nuova frontiera del dialogo
ecumenico.
B. Meritano una riflessione a parte i rapporti della Chiesa Cattolica con il patriarcato
di Mosca.
Il patriarcato di Mosca fin dal momento dell’elezione del papa Ratzinger dimostra di
voler iniziare una stagione nuova nei rapporti con Roma.
La visita a Roma del metropolita Kirill di Smolensk (oggi patriarca di Mosca e di tutte le
Russie), responsabile del dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, il
19 maggio 2006, contribuisce ad alimentare questa nuova stagione dal momento che il
metropolita è latore del messaggio del patriarca Alessio II in risposta ad una precedente
lettera di Benedetto XVI con la quale si esprime il desiderio di proseguire sulla strada di
una comune testimonianza in difesa dei diritti umani e valori umani come compito
primario dei cristiani nella società secolarizzata europea.
Nel novembre 2007, dopo che sono stati compiuti tanti passi per rafforzare il filo del
dialogo tra Mosca e Roma, soprattutto per opera del cardinale Walter Kasper, Benedetto
XVI riceve il dell'Arcivescovo Innokentij di Chersoneso che gli consegna la traduzione
francese dei fondamenti della dottrina sociale della chiesa russa. Anche in questo caso il
vescovo è l’autore di un messaggio per il pontefice da parte del patriarca di Mosca
Alessio II, il quale si augura che la pubblicazione in francese dei fondamenti della
dottrina sociale possa ampliare i campi di interventi comune dei cristiani nel mondo.
Il 7 dicembre 2007 il metropolita Kirill viene nuovamente ricevuto da papa che ricorda
l’importanza del patto che cattolici e ortodossi condividano gli stessi valori in campo
etico, e questa condivisione costituisce un elemento non secondario nella costruzione
dell’unità della chiesa.
La decisione della Chiesa Cattolica di accompagnare al rafforzamento delle relazioni con
il patriarcato di Costantinopoli una costante attenzione per il mondo ortodosso nel suo
complesso, con incontri e interventi a favore del dialogo con le singole chiese, appare
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quanto mai opportuno per la crescita del dialogo ecumenico, tanto più se si tiene conto
delle speranze e delle tensioni che percorrono la chiesa ortodossa.
C. Speranze e tensioni per l’unità nel mondo ortodosso: elementi che animano il
dialogo infraortodosso.
L’esistenza di una forte dialettica nel mondo ortodosso non può essere
semplicisticamente ricondotta alla contrapposizione tra Mosca e Costantinopoli per la
definizione del ruolo di portavoce dell’ortodossia. Poiché, se pure questa
contrapposizione, tal volta assai aspra, rappresenta una delle componenti fondamentali
nelle dinamiche infra-ortodosse, il mondo ortodosso è percorso da tensioni e speranze
che vanno ben oltre questa contrapposizione.
Infatti le chiese ortodosse si trovano ad affrontare una situazione interconfessionale,
interreligiosa e geopolitica nella quale sono chiamate a vivere la propria tradizione in
forme nuove nella ricerca di un equilibrio dalla fedeltà alla tradizione e il dialogo con
una società multiculturale e multireligiosa.
Non è certo questa la sede per affrontare l’analisi complessiva della situazione
ecumenica della chiesa ortodossa in tutte le sue articolazioni ma appare quanto mai
necessaria per la comprensione di alcuni elementi premettere queste brevi considerazioni
in modo da non correre il rischio di ridurre tutta la vivacità dinamica del mondo
ortodosso ad uno scontro personale tra i due patriarcati.
Nella prospettiva del cammino ecumenico tra la Chiesa Cattolica e la chiesa ortodossa
nei primi tre anni di pontificato di Benedetto XVI, sono almeno tre gli elementi sui quali
soffermarci: la costruzione dell’unità della chiesa ortodossa Russa, i contrasti giuridicopastorali tra Mosca e Costantinopoli, e i tentativi di riscoprire l’unità della chiesa
ortodossa.
a) La costruzione dell’unità della chiesa ortodossa Russa
Nei primi mesi di pontificato di Benedetto XVI si conclude il percorso di ricomposizione
delle fratture nella chiesa ortodossa russa che ha riacquistato una sua unità dopo decenni
nei quali la contrapposizione e la divisione avevano segnato le comunità ortodosse russe.
Infatti dopo una riunione nel luglio 2005 e una nel febbraio 2006 nella definizione dei
passaggi per la riunificazione della chiesa ortodossa russa, il 19 maggio 2006 a New
York dodici vescovi russi della chiesa ortodossa russa della diaspora votano a favore
della riunificazione della chiesa russa operando così un passo decisivo in una direzione
considerata inimmaginabile fino a qualche anno fa.
Il 7 settembre 2006 il sinodo del patriarcato di mosca si dichiara a favore dell’accordo
raggiunto per la riunificazione così come il sinodo della chiesa della diaspora il 6 ottobre
seguente. Il primo novembre viene così pubblicato l’atto di comunione canonica e il 17
maggio 2007, nel giorno dell’Ascensione a Mosca il patriarca Alessio II e il metropolita
Laurus, primate della chiesa ortodossa russa della diaspora, sottoscrivono pubblicamente
l’atto di comunione canonica. Due giorni dopo Alessio II e l’arcivescovo Laurus
presiedono la consacrazione della chiesa dei Santi nuovi martiri e confessori la cui
fondazione era stata benedetta nel 2004 da entrambi, durante la prima visita a mosca
dell’arcivescovo Laurus, quando si cominciava a parlare sommessamente di questo
percorso di riunificazione della chiesa ortodossa russa.
Fosse anche in forza di questo atto, in questi anni mosca è venuta rafforzando la sua
politica per il riconoscimento della sua leadership nel mondo ortodosso con una intensa
attività diplomatica anche nei confronti della Chiesa Cattolica, soprattutto per l’opera
delle delegazioni ufficiali presso l’unione europea e il consiglio di Europa che hanno
promosso la conoscenza della dottrina, dell’etica e della spiritualità dell’ortodossia russa.
Questa azione diplomatica sulla quale non ci possiamo soffermare, non è stata priva di
conseguenze all’interno del mondo ortodosso.
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b) I contrasti giuridico-pastorali tra Mosca e Costantinopoli
In questi anni, si sarebbe tentati di dire “anche in questi anni”, non sono mancate le
tensioni tra mosca e Costantinopoli:
 il caso del vescovo inglese Berry Bosmon esploso nella primavera del 2006
quando il patriarcato di mosca dichiarò di non considerare valido il suo passaggio
sotto la giurisdizione di Costantinopoli,
 la definizione dei membri della delegazione ortodossa per la commissione
cattolico-ortodossa oltre che la modalità di partecipazione della stessa
delegazione ortodossa che si era già manifestata nella riunione di Belgrado,
 e la situazione della chiesa ortodossa della Estonia (che non sembra avere ancora
una soluzione)
hanno mostrato le difficoltà di procedere nella direzione dell’unità all’interno del mondo
ortodosso.
Infatti sono stati momenti segnati anche da gesti forti come nel caso dell’abbandono
della delegazione della chiesa russa dalla riunione della commissione cattolicoortodossa a Ravenna, quando la partenza della delegazione prima ancora dell’inizio dei
lavori ha messo in pericolo l’esito stesso della approvazione di un documento comune
cattolico-ortodosso suscitando nell’opinione pubblica mille interrogativi sul valore del
lavoro che cattolici e ortodossi avevano portato avanti.
Tanto da far dichiarare ad alcuni l’inutilità di giungere all’approvazione di un
documento senza la presenza della delegazione russa.
I fatti successivi hanno poi dissipato questa preoccupazione che pure ha coinvolto
ambienti anche sensibili al dialogo ecumenico e non solo coloro che non amano il
progredire in un dialogo tanto fraterno tra cattolici e ortodossi.
Di questi giorni è la notizia della decisione del patriarcato di Mosca di sospendere la
sua partecipazione al consiglio delle chiese europee, tanto è che proprio per la non
decisione riguardo alla situazione della chiesa ortodossa autonoma di Estonia su un
contenzioso solo apparentemente giuridico tra Mosca e Costantinopoli. Al di là delle
motivazioni portate da Mosca e delle risposte della Kek si tratta di un passaggio
importante perché viene a toccare un organismo, appunto la Kek che in questi anni si era
fatto promotore con il consiglio delle conferenze episcopali europee (CC EE) di una
attività intensa ecumenica in Europa. Come dimostra la firma della Carta ecumenica del
2001 e la Celebrazione della III assemblea ecumenica europea a Sibiu; solo per ricordare
i più noti risultati tra i tanti progetti portati avanti.
c) I tentativi di riscoprire l’unità della chiesa ortodossa
Nonostante queste tensioni che hanno attraversato anche i rapporti tra Costantinopoli e
Atene, tra Mosca e Kiev non sono mancati momenti nei quali forte si è avvertito il
desiderio di manifestare unità nella chiesa ortodossa nella prospettiva più o meno
sognata di giungere al sinodo pan-ortodosso della cui celebrazione si parla da decenni.
Nel maggio del 2005 a Costantinopoli si sono incontrate le delegazioni di 14 chiese
ortodosse per trovare una soluzione alla situazione creatasi a Gerusalemme con il caso
del patriarca Ireneo. Era stato lo stesso sinodo del patriarcato di Gerusalemme a chiedere
un intervento delle chiese sorelle, ma era stato significativo che questo appello non fosse
caduto nel vuoto. Con questa riunione si è aperta una stagione nella quale si sono avuti
vari incontri e tra questi, che non sempre si sono conclusi con risultati positivi per il
cammino verso una maggiore unità della chiesa ortodossa vorrei ricordarne due, proprio
di questi mesi:
la celebrazione del 1020° anniversario della cristianizzazione dell’Ucraina e
l’incontro pan-ortodosso a Costantinopoli di poche settimane fa.
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Nello scorso luglio Kiev la celebrazione del 1020° anniversario della cristianizzazione
dell’Ucraina è diventato un momento forte di riflessione sull’unità della chiesa
ortodossa per la presenza delle delegazioni delle chiese sorelle. Così come era nelle
intenzioni della chiesa ortodossa ucraina.
Alla vigilia delle celebrazioni il patriarca Bartolomeo I è tornato a parlare della natura e
del ruolo del patriarca di Costantinopoli sostenendo che non si propone di svolgere
nessun magistero che possa essere solo paragonabile a quello esercitato dal papa di
Roma, ma solo di promuovere la soluzione collegiale delle questioni in discussione nella
chiesa ortodossa: dalla rinascita della chiesa ortodossa in Albania, alle contestazioni al
patriarca di Gerusalemme, alla situazione della chiesa di cipro. Il patriarca ecumenico
non è per sua natura un papa dell’oriente, ma Costantinopoli è la chiesa madre del
mondo ortodosso, il suo punto di riferimento e coordinamento così come insegna la
storia della diffusione del cristianesimo nell’Europa orientale.
La comune partecipazione di Alessio II e Bartolomeo I alle celebrazioni di Kiev, oltre
che una notizia di un incontro privato tra i due patriarchi proprio per affrontare alcune
questioni aperte del mondo ortodosso, sono state un'ulteriore testimonianza che il tema
dell’unità nel mondo ortodosso è sempre in cima all’agenda dei dialoghi tra le chiese
ortodosse; come ha detto il metropolita kirill presidente del dipartimento per le relazioni
estere della chiesa ortodossa ucraina al termine delle celebrazioni a Kiev.
Il recente incontro pan-ortodosso a Costantinopoli che si è svolto a metà ottobre ha
ulteriormente arricchito questa stagione di dialogo tra gli ortodossi mostrando la volontà
di proseguire il dialogo; senza ignorare le questioni aperte come il caso della chiesa
ortodossa autonoma di Estonia tanto che la partecipazione del patriarca Alessio II è stata
assicurata dopo un intenso lavoro diplomatico del quale si è fatto carico il metropolita
Kirill di Smolensk.
Certamente il fatto che l’incontro para-ortodosso che si è concluso con la sottoscrizione
di un documento comune, fosse in pratica contemporaneo alla sospensione della
partecipazione del patriarcato di mosca delle conferenze europee indica la complessità
dei rapporti ecumenici a livelli diversi e induce a muoversi con cautela per la
comprensione profonda delle ragioni che animano il mondo ortodosso nel cammino per
l’unità della chiesa al suo interno e nei confronti degli altri cristiani.
Ma proprio questo aspetto, la necessità di procedere alla comprensione profonda, delle
ragioni profonde del mondo ortodosso ci introduce spontaneamente a parlare della
quotidianità della presenza ortodossa in Italia e i rapporti ecumenici tra i cattolici e
ortodossi.
GLI ORTODOSSI E IL DIALOGO ECUMENICO IN ITALIA.
Innanzitutto la presenza delle comunità ortodosse in Italia costituisce una ricchezza non un
elemento di preoccupazione e/o di paura (come si legge e si sente talvolta dire spesso non in
ambienti cattolici) ricchezza della quale si deve tener conto e con la quale la Chiesa Cattolica è
chiamata a confrontarsi nella consapevolezza di trovarsi di fronte ad una situazione del tutto nuova
per la Chiesa Cattolica e per la società in Italia.
Infatti se solo ripensiamo alla situazione di un decennio fa si deve notare come ci sia stata una
profonda trasformazione della presenza ortodossa in Italia e ciò in modo particolare, da un punto di
vista quantitativo con la nascita di decine e decine di comunità parrocchiali sul territorio italiano
tanto che in quasi tutte le diocesi si ha almeno una presenza di una comunità ortodossa, sia questa
russa, ucraina, serba, macedone, moldava e bulgara.
Quando sarà disponibile l’annuario dell’ecumenismo in Italia promosso dalla commissione
episcopale per l’ecumenismo della CEI, si avrà un quadro più definito della diffusione di queste
comunità. In questi anni le comunità ortodosse sono cresciute per numero e per dimensione
soprattutto in seguito ai fenomeni migratori.
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Al tempo stesso le comunità si sono venute organizzando tanto che in questi ultimi tempi si è avuta
l’istituzione di una diocesi per l’Italia da parte della chiesa ortodossa rumena con la successiva
elezione del vescovo Siluan.
Mentre solo lo scorso luglio è stata comunicata al presidente della repubblica Italiana, Giorgio
Napolitano, in visita in Russia, la decisione del patriarcato di Mosca di procedere alla creazione di
una diocesi autonoma in Italia in modo da potenziare non solo la cura pastorale ma anche il
recupero della tradizione dei pellegrinaggi in Italia da parte dei fedeli russi.
Queste due diocesi ortodosse vengono quindi a raffigurarsi alla presenza storica del patriarcato di
Costantinopoli che proprio qui a Venezia ha la sede dell’arcidiocesi d’Italia e Malta che
costituiscono un’occasione di confronto teologico pastorale di grande rilievo ecumenico per la
Chiesa Cattolica in Italia.
Il processo che ha condotto non solo alla creazione delle due diocesi ma anche la nascita di tante
comunità locali ortodosse è stato possibile anche per l’accoglienza che gli ortodossi hanno goduto e
continuano a godere da parte della Chiesa Cattolica in Italia. Se pure, talvolta, non è stato facile e
immediato. Comunque si può osservare che diffusa è stata l’accoglienza che ha provocato un
sempre maggiore approfondimento dei rapporti ecumenici cattolici-ortodossi tanto che in alcuni
casi, proprio grazie alla presenza degli ortodossi, è stato possibile rafforzare la riflessione
ecumenica a livello diocesano anche per la nascita di nuove questioni ecumeniche su un piano
pastorale come la celebrazione dei matrimoni interconfessionali e la catechesi ai fanciulli di
tradizione ortodossa.
Le ragioni profonde di questa accoglienza, che da un piano semplicemente caritativo si è venuta
rapidamente sviluppando in direzione ecumenica sono molte, così come molti sono i fattori che
hanno contribuito a questo processo di accoglienza e confronto ecumenico.
Indubbiamente l’attenzione per la teologia e la spiritualità ortodossa ha rappresentato un elemento,
minoritario e marginale ma non per questo meno forte e attivo, nella Chiesa Cattolica in Italia negli
anni della recezione del Concilio Vaticano II. In questi anni si sono così moltiplicati convegni,
pubblicazioni, ricerche, mostre sul mondo ortodosso a vario livello tanto da rendere più familiare
questo mondo anche se molto resta da fare da un punto di vista scientifico e pastorale.
3. LE COMUNITÀ ECCLESIALI NATE DIRETTAMENTE O INDIRETTAMENTE
DALLA RIFORMA DEL XVI SECOLO22
Proseguiamo con le relazioni verso le Comunità ecclesiali nate direttamente o indirettamente - come
le Chiese libere - dalla Riforma del XVI secolo; esse hanno sviluppato una propria ecclesiologia
prendendo a fondamento la Sacra Scrittura.
Segni incoraggianti si sono verificati anche in questo campo. Tutte le Comunità ecclesiali si sono
dette interessate al dialogo e la Chiesa Cattolica è in dialogo con quasi tutte le Comunità ecclesiali.
GUARDANDO AL POSITIVO
Un certo consenso è stato raggiunto nell’ambito delle verità di fede, soprattutto per ciò che riguarda
le questioni fondamentali della dottrina sulla giustificazione.
In molti luoghi esiste una fruttuosa collaborazione nella sfera sociale e umanitaria. Si è diffuso
progressivamente un atteggiamento di fiducia reciproca e di amicizia, caratterizzato da un profondo
desiderio di unità, che rimane tale nonostante ci siano, di tanto in tanto, toni più duri ed aspre
delusioni. Di fatti, l’intensa rete di relazioni sia personali che istituzionali sviluppatasi nel frattempo
è in grado di resistere alle occasionali tensioni.
Testo ripreso dalla “Relazione introduttiva del Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei
Cristiani all'incontro di preghiera e riflessione di Benedetto XVI con i Cardinali”. Cfr. pag. 1
22
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CAMBIAMENTI E NUOVE DIFFICOLTÀ
Non c’è nessun arresto, ma un profondo cambiamento della situazione ecumenica. È lo stesso
cambiamento sperimentato dalla Chiesa e dal mondo in generale. Qui mi limiterò a citare soltanto
alcuni aspetti di questa trasformazione.
1) Dopo essere pervenuti ad un consenso fondamentale sulla dottrina della giustificazione, ci
troviamo ora a dover nuovamente discutere di temi controversi classici, tra cui soprattutto
l’ecclesiologia ed i ministeri ecclesiali (cf. UUS 66). A tal proposito, le “Cinque risposte” rilasciate
lo scorso luglio dalla Congregazione per la dottrina della fede hanno suscitato perplessità ed
originato un certo malumore. L’agitazione sollevatasi intorno a tale documento era perlopiù
ingiustificata, poiché il testo non afferma niente di nuovo, ma ribadisce in modo riassuntivo la
dottrina cattolica. Tuttavia, sarebbe auspicabile rivedere la forma, il linguaggio e la presentazione al
pubblico di simili dichiarazioni.
2) Le differenti ecclesiologie portano necessariamente ad avere visioni differenti di ciò che è lo
scopo dell’ecumenismo. Così è un problema il fatto che ci manchi un concetto comune di unità
ecclesiale quale obiettivo da raggiungere. Tale problema è ancora più grave se consideriamo che la
comunione ecclesiale è per noi cattolici il presupposto per una comunione eucaristica e che
l’assenza di una comunione eucaristica comporta grandi difficoltà pastorali, soprattutto nel caso di
coppie e famiglie miste.
3) Mentre da una parte ci sforziamo di superare le vecchie controversie, dall’altra emergono
nuove divergenze nel campo etico. Ciò riguarda in particolare le questioni attinenti alla difesa
della vita, al matrimonio, alla famiglia e alla sessualità umana. A causa di questi nuovi fossati che si
vengono a scavare, la testimonianza comune pubblica è notevolmente indebolita se non addirittura
impossibilitata.
La crisi che si verifica all’interno delle rispettive Comunità è esemplificata chiaramente dalla
situazione insorta nella Comunione anglicana (descritta nel seguente paragrafo), che non è un caso
isolato.
4) La teologia protestante, segnata durante i primi anni del dialogo dalla “rinascita luterana” e
dalla teologia della Parola di Dio di Karl Barth, è ora ritornata ai motivi della teologia liberale. Di
conseguenza, costatiamo che, da parte protestante, quei fondamenti cristologici e trinitari che erano
stati finora un presupposto comune vengono a volte diluiti. Ciò che ritenevamo essere il nostro
patrimonio comune ha cominciato a sciogliersi qua e là come i ghiacciai nelle Alpi.
Ma ci sono anche forti controcorrenti sorte in reazione ai fenomeni sopra menzionati. Si riscontra in
tutto il mondo una forte crescita di gruppi evangelicali, le cui posizioni coincidono perlopiù con le
nostre nelle questioni dogmatiche fondamentali, soprattutto in campo etico, ma sono spesso molto
divergenti per l’ecclesiologia, la teologia dei sacramenti, l’esegesi biblica e la comprensione della
tradizione.
Vi sono raggruppamenti di Chiesa alta che desiderano far valere nell’anglicanesimo e nel
luteranesimo elementi della tradizione cattolica per ciò che riguarda la liturgia ed il ministero
ecclesiale. A questi si aggiungono sempre più comunità monastiche che, vivendo spesso secondo la
regola benedettina, si sentono vicine alla Chiesa Cattolica. Inoltre, esistono comunità pietiste che,
davanti alla crisi intorno alle questioni etiche, avvertono un certo disagio nelle Comunità ecclesiali
protestanti; essi guardano con gratitudine alle chiare prese di posizione del Papa, che non molto
tempo fa avevano apostrofato con toni meno benevoli.
Tutti questi gruppi, insieme alle comunità cattoliche di vita religiosa ed ai nuovi movimenti
spirituali, hanno recentemente costituito “reti spirituali”, raggruppate spesso intorno a monasteri
come Chevetogne, Bose e soprattutto Taizé ed anche in movimenti quali il movimento dei Focolari
e Chemin neuf. In tal modo, possiamo dire che l’ecumenismo torna alle sue origini in piccoli gruppi
di dialogo, di preghiera, di studio biblico. Recentemente questi gruppi hanno preso la parola anche
pubblicamente, ad esempio nei grandi raduni dei movimenti a Stoccarda, nel 2004 e nel 2007.
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Emergono così, accanto ai dialoghi ufficiali diventati spesso più difficili, nuove forme di dialogo
promettenti.
Questa panoramica generale ci mostra dunque che non esiste solamente un ravvicinamento
ecumenico, ma che ci sono anche frammentazioni e forze centrifughe al lavoro. Se prendiamo in
considerazione inoltre le numerose “Chiese” così dette indipendenti che continuano a sorgere
soprattutto in Africa ed il proliferare di gruppuscoli spesso molto aggressivi, ci rendiamo conto che
il paesaggio ecumenico è ora molto differenziato e confuso. Questo pluralismo non è altro che lo
specchio della situazione pluralista della società così detta post-moderna, che spesso conduce ad un
relativismo religioso.
Nel contesto attuale, particolarmente importanti sono pertanto incontri quali l’Assemblea plenaria
del Consiglio ecumenico delle Chiese che ha avuto luogo il febbraio dello scorso anno a Porto
Alegre (Brasile), il “Global Christian Forum” e l’“Assemblea ecumenica europea” tenutasi nel
settembre del 2007 a Sibiu/Hermannstadt (Romania). Questi convegni vogliono riunire nel dialogo i
vari gruppi divergenti e, per quanto possibile, tenere insieme il movimento ecumenico con le sue
luci e le sue ombre e le sue nuove sfide in una situazione che è cambiata e sta tuttora cambiando
rapidamente.
ANGLICANESIMO OGGI E LA CONFERENZA DI LAMBETH 2008
L'evoluzione dell'Anglicanesimo nei secoli è assai interessante ma non è facilmente riassumibile.
Potremmo semplicemente indicare come la Chiesa23. d’Inghilterra di Enrico VIII (che già nel
medioevo godeva di ampie autonomie) da chiesa nazionale è diventata una forma di Cristianesimo,
ampia e non confessionale. All’inizio e per molto tempo della sua storia, c'era una certa uniformità
centrata sui formulari anglicani chiave: il Book of Common Prayer24, l'Ordinale e i 39 Articoli25
così come nelle Scritture e su alcuni elementi della tradizione primitiva della Chiesa. Allo stesso
tempo, l'importanza (relativa) di questi elementi fu valorizzata in maniera assai diversa dalle varie
correnti all'interno dell'Anglicanesimo con conclusioni molto diverse e sovente contraddittorie
(anche su questioni fondamentali come ad esempio se l'Anglicanesimo sia primariamente una
Chiesa Riformata protestante oppure se sia in continuità con la Chiesa Cattolica pre-Riforma in
Inghilterra). Inoltre, queste correnti si trovano molto spesso in non facile coesistenza, per non dire
in isolamento reciproco piuttosto che in una interazione creativa.
Se, per il passato si poteva pretendere una certa uniformità di consenso, questo oggi non esiste più.
Come scrive un autore: “Si è indebolito il consenso tacito sul carattere protestante della Chiesa
d'Inghilterra e perciò dell'Anglicanesimo in generale che esisteva senza dubbio fino a quando il
movimento di Oxford cominciò a far sentire il suo influsso e che consisteva nell'accettazione delle
dottrine della supremazia della Scrittura, della giustificazione per la fede e della connessione
nazionale, assieme al ruolo della sovranità (una persona laica) nel governo della Chiesa. Gli
Articoli hanno soltanto un'autorità nominale, simbolica, e non possono essere invocati contro
deviazioni dottrinali... le liturgie rivedute contengono tante opzioni e tanto materiale da non poter
23
Come per ogni realtà nata dalla Riforma anche nel caso anglicano i cattolici non usano il termine chiesa ma vi
preferisco quello di “comunione anglicana”
24
Il "libro della preghiera comune" in inglese Book of Common Prayer è il testo base della comunione
Anglicana, diversamente dalle altre confessioni cristiane, non ha storicamente ritenuto più opportuna per l'uniformità
della pratica religiosa la stesura di un catechismo o di un ordinamento dottrinale sistematico (a parte i sintetici "39
articoli"), bensì la liturgia nella sua concretezza. Nonostante infatti le tre correnti della comunione anglicana (chiesa
alta, chiesa bassa e chiesa larga) abbiano spesso vedute diverse sulla teologia e sull'etica, nessuno contesta il Book of
Common Prayer e persino gli esponenti filocattolici del movimento di Oxford (trattariani) non solo lo accettavano, ma
addirittura lo esaltavano.
25
I trentanove articoli di religione possono essere considerati la confessione di fede fondamentale della Chiesa
anglicana o Chiesa di Inghilterra e delle chiese consociate che si dicono "episcopaliane". Pubblicati per la prima volta
nel 1563 regnante Elisabetta I e sanzionati da un sinodo londinese, sono diventati testo ufficiale della Chiesa di
Inghilterra e sono entrati nel Prayer Book.
15
funzionare come standard di ortodossia, come fu il Libro di Preghiera Comune. Il criticismo
biblico ha indotto nella pratica l'autorità della Scrittura”26.
La proliferazione di Province anglicane (32 in tutti i continenti), ognuna dotata di piena
responsabilità circa l'ordinamento della propria vita e culto, ha avuto un impatto considerevole sul
funzionamento dell'autorità nell'Anglicanesimo. La creazione di nuove strutture (la Conferenza di
Lambeth, l’Anglican Consultive Council, l’Incontro dei Primati Anglicani) è in parte il tentativo per
risolvere il problema ma nessuna di esse, compresa la Conferenza di Lambeth27 , può prendere
decisioni che obblighino necessariamente questa o quella Provincia anglicana particolare.
Il caso dell’ordinazione sacerdotale ed episcopale di donne
Le conseguenze del modo in cui l'anglicanesimo gestisce l'autorità sono illustrate dalla situazione
esistente rispetto all'ordinazione di donne al sacerdozio (le prime ordinazioni sacerdotali sono
avvenute nel 1974, la prima ordinazione episcopale è dal 1989). Questi sviluppi si sono prodotti
poco alla volta. Dalla prima ordinazione ad Hong Kong, 22 Province hanno ordinato donne e in
linea di massima altre sono disposte a farlo. Le rimanenti Province non sono arrivate a una
decisione, oppure per il momento si oppongono alla questione delle donne Vescovo (tali province
sono distribuite in tutti i continenti).
Ciò che è significativo, è che non esiste in proposito alcuna decisione della Comunione Anglicana
come tale le ordinazioni hanno avuto luogo senza il consenso che questo passo innovatore avrebbe
richiesto. Ciò richiamò l'attenzione sulla questione della comunione ecclesiale e sul fatto se e in che
misura coloro che credono che questo passo sia inopportuno possano rimanere in comunione con le
Province che ordinano donne.
In secondo luogo, nella Chiesa d'Inghilterra e in alcune altre Province, furono emanate disposizioni
al riguardo di Vescovi da nominarsi espressamente per occuparsi di coloro che ritenevano
l'ordinazione di donne priva di fondamento sufficiente nella Scrittura o nella Tradizione e priva
anche del consenso cattolico, di modo che possono rimanere anglicani anche se non riconoscono il
ministero e i sacramenti celebrati da donne sacerdote né quello di coloro che le hanno ordinate. Il
risultato di queste misure è che gli anglicani, secondo le parole di uno dei loro Vescovi inglesi,
“hanno accettato di vivere in una Chiesa in cui non esiste più un ministero comunemente
accettato”28. Inoltre, la «soluzione» di una cura episcopale alternativa comincia adesso ad essere
richiesta da altri, come quelli che non vogliono accettare nuovi indirizzi in questioni etiche.
La Comunione anglicana «è venuta a trovarsi nella situazione di una comunione indebolita a causa
delle decisioni unilaterali dei suoi membri riguardo all'ordinazione di donne al sacerdozio e
all'episcopato, perché non esisteva nessuna struttura (di autorità) obbligatoria o la volontà perché
tali strutture esistessero»29. Per alcuni anglicani e altri osservatori sta diventando chiaro che il
prezzo di un approccio informale e pragmatico all'autorità nella Chiesa può portare a pesanti
conseguenze.
26
Dr. Paul Avis è Segretario generale del Consiglio della Chiesa di Inghilterra per l’unità dei cristiani e
redattore per la rivista Ecclesiology
27
L'Arcivescovo di Canterbury convocò nel 18ó7 i Vescovi di tutto il mondo. Lo fece come risposta a una
petizione dei Vescovi canadesi. Era chiaro tuttavia che l'incontro non avrebbe imposto canoni né avrebbe preso alcuna
decisione che presentasse il carattere di obbligatorietà. Non tutti i Vescovi accettarono questo primo invito, ma da quel
tempo ci furono degli incontri simili approssimativamente ogni dieci anni. Dai ó7 partecipanti alla prima Conferenza di
Lambeth, il numero salì fino a più dì 500 nel 1988. Si aspettano più di 800 Vescovi per il 1998, e almeno 11 donne
Vescovi per la prima volta. È l'Arcivescovo di Canterbury ce invia gli inviti, scegliendo così i partecipanti alla
Conferenza. Le Conferenze di Lambeth sono per i Vescovi anglicani un'occasione importante per l'incontro, lo scambio
di informazioni, la riflessione e il rinnovamento. Vari temi sono dibattuti e si votano delle risoluzioni, in modo che la
Conferenza abbia così un'indicazione delle opinioni dei Vescovi partecipanti. Sì può dire che la Conferenza abbia una
certa autorità morale, ma rimane sempre chiaro che le risoluzioni non sono obbligatorie per nessuna Provincia, a meno
che siano approvate dal loro sinodo provinciale.
28
Rowell G, in “The Church Times” (6.3.98), 13
29
Rowell G, “On Line for Lambeh 98”, in the Church of England Newspaper (6.3.98), III
16
XIV Conferenza della Comunione anglicana, Lambeth, 16 luglio 3 agosto 2008 30
Alle soglie della Conferenza la questione dell’ordinazione della donne riguardava decisamente l’apertura
all’episcopato. Si tratta quasi di un’attuazione, in seno alla Chiesa d’Inghilterra, di una decisione che è
«nella natura delle cose» (ogni anno la metà dei preti ordinati è donna) 31. La Conferenza di
Lambeth l’aveva avallata già nel 1988; in seguito era stata attuata da alcune province, ma non dalla
Chiesa madre dell’anglicanesimo, che è appunto quella inglese. Ma anche da parte di quest’ultima il
«punto di non ritorno», era già stato raggiunto nel febbraio 2005, con l’approvazione, da parte del
Sinodo generale, del Rapporto di Rochester (cf. Regno-att. 8,2005,267).
È significativo che lunedì 7 luglio 2008 (nove giorni prima della conferenza), l’organo di governo
della Chiesa d’Inghilterra abbia compiuto un ulteriore passo che apre a una futura ordinazione
episcopale delle donne. Il voto ha suggellato sei ore di acceso dibattito durante la riunione del
Sinodo generale svoltasi nella città di York32, nel nord dell’Inghilterra.
Il voto nel Sinodo non rappresenta ancora una nuova norma, non è qualcosa che crea donnevescovo da un giorno all’altro. Però è stato deciso che non sarà istituita la figura di un “supervisore
alternativo” per tutti coloro che, secondo coscienza, non possono accettare l’idea di avere una
donna-vescovo: figura che rischia di creare una seconda Chiesa nella Chiesa. Invece, il Sinodo ha
stabilito che, nel momento in cui la norma introdurrà l’ordinazione episcopale della donna, ci
saranno solo linee-guida per la strada da seguire.
Il cardinale Kasper ha manifestato33 il «rincrescimento» per il voto del Sinodo generale, egli
definisce la decisione di ordinare donne vescovo «uno strappo alla tradizione apostolica mantenuta
da tutte le Chiese del primo millennio» e «un ulteriore ostacolo per la riconciliazione tra la Chiesa
cattolica e la Chiesa d’Inghilterra»34.
In definitiva è da notare che il documento finale di Lambeth e il discorso conclusivo dell’Arcivescovo di
Canterbury non hanno toccato questo tema.
La questione dell’ordinazione sacerdotale delle donne è stata sopravanzata da altre urgenti questioni. G li
eventi che hanno condizionato in questi ultimi anni la vita interna della Comunione anglicana hanno
continuato - complici le amplificazioni e semplificazioni dei mass media, ma anche le interminabili
procedure decisionali – a proiettare la loro ombra «scismatica» fin sulla soglia di questa decennale
assemblea episcopale.
30
da siti Internet www.lambethconference.org e www.gafcon.org;per l’intervento del card. Kasper: L’Osservatore
romano 31.7.2008, 4s: dal sito www.ilregno.it
31
Cf. l’intervista che ha reso un anno fa il card. C. Murphy O’Connor, arcivescovo di Westminster e presidente della
Conferenza dei vescovi cattolici d’Inghilterra e Galles; Regno-att. 14,2007,443ss.
32
il Sinodo generale svoltosi a York dal 4 all’8 luglio scorsi ha avuto davanti a sé una decisione cruciale: se modellare
la legislazione canonica relativamente alle donne vescovo su quella costruita per dare corso all’ordinazione di donne
prete, in particolare istituendo forme di ministero episcopale extraterritoriale per garantire la cura pastorale di quanti
non riconoscessero in coscienza il ministero di un vescovo donna, o se intervenire sulla legislazione solo in modo da
consentire che le donne accedano alla consacrazione episcopale, limitandosi a emanare per gli eventuali «obiettori» un
meno ufficiale e impegnativo Code of practice (Codice di comportamento).
Sulla prima ipotesi hanno impegnato la propria autorità sia l’arcivescovo di Canterbury, Williams, sia quello di York,
Sentamu, vale a dire le figure più alte della Chiesa d’Inghilterra, convinti che, pur senza fare di quello femminile un
episcopato di «serie B», occorresse riconoscere tramite istituti ad hoc (ad esempio dei «vescovi complementari») la
legittimità del rifiuto del ministero di un vescovo donna. Secondo l’autorevole teologa ecumenica Mary Tanner, copresidente anglicana del CEC, questa scelta avrebbe risposto meglio a quei principi di «recezione aperta» che
dovrebbero guidare chi si prende la responsabilità di proporre alla propria Chiesa, ma attraverso di essa alla Chiesa
universale, riforme così radicali.
33
Comunicato diffuso il 7 luglio 2008
34
Due anni fa, il card. Kasper era stato invitato dal primate anglicano Williams a esporre ai vescovi della Chiesa
d’Inghilterra le proprie «riflessioni sull’ordine episcopale conferito alle donne nella Chiesa d’Inghilterra»; testo
integrale in Regno-att. 14,2006,499ss
17
Alla Conferenza del 2008 giungono questioni complesse, quello che è diventato il principale evento
riguarda direttamente la questione della Comunione35. Infatti, per iniziativa del primate di Nigeria,
il vescovo di Abuja Peter Akinola, e dell’arcivescovo di Sydney, Peter Jensen, quasi 300 vescovi
anglicani, tra cui 7 primati (perlopiù africani) e due vescovi della Chiesa madre d’Inghilterra (tra cui
l’autorevole Michael Nazir-Ali di Rochester), insieme a circa 800 fra preti e laici, si sono riuniti a
Gerusalemme dal 22 al 29 giugno nella Global Anglican Future Conference (GAFCON). I
partecipanti erano accomunati – come spiega l’Introduzione alla Dichiarazione di Gerusalemme
firmata alla conclusione dell’incontro – dalla volontà di reagire a tre «innegabili fatti» che hanno
caratterizzato l’anglicanesimo a livello mondiale nell’ultimo decennio. Citiamo dal documento:
“Il primo è l’accettazione e promozione nelle province della Comunione anglicana di un altro
«vangelo» (cf. Gal 1,6-8), che è contrario al Vangelo apostolico. Questo falso vangelo mina
l’autorità della parola scritta di Dio e l’unicità di Gesù Cristo come autore della salvezza dal peccato,
dalla morte e dal giudizio. Molti di coloro che lo proclamano affermano che tutte le religioni si
equivalgono per l’accesso a Dio e che Gesù è solo una via, non la via, la verità e la vita. Esso
promuove le varie preferenze sessuali e la condotta immorale come un diritto umano universale.
Afferma la benedizione di Dio per l’unione di persone dello stesso sesso contro l’insegnamento
biblico sul santo matrimonio. Nel 2003 questo falso vangelo ha portato alla consacrazione di un
vescovo che viveva in una relazione omosessuale.
Il secondo è la dichiarazione da parte delle province del Sud del mondo di non essere più in
comunione con i vescovi e le Chiese che promuovono questo falso vangelo. Queste dichiarazioni
hanno provocato un riallineamento: in certe Chiese occidentali alcuni cristiani anglicani osservanti
hanno abbandonato parrocchie, diocesi e province territoriali esistenti e sono entrati a far parte di
altre diocesi e province, appartenenti sempre alla Comunione anglicana. Questo ha condotto anche
alla nomina di nuovi vescovi anglicani in aree geografiche già occupate da altri vescovi anglicani. Si
è verificato un notevole riallineamento e il fenomeno è destinato a continuare.
Il terzo fatto è la manifesta incapacità degli Strumenti di comunione di assicurare la disciplina in
una situazione di evidente eterodossia. Proclamando questo falso vangelo, la Chiesa episcopale degli
Stati Uniti e la Chiesa anglicana del Canada hanno sfidato costantemente la Dichiarazione sul
principio morale biblico (Risoluzione 1.10) della Conferenza di Lambeth 1998. Nonostante i
numerosi incontri e i rapporti inviati agli «Strumenti di unità» e da questi ultimi preparati, non si è
preso alcun effettivo provvedimento e i vescovi di queste Chiese impenitenti sono invitati a
partecipare a Lambeth 2008. E se questo non bastasse, non si sono onorate le promesse di ristabilire
la disciplina, si è minata l’autorità dell’Assemblea dei primati e si è configurata la Conferenza di
Lambeth in modo da evitare la presa di energiche decisioni. Possiamo solo giungere alla rovinosa
conclusione che «siamo una Comunione mondiale con una struttura coloniale».
Purtroppo questa crisi ha lacerato il tessuto della Comunione così profondamente che non è più
possibile ricucirle ripristinarlo. Ma, al tempo stesso, è servita a riunire, a livello mondiale, molti
anglicani che già intrattenevano relazioni personali e pastorali in un’associazione fedele
all’insegnamento biblico, maggiormente rappresentativa della distribuzione demografica dell’attuale
anglicanesimo mondiale e più forte come strumento al servizio della missione, del ministero e
dell’impegno sociale.
Le ombre scismatiche che aleggiavano sulla Comunione anglicana sin dalla vigilia della
celebrazione della XIV Conferenza di Lambeth si sono dissolte, ha dichiarato l’arcivescovo di
Canterbury, Rowan Williams nel discorso conclusivo, ma a quale prezzo?
35
La volontà della componente liberal, fautrice di un ministero pienamente aperto agli uomini come alle donne, era che
questa volta si dovesse evitare l’ennesima soluzione di compromesso e che dunque fosse preferibile rischiare di
spezzare la comunione piuttosto che indebolirla. L’hanno votata 28 vescovi su 41, 124 chierici su 172 e 111 laici su
180, e avrà per conseguenza, secondo la gran parte degli osservatori, di non lasciare agli «obiettori» (1.300 tra vescovi e
sacerdoti, secondo la stima più condivisa; meno della metà, secondo le fonti cattoliche) altra scelta che «chiedere asilo»
alla Sede di Roma. Ma «il nostro desiderio è che possano evitare nuove fratture», ha detto Benedetto XVI, rispondendo,
durante il volo Roma-Sydney (12 luglio), alla domanda di un giornalista sulla crisi dell’anglicanesimo, e nel contempo
ha offerto il contributo della sua preghiera ed espresso rispetto per la responsabilità dei vescovi che si riuniranno a
Lambeth.
18
Sinteticamente si può dire che anche se rimane aperto il dialogo con l’ala della Comunione che, nella
riunione di fine giugno a Gerusalemme, si è autodefinita «movimento» della Global Anglican Future
Conference (più di 200 vescovi), sul versante del dialogo ecumenico, lo «scoraggiamento» da parte cattolica
s’accompagna all’ammissione che «il dialogo ha fatto un passo indietro» (vedi il discorso del card. Kasper);
il documento conclusivo, per parte sua, dopo un approfondito confronto in piccoli gruppi, chiamati indaba36
ha assunto la forma di Conversazioni e riflessioni e non quella tradizionale di Risoluzioni. I consensi più
forti, concentrati sulla necessità d’istituire un «Consiglio pastorale a sostegno delle minoranze»,
d’ottimizzare gli Strumenti di comunione e di raggiungere un accordo su un Patto, saranno i temi all’ordine
del giorno del Consiglio consultivo anglicano e dell’Assemblea dei primati che si terranno entrambi nel
2009.
Gossip ecumenico: riunione di 500.000 anglicani con la chiesa cattolica
Il 9 febbraio scorso a “Church House” di Londra, il quartiere generale della “Chiesa di Inghilterra”,
si è aperto il Sinodo generale della Chiesa anglicana inglese durato fino a venerdì 13 febbraio. I
principali temi in agenda hanno riguardato il ministero della Chiesa anglicana e i rapporti con le
altre Chiese, la crisi finanziaria e l’impegno della Chiesa in ogni ambito sociale; il Sinodo ha
discusso inoltre diverse proposte di normative future, tra cui quella concernente l’ordinazione delle
donne all’episcopato. E’ stato invitato a prendere la parola all’assemblea sinodale il cardinale
Cormac Murphy O’ Connor, arcivescovo di Westminster, intervenuto nel corso della prima giornata
dei lavori; la sua relazione è stata preceduta da un’introduzione dell’arcivescovo di Canterbury, Dr.
Rowan Williams, e ciò ha dato modo al Sinodo di riflettere sui rapporti tra la Chiesa d’Inghilterra e
la Chiesa Cattolica. È seguito un dibattito, a richiesta del Sinodo, sul rapporto dal titolo “La Chiesa
come comunione” elaborato dalla Commissione Internazionale Anglicana-Cattolica Romana.
Un documento di trentasei vescovi anglicani e cattolici di Tanzania e Dar es Salaam, nel quale si
auspica un riavvicinamento della due Chiese sotto il primato del Papa è stato anticipato dal «Times»
ed ha dato subito corpo all'ipotesi della riunificazione e del superamento dello scisma che divise la
Chiesa nel 1533. Nette le smentite ufficiali diramate attraverso una nota ufficiale congiunta firmata
dai responsabili delle due chiese. Non c’è alcun piano prestabilito per riunificare gli anglicani alla
Chiesa cattolica sotto l’autorità del Papa: è quanto sottolinea la Commissione internazionale
anglicano-cattolica per l’Unità e la Missione.
4. IL MOVIMENTO CARISMATICO E IL MOVIMENTO PENTECOSTALE
Infine, la storia recente del cristianesimo ha conosciuto una cosiddetta terza ondata, quella del
movimento carismatico e del movimento pentecostale, sorti all’inizio del XX secolo e diffusisi nel
frattempo in tutto il mondo con una crescita esponenziale. L’ecumenismo deve dunque far fronte ad
una realtà variegata e differenziata, caratterizzata da fenomeni molto diversi a seconda dei contesti
culturali e delle chiese locali.
Parlare di pluralismo mi riconduce alla terza ondata della storia del cristianesimo, ovvero la
diffusione dei gruppi carismatici e pentecostali, i quali, con circa 400 milioni di fedeli in tutto il
mondo, sono al secondo posto tra le comunità cristiane in termini numerici e conoscono una
crescita esponenziale. Privi di una struttura comune o di un organo centrale, essi sono tra loro molto
diversi. Si considerano come il frutto di una nuova Pentecoste; di conseguenza, il Battesimo dello
Spirito riveste per loro un ruolo fondamentale. Riferendosi a loro, Papa Giovanni Paolo II aveva già
fatto notare che questo fenomeno non deve essere considerato soltanto in modo negativo, poiché, al
di là degli innegabili problemi, esso testimonia il desiderio di un’esperienza spirituale. Ciò non
36
Indaga: è un modo di confrontarsi basato sull’idea africana di una discussione fruttuosa sulle preoccupazioni
condivise riguardo alla vita che ci accomuna. È un processo e un metodo che impegna ad ascoltarsi gli uni gli altri. Un
indaba parte in primo luogo dal riconoscere che, perché la nostra vita comunitaria venga arricchita, vi sono questioni
che devono essere affrontate e risolte. Esso mette ciascun vescovo nella condizione di lasciarsi coinvolgere e di parlare
con franchezza senza favorire chi è più comunicativo o chi è più influente.
19
toglie che purtroppo molte di queste comunità sono nel frattempo diventate una religione che
promette una felicità terrena.
Con i pentecostali classici è stato possibile intavolare un dialogo ufficiale (riportati negli
Enchiridion Oecumenicum). Con altri sussistono serie difficoltà a causa dei loro metodi missionari
alquanto aggressivi. Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, davanti a
questa sfida, ha organizzato in vari continenti seminari per vescovi, teologi e laici attivi
nell’ecumenismo: in America Latina (Sao Paolo e Buenos Aires), in Africa (Nairobi e Dakar), in
Asia (Seoul e Manila). Il risultato di questi seminari traspare anche nel documento finale di
Aparecida (2007) dell’Assemblea generale dei vescovi latino-americani e caraibici. È innanzitutto
necessario fare un esame di coscienza pastorale e chiederci in modo auto-critico: perché tanti
cristiani lasciano la nostra Chiesa? Non dobbiamo cominciare col domandarci cosa è che non va nei
pentecostali, ma quali sono le nostre carenze pastorali. Come possiamo reagire a questa nuova sfida
con un rinnovamento liturgico, catechetico, pastorale e spirituale?
5. IN CHE MODO PROSEGUIRE IL CAMMINO ECUMENICO?
Non è possibile dare un’unica risposta. La situazione è troppo diversa a seconda delle regioni
geografiche, degli ambienti culturali, delle chiese locali. Sono le singole Conferenze episcopali che
dovranno assumersi le loro responsabilità.
In linea di principio dobbiamo partire dal comune patrimonio di fede e restare fedeli a ciò che con
l’aiuto di Dio abbiamo già raggiunto ecumenicamente. Per quanto possibile dobbiamo dare una
testimonianza comune di questa fede in un mondo sempre più secolarizzato. Ciò significa, nella
situazione attuale, anche riscoprire e rafforzare i fondamenti di questa nostra fede. Di fatti, tutto
vacilla e si svuota di senso se non abbiamo una fede salda e consapevole nel Dio vivente Trino e
Unico, nella divinità di Cristo, nella forza salvifica della croce e della risurrezione. Per chi non sa
più cosa è il peccato e cosa è il coinvolgimento nel peccato, la giustificazione del peccatore non ha
nessuna rilevanza.
Soltanto poggiando sulla fede comune, è possibile dialogare su quelle che sono le nostre differenze.
E ciò deve avvenire in modo chiaro ma non polemico. Non dobbiamo offendere la sensibilità degli
altri o discreditarli; non dobbiamo puntare il dito su ciò che i nostri interlocutori ecumenici non
sono e su ciò che essi non hanno. Piuttosto, dobbiamo dare testimonianza della ricchezza e della
bellezza della nostra fede in modo positivo ed accogliente. Dagli altri ci aspettiamo lo stesso
atteggiamento. Se questo accade, allora tra noi ed i nostri interlocutori potrà esserci, come dice
l’Enciclica “Ut unum sint” (1995), uno scambio non solo di idee ma di doni, che arricchiranno
entrambi (UUS 28; 57). Tale ecumenismo di scambio non è un impoverimento, ma un
arricchimento reciproco.
Nel dialogo fondato sullo scambio spirituale il dialogo teologico avrà anche nel futuro un ruolo
essenziale. Però sarà fecondo solo se verrà sostenuto da un ecumenismo della preghiera, della
conversione del cuore e della santificazione personale. L’ecumenismo spirituale è infatti l’anima
stessa del movimento ecumenico (UR 8; UUS 21-27) e deve essere promosso da noi in prima linea.
Senza una vera spiritualità di comunione, che permette di far spazio all’altro senza rinunciare alla
propria identità, ogni nostro sforzo sfocerebbe in un arido e vuoto attivismo.
Se facciamo nostra la preghiera di Gesù pronunciata alla vigilia della sua morte, non dobbiamo
perderci di coraggio e vacillare nella nostra fede. Come dice il Vangelo, dobbiamo essere fiduciosi
che ciò che chiediamo nel nome di Cristo verrà esaudito (Gv 14,13). Quando, dove e come non
saremo noi a deciderlo. Questo va lasciato a colui che è il Signore della Chiesa e che radunerà la sua
Chiesa dai quattro venti. Noi dobbiamo accontentarci di fare del nostro meglio, riconoscendo con
gratitudine i doni ricevuti, ovvero ciò che l’ecumenismo ha finora realizzato e guardare al futuro
con speranza. Basta gettare con un minino di realismo uno sguardo ai “segni dei tempi” per
20
comprendere che non c’è nessuna alternativa realistica all’ecumenismo, e soprattutto nessuna
alternativa di fede.
6. A TREVISO
Non è un caso che nel nostro territorio la questione ecumenica venga avvertita oggi. Diversamente
da qualche decennio fa è mutato il contesto. Siamo divenuti terra di immigrazione e il tema del
confronto ci spinge ad un confronto inedito con le altre confessioni religiose (una riflessione diversa
si potrebbe condurre circa la diversa realtà storica di Venezia o di Trieste).
Alcuni dati e considerazioni
Secondo il Dossier Statistico Immigrazione 2007 della Caritas, i cristiani immigrati in Italia sono
circa 2 milioni. Di questi 770.00 sono cattolici, 139.000 sono cristiani riformati e 1.300.000 sono
credenti ortodossi, di questi quasi un milione (918 mila) appartengono alla Chiesa ortodossa
Rumena.
La popolazione immigrata in Italia è molto giovane, specialmente nel Veneto. Dati Caritas del 2006
indicano che uno su 4 è minore. Mentre la media nazionale di stranieri nelle scuole è di 6,4 % in
Veneto sale fino al 10,2%. A Treviso la media sale ancora, vi sono 16.198 con una incidenza del
12,3%. Quindi vi sono oltre 1.700 alunni stranieri nelle scuole della nostra provincia (non diocesi).
Non si può non impegnarsi nell’ambito scolastico, luogo reale di possibile integrazione tra i giovani
immigrati e il nostro tessuto sociale. In questo contesto non si parla solamente di percorsi
ecumenici, ma anche di relazioni interreligiose (in particolare con il mondo mussulmano), e di
incontro con chi ha una fede “debole” (come gli immigrati cinesi) o addirittura non ne ha (il nostro
mondo “laico”). La scuola, in tutte le sue realtà formative, si trova in prima linea.
Fino a qualche anno fa era in atto una sorta di emergenza. La nostra chiesa diocesana si è fatta
carico di alcune realtà caritative verso gli immigrati. Passato questo momento è ora di mettere in
atto un lavoro pastorale.
Questa attività è appena agli inizi. Stiamo muovendo i primi passi per la formazione di operatori
pastorali, nel pensare realtà di inserimento nella comunità cristiana parrocchiale (non per
proselitismo ma per sostegno), partirà solo a giorni il servizio offerto dall’ufficio per l’Ecumenismo
e il Dialogo interreligioso in una stanza di Casa Toniolo.
È in atto un impegno per la conoscenza (la linea proposta nella Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani, la tre giorni con Marco Ivan Rupnik Sj ad Asolo presso le Dorotee). Dopo un
censimento delle realtà presenti (sempre incompleta perché in continua evoluzione) nel territorio
stiamo iniziando ad entrare in contatto. Vivere la dimensione della stima, della benevolenza e
dell’amicizia è condizione necessaria per ogni cammino possibile.
Stiamo allestendo una newsletter mensile che informi circa gli eventi che coinvolgono il tema
ecumenico. Vi invito a contribuire facendo presente eventuali informazioni che possono essere
segnalate o ad iscrivervi (esplicitate la vostra richiesta all’indirizzo email
[email protected] )
21
Elenco delle varie confessioni cristiane presenti in diocesi di treviso
CHIESE ORTODOSSE
CHIESA ORTODOSSA RUMENA
Culto presso la cappella di Santa Maria delle Stiore (TV)
della parrocchia rumena di Treviso (corrispondente alla
provincia di Treviso)
Referente padre Marius Kociorva
Via Bertolini Pietro, 28 - 31100 Treviso
Cell. 339.46.35.283
CHIESA RUMENA GRECO CATTOLICA
Culto presso la cappella dell’Istituto san Luigi a san Donà
(Ve)
Referente padre Pop Catalin
CHIESA ORTODOSSA RUSSA
padre Alexey Yastrebov
via Monte Grappa 13/B, 30171 Venezia Mestre
tel. 338.4753739 – 041.972583 – [email protected]
ALTRE COMUNITÁ
CHIESA CRISTIANA EVANGELICA
Assemblee di Dio
Via Terraglio n. 35 – 31100 Dosson di Casier (Tv)
ASSEMBLEE DI DIO IN ITALIA
VIA S. Zeno, 70 - 31100 Treviso – TV
Tel. 0422 338249
TEL. 348.7713516
CHIESA CALVARY CHAPEL DI TREVISO
Via Pennella, 12 – 31100 Treviso
Pastore Mark Nigro (Via Giustiniani, 9 – 31100 Treviso)
Tel. 347 2597206
WEBSITE: http://www.cctreviso.com
CHIESA CALVARY CHAPEL DI MONTEBELLUNA (E
FELTRE)
Via Cal Piccole, 17 – 31031 Montebelluna (TV)
Pastor/Leader: Craig Quam (Via Riccati, 17 – Montebelluna)
Tel. 0423-650-478 cell. 39-0423-650-478
Website:
http://www.calvarychapelmontebelluna.com
CHIESA CRISTIANA AVVENTISTA DEL 7 GIORNO
Via Milani don Luigi, 6 – 31100 Treviso
tel. 0422 362083
CHIESA CRISTIANA BIBLICA (EVANGELICI)
Via Desman, 122 – 30030 Zianigo di Mirano (Ve)
Pastore Franco, di origine statunitense
COMUNITÀ CRISTIANA DI TREVISO
(Treviso Christian Centre, pentecostali)
Anziano Luciano Regini 348 0614992)
Pastore Simons Ebo (347 8560810)
Via Ossero, 3 – 31100 Treviso (Tv)
ASSEMBLEE DI DIO IN ITALIA
CHIESA CRISTIANA EVANGELICA
Via Galli, 57 - 30056 - Biancade di Roncade (Tv)
Chiesa di ASOLO
Casa Privata ad Asolo (Tv)
Orario: Lun. ore 20.30
Pastore: A cura della Chiesa di Padova (PD)
CHIESA CRISTIANA BIBLICA (EVANGELICI)
Via Desman, 122 – 30030 Zianigo di Mirano (Ve)
Pastore: Franco di origine Americana
Chiesa di CASTELFRANCO VENETO-(TV)
Indirizzo: Via Olivi, 4
Orario: Mar. ore 20.30; Ven. ore 20.30; Dom. ore 18.00
Pastore: Luciano Bertin
Telefono: 0423 723438
Chiesa di TREVISO-(TV)
Indirizzo: Via Montello, 7/a – 31100 Treviso
Orario: Mar. ore 19.30; Ven. ore 19.30; Dom. ore 18.00
Pastore: Saverio C. Eronia
Telefono: 0422-308299 - – Cell. 333 32 43 979
CHIESA BATTISTA TREVISO
Via fonderia, 83 - 31100 – Treviso
http://www.chiesabattistatreviso.org/
CHIESA CRISTIANA INTERNAZIONALE
Via Benzi, 87 a Treviso (nel ginnasio del Dopolavoro
Ferroviario)
Pastore Mario
Pastora Graciela Sanchez
http://www.ministericci.org/
Contatto: [email protected]
Preghiera: [email protected]
Pastora: [email protected]
COMUNITÀ CRISTIANA PENTECOSTALE
Via Capitello n. 32 - 31022 S. Trovaso di Preganziol (Tv)
CHIESA EVANGELICA "DEI FRATELLI"
Via Terraglio, 16 – 31100 Treviso (Tv)
Bibliografia essenziale
o
“Unitatis redintegratio” Decreto conciliare
o
“Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo”, Pontificio Consiglio per
la promozione dell'unità dei cristiani, 25 marzo 1993
o
“L’ECUMENISMO SPIRITUALE. Linee guida per la sua attuazione” Walter Kasper, Città Nuova,
Roma, 2006
22