Agenzia SIR – SERVIZIO INFORMAZIONE RELIGIOSA www.agensir.it Progetto IdR e NEWS venerdì 15 marzo 2013 (n. 20) Tema: QUASI DALLA FINE DEL MONDO PAPA FRANCESCO NOTIZIE “Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio qui sibi nomen imposuit Franciscum”. Con queste parole il cardinale protodiacono Jean-Louis Pierre Tauran ha annunciato dalla loggia della basilica di san Pietro il nome del 265° Successore di Pietro: Francesco. Il volto sereno e sorridente, il drappo rosso che abbraccia l’affaccio della Loggia, la banda che suona l’inno nazionale e lui che ascolta commosso in piedi. Otto anni dopo il suo predecessore, Papa Francesco - il 266° Romano Pontefice della storia della Chiesa, primo Papa gesuita della storia - alle 20.21 si è affacciato per la prima volta dalla Loggia delle Benedizioni per ricevere il saluto della folla, un oceano festante in piazza san Pietro che ha atteso più di un’ora sotto la pioggia per vedere il nuovo Papa. “Fratelli e sorelle buonasera”, le sue prime, semplici, parole. “Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo”, ha scherzato il nuovo Papa sulle sue origini argentine, “ma siamo qui”. “Vi ringrazio dell’accoglienza”, ha poi detto riferito alla città di Roma. Il primo pensiero al suo predecessore: “Prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI”, ha detto Francesco: "Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”. Poi la recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria, insieme alla piazza. “E adesso incominciamo questo cammino”, ha detto subito dopo il Papa, definendo già da oggi il suo pontificato “un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia”. “Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro”, il primo impegno chiesto e preso insieme ai fedeli. Poi l’orizzonte si è allargato: “Perché ci sia una grande fratellanza”. Quindi il primo augurio, sempre rivolto alla piazza: “Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi cominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario, qui presente, sia fruttuoso per l‘evangelizzazione di questa città tanto bella”. Prima di impartire la benedizione “Urbi et Orbi”, il nuovo Papa ha fatto un gesto inedito e già indicativo del modo in cui concepisce il servizio del ministero petrino: “Prima vi chiedo un favore”, ha detto rivolgendosi direttamente alla folla che lo ha ascoltato in religioso silenzio, “che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”. E così, sulla piazza è sceso un minuto di intenso silenzio, di vera preghiera, seguito da un applauso. Poi la benedizione “Urbi et Orbi”, in latino. Una benedizione rivolta “a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”, ha proseguito il Papa in italiano, e dalla folla si è levato un altro applauso. “Pregate per me e a presto”, il semplice saluto finale, che ha richiamato il primo con cui si era rivolto alla folla dalla Loggia. Infine, una confidenza ai fedeli sul giorno dopo: “Domani voglio andare a pregare la Madonna perché custodisca tutta Roma”. (da Sir Attualità, 15 marzo 2013) APPROFONDIMENTI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ Un nome, un programma Un Francesco sul seggio papale non si aspettava. L’abbiamo sempre immaginato e visto negli affreschi ai piedi, in umile e rispettosa reverenza, davanti a Papa Innocenzo o Onorio. Ora invece è nel trono più alto. Tutto il mondo lo guarda ed è ai suoi piedi. Ma quale trono!? Egli si china e chiede la benedizione del popolo, prima della sua benedizione invocata sul popolo. “Nomen est omen”, il nome è un presagio. Quando è scelto, se non è nome d’arte o di teatro, è programma. Una scelta chiara di campo, di stile di vita e d’impegno. Tutti sanno chi è Francesco nella e per la Chiesa. Diciamo di più, Francesco nel e per il mondo: “Vir catholicus” e “vere apostolicus”, un uomo universale, un universale concreto, personale. Nel suo nome si ritrovano amanti della natura e dell’ambiente, operatori di pace e tutto il mondo della povertà e dell’emarginazione. San Francesco si convertì incontrando i lebbrosi e oltre alla povertà ebbe il dono di poter fare misericordia, cioè di poter amare con sentimenti vivi e profondi. Nel Testamento afferma che fu il Signore Dio a condurlo tra i lebbrosi: feci con loro “misericordia” - scrive - e “ciò che prima mi sembrava amaro divenne dolce come il miele”. Francesco d’Assisi ha un forte legame con il Pontefice romano che egli chiamava semplicemente il signor Papa, e si recò da lui per ottenere l’indulgenza della Porziuncola e l’approvazione della regola per i suoi frati. 1 Francesco è anche nome di riforma della Chiesa. Questa parola, di cui tanti hanno paura, è stata intesa da Francesco come un compito a lui affidato dal Crocifisso di san Damiano, che gli parlò e gli disse: “Francesco, va', ripara la mia casa che è in rovina”. Una parola forte che, ripetuta oggi nel contesto dell’elezione di un nuovo Pontefice romano, suscita risonanze molteplici e pertinenti. La parola del Crocifisso di san Damiano suona anche più forte e impegnativa di quella usata dal Concilio Vaticano II, ove afferma che la conversione del cuore e la riforma della Chiesa, insieme alla preghiera, sono le condizioni essenziali della vita e dell’unità della Chiesa, anche nella prospettiva dell’unione tra tutti i battezzati. Nella prospettiva del rinnovamento della Chiesa possiamo anche intravvedere la continuità con Benedetto XVI, ispirato a un altro Santo umbro, Benedetto da Norcia, anch’egli per vie diverse, secondo le esigenze di epoche tra loro molto distanti (più di sette secoli di distanza l’uno dall’altro) impegnato a elaborare un modello di vita secondo il Vangelo e a costruire un’Europa cristiana. Il rinnovamento della Chiesa che il movimento originato da Francesco operò all’interno della Chiesa nel segno dell’umiltà e dell’obbedienza è riconosciuto come la vera riforma o meglio il vero tipo di riforma possibile ed efficace perché non mette in pericolo l’unità e la pace interna. In una dichiarazione del cardinale Bergoglio di qualche tempo fa abbiamo letto: “La mia gente è povera e io sono povero”, per spiegare il motivo per cui abitava in un appartamentino a Buenos Aires e si preparava la cena da solo. Leggiamo anche che ai preti raccomandava di tenersi lontani da “quella che De Lubac - un gesuita come Bergoglio chiama mondanità spirituale”, che significa “mettere al centro se stessi”. La scelta del nome Francesco mi pare anche un segnale di affetto verso Benedetto XVI, ancor più di quanto sarebbe stato se avesse scelto il nome di Benedetto XVII. Sono, infatti, due scelte di novità e di stacco dall’immediato per una dilatazione dell’orizzonte e una ricerca di ciò che è originario, radicato nel solco di una tradizione che continua a dare frutti di vita spirituale e di orientamento pastorale. Sono nomi che varcano i confini degli ordini religiosi, delle Congregazioni e di tutto ciò che sa di recinto chiuso e limitato da cui qualcuno possa sentirsi escluso. Con Francesco è collegato lo “spirito di Assisi” e quell’apertura ai popoli e alle religioni impegnate per la pace. Se Benedetto XVI ha detto che la violenza non è causata dalle religioni ma dalla mancanza della presenza di Dio nella società, nello spirito di Assisi troviamo l’annuncio della pace portato fino oltre i confini della cristianità come è avvenuto nella visita di Francesco al sultano d’Egitto. Tutto ciò e molto altro ancora in nome di un nome, Francesco, che, a Dio piacendo, non sarà stato scelto invano. (Elio Bromuri – Sir Attualità, 14 marzo 2013) - Una sola voce e un solo cuore Riportiamo il testo integrale del messaggio di monsignor Mariano Crociata, segretario della Conferenza episcopale italiana. Sono a esprimere la gioia e la riconoscenza dell’episcopato e, quindi, dell’intera Chiesa italiana per l’elezione del Card. Giorgio Mario Bergoglio a Successore di Pietro. Nell’emozione di questo momento, sperimentiamo una volta di più la profondità delle parole di congedo di Benedetto XVI, quando con Guardini ricordava che la Chiesa “non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente che vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… eppure che nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo”. Sì, il mistero della Chiesa - corpo vivo, animato dallo Spirito Santo, che vive realmente della forza di Dio costituisce per tutti noi la ragione e la passione della vita. Un particolare legame unisce la nostra Conferenza al Successore di Pietro, Vescovo di Roma e nostro Primate, e ci fa sentire testimoni privilegiati della missione del Pontefice, nonché destinatari di una sua premura assidua e di un magistero particolarmente sollecito nei nostri confronti. Il nostro Statuto ne parla in termini di “speciale sintonia”, rimandando a quella collegialità affettiva ed effettiva tra noi Vescovi che ha il suo perno d’autenticità nella comunione con il Papa; la stessa sintonia, lo stesso attaccamento alla sede di Pietro, è profondamente avvertito anche da tutte le componenti del nostro popolo. Come ebbe a dire il nostro Cardinale Presidente in una delle sue prime prolusioni, “il Papa ci e particolarmente vicino, e noi siamo con lui una sola voce e un solo cuore”. A Sua Santità Francesco, ancora con le ultime parole di Benedetto XVI, la Chiesa italiana promette già da subito “incondizionata reverenza ed obbedienza”. (da Sir Attualità, 14 marzo 2013) - Preso “alla fine del mondo” Il volto sereno e sorridente, il drappo rosso che abbraccia l’affaccio della Loggia, la banda che suona l’inno nazionale e lui che ascolta commosso in piedi. Otto anni dopo il suo predecessore, il Papa emerito, Papa Francesco il 266° Romano Pontefice della storia della Chiesa, primo Papa gesuita della storia - alle 20.21 si è affacciato per la prima volta dalla Loggia delle Benedizioni per ricevere il saluto della folla, un oceano festante in piazza S. Pietro che ha atteso più di un’ora sotto la pioggia per vedere il nuovo Papa. “Fratelli e sorelle buonasera”, le sue prime, semplici, parole. L’attesa fumata bianca era arrivata alle 19.06, dal comignolo della Cappella della Cappella Sistina. A dare il solenne annuncio al popolo, alle 20.12, è stato il cardinale protodiacono, cardinale Jean Louis Tauran. Queste le sue parole in latino: “Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Georgium Marium Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio qui sibi nomen imposuit Franciscum”. Il primo Papa fuori dal continente europeo è stato eletto nel 75° Conclave della storia della Chiesa, dai 115 cardinali elettori, al quinto scrutinio. Quasi alla fine del mondo. “Voi sapete che il dovere del Conclave è di dare un vescovo a Roma”, ha proseguito il 2 nuovo Papa: “Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo”, ha scherzato sulle sue origini argentine, “ma siamo qui”. “Vi ringrazio dell’accoglienza”, ha poi detto: “la comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie!”. Il primo pensiero al Papa emerito. Il primo pensiero al suo predecessore: “Prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI”, ha detto Francesco: “preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”. Poi la recita del Padre Nostro, dell’Ave Maria e del Gloria al Padre, insieme alla piazza. “E adesso incominciamo questo cammino: vescovo e popolo”, ha detto subito dopo il Papa: “Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese”. Il Papa ha definito già da oggi il suo pontificato “un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi”. “Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro”, il primo impegno chiesto e preso insieme ai fedeli. Poi l’orizzonte si è allargato: “Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. Poi il primo augurio, sempre rivolto alla piazza: “Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella”. Prima vi chiedo un favore. Prima di impartire la benedizione “Urbi et Orbi”, il nuovo Papa ha fatto un gesto inedito e già indicativo del modo in cui concepisce il servizio del ministero petrino: “Prima vi chiedo un favore”, ha detto rivolgendosi direttamente alla folla che lo ha ascoltato in religioso silenzio: “Prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me”. E così, sulla piazza è sceso un minuto di intenso silenzio, di vera preghiera, seguita da un applauso. La benedizione e gli applausi. Poi la benedizione “Urbi et Orbi”, in latino. Una benedizione rivolta “a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”, ha proseguito poi il nuovo Papa in italiano, e dalla folla si è levato un altro applauso. “Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto”, il semplice saluto finale, che ha richiamato il primo con cui si era rivolto alla folla dalla Loggia. Infine, una confidenza ai fedeli sul giorno dopo: “Domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buonanotte e buon riposo”. Dove andrà Papa Francesco a rendere il primo atto di omaggio, da Romano Pontefice? Probabilmente la meta sarà la basilica di Santa Maria Maggiore, ha ipotizzato padre Lombardi in un briefing “improvvisato” a caldo subito dopo l’elezione, e precisando subito dopo che si tratterà di una visita in forma privata. Dichiarandosi “scioccato per un Papa gesuita”, il portavoce vaticano ha detto che l’elezione di Papa Francesco “è stata una sorpresa che ha manifestato il coraggio dei cardinali, che hanno voluto passare l’oceano per allargare la prospettiva”. I primi impegni. “Il nuovo Papa ha parlato a telefono con il Papa emerito”, ha reso noto padre Lombardi. Questi i primi impegni pubblici del Papa: domani, alle 17.00, la Messa in Sistina con i cardinali; lunedì alle 11.00, in sala Clementina l’udienza a tutti i cardinali, elettori e non elettori; sabato alle 11.00, in Aula Paolo VI, l’udienza agli operatori della comunicazione; domenica l’Angelus e il 19 la Messa di inizio pontificato. (M.Michela Nicolais - Sir Attualità, 14 marzo 2013) - Cercare Dio al confine… Il “buonasera” alle migliaia di “fratelli e sorelle” che lo applaudivano dalla piazza era un altro segnale di coerenza con la scelta del suo nuovo nome da Pontefice e Vescovo di Roma. Perché molti sono riandati con la memoria al Cantico delle Creature del santo poverello d’Assisi. Che amava tanto Madonna povertà da farsi povero da ricco che era, tanto da andarsene in giro a piedi scalzi invece che in sella ai cavalli di razza delle scuderie assisiati, da chiamare fratelli e sorelle le cose semplici del Creato, non i tesori del mondo e il potere sul mondo. Da un cardinale che se ne va in giro con i mezzi pubblici o a piedi per i quartieri più poveri della sua Buenos Aires e che vola in classe turistica, c’era da attendersi una tale scelta. Un colto cardinale argentino di origini piemontesi che conosce bene la letteratura per averla insegnata (assieme alla psicologia) negli anni Sessanta, che ha studiato teologia e filosofia ha scelto dunque di chiamarsi, per la prima volta nella storia della Chiesa, con il nome del poverello per antonomasia. Qualcuno ha creduto di vedere già in questo una dichiarazione di distanza ideologica e di contrapposizione al passato della Chiesa, se non che la figura di Francesco d’Assisi, se ben approfondita, rivela tutt’altro. Nel senso che il santo non aveva nessuna intenzione di contrapporsi frontalmente alla Chiesa e al Papa: anzi, operò in modo da combattere le eresie pauperistiche che nel Duecento avevano fatto molti proseliti riportando alla Chiesa molta gente, non con proclami ideologici e teologici, ma semplicemente con l’esempio. Francesco non saliva sui pulpiti, ma divideva quello che aveva con i poveri e i malati. Credeva in quello in cui credeva la Chiesa universale, non aggiungeva glosse ai vangeli, non faceva comizi nelle pubbliche piazze. Volle diventare ed essere considerato pietra scartata perché la Chiesa divenisse testata d’angolo, non se stesso. Questo essere-per-l’altro, questa attenzione per i poveri e gli ultimi lo ha portato ad essere uno dei santi più amati nel mondo cristiano, e il suo Cantico delle creature, pur nella sua semplicità e nella sua “petrosa” scansione del dialetto umbro, è divenuto uno dei testi più esemplari della letteratura (non solo di quella religiosa) mondiale. E questo il “colto” Papa che ora porta il suo nome lo sa bene. Come si vede, il nome Francesco torna sia nella scelta di aiutare gli ultimi e di essere povero tra i poveri. Una scelta che parla chiaro a livello “ideologico”: Francesco rimase sempre fedele agli insegnamenti della Chiesa, non allontanandosi mai da essi pur nella sua missione tra gli ultimi. La scelta di questo nome può significare anche e soprattutto questo: cercare Dio nei territori di confine restando ancorati alla “patria” Chiesa. Si parla di discontinuità con Benedetto XVI, ma questo amore per le “distanze” dettate dalla miseria e della povertà, richiama quella scelta della “distanza” e del nascondimento per rimanere nell’amore per la Madre Chiesa del suo predecessore. (Marco Testi - Sir Attualità, 14 marzo 2013) 3 - Le chiavi nelle sue mani Il genio di Michelangelo, di una persona umana, proprio come noi, soffio di Bellezza donato a tutta l’umanità nei secoli, è stato unito indissolubilmente con il Soffio, con lo Spirito Santo, il Dono che, passando per le menti e i cuori dei cardinali elettori ci ha portati oggi a guardare il volto di colui che, in questi ultimi giorni, abbiamo tanto atteso. Ha scritto Benedetto XVI: “So bene come eravamo esposti a quelle immagini nelle ore della grande decisione, come esse ci interpellavano, come insinuavano nella nostra anima la grandezza della responsabilità. La parola ‘con-clave’ impone il pensiero delle chiavi, dell’eredità delle chiavi lasciate a Pietro. Porre queste chiavi nelle mani giuste: è questa l’immensa responsabilità in quei giorni”. Tutti i cardinali hanno giurato il silenzio ponendo la mano sul Vangelo e, davanti a loro, avevano il Giudizio Universale per richiamarli a una decisione che si inserisse in quel flusso che, dalla storia di noi umani, sempre aggrovigliata e tormentata, si giungesse a quell’approdo in cui tutto sarà chiaro nel segno del Misericordioso Padre. Giona si stagliava ai loro occhi, non fu facile per lui discernere e accettare la missione affidatagli, il profeta esprime così pienamente tutta la fatica di chi cerca Dio ma, nel contempo, si ritrova alle prese con se stesso e con tutti i dilemmi che conseguono. Non è troppo difficile intuire lo stato d’animo del prescelto, il cardinale Bergoglio, argentino, senza per questo cadere in funambolismi romantici, anche se conosciamo la sua tempra umana, messa alla prova da una lunga vita spesa al servizio di Dio, dall’annuncio della Sua Parola, dalla custodia del gregge, tuttavia un salto al vertice, avrà suscitato “timore e tremore”. Ringraziamo Papa Francesco per aver accettato, magari avendo compiuto dentro di sé lo stesso percorso di Giona, ma avendo poi aperto le mani per accogliere e stringere quelle chiavi. Abitualmente le chiavi a noi servono per tutelare la nostra casa, una cassetta di sicurezza, la nostra vettura. Le teniamo come saldo possesso, da cui non ci distacchiamo. Così facendo chiudiamo l’accesso a tutti, tranne a chi noi vogliamo e con cui vogliamo compartecipare i nostri beni. Il nostro Papa Francesco, fresco fresco di nomina e di grandi emozioni interiori, con il con-clave, che si è espresso eleggendolo, ha quelle chiavi che, da Pietro nel lungo inanellarsi dei Papi nei secoli, è giunto fino a noi. Non chiudono dimore, cassette con beni preziosi, vetture di lusso, sono chiavi la cui origine è divina, chiavi che schiudono il Regno dei cieli e già, da qui, dalla nostra storia, vogliono richiamarci non a quanto la tignola e la ruggine consumano ma a quanto è imperituro: il Volto di Dio. Ora l’attesa è compiuta, conosciamo il nome d’origine e il nome che ha voluto scegliere per qualificare tutto il tempo che gli è donato per il suo pontificato, nel simbolo quindi ritroviamo il grande messaggio di Francesco: pace e unità, nella Chiesa, nell’umanità, nei cuori di tutti. Le chiavi sono nelle sue mani. Che cosa ci attendiamo dal Papa? Semplicemente tutto. Senza eccezioni. Tutto e integro l’ascolto della Parola. Tutto e integro l’annuncio della Buona Novella. Tutto e integro il desiderio di salvezza per tutti. Tutto e integro l’impegno per la pace fra i popoli. Tutto e integro il sollievo al grido dei poveri, degli emarginati, degli oppressi. Da parte nostra non potrà che esserci una risposta quotidiana che il “Tutto e integro” diventi pane quotidiano, impegno di risposta fattiva e costruttrice, ascoltando e mettendo in pratica, quanto colui che, pur rimanendo semplicemente persona umana, è stato investito di un compito grande che può diventare lieve solo per grazia di Dio e per l’aiuto di noi stessi, con intensa preghiera e reale collaborazione. Al di là di ogni propensione personale, di ogni idea, per chi crede un aspetto è fondamentale ed è quello della fede che, nel volto di Papa Francesco, ci fa vedere il Volto di Gesù Cristo che guida il suo gregge nei meandri del divenire. Lo Spirito sorprende perché indica quelle vie che non sono le vostre vie, proprio per indurre credenti e pensanti, tutta l’umanità, ad abbandonare schemi di esistenza legati a quanto è futile, transitorio, per rivolgerci a una concezione di vita che conservi sempre il senso e il gusto del pellegrinaggio. L’entusiasmo dell’avvio, la folla che plaude dovrà tradursi in posture e opzioni ben precise se vorrà rispondere, insieme, alla Parola evangelica e farla diventare dono per tutti i cercatori di Dio, consapevoli o inconsapevoli essi siano. Quali che siano gli eventi che segneranno il pontificato di Papa Francesco, la barca di Pietro non mancherà di un nocchiero che si sa secondo, perché il primo è, sempre e comunque, Cristo Signore, Risorto. (Cristiana Dobner – Sir Attualità, 14 marzo 2013) - La Chiesa non è una Ong “Camminare, edificare, confessare”: attorno a questi tre verbi si è articolata la prima omelia di papa Francesco, nella Cappella Sistina, davanti ai 115 cardinali che lo hanno eletto. Circa sette minuti in tutto, un condensato spirituale che ha preso spunto dalle letture della Messa, e in particolare riferendosi al Vangelo di Matteo con il dialogo tra Gesù e Pietro (Matteo 1, 13-19). “In queste letture – ha esordito il nuovo Papa, che ha parlato interamente a braccio – c’è qualcosa di comune: è il movimento, è il cammino, il movimento nella confessione”. Poi ha declinato il significato dei tre verbi: camminare, edificare, confessare. “Camminare alla luce del Signore”, ha spiegato, è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: “cammina nella mia presenza, e sii irreprensibile”. “Camminare”, ha ripetuto il Papa: “la nostra vita è un cammino, e se ci fermiamo qualcosa non va”. “Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore”, l’esortazione del Santo Padre: “cerchiamo di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo nella sua promessa”. 4 Chiesa, non ong. “Edificare la Chiesa”, il secondo impegno mutuato dal Papa dalle letture della Messa, nelle quali “si parla di pietre, ma pietre vive, pietre pronte per lo Spirito Santo”. Di qui l’invito a “edificare la Chiesa, la sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore”. Terzo verbo, infine, “confessare”. “Noi possiamo camminare quello che vogliamo, edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo qualcosa non va, diventiamo una ong pietosa, ma non la Chiesa sposa di Cristo”, il forte ammonimento del Papa. “Quando non si cammina, ci si ferma”, ha proseguito: ”Quando non si edifica nelle pietre, succede come ai bambini sulla spiaggia, quando fanno dei palazzi sulla sabbia, senza consistenza”. Poi il Papa ha citato Leon Bloy, per affermare che “quando non si confessa Gesù Cristo, avviene che chi non prega il Signore prega il diavolo. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità e il diavolo”. “Camminare, edificare, costruire, confessare”, la progressione dei verbi usata dal Papa. “Non è così facile – ha ammesso – perché per camminare, per costruire, per confessare, alle volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino, sono movimenti che ci tirano indietro”. Senza la Croce siamo “mondani”. Il Vangelo di Matteo, ha fatto notare il Papa, prosegue “con una situazione speciale”, perché “lo stesso Pietro, che ha confessato Gesù Cristo” – “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” – sembra dirgli “io ti seguo, ma non oggi, con altre possibilità, senza la Croce”. “Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce, e quando confessiamo con Cristo senza la Croce – l’ammonimento centrale della prima omelia di papa Francesco – non siamo discepoli del Signore, siamo mondani. Siamo vescovi, siamo preti, siamo cardinali, ma non siamo discepoli cristiani”. “Vorrei che tutti noi, dopo questi giorni e queste grazie – l’auspicio del nuovo Papa nella sua omelia interamente a braccio – abbiamo il coraggio di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore, di edificare la Chiesa con il sangue del Signore versato sulla Croce, e di confessare l’unica gloria: Cristo Crocifisso”. “E così la Chiesa va avanti”, ha concluso il Papa, invocando l’intercessione di Maria, “nostra madre”, affinché “ci conceda di camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso”. Sempre rivolti alla speranza. Le prime due intenzioni della preghiera dei fedeli della Messa celebrata questo pomeriggio in Sistina da papa Francesco, attorniato dai suoi 115 confratelli che ieri pomeriggio, alla stessa ora, stavano ancora votando per la sua elezione, sono state per “il nostro Papa Francesco”, perché “continui ad accogliere l’invito di Gesù e sulla sua parola getti le reti della salvezza nel mare della vita”, e per Sua Santità Benedetto XVI, affinché “serva la Chiesa nel nascondimento con una vita dedicata alla preghiera e alla meditazione”. Il nuovo Papa e il Papa emerito uniti idealmente in un abbraccio, a testimoniare la continuità della missione universale della Chiesa. Poi i cardinali insieme al Papa hanno pregato “per i responsabili delle nazioni”, in modo che “agiscano non per forza o per interesse, non spadroneggiando sulle persone, consapevoli che ogni potere viene da Dio”. Una preghiera, inoltre, “per quanti soffrono, per quanti lottano smarriti nella vita”, e l’ultima per “la famiglia di Dio oggi qui convocata”, affinché Dio “confermi i nostri propositi e ci renda saldi nella fede”. Poi ha preso la parola il Santo Padre, con un’invocazione in cui era presente uno dei tre verbi al centro dell’omelia: “La tua sapienza, o Padre, ci aiuti a camminare nelle tue vie, perché nelle vicende del mondo siamo sempre rivolti alla speranza che splende in Cristo Signore”. (da Sir Attualità, 14 marzo 2013) - Un uomo di gesti Ho avuto modo di conoscere e stimare, anche se non proprio personalmente, l’uomo e il pastore Jorge Mario Bergoglio. Ma un giornalista, lo si sa, correda sempre il suo punto di vista con numerosi off the record che dicono della persona. Intanto la sua sincera austerità. L’andare in giro senza auto, usando il bus o la metro, parlando con la gente, sedendosi sulla poltroncina del barbiere scambiando quattro chiacchiere su San Lorenzo, la squadra del cuore, parlano di un uomo abituato alle cose semplici, ad aprire il portone dell’arcivescovado per ricevere i partecipanti ad una riunione (suo commento scherzoso: che altro deve fare un cardinale se non aprire porte?), ad usare un clergymen un po’ vecchiotto. Tutto ciò fa di lui una persona vicina al sentire della gente, alle questioni della vita quotidiana. Scopriremo tutti questa dimensione nel linguaggio che userà per comunicare. Credo che il primo Papa latinoamericano della storia, rappresenterà degnamente questi popoli caratterizzati da una spiccata sensibilità per la socialità. La questione sociale, la povertà, la miseria, le disuguaglianze, sono una realtà che è stata sempre presente nei suoi interventi e, soprattutto, nei suoi gesti. Infatti, Papa Francesco è un uomo di gesti più che di parole, di azione più che un intellettuale. Ha formato ed appoggiato la presenza di sacerdoti nelle villas miserias (baraccopoli) che esistono a Buenos Aires. È sceso in campo a fianco di ong che lavorano contro il lavoro in schiavitù o il traffico di donne con fini sessuali, con coraggio e determinazione. Siamo in una fase storica in cui la questione sociale, che un tempo è stato un tema tipico dei Paesi del Terzo mondo, si ripropone oggi anche nei Paesi del Nord del mondo. Per questo credo vada posta in risalto questa specifica sensibilità del nuovo Papa nel trasformare il tema dell’ingiustizia e le sperequazioni come un nodo centrale di tutti i popoli. Anche qui, il nome Francesco ci associa alla pace come nome nuovo del progresso, come diceva Paolo VI, ma anche della convivenza pacifica. Mi pare che, da abile tessitore di strategie qual è, il Papa saprà intervenire nel rinnovamento della Curia, aspetto ormai noto e segnalato come una necessità da più parti, anche autorevoli, della stessa Chiesa, per ricomporne il “volto sfigurato”. Credo che non gli mancheranno né fermezza né autorità. È un uomo capace di dedicarsi totalmente al servizio del prossimo, lo ha fatto instancabilmente nella complessa diocesi di Buenos Aires, seguendo con paterna sollecitudine la cura dei sacerdoti a lui affidati. Mi pare che in questo senso, il nome Francesco fa appello al santo di Assisi chiamato a 5 ricostruire la Chiesa. Un compito improbo e logorante, al quale può dedicarsi solo chi, come Francesco, saprà donarsi totalmente al servizio del Signore. E Bergoglio ha questa caratteristica. Credo inoltre che la sua esperienza pastorale unita alla sua fedeltà alla dottrina, gli danno gli strumenti e la sapienza necessaria per coniugare le sfide della modernità con le esigenze di questi tempi. Tra queste, la necessità di armonizzare la dimensione spirituale con le questioni secolari, senza cadere cioè nel secolarismo, ma nemmeno rifugiarsi nello spiritualismo. Bergoglio, da religioso gesuita formato nel binomio “contemplazione ed azione”, credo che saprà stimolare nel laicato la missione di far penetrare negli interstizi della vita sociale e culturale i valori e le ricchezze dello spirito. Nelle parole pronunciate ieri, a braccio, dal balcone di San Pietro, credo si possa cogliere un’importante sfumatura ecumenica. Ha letteralmente insistito nel presentarsi come vescovo di Roma, che presiede ma “nella carità” tutte le altre Chiese, anziché far leva sul suo essere Papa. Credo che i leader delle altre denominazioni cristiane avranno apprezzato questo gesto, proprio di una persona che non ha l’abitudine di lasciar niente al caso. Avranno apprezzato questa sfumatura ecumenica in un momento così eminentemente cattolico come l’elezione del Papa. E’ un vescovo aperto al dialogo interreligioso, ne dà testimonianza l’amicizia personale con figure della comunità ebraica, ha scritto un libro insieme al rabbino Abraham Skorka, rettore del seminario rabbinico di Buenos Aires. Anche questa dimensione sarà importante per il nuovo Papa, in un momento in cui è importante lanciare ponti di dialogo con le altri religioni con le quali bisogna rispondere, assieme, alle sfide del mondo attuale. Credo che questo papa argentino ci riserverà nuove sorprese. (Alberto Barlocci - direttore rivista “ciudad nueva”, Argentina – Sir Attualità, 14 marzo 2013) - “Accetto, ma sono un peccatore” I minuti immediatamente successivi alla elezione, il rapporto cordiale, semplice e alla mano con i cardinali, i suoi interventi in aula. A raccontare ai giornalisti il “dietro le quinte” del Conclave e della storica giornata di ieri, 13 marzo, sono stati i cardinali elettori francesi che oggi hanno incontrato la stampa, dando “a caldo” le loro impressioni e raccontando con semplicità e profondità l’esperienza unica, solenne, gioiosa dell’elezione di un Sommo Pontefice. Il momento in cui Papa Francesco ha accettato la nomina. È il cardinale di Lione Philippe Barbarin a dare ai giornalisti particolari inediti di quanto è successo nei minuti immediatamente successivi all’elezione del cardinale Bergoglio a sommo Pontefice. Quando il Cardinale Decano, a nome di tutto il Collegio degli elettori, ha chiesto al cardinale Giorgio Mario Bergoglio se accettava la sua elezione, il cardinale argentino ha risposto sì ma ha anche aggiunto “sono un peccatore” e si è lasciato andare “come ad un gesto disarmante”. Poi, quando gli hanno chiesto come voleva essere chiamato, lui ha risposto “Franciscus” ed ha aggiunto, “a causa di San Francesco” e il collegio cardinalizio ha accolto quel nome “con una certa sorpresa”. A quel punto poi il cerimoniere mons. Marini gli ha offerto la Croce pettorale dorata, ma il Papa ha detto che preferiva mantenere la propria. Prima poi di salutare ad uno ad uno i cardinali, papa Francesco - accorgendosi delle difficoltà motorie del cardinale Ivan Dias - è andato verso di lui per abbracciarlo. Poi è tornato, e ha salutato i cardinali scegliendo però di non sedersi al trono papale ma di rimanere in piedi. Poi a cena - ricorda il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi - nella casa Santa Marta, rivolgendosi scherzosamente ai cardinali, ha detto: “Spero che siate perdonati”. La scelta e le votazioni. “Colui che è stato scelto - commenta il cardinale Jean Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux - non era certamente nella lista dei favoriti sui media, non era certamente tra i papabili, ma è colui che i cardinali hanno scelto a causa della sua personalità. Si è rivelato chiaro che il cardinale Bergoglio era l’uomo giusto, che aveva le qualità giuste per governare la Chiesa, per essere il nuovo Papa”. Quando lo avete capito? “L’abbiamo capito risponde il cardinale André Vingt-Trois - molto semplicemente quando abbiamo cominciato a vedere che il numero dei voti che otteneva stavano aumentando. E quando il consenso ha cominciato a cristallizzarsi sulla sua persona, è stato chiaro che era lui l’eletto”. Il cardinale Barbarin nega che in questi giorni di conclave ci siano stati tra i cardinali elettori pressioni o movimenti per l’elezione di un candidato piuttosto che un altro. “Non ho consultato nessuno - ha detto - per fare la mia scelta. Sono stati giorni di forte preghiera, vissuti nella consapevolezza dell’abisso che esisteva tra la povertà della mia scelta e la grandezza dell’avvenimento”. L’età e la personalità. Evidentemente alla fine, l’età non ha contato, sebbene le cause delle dimissioni del precedente papa siano state decise per la fatica e l’età avanzata e che tutto faceva presupporre un Papa più giovane. E invece è stato scelto il cardinale Bergoglio perché - ha detto il cardinale Ricard - “la sua personalità è stata determinante. D’altronde papa Giovanni XXIII, pur essendo stato eletto Papa anziano, è stato un Pontefice decisivo per la storia della Chiesa”. E il cardinale Vingt-Trois ha aggiunto: “L’energia spirituale non è proporzionale all’energia spirituale”. Riforma della curia romana. È il cardinale Ricard a dire come nel corso delle Congregazioni generali, dai cardinali è stata espresso più volte il desiderio di una riforma della curia romana, chiedendosi anche espressamente, se tutti gli organismi presenti in curia servano effettivamente alla Chiesa e all’evangelizzazione. Sicuramente - ha quindi aggiunto - il Papa valuterà la necessità di una maggiore collegialità attraverso “una presenza più vicina con i responsabili dei dicasteri”; un maggior “lavoro insieme tra le congregazioni e i Pontifici Consigli soprattutto quando trattato gli stessi temi”; una “maggiore trasparenza”. “Dal nuovo Pontefice si attende - ha aggiunto il cardinale di Bordeaux - una riforma della curia così come d’altra parte sta avvenendo nelle amministrazioni delle diocesi”. Ma “non sarà una riforma brutale”, ha subito aggiunto il cardinale di Parigi, Vingt-Trois. Sarà condotta con “la dolcezza, la pazienza, la costanza della carità”. La macchina del Papa è rimasta vuota. Ultimo particolare inedito lo ha raccontato ai giornalisti il cardinale Ricard. 6 Finita la cerimonia di saluto alla piazza, il Papa e i cardinali si sono avviati all’uscita, usufruendo dell’ascensore. Il Papa è entrato per primo e i cardinali non osavano entrare. E invece lui ha fatto segno a tutti di entrare e sono scesi con l’ascensore stretti, stretti. Arrivati alle macchine, Papa Francesco ha scelto di entrare nel pulmino dei cardinali e la “macchina del Papa” è rimasta vuota. Che cosa gli avete detto nel salutarlo? Tutti e tre i cardinali gli hanno assicurato “grande gioia” e che avrebbero “continuato con tutti i cattolici di Francia a pregare per lui”. E papa Francesco, rivolgendosi al cardinale Ricard ha detto: “Ne ho bisogno”. (da Sir Attualità, 14 marzo 2013) - “È Bergoglio, il nostro vescovo!” “White! Bianca! Blanca! Blanche! Weißer! Branco! Biały!”, è un grido unico, cui è seguito un lungo applauso, quello che si leva dal “media center”, allestito negli spazi dell’Aula Paolo VI, quando gli schermi televisivi mostrano la nuvola di fumo bianco fuoriuscire, prima timidamente e poi con prepotenza tanto da non lasciare dubbi, dal comignolo posto sopra la Cappella Sistina. Le lingue si accavallano per descrivere la fumata. E mentre gli schermi televisivi mostrano la gioia e la commozione della folla radunata in piazza san Pietro, i circa 200 giornalisti – degli oltre 5mila accreditati, di 26 lingue e 76 Paesi - sono tutti nelle proprie postazioni di lavoro. I radiofonici sono i più rumorosi, attaccati ai loro microfoni raccontano la fumata bianca come fosse una radiocronaca sportiva, dando dettagli e anticipando agli ascoltatori quello che dovrà accadere da lì a poco con il pontefice neo eletto nella Cappella Paolina per una breve preghiera personale, silenziosa davanti al Santissimo Sacramento, la sua vestizione con i paramenti pontifici, prima di affacciarsi dalla Loggia delle Benedizioni. La loro voce viene soffocata dal suono delle campane di san Pietro e dalle voci della piazza scatenata. I colleghi delle agenzie, della carta stampata e dei siti web, chini sui loro computer, battono sulle tastiere dando forma e colore alla cronaca di un momento definito, da tutti, storico. In ciascuno l’orgoglio di esserci e di raccontare un fatto epocale come l’elezione di un Papa, il primo dopo una rinuncia. Non si vedeva dal XIII secolo. Nel frattempo le poche telecamere, rimaste fino a quel momento nella sala stampa, corrono fuori sulla piazza per catturare immagini e testimonianze ed attendere il prossimo momento quello che svelerà il Successore di papa Ratzinger. Con gli occhi alla loggia. Dal comignolo della Sistina, adesso, gli occhi dei giornalisti sono rivolti alla Loggia delle benedizioni della basilica di San Pietro, dove si attende l’annuncio che darà un nome ed un volto al nuovo Pontefice. Le grandi vetrate si aprono… È passata poco più di un’ora dalla fumata. Il ticchettio sulle tastiere dei pc improvvisamente si ferma. Le voci si placano. Dalle ultime file ci si alza in piedi per vedere meglio gli schermi. In modo quasi spontaneo i giornalisti si radunano in piccoli gruppi, ad unirli la nazionalità, la lingua. Si stringono, si avvicinano l’uno all’altro. Qualcuno prende l’elenco dei cardinali per verificare il nome e rilanciarlo subito correttamente. Il silenzio cala e avvolge ogni cosa. L’attesa è palpabile. Quando si apre la loggia, dove campeggiano i grandi drappi rossi, tutto è ormai fermo: ecco l’annuncio del cardinale protodiacono, Jean Louis Tauran: “Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam…”. Il Papa argentino. “Bergoglio, Bergoglio! È il nostro Bergoglio”: le grida di gioia delle uniche due giornaliste argentine presenti in sala rompono il silenzio e sembrano riportare il resto dei colleghi alla realtà. Fino a quel momento i nomi, sulla bocca di tutti, dei cosiddetti papabili erano ben altri. In pochi attimi le due giornaliste si ritrovano accerchiate da un nugolo di microfoni, di taccuini e telefoni. I loro volti rigati dalle lacrime e le parole strozzate in gola: “non ci posso credere – dice al Sir Virginia Gladys Bonard, redattrice della rivista dei focolari Ciudad Nueva – è il mio vescovo, il vescovo di Buenos Aires. Una sorpresa impressionante. Non ce lo aspettavamo anche se sapevamo che era molto considerato. Farà molto per la Chiesa: è un uomo lucido, di grande limpidezza, purezza, rettitudine, opzione per i poveri, un padre. Non posso immaginare la gioia dei miei connazionali argentini. Sarà un grande Papa che rinnoverà la Chiesa perché ha grandi capacità di governo”. Vicino a lei Alicia Iris Barrios, di Canale 21, che al ritratto del Papa gesuita, fatto da Bonard, aggiunge ulteriori significativi particolari: “È molto impegnato nel sociale, a Buenos Aires non trovi nessuna chiesa con le porte chiuse. È una persona di grande equilibrio, un grande pastore. Papa Francesco non sarà un pontefice che si lascerà governare, questo è molto chiaro. È un uomo del popolo!”. Mentre parla le tv mostrano le immagini del nuovo Pontefice che si appresta a parlare per la prima volta. Virginia e Alicia, lo sentono, si voltano verso lo schermo più vicino, levano le mani al cielo gridando, “Francesco, che la Vergine ti protegga!”. Subito dopo si lasciano andare in un pianto liberatorio. I giornalisti intorno, discretamente, si allontanano, tornando al loro posto per raccontare una nuova pagina della millenaria storia della Chiesa. (Daniele Rocchi – Sir Attualità, 14 marzo 2013) - La Terra Santa lo aspetta “Siamo rimasti veramente sorpresi nell’udire il nome Francesco, al punto che ci siamo guardati tra frati chiedendoci se avevamo compreso bene le parole del protodiacono, il cardinale Tauran. Quando abbiamo realizzato che il Papa si sarebbe chiamato veramente Francesco allora la gioia è stata grande e incontenibile”. E’ la reazione dei francescani della Custodia di Terra Santa nel racconto del loro Custode, padre Pierbattista Pizzaballa, all’elezione di Papa Francesco. La comunità religiosa, radunata nel convento di san Salvatore, nella città vecchia di Gerusalemme, per seguire il Conclave, mai avrebbe pensato che dalla fumata bianca sarebbe uscito un pontefice che, per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa, avrebbe assunto il nome del loro fondatore. “Si tratta di una novità che non potrà portare che bene a tutta la Chiesa – dice al Sir il Custode - sono rimasto molto sorpreso quando ho sentito il suo nome. Non me lo aspettavo. Il giorno prima, ne parlavamo con il Nunzio apostolico in Giordania, monsignore Giorgio Lingua, che augurava che il nuovo Papa prendesse un nome come Giuseppe o Francesco, per porre un gesto profetico per il futuro. Ed è stato così! Infatti, io credo che in questo nome ci sia tutto un programma. Un programma che i 7 Francescani di Terra Santa conoscono bene, perché lo vivono. Un programma cui questo gesuita si è già ispirato, poiché egli è noto per la sua vicinanza alla gente, per la sua semplicità, per il suo amore verso i poveri”. Sulle orme di san Francesco. “Il nome Francesco – spiega il Custode - richiama in tutto il mondo, e non solo nella cattolicità, uno stile ed un modello la cui cifra più significativa è la semplicità evangelica, l’umiltà, l’opzione per i poveri ed i più deboli, l’essenzialità e la povertà”. Padre Pizzaballa ci tiene a sottolineare il legame del Poverello di Assisi con la Terra Santa. “Francesco si recò nei Luoghi santi con i Crociati ma non da crociato. Una visita profetica per cercare di superare le trincee ed incontrare il Sultano. Da quel momento in poi la presenza francescana si è connaturata con i Luoghi santi. Credo che nel nome scelto dal Pontefice ci sia anche il richiamo a questo legame”. Padre Pizzaballa conosce Papa Francesco da quando era cardinale arcivescovo di Buenos Aires: “La capitale argentina è una delle più grandi città al mondo. E incontrando un cardinale ci si aspetta un certo protocollo. Ma è lui che viene ad aprire la porta, a indicare come parcheggiare la macchina nel cortile del vescovado ed è ancora lui a preparare il caffè. Posso dire che è stato un uomo di incontro e di dialogo con tutte le realtà della sua città. Ora sarà lo stesso con tutte quelle religiose, sociali e culturali del mondo e in particolare con la Terra Santa. Senza voler scrivere l’agenda del Papa – aggiunge il Custode - credo sia inevitabile visitare le Chiese ed in modo particolare quella di Terra Santa, così unica. Sull’esempio di san Francesco che volle parlare con il Sultano, Papa Bergoglio darà impulso al dialogo interreligioso, che oggi è una necessità. Il mondo ha bisogno di leader carismatici che offrano visioni e sappiano mostrare gli aspetti positivi del dialogo senza nulla togliere alle identità”. L’attesa della Terra Santa. Dalla speranza di un viaggio papale nei luoghi santi della Custodia, all’invito ufficiale del Patriarcato Latino di Gerusalemme e del presidente israeliano Shimon Peres: “La Terra Santa attende con emozione e con impazienza di avere l’onore e la gioia di accoglierla nella Terra in cui si è compiuta la salvezza. Ahlan wa sahlan, sia il benvenuto!” è il saluto del Patriarca Latino di Gerusalemme, Fouad Twal, a Papa Francesco. In una nota, diffusa dal Patriarcato latino, si legge: “come Chiesa Madre di Gerusalemme, gioiamo profondamente per l’elezione del nuovo Pastore della Chiesa cattolica, scelto dai cardinali in conclave, ma soprattutto dallo Spirito Santo”. “Al nuovo Papa – prosegue il testo - esprimiamo le nostre felicitazioni “Alf Mabrouk” con la nostra totale e completa adesione e al tempo stesso assicuriamo il nostro affetto e la nostra preghiera filiale. La nostra comunione è profonda. Grazie in anticipo, Santo Padre, per tutto quello che farà per la Chiesa, per il mondo e per la sollecitudine pastorale che avrà per il nostro Patriarcato nel corso del Suo Pontificato”. Nella nota il patriarca Twal esprime l’augurio che il nuovo Pontefice “possa continuare a lavorare per la pace e la giustizia in Medio Oriente, in particolare in Terra Santa. Fin d’ora le assicuriamo che lavoreremo al suo fianco, così come abbiamo fatto con i suoi predecessori, per favorire progressi concreti nel dialogo interreligioso nella nostra regione. Santo Padre - conclude la nota - la Terra Santa attende con emozione e con impazienza di avere l’onore e la gioia di accoglierla nella Terra in cui si è compiuta la salvezza. Sia il benvenuto, Ahlan wa sahlan!”. L’invito di Peres. Dalla Polonia, dove si trova in visita, ha parlato anche il presidente israeliano Shimon Peres: “Dio benedica il nuovo Papa. Egli rappresenta la devozione, l’amore di Dio, l’amore per la pace, la modestia e un nuovo continente che si sta risvegliando. Oggi più che mai abbiamo bisogno di una guida spirituale e non politica. Laddove i leader politici dividono quelli spirituali possono unire attorno ad una visione, a dei valori, attorno ad una fede così da permettere al mondo di vivere in un posto migliore”. Nel suo saluto Peres ha voluto invitare ufficialmente Papa Francesco “a visitare al più presto” la Terra Santa: “sarà nostro gradito ospite, un uomo che può favorire la ricerca della pace in un’area tormentata”. Peres ha inoltre parlato delle relazioni tra Israele e Vaticano che “sono ora al meglio da 2000 anni e spero che crescano in profondità e contenuti”. Un’ultima parola il leader israeliano l’ha dedicata a Benedetto XVI: “un caro amico del nostro popolo” che “ha contribuito a sviluppare le relazioni tra il nostro popolo e la Chiesa cattolica. Sono certo che il nuovo Pontefice continuerà su questa strada”. (da Sir Attualità, 14 marzo 2013) - Dallo stupore all’entusiasmo Il nome di Jorge Mario Bergoglio rimbalza in tutta Europa appena pochi istanti dopo l’“habemus papam” pronunciato in Vaticano. Non c’è capitale europea, sede istituzionale comunitaria, media continentale che non rilanci e commenti la notizia, sostanzialmente con toni stupiti, favorevoli, persino entusiastici. Il vecchio continente aveva reagito positivamente alle ultime due elezioni, prima quella di un papa polacco, poi quella del suo successore tedesco. Ora lo sguardo del Conclave si è spostato verso l’America Latina, un “mondo” in crescita (demografica, economica, religiosa), un competitore innovativo rispetto all’Europa, una realtà carica di contraddizioni sociali e politiche. Osservazioni, queste, che emergono da molteplici dichiarazioni. Ispirazione e speranza. “Mi congratulo con il cardinale Jorge Mario Bergoglio per la sua elezione al soglio pontificio. Auguro a Papa Francesco coraggio e forza”. La voce di Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, è stata la prima nell’Europa delle istituzioni a levarsi per inviare i propri auguri al neo eletto pontefice. Da Strasburgo, dove stava partecipando alla sessione plenaria dell’Assemblea, Schulz ha affermato che a suo parere emerge una nuova opportunità di rinnovamento, “in un momento in cui la Chiesa cattolica deve affrontare numerose e importanti sfide”. “Il Papa offre guida, ispirazione e speranza a centinaia di milioni di credenti in tutto il mondo”, ha aggiunto il politico tedesco, e la scelta di un pontefice “al di fuori dell’Europa è un segno incoraggiante”. Per Schulz è necessario un nuovo impulso “per far rivivere i valori fondamentali che sono alla base del cristianesimo, come la solidarietà, la pace tra le nazioni e i popoli, la tolleranza e il sostegno ai più deboli e ai più poveri. Questi valori sono più che mai necessari, in un mondo che rischia di essere travolto in una spirale di materialismo e disuguaglianza”. 8 Pace, solidarietà, dignità umana. Il palazzo del Parlamento Ue nella cittadina alsaziana è rimasto illuminato fino a notte fonda, dove la maggior parte degli eurodeputati seguiva, con maggiore o minore partecipazione, gli eventi in corso a Roma, i commenti rilanciati dalle trasmissioni televisive o dai siti internet del “Guardian”, di “Le Monde”, oppure di “Die Welt” o “El Paìs”. Progressivamente l’attenzione si è spostata verso Bruxelles, dove sono nel frattempo arrivati i capi di Stato e di governo per il summit del 14 e 15 marzo incentrato sull’economia. “A nome dell’Unione europea, le trasmettiamo le nostre sincere congratulazioni per la sua elezione”, hanno affermato con una nota congiunta Herman Van Rompuy, belga, presidente del Consiglio europeo, e José Manuel Barroso, portoghese, presidente della Commissione. Le due autorità dell’unione si rivolgono direttamente – e con uno stile un po’ inconsueto - al neo eletto Papa Francesco, augurandogli “un pontificato lungo e benedetto”, che consenta “a sua Santità e alla Chiesa cattolica di difendere e promuovere i valori fondamentali della pace, della solidarietà e della dignità umana”. Si tratta di valori “essenziali in un mondo che ha di fronte numerose sfide” e che attraversa una “fase di cambiamento profondo”. Van Rompuy e Barroso si dicono “convinti” che Papa Bergoglio “continuerà a promuovere con determinazione e forza il lavoro dei suoi predecessori, avvicinando tra loro i popoli e le religioni del mondo”. Vicini alla Santa Sede. Parole di augurio e di stima giungono nel frattempo dalle sedi diplomatiche, dai leader dei gruppi politici che siedono all’Europarlamento (anche se non mancano poche “note stonate” di chi prende le distanze dalla Chiesa cattolica e dal cristianesimo), dalle altre cariche istituzionali dell’Ue e dal Consiglio d’Europa. Ad esempio Thorbjørn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa, dichiara: “Mi congratulo vivamente col nuovo Pontefice della Chiesa cattolica e Capo di Stato della Santa Sede”. A nome del CdE (la Santa Sede ha lo status di Paese osservatore in questa organizzazione sovranazionale che raccoglie 47 Stati) “gli auguro tutto il bene che merita. Siamo entusiasti di continuare con lui la nostra fattiva collaborazione col Vaticano”. Ovviamente arrivano le prese di posizione degli stessi leader nazionali europei: Angela Merkel, cancelliera tedesca, che aveva seguito con partecipazione il ministero petrino del connazionale Joseph Ratzinger, apprezza ora la scelta di un cardinale che viene dal Sudamerica, la quale “indica la forza e la vitalità di una regione sempre più importante” nello scenario mondiale. Il presidente francese François Hollande usa termini non convenzionali, inviando “calorose felicitazioni” e “sinceri auguri” per gli impegni che attendono il pontefice. Dichiarazioni altrettanto sentite partono da Slovacchia, Ungheria, Paesi del baltici, Gran Bretagna, Irlanda, Grecia… Da Madrid il premier spagnolo Mariano Rajoy ribadisce gli “auguri calorosi” da una nazione sempre attenta alle vicende della Chiesa europea e universale. (da Sir Attualità, 14 marzo 2013) - Chinato dinanzi al popolo Sorpresa, curiosità, commozione, preghiera, silenzio: tutto questo è passato nell’anima delle oltre 100mila persone presenti stasera, mercoledì 13 marzo, in piazza San Pietro a Roma, e dei miliardi di uomini e donne di ogni continente davanti alle tivù, che seguivano le prime parole del nuovo pontefice affacciato alla loggia centrale della basilica. E Papa Francesco, l’argentino Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, religioso gesuita, ha stupefatto tutti sin dalle prime battute: “Fratelli e sorelle buonasera, voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma e sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo alla fine del mondo, ma siamo qui”. Come Giovanni Paolo II aveva detto che “veniva da molto lontano”, Francesco I addirittura ha parlato del suo Paese come della “fine del mondo”, nel profondo del sud America. Ma la “geografia” del Papa è stata subito surclassata da un’altra novità epocale introdotta da Papa Francesco I. A un certo punto del suo saluto ha detto: “Adesso vorrei dare la benedizione, ma prima vi chiedo un favore. Prima che il vescovo benedica il popolo vi chiedo che voi preghiate Dio di benedire il vostro vescovo”. Ecco, a questo punto il silenzio è calato come tombale nella piazza, il Papa si è chinato davanti a miliardi di uomini, con umiltà e convinzione. Ha voluto come mostrare al mondo intero una verità che conoscevamo solo dalla dizione che lo qualifica nel codice canonico: cioè che il Vescovo di Roma è il “Servo dei servi di Cristo”. E ci è riuscito perché ha scioccato e commosso nel profondo quanti erano presenti, che mai si erano sentiti invitati a “chiedere a Dio di benedire il Papa”. Felici di essere in piazza. La sera della fumata bianca si era aperta con un’attesa nella piazza carica di presagi ma anche fastidiosamente insidiata da pioggia e umidità scoraggianti. La gente stava rintanata sotto gli ombrelli, dentro i cappucci impermeabili. Tutti guardavano con trepidazione la magnifica facciata della basilica splendidamente illuminata. E parlando con qualcuno si coglieva l’eccezionalità del momento. “Sento che è un evento storico - ha detto Monica, una mamma ungherese presente in piazza col figlio di 9 anni Songor -. Siamo felici di essere qua, ci sentiamo fortunati. Dopo la fine dell’epoca precedente sotto il comunismo, nel mio paese c’è stata come un’esplosione di libertà religiosa, e tutti si dicono credenti. Questo è molto positivo. Ora speriamo che il nuovo Papa possa continuare nell’annuncio del Vangelo là dove non è ancora potuto arrivare”. Altre voci, altre sensibilità: Milde e Rosaria, dalla Sardegna, guardano al comignolo più famoso del mondo e dicono che stanno pregando la Madonna “perché ispiri i cardinali nella loro scelta del Papa per salvare la Chiesa”. Silvano Calabria, un anziano di Roma, credente, ma che nella sua vita “non è mai venuto ad assistere all’annuncio del nuovo Papa” dice di essere “molto emozionato”: “Il Papa vuol dire molto per noi romani, dovunque mi sono recato nel mondo la prima domanda che mi hanno fatto è stata sul Papa. Quindi conta molto per tutti”. Anche chi non crede è lì. C’è anche chi non crede, ma è ugualmente lì a questo stranissimo e singolare appuntamento: la coppia di sposi Marie e Benoit, francesi di Montpellier, sono a Roma per turismo e sono venuti a San Pietro “incuriositi e affascinati”. “Non siamo credenti - dichiarano - ma rispettiamo la Chiesa e pensiamo che sia importante il profilo del nuovo Papa, che sia moderno e aperto al mondo”. E un altro dei centomila presenti, il 9 giovane prete, padre Antonio Lalu, indonesiano, non riconoscibile nei suoi abiti borghesi, si stupisce di essere contattato: spiega che si trova a Roma per un corso triennale in Comunicazioni sociali presso l’Ateneo della Santa Croce, retto dall’Opus Dei, e afferma: “Quello che vedo qui a San Pietro mi colpisce e commuove. La gente mostra di voler bene alla Chiesa, al Papa e di credere molto in Dio”. Questi sono piccoli scorci dell’umanità che ancora una volta si è radunata davanti alla basilica cuore della cristianità. Questi sono i “fratelli e le sorelle” cui Papa Francesco si è rivolto con un tono e con parole molto semplici e affettuose. La fede del popolo. A voler tirare una sintesi - quanto mai inopportuna considerata la “sorpresa” di questo Papa così rivoluzionario da far pregare il mondo intero con il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria in diretta tivù nei cinque continenti - si potrebbe dire così: ancora una volta la Chiesa riesce a stupire il mondo intero. Non solo perché sceglie un Papa che nessuno si aspettava. Non solo perché questo Papa ha un cognome italiano, esattamente piemontese (i suoi antenati venivano da Portacomaro, provincia di Asti) e quindi piace subito agli italiani. Non solo perché è un gesuita, il primo Papa gesuita, ma che non sceglie il nome di Ignazio, bensì di Francesco, il santo dell’umiltà e della purificazione della Chiesa. Insieme a tutto questo, e lo si è percepito in piazza San Pietro, vedendo le bandiere argentine sventolare sotto la pioggia, la Chiesa ha allargato i suoi confini “visibili” raggiungendo con Papa Bergoglio il continente americano. Ha attraversato l’oceano, onorando il continente col maggior numero di cattolici. Ha scelto un Papa che ha lavorato da sempre per gli “ultimi”. Un Papa che è letterato, psicologo, filosofo e anche teologo, il gesuita plurilaureato e di grande cultura universale. Questa è la Chiesa che si è ritrovata nella Cappella Sistina e ha compiuto il suo dovere di scegliere il “successore di Pietro”. Ma è anche la Chiesa di popolo, commossa in piazza San Pietro stasera e commossa davanti alle tivù. Una anziana signora romana ha detto rientrando a casa in autobus. “Ci credo nella Chiesa, non sbaglia mai”. È la fede popolare, del “popolo di Dio” che cammina nella storia. (Luigi Crimella – Sir Attualità, 14 marzo 2013) - I poveri sono i suoi preferiti “Un uomo semplice ma forte, molto vicino al popolo, che ama profondamente la Chiesa e i poveri”. Così Emilio Inzaurraga, presidente del Consiglio nazionale dell’Azione cattolica Argentina, raggiunto telefonicamente a Buenos Aires, racconta il nuovo Papa Francesco. Inzaurraga lo conosce personalmente e lo ha incontrato diverse volte. Del cardinale Bergoglio descrive un ritratto inedito. Una grande sorpresa per il popolo argentino: come vi sentite? “È una sorpresa enorme. Non riusciamo ancora a credere che il Papa sia argentino, siamo stupiti, contentissimi e pieni di speranza. È una grande emozione per tutti noi. Siamo contenti perché conosce i problemi dell’Argentina, conosce la Chiesa latinoamericana. Ha molto carisma e ha lavorato molto bene. Il cardinale Bergoglio è sempre stato una persona molto vicina al popolo, ci ha sempre esortato alla missione e all’evangelizzazione. Una frase importante che ci ripete spesso è l’invito ad andare nelle ‘periferie’ a proporre Gesù. Penso che, in questo momento della Chiesa, darà un contributo significativo alla nuova evangelizzazione in tutto il mondo”. È un grande cambiamento per la Chiesa? “Sì è un grande cambiamento per la Chiesa di tutto il mondo. Come ha detto nelle sue prime parole, la Chiesa è andata a cercarlo ai confini della terra, al Sud del mondo. Aprire la porta della Chiesa al Sud del mondo: anche questo è un segnale importante. Ma credo che il nuovo Papa farà lo sforzo di tener conto di tutte le realtà”. Il suo primo gesto significativo è stata la richiesta di essere benedetto dal popolo… “Questo è un suo gesto caratteristico. Molte volte, quando abbiamo parlato, sia per telefono, sia personalmente, si congedava chiedendomi di pregare per lui. Lo fa con chiunque, che siano autorità, giornalisti o gente comune. È una persona molto semplice, di costumi molto austeri. In Argentina è facile incontrarlo in metro, in autobus, che viaggia da solo, senza accompagnatori o autisti”. Un Papa latinoamericano che contributo darà alla Chiesa? “Userà comunicazione molto diretta, un modo di esprimersi semplice. Penso che lavorerà molto con l’idea di essere un discepolo e un missionario, mantenendo la centralità in Gesù e la vocazione alla santità. Allo stesso tempo darà impulso alla missione, per portare questa proposta a tutti gli uomini di buona volontà. Approfondirà sicuramente il tema della nuova evangelizzazione”. Avrà una speciale attenzione per la Chiesa dei poveri e i problemi dell’America Latina? “Assolutamente sì. I poveri sono i suoi preferiti. Tiene sempre conto di tutti, ma con uno sguardo speciale sui più emarginati, che vengono considerati gli scarti della società. Uno dei grandi problemi del mondo è l’estrema povertà, le tante disuguaglianze sociali. Penso che lavorerà molto perché questi temi diventino visibili e siano all’attenzione del mondo, per perseguire insieme il bene comune. E poi sì, credo che la scelta del conclave voglia dare attenzione alla realtà cattolica dell’America Latina”. Come Francesco affronterà le sfide più scomode nella Chiesa, come gli scandali pedofilia? Quale pensa sarà la sua linea? “Credo che seguirà la linea di Benedetto XVI di tolleranza zero e allo stesso tempo starà attento alle sofferenze delle 10 vittime, con uno sguardo misericordioso sui peccati ma con fermezza sulla giustizia. Sicuramente lavorerà molto sulla selezione dei candidati al sacerdozio, la formazione nei seminari”. In sintesi, un uomo semplice ma forte… “Sì un uomo semplice ma forte e che ama profondamente la Chiesa. Che Dio lo aiuti, noi preghiamo per lui”. (Patrizia Caiffa – Sir Attualità, 14 marzo 2013) - Ci ha fatto pregare Quando è apparso al balcone delle benedizioni, Papa Jorge Mario Bergoglio, piazza San Pietro è esplosa per la gioia. Un momento emozionantissimo per ogni cristiano. Ma come ha vissuto l’elezione del nuovo Papa un anziano sacerdote? Lo abbiamo chiesto a don Piero Altieri, canonico della cattedrale di Cesena e per oltre 40 anni direttore del “Corriere Cesenate” (settimanale della diocesi di Cesena-Sarsina). Come sacerdote, cosa ha provato a sentire l’“Habemus Papam” e sapere che è stato scelto Jorge Mario Bergoglio? “Dal 1° marzo, come sacerdote, mi sentivo a disagio la mattina, quando celebravo la messa e dovevo saltare il nome del Papa. Innanzitutto, c’è la gioia, quando celebrerò la messa in cattedrale, di poter di nuovo nominare il Pontefice, Francesco”. Cosa pensa della scelta del nome? Per la prima volta abbiamo un Papa di nome Francesco. “Mi sarei aspettato più facilmente la scelta di questo nome, se fosse stato eletto Papa il cardinale di Boston, Sean O’Malley. Bergoglio, invece, è un gesuita. Cosa vuol dire, allora, questo nome? Da tempo si parla di nuova evangelizzazione. Andando indietro nel tempo, nel Medioevo, c’è stato un momento di grande crisi della cristianità, una società che rischiava di perdere la fede nel cuore e nell’agire degli uomini. Allora c’è stato il ‘Vangelo sine glossa’, predicato, annunciato, testimoniato da Francesco. Quindi, la scelta del nome di Francesco mi sembra molto significativa nel nostro tempo, perché indica che anche oggi c’è bisogno di evangelizzare. È un segnale che il nuovo Papa vuole dare per un ulteriore impulso a questo cammino della nuova evangelizzazione che il Pontefice emerito Benedetto XVI ci aveva proposto. Papa Francesco ci invita a percorrere questa via della fede, a partire da Roma, come punto di riferimento storico del cristianesimo, che si è diffuso poi nel Vecchio Continente e sulle sponde del Mediterraneo. Papa Bergoglio è un gesuita: all’indomani della frattura operata a causa della riforma protestante, proprio i missionari della Compagnia di Gesù hanno portato l’annuncio del Vangelo non solo in Europa, ma anche nel nuovo mondo, nelle Americhe, nelle Indie, in Cina, in Giappone”. Oltre alla novità del nome, è stata anche la prima volta che un Papa ha pregato, al momento del saluto iniziale, con un Padre Nostro, un’Ave Maria e un Gloria: per lei questo cosa ha significato? “All’inizio Papa Bergoglio era molto serio, poi dopo, quasi da buon parroco, potremmo dire, o meglio da buon vescovo, ci ha invitato a pregare. Ci ha fatto pregare! Immagino che il maestro delle cerimonie pontificie sia stato preso un po’ alla sprovvista, quando ha capito che non riusciva più a ‘controllare’ Papa Francesco, secondo il protocollo. Ho trovato anche ‘rivoluzionario’ che, oltre a pregare insieme, ci abbia chiesto di pregare per lui, facendo silenzio. Ed è stato bellissimo che piazza San Pietro e via della Conciliazione, stracolme di gente, come tutte le persone collegate grazie ai mezzi di comunicazione da tutto il mondo si siano fermate in un religioso silenzio a pregare per il Papa. C’è stato silenzio e ognuno ha pregato, a modo suo, per il nuovo Successore di Pietro. Io stasera sono a casa di mio cognato: ci siamo messi tutti in piedi a abbiamo pregato. Anche quando, alla fine, Papa Francesco ha detto ‘domani ci rivedremo’, ci ha proposto un cammino come ha fatto Gesù, duemila anni fa, con i discepoli. Certamente, dopo lo scossone profetico che Benedetto XVI ha dato con le sue dimissioni, il Papa dovrà mettere ordine nella curia, ma soprattutto dovrà attingere alla collegialità del governo della Chiesa. E mi sembra che con questi gesti abbia già dato dei segnali”. Papa Francesco ha anche parlato del “cammino” da fare insieme come vescovo di Roma e come popolo, un cammino di fratellanza, amore, fiducia reciproca, nella preghiera l’uno per l’altro. Come sacerdote come coglie questo invito? “A me ha colpito molto quando il Papa emerito Benedetto XVI ha parlato delle divisioni che deturpano il volto della Chiesa. Papa Francesco non è tornato esplicitamente su queste piaghe, ma, dicendo di avere fiducia gli uni negli altri e di volerci bene, è come se avesse detto che possiamo superare la crisi e servire il Vangelo nella misura in cui ci sentiamo uniti al Signore, nella fratellanza, amore e fiducia reciproca”. Lei cosa vorrebbe che realizzasse questo Papa? “Come sacerdote, ma condividendo certamente questo desiderio con tutto il popolo di Dio, vorrei che Papa Francesco servisse il Vangelo, riportandolo alla sua radicalità, senza tante sovrastrutture che si sono incrostate nella nostra vita e prima ancora nella nostra educazione, tarpando un poco quella libertà che il Signore ci ha donato. Come si è presentato stasera Papa Francesco, in questo senso, promette bene. Sembrava di vedere, per certi aspetti, la simpatia di Giovanni Paolo I e la bonomia di Giovanni XXIII. È stato bello sia come ha esordito stasera, con un semplice buona sera, e come ha salutato, con un altrettanto semplice buona notte, annunciando poi il desiderio di voler andare a pregare la Madonna perché custodisca tutta Roma. Mi è piaciuto anche che il Papa abbia voluto subito connotare questo servizio petrino alla Chiesa di Roma”. (Gigliola Alfaro - Sir Attualità, 14 marzo 2013) 11 - Sarà vicino al suo gregge “Godiamoci questo segno straordinario di vitalità, universalità, imprevedibilità e al contempo libertà della Chiesa”. È l’entusiasmo con il quale Sergio Belardinelli, docente di sociologia dei processi culturali e sociologia politica all’Università di Bologna, commenta al Sir la giornata odierna, culminata con l’elezione a pontefice di Jorge Mario Bergoglio, ora Papa Francesco. Qual è stata la sua prima impressione? “Il papa emerito Benedetto XVI, salutando i cardinali, ha parlato della Chiesa come di una realtà vivente. Ecco, questa sera ne abbiamo avuto la prova, nell’imprevedibilità e nell’assoluta libertà che ha portato all’elezione a Papa del cardinal Bergoglio. È un grande dono per tutti”. Salutando i fedeli dalla loggia di San Pietro, Papa Francesco ha detto di essere stato preso “quasi alla fine del mondo”… “È un segnale simbolico, soprattutto per noi europei. È come se la grande semina di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avesse prodotto un raccolto più rigoglioso in America Latina che nel nostro continente. Ed è così. Per scuotere noi occidentali dal torpore e dalla stanchezza ci voleva un Papa che venisse da un Paese ancor più ‘lontano’, riprendendo le parole di Giovanni Paolo II. È motivo di riflessione per noi europei”. Cosa rappresenta, a suo avviso, la scelta di assumere il nome “Francesco”, che per la prima volta viene usato da un pontefice? “Nell’Anno della fede è una scelta proprio azzeccata. Papa Benedetto, aprendo quest’Anno, aveva esortato i fedeli ad aggrapparsi a Gesù Cristo e andare nei deserti del mondo. Ora, ad accompagnarci in questo compito, abbiamo Papa Francesco, il cui nome riecheggia quello del poverello di Assisi…”. Quale sarà il profilo teologico del nuovo Papa? “Essendo gesuita sarà molto attento a una teologia e a un magistero che rendano l’idea del pastore che cammina insieme al suo gregge. Non è il Papa dei ‘conservatori’ o dei ‘progressisti’, ma di Gesù Cristo, e sono convinto che avrà una capacità di rigenerazione e sorpresa della quale andare orgogliosi. Siamo di fronte a un uomo che conosce la povertà, materiale ma anche spirituale, degli uomini, come pure la devozione del popolo di Dio. È inoltre un uomo di scienza, capace di affrontare le sfide del tempo con rigore dottrinale, ma che – sono sicuro e lo ribadisco – ci sorprenderà”. Nel suo primo discorso si è presentato semplicemente come “vescovo”, rivolgendosi al “popolo”. Che significato hanno queste parole usate dal nuovo Pontefice? “Innanzitutto dimostrano la grande umiltà di quest’uomo, che cercherà di valorizzare quello che è il vero tesoro della Chiesa: Cristo e il popolo di Dio. Un popolo che abbiamo visto questa sera, in una piazza San Pietro gremita”. Su quali criteri pensa che impronterà la sua pastorale? “È di sicuro un Papa pastore, che si fa vicino alla gente. Sono convinto che il suo magistero sarà orientato a questa vicinanza. Sarà un pastore umile e santo, per un pontificato certamente non convenzionale”. A prima vista le sembra un “nuovo” Giovanni XXIII? “Papa Giovanni espresse fin da subito la sua bonarietà; qui colpiscono l’umiltà e la bontà, che danno un senso profondo di sicurezza. Parlando alla piazza, ha definito il suo pontificato fin da ora ‘cammino di fratellanza, di amore, di fiducia’, come se avesse deciso di giocare tutto sul piano della vicinanza antropologica, dando all’antropologia una sorta di naturale incarnazione in un uomo che non ne fa teoria, ma l’assume come compito pratico”. Come lo ricordano in Argentina, Paese dal quale proviene? “È un pastore molto amato, che rifugge dalle categorie malsane – progressista o conservatore – con le quali tendiamo a leggere la Chiesa”. Siamo a 50 anni dal Concilio Vaticano II, un anniversario aperto da Papa Benedetto e che Papa Francesco sarà chiamato a chiudere… “Grazie a quest’uomo il Concilio Vaticano II potrebbe uscire dalla sua ‘versione mediatica’ ed entrare in un terreno più reale, fatto di fede profonda, fedeltà, fiducia, amore, come pure autorità, l’autorità del vescovo che è padre e pastore”. È possibile prevedere quale ruolo riserverà ai laici nella Chiesa? “È presto per fare previsioni, però sappiamo che fuori dall’Europa le Chiese sono molto più vivaci dal punto di vista laicale. Questo Papa sicuramente è portatore dell’esperienza del suo popolo. E il fatto che abbia scelto Francesco come nome è un modo di guardare al mondo e alla Chiesa che non può non valorizzare uno spirito laicale. Perciò avremo attenzioni particolarissime verso i laici, in quello che non sarà certamente un pontificato clericale”. (Francesco Rossi - Sir Attualità, 14 marzo 2013) 12 - Come un padre che ama “Siamo una civiltà di orfani. Penso che il Papa abbia mostrato oggi una paternità simbolica per l’intera famiglia umana”. È la prima impressione a caldo di Julia Kristeva che dalla sua casa a Parigi ha potuto seguire in televisione la prima apparizione di Papa Francesco. Linguista, psicanalista, filosofa e scrittrice francese, Julia Kristeva ha partecipato nell’ottobre 2001 alla Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che Benedetto XVI ha convocato ad Assisi. Per la prima volta, negli incontri avvenuti ad Assisi in 25 anni, il pontefice ha voluto invitare dei rappresentanti non credenti, come “cercatori della verità”. Il Sir l’ha intervistata subito dopo l’elezione del nuovo Pontefice. Quale impressione le ha fatto da Parigi la presentazione al mondo del nuovo Papa? “La prima impressione è che abbiamo vissuto un momento mondiale non solamente perché è stato un evento ripreso dalle televisioni di tutto il pianeta o da Internet. Stiamo vivendo in un momento in cui le persone non credono più a niente, né alla politica né alla finanza e la Chiesa cattolica ha dato oggi l’esempio che c’è un senso e che essa stessa è un’istituzione con un uomo che può guidare gli uomini di tutta la terra per condurli verso questo senso. Mi sembra una grande risposta alla crisi mondiale dei valori. Noi non credenti abbiamo generalmente la tendenza a considerare gli eventi dal punto di vista geopolitico o politico. Ma penso invece, e profondamente, che sia stato scelto come il migliore tra i cardinali per essere messaggero di Cristo oggi. Questo Papa porta e prende su di sé una grande Croce: la Chiesa cattolica sta attraversando un incrocio cruciale tra la fedeltà ai fondamenti della religione e l’apertura verso le più grandi diversità presenti nel mondo. Il Papa si trova in questo crocevia”. Il Papa ha scelto il nome Francesco. Che segnale ha voluto dare? “Ha scelto il nome Francesco e questa scelta ci riporta ad Assisi. Che cosa ci ha detto Benedetto XVI ad Assisi: ci ha detto che nessuno è proprietario della verità. Quindi il Papa dovrà da una parte incarnare la verità e dall’altra testimoniare che nessuno è proprietario della verità. Come? Scegliendo lo spirito di Francesco di Assisi. Mi viene in mente l’ultima lettera di Francesco di Assisi: prima di morire ha chiesto ai suoi seguaci di non tendere ad essere amati ma di amare. E il Papa scegliendo questo nome ha scelto questo Spirito”. Quale risvolto ha questo spirito nel dialogo con la cultura di oggi? “L’Inculturazione. Apre la strada verso un nuovo umanesimo che si ispira al cristianesimo ma si apre al dialogo con gli altri. Un compito estremamente difficile: quello di essere al tempo stesso fedele alla tradizione e non eludere i fondamenti della fede, ma dimostrare anche che il cattolicesimo non è una religione debole che si nega, ma al contrario, proprio perché ha questi fondamenti è capace di andare verso gli altri”. Diventare Papa è un compito pensatissimo. Quale risvolto psicologico c’è sulla persona? “Non conosco il suo profilo. Ho saputo che era già stato candidato. So anche che è psicologo e si interessa di psicologia. Come psicologi siamo molto preoccupati in questo momento dalla perdita di senso e di ruolo del padre oggi. Sappiamo tutti quanti sia diventato difficile essere madri e padri. Siamo una civiltà di orfani. Penso che il Papa ha mostrato oggi una paternità simbolica per l’intera famiglia umana”. Ma un padre prova più paura o più coraggio di fronte ai grandi eventi di un’esistenza? “Il Padre è qualcuno che incarna fiducia ed è capace di amare. C’è il padre della legge, contro il quale il figlio si rivolta. Ma c’è anche un padre che incontra il bambino e che il bambino riconosce perché sa di avere la sua fiducia e il suo amore. È il padre che è capace di unirsi a noi. È il padre del ‘credo’, che dice: ‘dammi il tuo cuore e io ti donerò il mio cuore’”. Papa Bergoglio si è abbassato per ricevere la preghiera di benedizione del popolo? “È proprio un segno che va in direzione di quello che stavamo dicendo: un padre che si mette in comunione con coloro che lo ritengono tale. Significa che lui crede in loro e domanda loro di credere in lui. Ha avuto un grande coraggio”. Un segno di speranza per il mondo? “Lo spero. Se assume questa posizione di essere sulla croce, di portare il messaggio di Gesù, di andare verso gli altri, questo Papa potrà fare qualcosa di molto importante, rifondare un nuovo umanesimo. L’Argentina è un paese che rappresenta l’America Latina ma anche è un paese vicino all’Europa. Il Papa conosce il popolo argentino, conosce la sua storia, i suoi intellettuali, la sua povertà. E questa conoscenza lo rende capace di continuare il compito di Benedetto XVI: abbracciare l’umanesimo non come un’eresia ma come partner di dialogo”. (Maria Chiara Biagioni - Sir Attualità, 14 marzo 2013) DOCUMENTI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ È l’argentino Jorge Mario Bergoglio 13 Il Cardinale Jorge Mario Bergoglio, S.I., Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina), Ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Argentina e sprovvisti di Ordinario del proprio rito, è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936. Ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. L'11 marzo 1958 è passato al noviziato della Compagnia di Gesù, ha compiuto studi umanistici in Cile e nel 1963, di ritorno a Buenos Aires, ha conseguito la laurea in filosofia presso la Facoltà di Filosofia del collegio massimo «San José» di San Miguel. Fra il 1964 e il 1965 è stato professore di letteratura e di psicologia nel collegio dell'Immacolata di Santa Fe e nel 1966 ha insegnato le stesse materie nel collegio del Salvatore di Buenos Aires. Dal 1967 al 1970 ha studiato teologia presso la Facoltà di Teologia del collegio massimo «San José», di San Miguel, dove ha conseguito la laurea. Il 13 dicembre 1969 è stato ordinato sacerdote. Nel 1970-71 ha compiuto il terzo probandato ad Alcalá de Henares (Spagna) e il 22 aprile 1973 ha fatto la sua professione perpetua. È stato maestro di novizi a Villa Barilari, San Miguel (1972-1973), professore presso la Facoltà di Teologia, Consultore della Provincia e Rettore del collegio massimo. Il 31 luglio 1973 è stato eletto Provinciale dell'Argentina, incarico che ha esercitato per sei anni. Fra il 1980 e il 1986 è stato rettore del collegio massimo e delle Facoltà di Filosofia e Teologia della stessa Casa e parroco della parrocchia del Patriarca San José, nella Diocesi di San Miguel. Nel marzo 1986 si è recato in Germania per ultimare la sua tesi dottorale; quindi i superiori lo hanno destinato al collegio del Salvatore, da dove è passato alla chiesa della Compagnia nella città di Cordoba come direttore spirituale e confessore. Il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo ha nominato Vescovo titolare di Auca e Ausiliare di Buenos Aires. Il 27 giugno dello stesso anno ha ricevuto nella cattedrale di Buenos Aires l'ordinazione episcopale dalle mani del Cardinale Antonio Quarracino, del Nunzio Apostolico Monsignor Ubaldo Calabresi e del Vescovo di Mercedes-Luján, Monsignor Emilio Ogñénovich. Il 3 giugno 1997 è stato nominato Arcivescovo Coadiutore di Buenos Aires e il 28 febbraio 1998 Arcivescovo di Buenos Aires per successione, alla morte del Cardinale Quarracino. È autore dei libri: «Meditaciones para religiosos» del 1982, «Reflexiones sobre la vida apostólica» del 1986 e «Reflexiones de esperanza» del 1992. È Ordinario per i fedeli di rito orientale residenti in Argentina che non possono contare su un Ordinario del loro rito. Gran Cancelliere dell'Università Cattolica Argentina. Relatore Generale aggiunto alla 10ª Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2001). Dal novembre 2005 al novembre 2011 è stato Presidente della Conferenza Episcopale Argentina. Dal B. Giovanni Paolo II creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 21 febbraio 2001, del Titolo di San Roberto Bellarmino. È Membro: - delle Congregazioni: per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti; per il Clero; per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica; - del Pontificio Consiglio per la Famiglia; - della Pontificia Commissione per l'America Latina. (Fonte: www.vatican.va) - Sitografia http://www.agensir.it http://www.vatican.va 14