Ti forniamo ora una serie di materiali che affrontano più nello specifico e in chiave più teorica problematiche connesse con il tema dell’esercizio precedente. Anche in questo caso ti invitiamo a svolgere i seguenti esercizi: costruisci una scaletta a grappolo, nella quale, attraverso i diversi sistemi di evidenziatura che ti offre il computer, potrai stabilire la corretta gerarchia delle informazioni; il tuo obiettivo sarà quello di costruire un saggio breve sul tema: “Questioni di bioetica”; trasforma quindi la tua scaletta a grappolo in una scaletta a lista, che possa costituire un vero e proprio indice del tuo saggio; scegli, all’interno dei materiali forniti, alcune frasi o espressioni che, utilizzando la tecnica del “taglia e incolla”, potrai riportare in un nuovo file come citazioni da inserire all’interno del tuo testo; scrivi infine il tuo testo, sistemandone anche la grafica. LA BIOETICA Il termine "bioetica" deriva dall’angloamericano bioethics, un neologismo coniato dal medico e oncologo Van R. Potter nel 1970, divenuto successivamente di uso pubblico dopo il 1971, l’anno di pubblicazione dell’opera più importante di questo ricercatore Bioethics, Bridge to the Future. Nello stesso anno, presso la Georgetown University di Washington D.C., venne inaugurato il Joseph and Rose Kennedy Institute for the Study of Human Reproduction and Bioethics, sancendo l'ufficializzazione di questa parola per indicare un nuovo, (sebbene già delineato da decenni di studi e di letteratura precedenti alla pubblicazione del saggio di Potter) dominio di studi. Il concetto di bioetica subì delle resistenze e delle critiche, ma nel 1978 venne finalmente data alle stampe la Encyclopedia of Bioethics, un’opera che spianò la strada alla diffusione di questa area disciplinare e problematica avviandola verso l’unificazione in un’unica materia, caratterizzata, comunque, dall’esistenza di una matrice interdisciplinare dove Medicina, Giurisprudenza, Biologia, Psichiatria e, ultima ma non in importanza, la Filosofia Morale, contribuiscono allo sviluppo e alla vita di intensi dibattiti, spesso legati a doppio filo con le conseguenze reali di fatti di dominio pubblico o di cronaca, o importanti pronunciamenti di tipo politico (come è avvenuto in Italia con l’approvazione della legge 194 sull’interruzione della gravidanza). Seguendo l’approccio filosofico all’area problematica della bioetica, essa non è altro che "l’etica in quanto particolarmente relativa ai fenomeni della vita organica, del corpo, della generazione, dello sviluppo, maturità e vecchiaia, della salute, della malattia, e della morte. Essa, ovviamente, non è disciplina, che, sia pure nel quadro dell'etica, possa porsi come autonoma e indipendente.". Come è stato fatto osservare da più parti, la bioetica, proprio partendo dal suo intrinseco carattere fondamentalmente interdisciplinare, pur rivendicando la sua novità e la sua dignità all'interno delle discipline etiche non può, sicuramente, essere elevata al rango di "scienza". Infatti, pur attingendo, e costantemente, alle novità e agli aggiornamenti, specie quelli più rilevanti sotto il profilo del loro utilizzo tecnologico, delle scienze empiriche, (in special modo della genetica e della medicina sperimentale) la bioetica è una disciplina di carattere prescrittivo e normativo, e non semplicemente descrittivo come le altre scienze empiriche. […] (dal sito www.RAI.it) LA BIOETICA Primo, in una società liberale il diritto alla "libertà di procreazione", con tutto ciò che comporta, deve essere riconosciuto e devono essere tolte le proibizioni di legge. (Ciò non significa, come abbiamo visto, che lo Stato non abbia il diritto di regolare le forme alternative di formazione della famiglia, così come è regolata l'adozione). Questo è il caso particolare della maternità surrogata. Se non è compito dello Stato forzare la donna ad avere un figlio, rendendo l'aborto illegale, ugualmente non è compito dello Stato impedire a una donna di avere un figlio con qualsiasi mezzo ella abbia scelto. [...] Infine, come corollario di quanto detto sopra, dovrebbe essere possibile a tutti l’accesso ad adeguate risorse per la salute. Se lo Stato riconosce la famiglia come istituzione sociale centrale dovrebbe essere preparato a finanziare forme alternative di formazione della famiglia allo stesso modo in cui finanzia le forme tradizionali. Non può, con giustizia, discriminare le persone sterili e chi sceglie vie alternative di procreazione. (Max Charlesworth, L’etica della vita. I dilemmi della bioetica in una società liberale, trad. it. di G. Gozzini, Donzelli, Roma, 1996, pp. 81–82) Se sia nel migliore interesse di ciascuno che la vita si concluda in un modo anziché in un altro dipende in modo così stretto da quant'altro di speciale c'è in lui (dallo stile e dal carattere della vita, dal suo senso dell'integrità e dagli interessi critici) che nessuna decisione collettiva uniforme potrà mai sperare di promuovere così adeguatamente gli interessi di una persona. Abbiamo così anche una ragione fondata sulla beneficenza, oltre alla ragione fondata sull'autonomia, perché lo Stato non imponga alcuna uniforme concezione generale attraverso la sovranità della legge, ma piuttosto incoraggi le persone a dare esse stesse disposizioni meglio che possono per la loro assistenza futura, e perché in assenza di queste disposizioni, la legge, nei limiti del possibile, lasci la decisione nelle mani dei loro familiari o di altre persone intime, il cui senso del loro migliore interesse è probabilmente molto più corretto di un giudizio teorico e astratto concepito nelle stanze segrete, tra manovre di interesse e transazioni politiche. (Ronald Dworkin, ll dominio della vita. Aborto, eutanasia e libertà individuale, trad. it. di C. Bagnoli, Edizioni di Comunità, Milano, 1994, pp.294–295) "Se la vita non è sempre meglio della morte, può essere benefico anticipare la morte, invece di lasciare che 'la natura faccia il suo corso'. Ciò è vero anche quando la morte non è una libera scelta, fatta personalmente o mediante una direttiva anticipata dell'individuo che sta morendo. Se non vi è differenza di principio fra volere intenzionalmente la morte di qualcuno e limitarsi a permetterla, non vi sarà alcun impedimento morale assoluto contro l'anticipazione della morte, una volta che si sia deciso che il prolungamento della vita sarebbe dannoso [...]. Considerato il diffuso rifiuto del suicidio assistito e dell'eutanasia nella nostra cultura, l'onere della prova di dimostrare tale consenso ipotetico sarebbe assai pesante.” (Hugo Tristram von Engelhardt jr., Manuale di bioetica, trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1991, pp. 364-365) La vita morale è vissuta entro due livelli o dimensioni: 1) quello di un'etica laica povera di contenuto, che ha la capacità di ricomprendere numerose comunità morali divergenti, e 2) le comunità morali particolari entro le quali è possibile conseguire una concezione fornita di contenuto della vita moralmente buona. La prima è difendibile sulla base di argomenti morali generali riguardanti la natura dell'etica. Questo livello fornisce alcune conclusioni morali assolute e universali, anche se povere di contenuto. Il secondo livello fornisce delle visioni alternative della vita moralmente buona, comprese delle concezioni concrete delle virtù e dei vizi. [...] È la prima dimensione che può stabilire il diritto del paziente a conoscere la verità sulla sua malattia e a essere pienamente informato prima del trattamento. È la seconda dimensione che indicherà se sia meglio cercare di sapere tutto sul proprio trattamento, o invece riporre la propria fiducia nel medico curante. (Hugo Tristram Engelhardt jr., Manuale di bioetica, trad. it. di M. Meroni, Il Saggiatore, Milano, 1991, pp. 68–70) Il nostro obbligo di non causare danno alle generazioni future ha anch'esso un versante positivo e uno negativo. Noi abbiamo non solo il dovere di non agire positivamente in modo da causare danno a coloro che verranno dopo di noi, ma anche quello di non omettere di rimuovere i pericoli che, se ignorati, causerebbero loro dei danni. Vista in questa luce, l'ingegneria genetica pone un dilemma molto chiaro: da un lato noi non dobbiamo introdurre nella struttura genetica delle persone cambiamenti che promettano di influire negativamente sui loro discendenti; dall'altro non dobbiamo omettere di rimuovere i guasti genetici che possiamo rimuovere e che, se ignorati, causeranno danni ai loro discendenti. (John Harris, Wonderwoman & Superman. Manipolazione genetica e futuro dell’uomo, trad. it. di R. Rini, Baldini & Castoldi, Milano, 1994, pp.294–295) L'azzardo della vita è così defraudato della sua attraente e anche angosciante apertura. Si è permesso al passato di precorrere il futuro tramite una sua conoscenza non autentica e lo si è fatto nella sfera più intima: nella sfera della domanda "chi sono?" Questa domanda deve provenire dal segreto e può trovare risposta soltanto se la ricerca resta accompagnata dal segreto. Sì, il segreto, già la condizione del domandare e del cercare, è, per chi cerca risposta, persino la condizione della possibilità di diventare forse proprio ciò che poi sarà la risposta. L'artificiale esser noto all'inizio, l'assenza soggettiva del segreto, distrugge la condizione di autentica crescita. [...] In poche parole, il prodotto della clonazione è defraudato in anticipo della libertà, che può prosperare solo sotto la protezione del non sapere. Defraudare volutamente di questa libertà un essere umano che deve ancora nascere è, perciò, un crimine imperdonabile che non si deve commettere neppure un'unica volta. (Hans Jonas, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, trad. it. di P. Becchi e A. Benussi, Einaudi, Torino, 1997, pp. 146–147)