Tavola Rotonda 2 - Progetto Culturale

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Tavola Rotonda 2
POLITICA E POTERI
Sabato 9 ottobre
SAVINO PEZZOTTA
Segretario Generale Cisl
DEMOCRAZIA E RAPPRESENTANZE
Il rapporto tra la rappresentanza sociale e quella politica è stato essenziale alla
costruzione della moderna democrazia e in particolare di quella italiana. Se guardiamo
agli attori che hanno fatto la storia della repubblica i partiti di massa, possiamo notare
come gli stessi avevano in qualche modo definito una relazione molto forte con la
rappresentanza sociale. Questo stretto rapporto ha, per lungo tempo, consentito una
fluidità di interrelazioni e di circolarità cooperative, anche quando erano segnate dal
conflitto e dall’autonomia che hanno determinato il formarsi dell’attuale modello
sociale. Oggi non è più così.
I mutamenti avvenuti nel modello elettorale e la costruzione dell’attuale bipolarismo
risentono fortemente di questo cambiamento che è quello più significativo che si è
registrato nel nostro sistema politico. La profonda metamorfosi che ha coinvolto la
rappresentanza politica che ha visto nell’ultimo decennio il sorgere di nuove forze,
l’esaurirsi di altre, il cambiare continuo di sigle, di nomi e dei tratti tradizionali, è anche
il risultato del modificarsi del rapporto con la rappresentanza sociale.
Il nostro modello democratico, il sistema politico e le stesse tradizionali forme della
rappresentanza sociale e sindacale sono costretti a fare i conti con una fluidità sociale
inedita, fatta dall’emergere di movimenti, associazioni che molte volte non durano più
di una stagione ma che contribuisco a far crescere un più complesso sentire sociale.
Tutto questo affonda le sue radici nella crescita del benessere, dell’istruzione e nella
pervasività dei mezzi di comunicazione di massa. Si è determinato un intreccio che ha
fatto crescere e ampliare la dimensione della soggettività individuale, un dato
certamente positivo e da osservare con grande attenzione, ma che ha indebolito il senso
dell’appartenenza sociale: le persone tendono a riunirsi più che ad associarsi e ciò
indipendentemente dai riferimenti di appartenenza strutturale. Sorprende che anche in
questi momenti di difficoltà economiche diffuse, il sociale continui a mantenere un
elevato grado di fluidità e fatichi a condensarsi quasi a segnare un indebolimento anche
della ragione economica.
Guardando con un po’ di attenzione la realtà sociale si nota e vive il crescere di una
“distanza” tra società e politica, tra attori sociale e attori politici. Nel vecchio sistema i
partiti erano espressione ognuno di una particolare identità sociale o culturale. Le forze
che oggi competono fanno riferimento a più diverse identità sociali e culturali, infatti,
esistono formazioni che fanno riferimento a dimensioni geografiche, altre ad alberi,
poche a identità sociali e culturali precise.
Le forze che vogliono vincere le elezioni e governare il Paese sono obbligate a
stemperare i punti di riferimento sociale e ad indebolire le caratteristiche ideologiche,
culturali e programmatiche in modo da essere in grado di rispondere a più domande
sociali.
La tendenza degli attori della politica è quella di rendere il meno riconoscibile possibile
la identità sociale e culturale per concentrarsi sulle leaderschips. Il “leaderaggio” non fa
crescere la partecipazione perché in prima istanza ha bisogno dei tifosi e gioca tutto
sull’emotività e l’immagine. La discussione politica, fondamento di un sistema
democratico, si ritira all’interno delle élites, dei gruppi e perde la dimensione di massa.
Il sistema maggioritario ha certamente favorito questo modello di aggregazione di
gruppi e partiti attorno alla personalità per fini elettorali e di governo, ma non bisogna
sottovalutare che comunque il mutamento sociale, la sua mobilità e fluidità ha favorito
questo approccio.
Un sociale sempre più complesso e articolato, mobile e movimentato, esige
un’indefinitezza della rappresentanza politica con tutto quello che questo comporta
sulla definizione dei programmi e degli atti di governo.
La rappresentanza politica non è più specchio della società. La società “semplice”
poteva organizzarsi attorno ad alcuni obiettivi, esigenze o bisogni, quella complessa in
cui viviamo gli obbiettivi, i bisogni e i desideri sono altrettanto complessi e, pertanto,
diventa difficile alla politica di raggrupparli in sintesi. Questa problematica vale anche
per il sindacalismo che da sempre è un attore importante della moderna democrazia.
Oggi il sindacato è costretto a fare i conti con elementi di profonda fluidità e con
mutamenti che pluralizzano il mondo del lavoro che non ha più un aggregato sociale
forte (come sono stati i lavoratori dell’industria) che funge da volano per l’insieme del
sindacato in termini di rivendicazione, negoziazione, azione sociale, bisogni e
conflittualità. Il mondo del lavoro dipendente è oggi molto più complesso e la sua
rappresentanza molto più difficile.
UN NUOVO RACCORDO TRA SOCIALE E POLITICA
Il malessere che attraversa la democrazia italiana e il nostro sistema politico, non si
affronta di certo con le sole riforme istituzionali o con l’affidarsi al mercato. Alla
politica bisogna chiedere qualche cosa in più. Perché ciò avvenga serve che si apra una
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profonda riflessione tra le forze della rappresentanza politica e quelle della
rappresentanza sociale, con l’obiettivo di individuare strumenti che, fatta salva la
reciproca autonomia, riescano ad individuare i tratti di una nuova relazione tra loro per
evitare il precipitare verso forme di lobbismo, di continua competizione o di forti
antagonismi.
La rappresentanza politica è però venuta a definire delle regole che gli consentono di
creare un rapporto diretto con i cittadini (elezione diretta dei sindaci, indicazione del
premier, referendum) che tendono ad inibire l’azione delle forme associative nel
rapporto tra cittadini e decisione politica. La fine della concertazione come modello di
“governance” delle società complesse, trova in queste modalità molte radici. Mentre per
un lungo periodo il sindacato era considerato un partner nella formazione della
decisione politica, dalla metà degli anni ’90 ad oggi questa funzione s’è venuta
indebolendo fino ad esaurirsi. Non tutto è dipeso dalla politica, vi ha influito anche il
crescere del pluralismo delle rappresentanze. E’ difficile concertare quando a Palazzo
Chigi affluiscono quasi quaranta associazioni di rappresentanza e con CGIL, CISL e
UIL che non hanno la stessa visione strategica.
Ragionando attorno alla democrazia, ai poteri e alla partecipazione non possiamo non
ripensare il rapporto tra le forme della rappresentanza e del ruolo distinto, ma
democraticamente complementare, che devono giocare all’interno della Repubblica. E’
oggi un tema molto complesso che non presenta soluzioni facili e risolutive. Ma è
sicuramente uno dei nodi su cui si gioca il futuro modello della nostra democrazia, anzi
lo ritengo il nodo centrale. Mentre fino agli anni ‘90 le rappresentanze costituivano lo
snodo del rapporto tra società e politica, oggi questo rapporto sembra essersi fortemente
incrinato con tutto quello che di negativo determina sulla nostra democrazia.
E’ altrettanto chiaro che se la politica si separa troppo dalla rappresentanza del sociale,
il tessuto democratico e partecipativo si sfilaccia con il rischio che il pubblico, lo Stato,
esca dalla relazione con il sociale, dalla sua capacità di orientamento generale e coesivo
per farsi semplicemente arbitro tra interessi, con il rischio che, dovendo affrontare una
complessità sociale elevata, l’arbitro tendi sempre più verso semplificazioni autoritarie
e a restringere gli spazi della partecipazione. La possibilità che nella democrazia si
declinino forme di governo dominanti non è da sottovalutare. Inoltre occorre tenere
presente che l’accentuarsi del decisionismo maggioritario fa crescere la dimensione del
conflitto a scapito di quella del confronto e del dialogo, incrinando maggiormente una
coesione sociale già oggi in profonda sofferenza e rendendo meno governabile il
sistema.
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Qui si colloca il tema della libertà e del pluralismo su cui vale la pena discutere per
valutare e decidere, anche nella mutata situazione, non solo su come controllare chi
comanda, ma soprattutto come si partecipa al dibattito pubblico e alle pubbliche
decisioni Un tema che si pone con grande urgenza in una situazione in cui avanzano
forti monopoli sulla comunicazione, sull'economia, sulla finanza e sulla tecnica e che
una globalizzazione scarsamente governata tende ad accentuare. Una situazione che è
altresì segnata da una politica fondata sul leaderismo che tende a evitare tutto ciò che si
frappone al rapporto diretto con i cittadini.. Da qui la necessità di mantenere saldo il
criterio che la democrazia ha bisogno della partecipazione dei cittadini e del ruolo
delle organizzazioni di rappresentanza della società.
Il tema della e delle libertà assume grande valenza politica e si traduce con il termine
“autonomia”. La democrazia è innanzitutto la possibilità data alle persone di
autoorganizzarsi e di formare le proprie rappresentanze; è l'idea di un vero pluralismo
fondato sulla differenziazione dei discorsi politici e delle rappresentanze politiche e
soprattutto di un reticolare tessuto di rappresentanze sociali.
Oggi le organizzazioni di rappresentanza sociale sono chiamate a non rinunciare a
fare politica e contemporaneamente ad assumere una posizione apartisan, nel
senso che non deve per nessuna ragione essere organicamente collegata a una parte
politica. Questa posizione non può significare restare indifferenti verso ciò che muta o
si muove sul terreno politico o rimanere asettica rispetto ai valori in campo, ma
impegnarsi a far agire autonomamente i valori della propria storia e della propria
peculiare rappresentanza nella società e nei confronti della politica. Toccherà alle forze
politiche, con la loro autonomia, il farsi o meno interpreti di queste istanze.
PERCORSI DI DEMOCRAZIA ECONOMICA
In questo contesto partecipativo e di rivitalizzazione della democrazia si pone anche la
questione dei poteri forti e in particolare di quello economico che sempre più
condiziona le decisioni politiche. La strada della democrazia economica appare oggi
come esigenza fondamentale per realizzare una vera democrazia compiuta. Tema non
facile considerata la situazione economica attuale e in particolare, la marcata
subalternità nei confronti dell'ideologia del mercato che si è sviluppata in Europa nel
corso dell'ultimo ventennio, sembra francamente lasciare poco spazio all'ottimismo.
Lo spirito di adesione di maggior parte della politica al processo di deregolamentazione
dell'economia sembra essere stato solo lievemente scalfito dalle prove che si sono
intanto andate accumulando circa il malfunzionamento anche del capitalismo più sviluppato, sia a livello «macroeconomico» che a livello «microeconomico» (si pensi ai
casi Enron-Andersen, Parmalat-Cirio e agli altri esempi di voracità). La situazione
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economica, i mutamenti che l’interdipendenza economica sta generando stanno creando
forti spinte regressive e un’accelerazione dei processi verso una maggiore
concentrazione della ricchezza e dei redditi, l'ulteriore contenimento della protezione
sociale e dei servizi pubblici. Il rischio è che aumenti il grado di instabilità sociale.
Diventa pertanto necessario che si risponda a questa tendenza con un’idea di
democrazia economica fondata sulla negoziazione, e su un nuovo ruolo dei lavoratori
all’interno del sistema e dei soggetti economici.
E’ su questo terreno che si gioca il vero confronto tra liberalismo democratico e
democrazia sociale, tra chi difende come unico regolatore il mercato e, quindi, della
forza dell’economico sul lavoro, i difensori della centralità dell'uomo nel suo ambiente
e, quindi, della parità del lavoro con il capitale e l’equilibrio tra dimensione sociale ed
economia. Mentre i più ritengono giusto che in una società il potere di decidere dipenda
solo dal capitale, noi continuiamo a pensare che (sempre sia possibile) che occorre
creare le opportunità perché a tutte le persone possano, anche attraverso un nuovo
modello contrattuale, partecipare alle scelte d’impresa.
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