FICHTE, L`IDEALISMO E LA RIVOLUZIONE FRANCESE (1762

1- FICHTE, SULLA RIVOLUZIONE FRANCESE - 1794
Fichte vede nella strada intrapresa dalla Rivoluzione Francese nel campo del diritto il fine stesso a cui
tende tutta l’ umanità fino alla definitiva scomparsa della forma-Stato in quanto non piú necessaria.
Dopo aver osservato che questo probabilmente non avverrà mai del tutto, Fichte termina con toni
messianici vagheggiando un’ età dello Spirito, nella quale si sarebbero realizzate tutte le istanze di
liberazione dell’ uomo.
J. G. Fichte, Contributi per rettificare il giudizio del pubblico sulla Rivoluzione francese
Se veramente la cultura in vista della libertà è l’ unico fine dell’ associazione statale, tutte le costituzioni
politiche, che come fine ultimo hanno lo scopo opposto, e cioè la schiavitú di tutti e la libertà di uno
solo, la cultura di tutti per gli scopi di quest’ uno, e l’ impedimento di tutte le culture che conducono alla
libertà di molti, non solo sono suscettibili di cambiamento, ma debbono anche essere effettivamente
cambiate; dobbiamo chiederci: se fosse data una costituzione politica che si proponesse questo fine coi
mezzi piú sicuri, non sarebbe essa assolutamente immutabile?
Se veramente fossero scelti mezzi convenienti l’ umanità si avvicinerebbe allora a poco a poco al suo
grande fine: ciascun membro di essa diverrebbe sempre piú libero, e l’ uso di quei mezzi, di cui fossero
già raggiunti gli scopi, verrebbe a cessare. Se mai il fine ultimo potesse essere completamente raggiunto,
non sarebbe allora piú necessaria alcuna costituzione politica; la macchina si fermerebbe perché nessuna
pressione si eserciterebbe piú su di essa. La legge della ragione universale valevole unirebbe tutti nella
piú completa unanimità di sentimenti, e nessun’ altra legge avrebbe piú a tenere a bada le loro azioni.
Nessuna norma avrebbe piú a determinare quanto dei propri diritti ciascuno dovrebbe sacrificare alla
società, poiché nessuno esigerebbe di piú di quello che è necessario, e nessuno darebbe di meno; nessun
giudice avrebbe piú da dirimere le loro controversie poiché essi sarebbero sempre stati concordi.[...]
L’ umanità deve avere ed avrà un solo fine ultimo, e i diversi scopi che i diversi individui si propongono
per raggiungerlo, non solo si accorderanno, ma anche si faciliteranno e si sosterranno a vicenda. Non
lasciatevi abbattere dal triste pensiero che ciò non si realizzerà mai. Certo, non si realizzerà mai del tutto;
ma non è soltanto un dolce sogno, poiché il suo fondamento riposa sul necessario progresso dell’
umanità: la quale deve avvicinarsi, si avvicinerà e non può non avvicinarsi al questo scopo. Essa ha
finalmente iniziato sotto ai vostri occhi ad aprirsi una breccia; ha compiuto, in una dura lotta contro la
corruzione, e che mobilita contro di essa tutte le forze che aveva in sé e fuori di sé, qualcosa che è
migliore delle vecchie costituzioni dispotiche miranti alla degradazione dell’ umanità.[...]
O Gesú e Lutero, sacri geni tutelari della libertà, voi che, nei giorni della vostra umiliazione, con forza
da giganti vi precipitaste sulle catene dell’ umanità e le infrangeste dovunque poneste mano, dalle alte
sfere guardate giú alla vostra posterità, e rallegratevi della messe già cresciuta e ondeggiante al vento;
presto si unirà a voi il terzo, che compí la vostra opera, che infranse le ultime e piú forti catene dell’
umanità, senza che essa, senza che forse egli stesso lo sapesse. Noi lo piangeremo, ma voi gli mostrerete
lietamente il posto che lo attende nella vostra compagnia, e l’ epoca che lo comprenderà e lo metterà in
luce vi ringrazierà.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 905-907
1. Trova e sottolinea in nero tutti i passaggi e le espressioni ispirate alla moralità e al kantiano ‘dover
essere’
2. Sottolinea in rosso le espressioni sul progresso dell’ umanità assimilabili alla kantiana ‘pace perpetua’
3. Cosa significa ‘libertà’ in questo testo? Motiva la risposta
4. Ultimo capoverso: dopo Gesù e Lutero, che è il misterioso ‘terzo’, legato alla Rivoluzione Francese, e
perché secondo te Fichte non ne fa il nome?
2- FICHTE, LA RIVOLUZIONE FRANCESE E LA NASCITA DELL’ IDEALISMO
FILOSOFICO
(1762-1814) DI E. GAVOTTI
Quadro culturale
Le ripercussioni della Rivoluzione francese sugli intellettuali della Germania furono notevoli: Herder,
Schiller, Kant, Fichte...erano repubblicani convinti, ma dopo la decapitazione di Luigi XVI la
maggioranza di essi mutò atteggiamento.
Ne Per la pace perpetua (1795), Kant distingue "democrazia" da "giacobinismo", evitando di dare al suo
pensiero politico un contenuto rivoluzionario. Allo stesso modo fanno Schiller, Goethe, von Humboldt,
Hegel... Per costoro la transizione ad una società moderna andava affidata alle riforme dei sovrani, senza
il concorso delle masse popolari. Goethe ed Hegel espressero simpatia per il sistema autoritario
napoleonico sino al 1815. Hegel in particolare fu sempre affascinato dalla ‘ grandezza’ di Napoleone.
Anche il movimento romantico (letterario e filosofico) che, sorto intorno al 1794, faceva capo a nomi
prestigiosi come F. e A.W. Schlegel, Tieck, Novalis, Schleiermacher, Schelling, era dello stesso avviso
(con l’ unica eccezione, forse, del primo F. Schlegel).
5. prime reazioni della cultura tedesca di fine secolo di fronte alla Rivoluzione
Nonostante questo, resta indubbia l’ influenza della Rivoluzione francese sulla produzione filosofica
tedesca dell’ epoca. Come ebbe a dire Marx, la Germania partecipava solo col "pensiero" alla
Rivoluzione che in Francia si viveva praticamente.
Gli intellettuali tedeschi erano imbevuti delle stesse idee della borghesia francese; solo che la situazione
storica della G costringeva il loro pensiero a sublimarsi sul piano letterario e speculativo, dove però
avverrà una vera e propria Rivoluzione. Lo spirito critico della coscienza borghese, che nelle condizioni
sociali della Francia assume una forma rivoluzionaria, nell’ immatura situazione tedesca potrà
esprimersi solo sul piano della filosofia, attraverso la critica al dogmatismo, l’ elaborazione di un nuovo
metodo (la dialettica), una nuova concezione della storia e dell’ uomo, insomma tramite l’ Idealismo.
6. in che modo vengono tradotte in Germania le idee illuministiche? Cos’ è l’ Idealismo?
Oggetto di grande interesse nei circoli intellettuali progressisti restava la filosofia di Kant, che nel 1790
aveva concluso il ciclo delle tre opere maggiori. Si vedeva nel primato della ragion pratica la possibilità
di emancipazione sociale e politica. C’ è da dire però che il romanticismo tedesco (eccettuato Hölderlin)
s’ interesserà poco di politica; sarà piuttosto lo storicismo di von Haller e di Savigny ad avere un
immediato rilievo politico, con l’ esaltazione dello Stato, quale prodotto storico dell’ anima del popolo
(Volksgeist): famiglia, tribù e comunità allargata legittimerebbero la forma dello Stato. Ma tutto ciò in
una direzi9one estranea al progressismo kantiano.
7. ruolo della filosofia di Kant nel pensiero politico tedesco dell’ epoca
Quadro storico
La borghesia tedesca era troppo debole per tradurre in movimento rivoluzionario le sue aspirazioni all’
unità nazionale. Essa continuava a risentire degli effetti della guerra dei trent’ anni (ove gli Asburgo
svolsero una parte assai conservatrice), della Riforma protestante (che per la borghesia era stata una
Rivoluzione fallita), della concorrenza economica dell’ aristocrazia (soprattutto in Prussia), del secolare
frazionamento dei territori tedeschi.
8. cause storiche della debolezza della borghesia tedesca
La disfatta disastrosa della Prussia del 1807 (il re era Federico Guglielmo III) stava ad indicare la netta
superiorità del sistema borghese francese su quello assolutistico e feudale prussiano. L’ introduzione
delle riforme borghesi era diventata necessaria.
Con la pace di Tilsitt (1807) stipulata da Napoleone e lo zar Alessandro I, la Prussia subì vari
smembramenti a favore delle due potenze confinanti. La corte e la classe nobiliare prussiana ne uscivano
con un prestigio sociale vicino allo zero. In questo contesto la nobiltà (junkers) dovette concedere la fine
della servitù della gleba dei contadini (Editto Stein del 1807), nonché alcune riforme agrarie (18071811), anche se le posizioni economiche degli junkers non vennero mai minacciate.
La sconfitta dei francesi nella guerra contro la Russia (1812) determinò in Prussia un forte sviluppo del
movimento di liberazione nazionale. Particolarmente impegnata in questa lotta fu l’ associazione segreta
patriottica Tugendbund (Unione della virtù) che, nata a Königsberg, riuniva cittadini borghesi, studenti,
militari, avendo come obiettivo la modernizzazione della Prussia: liquidazione dei rapporti feudali,
introduzione di una costituzione, oltre naturalmente alla liberazione nazionale. Invece il Congresso di
Vienna decise di restaurare i principi e gli ordinamenti feudali.
9. effetti sulla Prussia delle guerre napoleoniche
Biografia politica e filosofica di Fichte
Nel 1788 il giovane Fichte esprime una certa apertura verso le idee dell’ illuminismo radicale. Ha pure
intenzione di scrivere un libro contro la corruzione del governo prussiano, sulla base delle idee di
Montesquieu.
Nel 1793 apparvero anonimi due scritti coi quali egli difende la Rivoluzione francese: Rivendicazione
della libertà di pensiero dai principi d’ Europa che l’ hanno finora repressa e Contributi per rettificare
i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese. Suscitarono enorme scalpore. In essi Fichte rivendicava
il primato della coscienza individuale che può opporsi ai regimi oppressivi. Politicamente Fichte
affermava idee giusnaturalistiche del potere fondato sul contratto e sul consenso (contro l’ idea dell’
origine divina del potere). Egli si esprime contro la nobiltà parassitaria (vedi ad es. il concetto di
proprietà come frutto del lavoro produttivo), ed afferma l’ idea della liberazione dalla schiavitù dei
bisogni, simpatizzando per il movimento giacobino. Sostiene anzi che le rivendicazioni delle classi
povere avevano trovato in Francia solo una parziale rispondenza nella politica di Robespierre.
10. Primi giudizi di F. sulla Rivoluzione e sui giacobini
Dal 1794 al ‘ 99, con l’ aiuto di Goethe, insegna all’ Università di Jena, subentrando a Reinhold. Le
sue Lezioni sulla missione del dotto (1794) suscitarono proteste a causa del loro contenuto democratico.
Finché, cinque anni dopo, con il pretesto di aver insegnato l’ ateismo (egli aveva anche preso le difese di
Kant, attaccato dal regime per la sua opera La religione entro i limiti della semplice ragione), il governo
di Weimar decide la sua espulsione dall’ Università. Fichte venne coinvolto nella polemica sull’ ateismo
per due ragioni: 1) un suo discepolo, tale Forberg, aveva sostenuto che si poteva non credere in Dio ed
essere religiosi, in quanto era sufficiente credere nella virtù; 2) lo stesso Fichte sosteneva una stretta
coincidenza di Dio e ordine morale del mondo, ma dal punto di vista della moralità. Suo principale
accusatore fu Jacobi, alleato in quella occasione del giovane Schelling e dello stesso Goethe, allora
decano dell’ Università di Weimar.
11. ragioni della cacciata dall’ Università di Jena
Durante il periodo di Jena, Fichte concepì la prima stesura della sua filosofia generale: Fondamenti dell’
intera dottrina della scienza (1794), ponendo un preciso parallelismo fra le sue idee filosofiche e la
Rivoluzione francese. Egli cioè riteneva che il suo sistema potesse liberare filosoficamente i tedeschi
(dalla teologia, dalla metafisica, dalla dogmatica), così come la Rivoluzione aveva liberato i francesi
dall’ oppressione politica e sociale. L’ idea centrale è quella di dare un fondamento teoretico alla libera
decisionalità umana, all’ indipendenza dell’ uomo da ogni autorità ch’ egli stesso non abbia istituito.
12. Contenuto politico della Dottrina della scienza
Allo scopo di illustrare meglio i rapporti posti nella Dottrina della scienza fra IO e non-IO, cioè fra
soggetto e oggetto, fra l’ uomo e la realtà esterna, Fichte pubblica due opere: la prima di filosofia
politica, Fondamento del diritto naturale (1796-97). In essa, egli critica l’ astrattezza della nozione
giusnaturalistica di "diritto originario" pre-contrattuale, contrapponendole l’ idea che l’ uomo è
realmente titolare di diritti soltanto quando vive in comunità con altri (contrappone cioè il diritto civile al
diritto naturale). La seconda opera è di filosofia morale: Sistema della dottrina morale (1798). In essa,
Fichte afferma che l’ IO deve realizzare la propria libertà negli istituti giuridici positivi, se vuole sentirsi
libero anche socialmente. Viene così anticipata la hegeliana ‘eticità’. Naturalmente per Fichte la
conquista della libertà è frutto di un lungo cammino che porterà l’ umanità ad essere sempre più
razionale.
13. Fichte ed il giusnaturalismo
Dopo il periodo di Jena, Fichte si trasferisce a Berlino, dove entra in contatto con alcuni gruppi
romantici che gravitavano intorno alla rivista "Athenaeum". A causa di questo legame e anche a motivo
dell’ influsso della filosofia di Schelling (nuovo astro dell’ Università di Jena), Fichte matura una specie
di crisi mistico-teologica, rinvenibile nell’ uso di alcuni temi neoplatonici. Nel 1800 pubblica un’
esposizione divulgativa della Dottrina della scienza, per cercare di renderla il meno astratta possibile: è
La missione dell’ uomo (i rifacimenti della Dottrina della scienza furono in realtà una dozzina). In quest’
opera Fiche subordina l’ Io al concetto di Assoluto: l’ uomo è tanto più Dio quanto più si appropria del
sapere dell’ Assoluto inteso come uno e immutabile, Vita, Volontà eterna, Ragione eterna. Occorre un
fondamento più sicuro di quanto fosse l’ IO al concetto di libertà. Sicuramente questa è anche una svolta
politica: c’ era stato intanto il Terrore. L’ IO assoluto come unico fondamento di se stesso può giungere
alla mostruosità del Terrore (Hegel dirà: alla negatività assoluta, alla furia del distruggere); quando
invece l’ Io sia fondato sulla realtà (storica, sociale, etica) che si affaccia dietro al concetto di Assoluto,
la ricerca della libertà diventa concreta e non più velleitaria come nel Terrore.
14. Nuovi temi introdotti da Fiche a Berlino e loro fonti ispiratrici;
15. Valenza politica della nuova concezione fichtiana;
Il cuore politico di Fichte si riaccende durante l’ occupazione napoleonica di Berlino. A partire dal
dicembre 1807, per 14 domeniche consecutive, egli diventa, coi suoi Discorsi alla nazione tedesca, l’
animatore della resistenza tedesca. Tollerate dalle autorità francesi e seguite da un non foltissimo
pubblico, le conferenze furono pubblicate nel 1808 e divennero nel giro di pochi anni un importante
punto di riferimento per la coscienza nazionale tedesca. In queste conferenze egli sostiene una presunta
superiorità etnico-culturale del popolo tedesco (argomento-cardine del futuro pangermanesimo). Idee
analoghe si ritrovavano già in A.W. Schlegel. A differenza di questi, tuttavia, Fichte non pensò mai di
ricostruire il Sacro Romano Impero Germanico: la sua visione in questo senso è più moderna di quella di
Schlegel, sostiene lo Stato-Nazione (con involontario riferimento a Rousseau ed al giacobinismo)
anziché il fantasma del vecchio Impero universale.
16. novità ed importanza dei Discorsi alla nazione tedesca;
17. Differenze tra Fichte e Schlegel;
Nei Discorsi alla nazione tedesca Fichte pone sia i temi tipici del nazionalismo romantico, sia la
concezione della storia e della lingua di tradizione herderiana. Tra tutti i popoli solo i tedeschi sarebbero
rimasti un "popolo primitivo" (spirituale), capace di mantenere inalterata la propria tradizione etnica,
linguistica e culturale. Naturalmente dire queste cose per difendere la patria da un nemico che la occupa
ha un peso diverso che dirle per giustificare una politica di aggressione in nome di una presunta
"superiorità razziale". E tuttavia, il popolo tedesco costituiva per Fichte una unità organica, storica, che
aveva una missione universale da compiere: quella di ripristinare nel mondo la civiltà della ragione
idealistica, romantica, antimateriale e antiedonistica.
Il nazionalismo di Fichte è assoluto: i tedeschi, a differenza dei francesi, avrebbero un "Io metafisico"
tendente spontaneamente alla libertà; il cristianesimo autentico, attraverso Lutero, ha potuto affermarsi
solo in Germania. Questa posizione si presterà facilmente ad essere strumentalizzata dal nazionalismo
tedesco. La linea storiografica che possiamo chiamare “da Lutero a Hitler” vede in Fichte lo snodo
centrale dello sviluppo nazionale tedesco.
18. caratteri peculiari del nazionalismo di F.
19. uso politico successivo delle teorie di F.
Gnoseologia. La critica a Kant
In Fichte gli sviluppi interni al kantismo giungono per la prima volta a un sistema idealisticosoggettivistico. Egli rifiuta il noumeno kantiano perché non vuole riconoscere dei limiti esterni
insuperabili alla fondazione dell’ IO, indipendenti dalla conoscenza. La "cosa in sé" infatti è
inconoscibile e irrapresentabile. Fichte è convinto che l’ IO ha in sé ragioni sufficienti per comprendere
se stesso e modificare la realtà. L’ IO trascendentale o puro di Fichte ha poco a che vedere con l’ Io
penso di Kant: infatti esso è superiore all’ Io empirico proprio di ogni uomo, pur essendo immanente in
ciascuno. L’ IO e il non-IO sono dedotti da un principio unico, assoluto, incondizionato, chiamato IO
trascendentale (che riduce il noumeno a fenomeno).
La libertà che Kant aveva negato in sede teoretica (affermando l’ inconoscibilità del noumeno) e che
aveva affermato in sede pratica (come legge del dovere in sé), viene da Fichte posta anzitutto nell’
incondizionatezza dell’ IO, che ha bisogno solo di se stesso per sentirsi libero. In tal modo egli è
convinto di aver fondato la filosofia come scienza. Questa filosofia rende legittimo l’ agire morale,
mentre per Kant è la moralità della ragion pratica che aiuta l’ Io penso ad abbracciare la metafisica.
Lo sviluppo dell’ IO
20. affinità/differenze col soggettivismo kantiano
Il primo principio che giustifica l’ unità del sapere è l’ IO, che è l’ origine pura e assoluta del mondo, in
quanto autocoscienza, cioè non sostanza già data, precostituita, ma infinita attività, con la quale si pensa
e si fa. L’ IO si attua pensandosi, anche senza la consapevolezza che l’ uomo può avere di questa attività.
E’ posto da se stesso (TESI) ed è percepibile non come forma pura (questo sarà un risultato finale della
conoscenza), ma in connessione a dei limiti da cui l’ IO deve liberarsi se vuole raggiungere la piena
identità di sé, ovvero la sua assoluta autocoscienza. L’ uomo si accorge dell’ esistenza di un IO puro e
originario, pur in presenza di questi limiti, attraverso la deduzione immediata, senza altre dimostrazioni,
in quanto l’ IO s’ impone da sé. L’ IO infatti è anteriore alla coscienza, ha cioè una produzione
inconscia, una spontaneità creatrice primordiale, in quanto tende infinitamente a raggiungere una meta
ideale di perfezione: l’ essere deriva da questa primordiale azione dell’ IO (qui si possono fare dei
paralleli col titanismo eroico dei romantici).
21. aspetti metafisici ed eroici della concezione fichtiana dell’ IO
Perché l’ IO divenga autocoscienza e si affermi come moralità è necessario che ponga il non-IO
(ANTITESI, A=nonA), grazie al quale può diventare oggettivo. Cioè il non-IO o la realtà viene
considerata da Fichte solo come un momento che l’ IO utilizza per sé, per prendere consapevolezza di sé
in maniera oggettiva. Il non-IO non rappresenta un limite reale, ma un limite fittizio che si dà l’ IO per
uscire dall’ indeterminatezza e dalla inconsapevolezza. Il non-IO non ha una realtà propria, altrimenti l’
IO perderebbe la propria assolutezza; però la realtà del non-IO non può mai essere definitivamente
assorbita dall’ IO. Il limite del non-IO infatti si sposta, ma non scompare, permettendo così la
prosecuzione del processo del sapere. Questa caduta dell’ IO nel non-IO introduce il senso della
dialettica idealistica che verrà sviluppata da Hegel. L’ IO va concepito in divenire non in essere.
Il momento della SINTESI è quello della limitazione reciproca. l’ IO assoluto, infinito, produce tanti Io
divisibili (cioè finiti, limitati), ai quali si oppongono tanti non-Io divisibili. L’ attività conoscitiva si
fonda sul fatto che l’ IO viene determinato dal non-IO; l’ attività pratica si fonda sul contrario.
22. Esponi in forma di triade (tesi/antitesi/sintesi) i momenti della deduzione assoluta
Conclusioni critiche
1) La teoria dell’ IO assoluto, combinata con il volontarismo etico nella prassi, esprime l’ illusione che le
condizioni socio-politiche dell’ epoca si potessero cambiare trasformando la coscienza degli uomini.
2) Fichte ha rivalutato moltissimo l’ idea della deduzione (che proviene dalla tradizione del razionalismo
spinoziano e wolffiano) quale strumento epistemologico adatto per promuovere la certezza degli
enunciati scientifici. Ma questa forma di unificazione del sapere in un quadro metafisico si traduce
inevitabilmente in un ostacolo allo sviluppo scientifico, se non trova una connessione con l’ idea di
razionalità implicita nella scienza illuminista, secondo cui la ragione si realizza tramite una progressiva
divisione di campi e settori del sapere, autosufficienti nei propri oggetti e nei rapporti di ricerca.
3) A Fichte è mancato il momento della sintesi. L’ Io che oppone nell’ Io all’ io divisibile un non-io
divisibile, pone in realtà una soluzione di ripiego. Tanto che l’ impressione di trovarsi di fronte a un nonio finto, illusorio, artificiale, è netta.
4) L’ io di Fichte (che si suddivide, metafisicamente, in un Io trascendentale e un io empirico), ad un
certo punto deve relativizzarsi, ridimensionando le sue pretese, poiché l’ opposizione del non-io (quella
reale, non quella posta artificiosamente dall’ io) è più forte di quel che poteva sembrare. In tal modo
Fichte esprime l’ illusione di quegli individualisti che credono di poter cambiare, con la forza della loro
volontà, il destino del mondo, salvo poi scendere a indegni compromessi pur di non rinunciare, in toto,
alla propria ideologia. I sospetti su Fichte emergono quando ci si accorge che il non-io posto dall’ io, alla
fine si rivela più forte dell’ io stesso. E’ questo che fa sembrare artificiosa la sintesi di Fichte.
23. esponi separatamente le 4 critiche mosse a Fichte; indica, per ognuna, se ti pare
attendibile o meno