1- FICHTE, SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE - 1794 Fichte vede nella strada intrapresa dalla Rivoluzione Francese nel campo del diritto il fine stesso a cui tende tutta l’ umanità fino alla definitiva scomparsa della forma-Stato in quanto non piú necessaria. Dopo aver osservato che questo probabilmente non avverrà mai del tutto, Fichte termina con toni messianici vagheggiando un’ età dello Spirito, nella quale si sarebbero realizzate tutte le istanze di liberazione dell’ uomo. J. G. Fichte, Contributi per rettificare il giudizio del pubblico sulla Rivoluzione francese Se veramente la cultura in vista della libertà è l’ unico fine dell’ associazione statale, tutte le costituzioni politiche, che come fine ultimo hanno lo scopo opposto, e cioè la schiavitú di tutti e la libertà di uno solo, la cultura di tutti per gli scopi di quest’ uno, e l’ impedimento di tutte le culture che conducono alla libertà di molti, non solo sono suscettibili di cambiamento, ma debbono anche essere effettivamente cambiate; dobbiamo chiederci: se fosse data una costituzione politica che si proponesse questo fine coi mezzi piú sicuri, non sarebbe essa assolutamente immutabile? Se veramente fossero scelti mezzi convenienti l’ umanità si avvicinerebbe allora a poco a poco al suo grande fine: ciascun membro di essa diverrebbe sempre piú libero, e l’ uso di quei mezzi, di cui fossero già raggiunti gli scopi, verrebbe a cessare. Se mai il fine ultimo potesse essere completamente raggiunto, non sarebbe allora piú necessaria alcuna costituzione politica; la macchina si fermerebbe perché nessuna pressione si eserciterebbe piú su di essa. La legge della ragione universale valevole unirebbe tutti nella piú completa unanimità di sentimenti, e nessun’ altra legge avrebbe piú a tenere a bada le loro azioni. Nessuna norma avrebbe piú a determinare quanto dei propri diritti ciascuno dovrebbe sacrificare alla società, poiché nessuno esigerebbe di piú di quello che è necessario, e nessuno darebbe di meno; nessun giudice avrebbe piú da dirimere le loro controversie poiché essi sarebbero sempre stati concordi.[...] L’ umanità deve avere ed avrà un solo fine ultimo, e i diversi scopi che i diversi individui si propongono per raggiungerlo, non solo si accorderanno, ma anche si faciliteranno e si sosterranno a vicenda. Non lasciatevi abbattere dal triste pensiero che ciò non si realizzerà mai. Certo, non si realizzerà mai del tutto; ma non è soltanto un dolce sogno, poiché il suo fondamento riposa sul necessario progresso dell’ umanità: la quale deve avvicinarsi, si avvicinerà e non può non avvicinarsi al questo scopo. Essa ha finalmente iniziato sotto ai vostri occhi ad aprirsi una breccia; ha compiuto, in una dura lotta contro la corruzione, e che mobilita contro di essa tutte le forze che aveva in sé e fuori di sé, qualcosa che è migliore delle vecchie costituzioni dispotiche miranti alla degradazione dell’ umanità.[...] O Gesú e Lutero, sacri geni tutelari della libertà, voi che, nei giorni della vostra umiliazione, con forza da giganti vi precipitaste sulle catene dell’ umanità e le infrangeste dovunque poneste mano, dalle alte sfere guardate giú alla vostra posterità, e rallegratevi della messe già cresciuta e ondeggiante al vento; presto si unirà a voi il terzo, che compí la vostra opera, che infranse le ultime e piú forti catene dell’ umanità, senza che essa, senza che forse egli stesso lo sapesse. Noi lo piangeremo, ma voi gli mostrerete lietamente il posto che lo attende nella vostra compagnia, e l’ epoca che lo comprenderà e lo metterà in luce vi ringrazierà. Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 905-907 1. Trova e sottolinea in nero tutti i passaggi e le espressioni ispirate alla moralità e al kantiano ‘dover essere’ 2. Sottolinea in rosso le espressioni sul progresso dell’ umanità assimilabili alla kantiana ‘pace perpetua’ 3. Cosa significa ‘libertà’ in questo testo? Motiva la risposta 4. Ultimo capoverso: dopo Gesù e Lutero, che è il misterioso ‘terzo’, legato alla Rivoluzione Francese, e perché secondo te Fichte non ne fa il nome? 2- FICHTE, LA RIVOLUZIONE FRANCESE E LA NASCITA DELL’ IDEALISMO FILOSOFICO (1762-1814) DI E. GAVOTTI Quadro culturale Le ripercussioni della Rivoluzione francese sugli intellettuali della Germania furono notevoli: Herder, Schiller, Kant, Fichte...erano repubblicani convinti, ma dopo la decapitazione di Luigi XVI la maggioranza di essi mutò atteggiamento. Ne Per la pace perpetua (1795), Kant distingue "democrazia" da "giacobinismo", evitando di dare al suo pensiero politico un contenuto rivoluzionario. Allo stesso modo fanno Schiller, Goethe, von Humboldt, Hegel... Per costoro la transizione ad una società moderna andava affidata alle riforme dei sovrani, senza il concorso delle masse popolari. Goethe ed Hegel espressero simpatia per il sistema autoritario napoleonico sino al 1815. Hegel in particolare fu sempre affascinato dalla ‘ grandezza’ di Napoleone. Anche il movimento romantico (letterario e filosofico) che, sorto intorno al 1794, faceva capo a nomi prestigiosi come F. e A.W. Schlegel, Tieck, Novalis, Schleiermacher, Schelling, era dello stesso avviso (con l’ unica eccezione, forse, del primo F. Schlegel). 5. prime reazioni della cultura tedesca di fine secolo di fronte alla Rivoluzione Nonostante questo, resta indubbia l’ influenza della Rivoluzione francese sulla produzione filosofica tedesca dell’ epoca. Come ebbe a dire Marx, la Germania partecipava solo col "pensiero" alla Rivoluzione che in Francia si viveva praticamente. Gli intellettuali tedeschi erano imbevuti delle stesse idee della borghesia francese; solo che la situazione storica della G costringeva il loro pensiero a sublimarsi sul piano letterario e speculativo, dove però avverrà una vera e propria Rivoluzione. Lo spirito critico della coscienza borghese, che nelle condizioni sociali della Francia assume una forma rivoluzionaria, nell’ immatura situazione tedesca potrà esprimersi solo sul piano della filosofia, attraverso la critica al dogmatismo, l’ elaborazione di un nuovo metodo (la dialettica), una nuova concezione della storia e dell’ uomo, insomma tramite l’ Idealismo. 6. in che modo vengono tradotte in Germania le idee illuministiche? Cos’ è l’ Idealismo? Oggetto di grande interesse nei circoli intellettuali progressisti restava la filosofia di Kant, che nel 1790 aveva concluso il ciclo delle tre opere maggiori. Si vedeva nel primato della ragion pratica la possibilità di emancipazione sociale e politica. C’ è da dire però che il romanticismo tedesco (eccettuato Hölderlin) s’ interesserà poco di politica; sarà piuttosto lo storicismo di von Haller e di Savigny ad avere un immediato rilievo politico, con l’ esaltazione dello Stato, quale prodotto storico dell’ anima del popolo (Volksgeist): famiglia, tribù e comunità allargata legittimerebbero la forma dello Stato. Ma tutto ciò in una direzi9one estranea al progressismo kantiano. 7. ruolo della filosofia di Kant nel pensiero politico tedesco dell’ epoca Quadro storico La borghesia tedesca era troppo debole per tradurre in movimento rivoluzionario le sue aspirazioni all’ unità nazionale. Essa continuava a risentire degli effetti della guerra dei trent’ anni (ove gli Asburgo svolsero una parte assai conservatrice), della Riforma protestante (che per la borghesia era stata una Rivoluzione fallita), della concorrenza economica dell’ aristocrazia (soprattutto in Prussia), del secolare frazionamento dei territori tedeschi. 8. cause storiche della debolezza della borghesia tedesca La disfatta disastrosa della Prussia del 1807 (il re era Federico Guglielmo III) stava ad indicare la netta superiorità del sistema borghese francese su quello assolutistico e feudale prussiano. L’ introduzione delle riforme borghesi era diventata necessaria. Con la pace di Tilsitt (1807) stipulata da Napoleone e lo zar Alessandro I, la Prussia subì vari smembramenti a favore delle due potenze confinanti. La corte e la classe nobiliare prussiana ne uscivano con un prestigio sociale vicino allo zero. In questo contesto la nobiltà (junkers) dovette concedere la fine della servitù della gleba dei contadini (Editto Stein del 1807), nonché alcune riforme agrarie (18071811), anche se le posizioni economiche degli junkers non vennero mai minacciate. La sconfitta dei francesi nella guerra contro la Russia (1812) determinò in Prussia un forte sviluppo del movimento di liberazione nazionale. Particolarmente impegnata in questa lotta fu l’ associazione segreta patriottica Tugendbund (Unione della virtù) che, nata a Königsberg, riuniva cittadini borghesi, studenti, militari, avendo come obiettivo la modernizzazione della Prussia: liquidazione dei rapporti feudali, introduzione di una costituzione, oltre naturalmente alla liberazione nazionale. Invece il Congresso di Vienna decise di restaurare i principi e gli ordinamenti feudali. 9. effetti sulla Prussia delle guerre napoleoniche Biografia politica e filosofica di Fichte Nel 1788 il giovane Fichte esprime una certa apertura verso le idee dell’ illuminismo radicale. Ha pure intenzione di scrivere un libro contro la corruzione del governo prussiano, sulla base delle idee di Montesquieu. Nel 1793 apparvero anonimi due scritti coi quali egli difende la Rivoluzione francese: Rivendicazione della libertà di pensiero dai principi d’ Europa che l’ hanno finora repressa e Contributi per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese. Suscitarono enorme scalpore. In essi Fichte rivendicava il primato della coscienza individuale che può opporsi ai regimi oppressivi. Politicamente Fichte affermava idee giusnaturalistiche del potere fondato sul contratto e sul consenso (contro l’ idea dell’ origine divina del potere). Egli si esprime contro la nobiltà parassitaria (vedi ad es. il concetto di proprietà come frutto del lavoro produttivo), ed afferma l’ idea della liberazione dalla schiavitù dei bisogni, simpatizzando per il movimento giacobino. Sostiene anzi che le rivendicazioni delle classi povere avevano trovato in Francia solo una parziale rispondenza nella politica di Robespierre. 10. Primi giudizi di F. sulla Rivoluzione e sui giacobini Dal 1794 al ‘ 99, con l’ aiuto di Goethe, insegna all’ Università di Jena, subentrando a Reinhold. Le sue Lezioni sulla missione del dotto (1794) suscitarono proteste a causa del loro contenuto democratico. Finché, cinque anni dopo, con il pretesto di aver insegnato l’ ateismo (egli aveva anche preso le difese di Kant, attaccato dal regime per la sua opera La religione entro i limiti della semplice ragione), il governo di Weimar decide la sua espulsione dall’ Università. Fichte venne coinvolto nella polemica sull’ ateismo per due ragioni: 1) un suo discepolo, tale Forberg, aveva sostenuto che si poteva non credere in Dio ed essere religiosi, in quanto era sufficiente credere nella virtù; 2) lo stesso Fichte sosteneva una stretta coincidenza di Dio e ordine morale del mondo, ma dal punto di vista della moralità. Suo principale accusatore fu Jacobi, alleato in quella occasione del giovane Schelling e dello stesso Goethe, allora decano dell’ Università di Weimar. 11. ragioni della cacciata dall’ Università di Jena Durante il periodo di Jena, Fichte concepì la prima stesura della sua filosofia generale: Fondamenti dell’ intera dottrina della scienza (1794), ponendo un preciso parallelismo fra le sue idee filosofiche e la Rivoluzione francese. Egli cioè riteneva che il suo sistema potesse liberare filosoficamente i tedeschi (dalla teologia, dalla metafisica, dalla dogmatica), così come la Rivoluzione aveva liberato i francesi dall’ oppressione politica e sociale. L’ idea centrale è quella di dare un fondamento teoretico alla libera decisionalità umana, all’ indipendenza dell’ uomo da ogni autorità ch’ egli stesso non abbia istituito. 12. Contenuto politico della Dottrina della scienza Allo scopo di illustrare meglio i rapporti posti nella Dottrina della scienza fra IO e non-IO, cioè fra soggetto e oggetto, fra l’ uomo e la realtà esterna, Fichte pubblica due opere: la prima di filosofia politica, Fondamento del diritto naturale (1796-97). In essa, egli critica l’ astrattezza della nozione giusnaturalistica di "diritto originario" pre-contrattuale, contrapponendole l’ idea che l’ uomo è realmente titolare di diritti soltanto quando vive in comunità con altri (contrappone cioè il diritto civile al diritto naturale). La seconda opera è di filosofia morale: Sistema della dottrina morale (1798). In essa, Fichte afferma che l’ IO deve realizzare la propria libertà negli istituti giuridici positivi, se vuole sentirsi libero anche socialmente. Viene così anticipata la hegeliana ‘eticità’. Naturalmente per Fichte la conquista della libertà è frutto di un lungo cammino che porterà l’ umanità ad essere sempre più razionale. 13. Fichte ed il giusnaturalismo Dopo il periodo di Jena, Fichte si trasferisce a Berlino, dove entra in contatto con alcuni gruppi romantici che gravitavano intorno alla rivista "Athenaeum". A causa di questo legame e anche a motivo dell’ influsso della filosofia di Schelling (nuovo astro dell’ Università di Jena), Fichte matura una specie di crisi mistico-teologica, rinvenibile nell’ uso di alcuni temi neoplatonici. Nel 1800 pubblica un’ esposizione divulgativa della Dottrina della scienza, per cercare di renderla il meno astratta possibile: è La missione dell’ uomo (i rifacimenti della Dottrina della scienza furono in realtà una dozzina). In quest’ opera Fiche subordina l’ Io al concetto di Assoluto: l’ uomo è tanto più Dio quanto più si appropria del sapere dell’ Assoluto inteso come uno e immutabile, Vita, Volontà eterna, Ragione eterna. Occorre un fondamento più sicuro di quanto fosse l’ IO al concetto di libertà. Sicuramente questa è anche una svolta politica: c’ era stato intanto il Terrore. L’ IO assoluto come unico fondamento di se stesso può giungere alla mostruosità del Terrore (Hegel dirà: alla negatività assoluta, alla furia del distruggere); quando invece l’ Io sia fondato sulla realtà (storica, sociale, etica) che si affaccia dietro al concetto di Assoluto, la ricerca della libertà diventa concreta e non più velleitaria come nel Terrore. 14. Nuovi temi introdotti da Fiche a Berlino e loro fonti ispiratrici; 15. Valenza politica della nuova concezione fichtiana; Il cuore politico di Fichte si riaccende durante l’ occupazione napoleonica di Berlino. A partire dal dicembre 1807, per 14 domeniche consecutive, egli diventa, coi suoi Discorsi alla nazione tedesca, l’ animatore della resistenza tedesca. Tollerate dalle autorità francesi e seguite da un non foltissimo pubblico, le conferenze furono pubblicate nel 1808 e divennero nel giro di pochi anni un importante punto di riferimento per la coscienza nazionale tedesca. In queste conferenze egli sostiene una presunta superiorità etnico-culturale del popolo tedesco (argomento-cardine del futuro pangermanesimo). Idee analoghe si ritrovavano già in A.W. Schlegel. A differenza di questi, tuttavia, Fichte non pensò mai di ricostruire il Sacro Romano Impero Germanico: la sua visione in questo senso è più moderna di quella di Schlegel, sostiene lo Stato-Nazione (con involontario riferimento a Rousseau ed al giacobinismo) anziché il fantasma del vecchio Impero universale. 16. novità ed importanza dei Discorsi alla nazione tedesca; 17. Differenze tra Fichte e Schlegel; Nei Discorsi alla nazione tedesca Fichte pone sia i temi tipici del nazionalismo romantico, sia la concezione della storia e della lingua di tradizione herderiana. Tra tutti i popoli solo i tedeschi sarebbero rimasti un "popolo primitivo" (spirituale), capace di mantenere inalterata la propria tradizione etnica, linguistica e culturale. Naturalmente dire queste cose per difendere la patria da un nemico che la occupa ha un peso diverso che dirle per giustificare una politica di aggressione in nome di una presunta "superiorità razziale". E tuttavia, il popolo tedesco costituiva per Fichte una unità organica, storica, che aveva una missione universale da compiere: quella di ripristinare nel mondo la civiltà della ragione idealistica, romantica, antimateriale e antiedonistica. Il nazionalismo di Fichte è assoluto: i tedeschi, a differenza dei francesi, avrebbero un "Io metafisico" tendente spontaneamente alla libertà; il cristianesimo autentico, attraverso Lutero, ha potuto affermarsi solo in Germania. Questa posizione si presterà facilmente ad essere strumentalizzata dal nazionalismo tedesco. La linea storiografica che possiamo chiamare “da Lutero a Hitler” vede in Fichte lo snodo centrale dello sviluppo nazionale tedesco. 18. caratteri peculiari del nazionalismo di F. 19. uso politico successivo delle teorie di F. Gnoseologia. La critica a Kant In Fichte gli sviluppi interni al kantismo giungono per la prima volta a un sistema idealisticosoggettivistico. Egli rifiuta il noumeno kantiano perché non vuole riconoscere dei limiti esterni insuperabili alla fondazione dell’ IO, indipendenti dalla conoscenza. La "cosa in sé" infatti è inconoscibile e irrapresentabile. Fichte è convinto che l’ IO ha in sé ragioni sufficienti per comprendere se stesso e modificare la realtà. L’ IO trascendentale o puro di Fichte ha poco a che vedere con l’ Io penso di Kant: infatti esso è superiore all’ Io empirico proprio di ogni uomo, pur essendo immanente in ciascuno. L’ IO e il non-IO sono dedotti da un principio unico, assoluto, incondizionato, chiamato IO trascendentale (che riduce il noumeno a fenomeno). La libertà che Kant aveva negato in sede teoretica (affermando l’ inconoscibilità del noumeno) e che aveva affermato in sede pratica (come legge del dovere in sé), viene da Fichte posta anzitutto nell’ incondizionatezza dell’ IO, che ha bisogno solo di se stesso per sentirsi libero. In tal modo egli è convinto di aver fondato la filosofia come scienza. Questa filosofia rende legittimo l’ agire morale, mentre per Kant è la moralità della ragion pratica che aiuta l’ Io penso ad abbracciare la metafisica. Lo sviluppo dell’ IO 20. affinità/differenze col soggettivismo kantiano Il primo principio che giustifica l’ unità del sapere è l’ IO, che è l’ origine pura e assoluta del mondo, in quanto autocoscienza, cioè non sostanza già data, precostituita, ma infinita attività, con la quale si pensa e si fa. L’ IO si attua pensandosi, anche senza la consapevolezza che l’ uomo può avere di questa attività. E’ posto da se stesso (TESI) ed è percepibile non come forma pura (questo sarà un risultato finale della conoscenza), ma in connessione a dei limiti da cui l’ IO deve liberarsi se vuole raggiungere la piena identità di sé, ovvero la sua assoluta autocoscienza. L’ uomo si accorge dell’ esistenza di un IO puro e originario, pur in presenza di questi limiti, attraverso la deduzione immediata, senza altre dimostrazioni, in quanto l’ IO s’ impone da sé. L’ IO infatti è anteriore alla coscienza, ha cioè una produzione inconscia, una spontaneità creatrice primordiale, in quanto tende infinitamente a raggiungere una meta ideale di perfezione: l’ essere deriva da questa primordiale azione dell’ IO (qui si possono fare dei paralleli col titanismo eroico dei romantici). 21. aspetti metafisici ed eroici della concezione fichtiana dell’ IO Perché l’ IO divenga autocoscienza e si affermi come moralità è necessario che ponga il non-IO (ANTITESI, A=nonA), grazie al quale può diventare oggettivo. Cioè il non-IO o la realtà viene considerata da Fichte solo come un momento che l’ IO utilizza per sé, per prendere consapevolezza di sé in maniera oggettiva. Il non-IO non rappresenta un limite reale, ma un limite fittizio che si dà l’ IO per uscire dall’ indeterminatezza e dalla inconsapevolezza. Il non-IO non ha una realtà propria, altrimenti l’ IO perderebbe la propria assolutezza; però la realtà del non-IO non può mai essere definitivamente assorbita dall’ IO. Il limite del non-IO infatti si sposta, ma non scompare, permettendo così la prosecuzione del processo del sapere. Questa caduta dell’ IO nel non-IO introduce il senso della dialettica idealistica che verrà sviluppata da Hegel. L’ IO va concepito in divenire non in essere. Il momento della SINTESI è quello della limitazione reciproca. l’ IO assoluto, infinito, produce tanti Io divisibili (cioè finiti, limitati), ai quali si oppongono tanti non-Io divisibili. L’ attività conoscitiva si fonda sul fatto che l’ IO viene determinato dal non-IO; l’ attività pratica si fonda sul contrario. 22. Esponi in forma di triade (tesi/antitesi/sintesi) i momenti della deduzione assoluta Conclusioni critiche 1) La teoria dell’ IO assoluto, combinata con il volontarismo etico nella prassi, esprime l’ illusione che le condizioni socio-politiche dell’ epoca si potessero cambiare trasformando la coscienza degli uomini. 2) Fichte ha rivalutato moltissimo l’ idea della deduzione (che proviene dalla tradizione del razionalismo spinoziano e wolffiano) quale strumento epistemologico adatto per promuovere la certezza degli enunciati scientifici. Ma questa forma di unificazione del sapere in un quadro metafisico si traduce inevitabilmente in un ostacolo allo sviluppo scientifico, se non trova una connessione con l’ idea di razionalità implicita nella scienza illuminista, secondo cui la ragione si realizza tramite una progressiva divisione di campi e settori del sapere, autosufficienti nei propri oggetti e nei rapporti di ricerca. 3) A Fichte è mancato il momento della sintesi. L’ Io che oppone nell’ Io all’ io divisibile un non-io divisibile, pone in realtà una soluzione di ripiego. Tanto che l’ impressione di trovarsi di fronte a un nonio finto, illusorio, artificiale, è netta. 4) L’ io di Fichte (che si suddivide, metafisicamente, in un Io trascendentale e un io empirico), ad un certo punto deve relativizzarsi, ridimensionando le sue pretese, poiché l’ opposizione del non-io (quella reale, non quella posta artificiosamente dall’ io) è più forte di quel che poteva sembrare. In tal modo Fichte esprime l’ illusione di quegli individualisti che credono di poter cambiare, con la forza della loro volontà, il destino del mondo, salvo poi scendere a indegni compromessi pur di non rinunciare, in toto, alla propria ideologia. I sospetti su Fichte emergono quando ci si accorge che il non-io posto dall’ io, alla fine si rivela più forte dell’ io stesso. E’ questo che fa sembrare artificiosa la sintesi di Fichte. 23. esponi separatamente le 4 critiche mosse a Fichte; indica, per ognuna, se ti pare attendibile o meno