4. L’EVOLUZIONE DELLA SOCIETÀ REPUBBLICANA (509-272 a.C.) 4.1 La nascita della repubblica Ad abbattere la monarchia fu una congiura di aristocratici che, con un colpo di stato, intendevano riprendersi il potere che i re etruschi avevano fondato sui ceti mercantili. Cacciarono Tarquinio il Superbo, ma non abolirono la figura del re, che, esautorato del potere politico e scelto tra i patrizi, mantenne le prerogative religiose del re e fu definito rex sacrificulus o rex sacrorum. Affidarono invece il potere politico a due magistrati, i consoli, ovviamente scelti nelle loro file e destinati, contrariamente al re, a rimanere in carica solo un anno, oltre il quale entravano a far parte del senato. In questo modo separarono il potere religioso e il potere politico, una volta entrambi di pertinenza del re. Ai consoli affiancarono poi altri magistrati, i pretori, incaricati di condurre inchieste giudiziarie, e i questori, col compito di amministrare le finanze dello stato. Tutte le magistrature repubblicane presentavano caratteristiche atte ad evitare il predominio di uno solo e il ritorno della monarchia, che divenne un vero e proprio tabù nella cultura repubblicana: l’elettività: i magistrati venivano scelti, in genere da assemblee controllate, soprattutto in origine, dai patrizi; la collegialità: la presenza di colleghi di pari grado impediva che uno di loro acquisisse troppo potere; l’annualità: la breve durata impediva al magistrato di acquisire troppo potere (com’era accaduto invece ad Atene con Pericle, in carica per trent’anni). la gratuità: impediva di aspirare al potere per motivi economici e di fatto riservava le magistrature a chi aveva un reddito considerevole, inizialmente solo i patrizi. Era prevista però una magistratura non collegiale, la dittatura, ma era straordinaria e consentita solo in caso di pericolo estremo. Il dittatore era nominato da un console su invito del senato, che gli conferiva i pieni poteri, ma per soli sei mesi. 4.2 I problemi della repubblica aristocratica Dopo la fine della monarchia Roma si trovò spaccata in due. Con la cacciata dei re, il potere era tutto nelle mani dell’aristocrazia patrizia che si chiuse nei suoi privilegi, regolamentò l’accesso degli stranieri, rallentò l’economia facendo perdere alla città la prosperità che aveva raggiunto in epoca etrusca, suscitando la reazione dei plebei privi dei diritti politici, soprattutto artigiani e mercanti che si erano arricchiti sotto i re etruschi e ora vedevano diminuire i loro traffici e il loro potere nella società. Sin dalla sua fondazione la repubblica dovette, quindi, affrontare, oltre alla rivalità dei popoli confinanti che restrinsero i suoi confini all’interno del Lazio, regione economicamente arretrata, anche tensioni sociali e una grave crisi economica. 4.3 Le conquiste della plebe nel V secolo a.C. Per più di due secoli i plebei, che andavano acquisendo un ruolo economico e sociale determinante nella vita della città, intrapresero lotte non di carattere economico ma giuridico, tese a ottenere parità di diritti coi patrizi e un potere politico che consentisse loro di soddisfare le proprie esigenze e ne favorisse lo sviluppo. Box Le rivoluzioni dei ricchi Anche se può sembrare paradossale, spesso nella storia a ribellarsi non sono gli strati più poveri ed emarginati della società, ma quei ceti che hanno raggiunto benessere economico ma non hanno ancora potere politico. Chi detiene il potere economico ha infatti l’esigenza di indirizzare la politica verso quelle scelte che favoriscano lo sviluppo della sua classe: comincia a rivendicare diritti e privilegi proprio facendo leva sulla sua forza economica, che gli permette di fare pressioni su chi detiene il potere politico, costringendolo a scendere a patti e a concedergli nuovi diritti e una parte dei suoi privilegi. È quello che ottengono i plebei ricchi con le lotte che stiamo analizzando. La secessione sull’Aventino e i tribuni della plebe (494 a.C.) Mentre all’esterno era costretta a sostenere la guerra contro la Lega Latina (battaglia del lago Regillo nel 499 a.C.), in città la plebe lamentava il fatto che i sacrifici cui era costretta in guerra non fossero ricompensati con adeguati riconoscimenti politici. Nel 494 a.C. i plebei manifestarono il loro dissenso con la secessione: si ritirarono in massa fuori dal pomerio, sull’Aventino (secondo alcuni sul Monte Sacro) per sottolineare come la loro assenza fosse dannosa alla città, perché sottraeva forze all’esercito e all’economia. In questa occasione la plebe istituì una sorta di controstato, dotandosi di magistrature e regole proprie, attribuendo loro precise funzioni e facendo pressione perché fossero riconosciute come magistrature dello stato. Innanzitutto si diede due capi, i tribuni della plebe, che potevano bloccare leggi lesive della plebe. (inserire Menenio Agrippa) I concili tributi La plebe diede vita anche alle sue assemblee, chiamate concilia plebis o concili tributi perché erano fondati sulle tribù territoriali stabilite da Servio Tullio, come i comizi tributi, ma vi potevano partecipare solo i plebei, sotto la presidenza dei tribuni della plebe. Nei concili si prendevano deliberazioni definite plebis scita, “decisioni della plebe, plebisciti”, che per il momento avevano valore solo per i plebei, ma erano un elemento di pressione popolare sul governo. Leggi delle XII Tavole (451-450 a.C.) Mentre all’esterno Roma era impegnata nelle guerre contro etruschi, sabini, equi e volsci, in città, nel 451 a.C., i plebei ottennero la stesura di leggi scritte, che, secondo la tradizione, furono compilate da una commissione di decemviri inviata ad Atene a studiare le leggi di Solone. Furono incise su dodici tavole di bronzo, per evitare che venissero danneggiate (ma andarono bruciate nell’incendio gallico di Roma del 390 a.C.) ed esposte al pubblico perché tutti ne venissero a conoscenza. Non erano leggi rivoluzionarie, erano severe e basate sulla legge del taglione, simili a quelle di Dracone, sancivano il predominio dei patrizi, del pater familias, del forte sul debole, del creditore sul debitore, ma erano scritte e questo le sottraeva all’arbitrio dei pontefici. Inoltre alcune leggi mitigavano severe norme in uso: stabilirono, ad esempio, che a condannare a morte non poteva più essere il pater familias, ma solo un tribunale; che un condannato a morte o all’esilio si potesse appellare al popolo ecc. Fu proprio da queste prime leggi scritte che nacque quel sentimento del diritto, dello ius, sottratto alle interpretazioni arbitrarie, che sarà il grande apporto di Roma alla cultura mondiale. La lex Canuleia (445 a.C.) Solo nel 445 a.C., con la legge che fu chiamata lex Canuleia dal tribuno Canuleio che la propose, fu concesso il diritto di matrimonio tra patrizi e plebei. I matrimoni misti furono rari, ma il principio era fondamentale per stabilire la parità tra i due ordini. Nel 409 a.C. i plebei ottennero anche l’accesso alla questura. L’ordinamento centuriato Superata la netta distinzione patrizi/plebei, la società risultò suddivisa tra ricchi e poveri, come la riforma attribuita a Servio Tullio, ma perfezionata probabilmente proprio alla fine del V secolo a.C., riconosceva definitivamente. Le guerre contro equi, volsci ed etruschi avevano spinto i patrizi ad arruolare un numero sempre maggiore di plebei, per scaricare anche sulle loro spalle i sacrifici imposti dalle esigenze belliche. Tutti i cittadini furono divisi in cinque classi di censo sulla base del loro reddito (calcolato in assi, v. box) e del contributo di soldati che dovevano fornire alla formazione dell’esercito. Siccome l’equipaggiamento militare restava ancora a carico dei cittadini, si stabilì che le classi più ricche, non più solo quelle aristocratiche, fossero meglio equipaggiate e fornissero un numero maggiore di centurie, ma godessero anche di maggiori diritti, ad esempio quello di avere accesso alle magistrature maggiori. Le magistrature, per altro, erano gratuite e per essere eletti occorrevano molti voti, che a Roma si ottenevano principalmente dai clienti: quindi solo i ricchi potevano aspirare a ricoprire una magistratura. I comizi centuriati Si creò una nuova assemblea, i comizi centuriati, a cui partecipavano le varie classi, che avevano diritto a tanti voti quante erano le centurie che fornivano. Le cinque classi erano precedute dalla classe dei cavalieri, in origine solo nobili, e seguite dai capite censi, censiti in base alla sola persona, visto che non avevano un reddito, o proletari, perché avevano come solo reddito la prole, i figli. Lo schema seguente sintetizza la riforma. classi capitale I II III IV V proletari oltre 100.000 assi 100.000-75.000 assi 75.000-50.000 assi 50.000-25.000 assi 25.000-11.000 assi solo la prole centurie e voti 18 di cavalleria 80 di fanteria pesante 20 di fanteria pesante 20 di fanteria pesante 20 di fanteria leggera 30 di frombolieri e arcieri 5 di falegnami, fabbri, trombettieri ecc. L’equipaggiamento militare era una forma di tassazione perché i cittadini dovevano procurarlo a proprie spese, in base al loro reddito. Però il cavallo ai cavalieri era fornito e mantenuto dallo stato, come riconoscimento del loro prestigio, la ferma dei cavalieri era decennale. Box lessicale La prima moneta di Roma La prima forma di moneta romana, quando cessò il semplice baratto delle merci, era costituita da pezzi di rame grezzo o della sua lega, il bronzo, il cui valore era determinato dal peso; solo nel IV secolo a.C. si coniò una vera moneta di rame del peso di una libbra (327 g), chiamata asse (da aes, “rame, bronzo”). Censimento e censori La creazione dell’ordinamento centuriato poneva il problema della verifica del censo dei cittadini per stabilire in quale classe si dovessero inserire. Probabilmente già Servio Tullio aveva stabilito che, per calcolare il loro censo, tutti i cittadini romani denunciassero il numero dei componenti della famiglia, i beni posseduti e il reddito. Per effettuare le operazioni di raccolta di questi dati si svolgeva ogni cinque anni il censimento dei cittadini, con cui si aggiornavano le liste dei cittadini da distribuire, in base al loro censo, nelle rispettive classi dell’ordinamento centuriato. Originariamente il censore era il re, poi il suo compito passò ai consoli e, quando anche i plebei poterono essere eletti al consolato, i patrizi conservarono per sé il diritto alla censura, che divenne una magistratura autonoma (443 a.C.), della durata di cinque anni (poi ridotta a 18 mesi) e molto potente. Infatti i due censori ebbero anche incarichi politici, come quello di giudicare la moralità degli individui e, dal 312 a.C., di redigere le liste dei senatori, valutando chi fosse degno di sedere in senato ed eleggendo nuovi senatori in sostituzione di quelli morti o di quelli espulsi perché “censurati”. Il nuovo potere Come si evince dallo schema dell’ordinamento centuriato, la prima classe, che forniva 98 centurie sulle 193 totali, aveva diritto alla maggioranza assoluta dei voti e fu quindi quella dominante, ma tra le sue fila c’erano ormai anche i plebei facoltosi. Infatti, anche se voluta dai patrizi, la riforma rese i plebei cittadini a tutti gli effetti ed essi poterono finalmente far sentire la propria voce. È una tappa di un processo lungo e complesso che si concluderà quasi due secoli dopo. I compiti dei comizi centuriati I comizi centuriati erano convocati dai consoli o dai pretori nel campo Marzio, una grande pianura fra la città e il Tevere, fuori dal pomerio, perché era un’assemblea di uomini in armi e non poteva svolgersi entro il pomerio. I comizi centuriati eleggevano le magistrature maggiori: consoli, censori e pretori, approvavano o respingevano le proposte di legge dei magistrati, approvate precedentemente dal senato, decidevano sulla pace e sulla guerra, potevano condannare a morte. 4.4 Le conquiste della plebe nel IV secolo a.C. Le lotte della plebe comunque continuarono a lungo, anche perché da tempo i plebei richiedevano nuove distribuzioni di terra ma non le avevano ottenute. Le guerre contro galli, sanniti, latini e altre popolazioni italiche, danneggiavano i contadini che vedevano distrutti dai nemici campi e raccolti, e, arruolati nell’esercito e costretti a lasciare le terre incolte per parecchio tempo, al ritorno si ritrovavano in miseria. Le guerre però ampliavano i confini, aumentavano l’estensione dell’ager publicus e si poté così procedere all’assegnazione di terra a ben 40.000 famiglie plebee, con la fondazione di nuove colonie su tutta la penisola. Tuttavia i patrizi si accaparrarono la maggior parte dell’ager publicus perché erano in grado di controllarne la distribuzione. Con l’espansione territoriale si ampliavano i mercati, si favoriva la produzione e i commerci, si produceva nuova ricchezza. Alcuni plebei si andavano perciò arricchendo, acquistavano terre (la vera ricchezza continuava ad essere considerata quella terriera) e si accaparravano anch’essi parte dell’ager publicus. Nella prima metà del IV secolo a.C., parecchi homines novi, “uomini nuovi”, com’erano definiti i personaggi non patrizi che si affacciavano alla vita pubblica, poterono diventare magistrati e persino tra i senatori molti erano ormai ricchi plebei. La plebe continuava a chiedere però una maggiore presenza nelle istituzioni. Le leggi Licinie Sestie (367 a.C.) Una legge in tre punti, proposta dai tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, venne incontro, almeno in parte, alle esigenze dei plebei. Comprendeva infatti un primo tentativo di riforma agraria che poneva un limite al possesso di ager publicus per mettere a disposizione più terra da distribuire ai plebei; inoltre stabiliva nuove regole sui debiti a vantaggio dei debitori (gli interessi pagati vennero calcolati come capitale restituito), creava la magistratura degli edili, riservata inizialmente ai plebei, con compiti di polizia urbana, stabiliva che uno dei due consoli fosse plebeo e, di conseguenza, fosse ammesso al senato. Era un ulteriore decisivo passo verso la completa parità di diritti tra patrizi e plebei. 4.5 Appio Claudio Cieco (310 a.C.) Malgrado le conquiste della plebe, il senato rimaneva tenacemente legato al mos maiorum, alle tradizioni degli antenati, e alla sua politica conservatrice, che non teneva conto delle esigenze delle nuove forze sociali emergenti. Negli ultimi anni del IV secolo a.C. Appio Claudio Cieco, censore nel 310 a.C., si batté contro l’atteggiamento del senato e, forte della sua autorità, riuscì a promuovere grandi lavori pubblici: ampliò il porto di Ostia, costruì il primo acquedotto romano e la prima strada militare, lastricata, che giungeva fino a Capua e che da lui prese il nome, la famosa via Appia, detta anche la “regina delle strade”, su cui, oltre agli eserciti, passava gran parte del commercio italico. Box I sacerdoti perdono il monopolio della legge Con la stesura delle leggi delle Dodici Tavole, che separavano il diritto civile da quello divino, i sacerdoti avevano perso il monopolio della legge. Appio Claudio Cieco pubblicò poi un calendario di dies fasti, in cui indicava in quali giorni era consentito discutere le cause e secondo quale procedura, tutte notizie che i sacerdoti custodivano gelosamente. Successivamente fu creata una scuola per avvocati, che diventarono gli esperti della legge. Le leggi delle Dodici Tavole, che avrebbero fornito i principi basilari a tutta la successiva legislazione di Roma e del mondo, diventarono materia obbligatoria di insegnamento dei ragazzi che dovevano impararle a memoria e contribuirono al carattere romano, ordinato e severo, legalistico e litigioso. Da quel momento i sacerdoti si occuparono solo di questioni religiose e si organizzarono in collegi, guidati ognuno da un pontefice eletto dai comizi centuriati. Erano funzionari pubblici, non una casta separata, e collaboravano con lo stato. 4.6 Lo sviluppo economico tra IV e III secolo a.C. e la nascita della classe dei cavalieri Tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., in conseguenza delle vittorie sui sabini e su Taranto, il territorio di Roma si allargò a tutta la penisola con enormi vantaggi economici: l’aumento della produzione agricola con la messa a coltura delle campagne laziali e campane determinò un notevole incremento demografico; la popolazione in eccedenza fu inviata in nuove colonie; si svilupparono i commerci e a Roma giungevano sempre nuove merci straniere, via mare o sulle nuove strade consolari; i bottini di guerra incrementarono le entrate nelle casse dello stato che poté ridurre i tributi ai cittadini e scaricarli sui nuovi alleati; a Roma affluirono masse di italici che favorirono le attività artigianali, edilizie e produttive in genere, e l’arricchimento di nuovi strati della popolazione. Nel 268 a.C. fu anche coniata, sul modello di quelle greche, la prima vera moneta, il denarius d’argento, che col suo valore di dieci assi di rame rispondeva alle esigenze di un’economia più ricca e divenne da allora la moneta di uso corrente, finché nel I secolo a.C., dopo la conquista della Gallia, si diffusero anche le monete d’oro. La riforma dell’esercito Quanto più un cittadino era ricco, tante più tasse doveva pagare e tanti più anni doveva servire nell’esercito. Per chi voleva avviarsi alla carriera politica il minimo erano dieci anni: naturalmente solo i ricchi potevano permetterselo. Ma anche il semplice cittadino che voleva esercitare il diritto di voto doveva aver militato nell’esercito, perché solo come membro di una centuria poteva prender parte ai comizi centuriati. L’espansione di Roma fu merito della sua organizzazione militare, ma soprattutto della sua capacità di adeguarsi alle situazioni anche facendo tesoro delle tecniche dei nemici. Spesso infatti all’inizio di un conflitto, come nel caso di quello con i sanniti, l’esercito romano era in difficoltà, ma ben presto riusciva ad adeguarsi acquisendo nuove tattiche militari. Così, all’epoca della monarchia etrusca, l’esercito aveva adottato la falange oplitica che, con il suo armamento pesante e la sua formazione solida, era adatta ai combattimenti in campo aperto. Però la falange era poco maneggevole e si rivelò assolutamente inadeguata durante le guerre sannitiche combattute su terreni montuosi. Fu allora che, sul modello delle formazioni sannitiche, i romani raddoppiarono il numero delle legioni da due a quattro e divisero ogni legione in manipoli, drappelli di 120 fanti o due centurie??? ciascuno. I manipoli venivano schierati su tre linee sfalsare tra loro, con una disposizione a scacchiera (in alcuni disegni, però, li ho visti uno dietro l’altro: controllare) in modo che ogni linea potesse arretrare per lasciare posto alla linea successiva e ricompattarsi alle sue spalle. La formazione era più aperta della falange, anche perché i soldati dotati di spade corte avevano bisogno di un certo spazio per maneggiare l’arma. Davanti alla formazione si poneva una linea di veliti, armati alla leggera, che provocavano il nemico con armi da lancio e poi si ritiravano negli spazi vuoti tra i manipoli che avanzavano dietro di loro. In prima linea combattevano i più giovani, gli hastati (armati di lancia), in seconda fila i pincipes, giovani con una certa esperienza militare, in terza i triari, i veterani che con la loro esperienza potevano risollevare le sorti della battaglia. Quando la situazione arrivava ai triari (res ad triaros rediit) significava che si stava giocando l’ultima carta. Ogni manipolo era autonomo e, al comando di un centurione, poteva spostarsi perché gli spazi liberi intorno gli permettevano libertà di movimento. La legione acquisì una struttura elastica che permetteva ai romani di usarla come falange oplitica oppure per manipoli, così come combattevano i sanniti. Dai sanniti i romani presero anche l’armamento più leggero, di minor costo e quindi accessibile ad un maggior numero di cittadini. L’unità di base dell’esercito era la legione, formata da 4200 fanti, 300 cavalieri e vari gruppi ausiliari. Ogni console ne comandava due, quindi circa 10.000 uomini. Ogni legione aveva il suo vessillo ed era impegno d’onore per ogni soldato impedire che esso cadesse in mani nemiche. Perciò gli ufficiali, quando vedevano che la battaglia volgeva al peggio, lo impugnavano e correvano contro il nemico in modo che i soldati, per difenderlo, li seguissero: molte battaglie furono vinte così. Quello che faceva la forza dell’esercito non era né la struttura né l’abilità dei generali spesso privi di una formazione strategica come quella ellenistica, ma la rigida disciplina che prevedeva frustate e punizioni terribili, fino alla morte, dei soldati vigliacchi, il taglio della mano destra di disertori e ladri, e il generale poteva tagliare la testa a chiunque, soldato o ufficiale, per la minima disobbedienza. La leva iniziava a sedici anni, il rancio era costituito da pane e vegetali (e vi erano così abituati che i veterani di Cesare si lamentarono di essere costretti a mangiar carne un anno di una carestia). 4.7 Le conquiste della plebe nel III secolo a.C. All’inizio del III secolo a.C., le lotte della plebe si avviarono verso la conclusione. Nel 287 a.C. la lex Hortensia riconosceva come leggi valide per tutti i cittadini romani, anche per i patrizi, i plebisciti, le decisioni prese dai concili tributi, espressione della plebe (v. sopra) da cui erano esclusi i patrizi: era la definitiva equiparazione dei due ordini e a quel punto la distinzione tra patrizi e plebei perse definitivamente ogni valore e il termine plebe cominciò ad essere usato per gli strati più poveri della popolazione, nello stesso senso in cui lo usiamo oggi. Da quel momento i concilia plebis, i concili tributi, svolsero gran parte dell’attività legislativa di Roma, sostituendo i vecchi comizi tributi. I compiti furono così ripartiti: i comizi centuriati eleggevano i magistrati maggiori, forniti di imperium, i concilia plebis eleggevano i tribuni della plebe e votano le proposte di legge. 4.8 Dalla repubblica aristocratica a quella oligarchica La lex Hortensia concluse un processo evolutivo dei rapporti tra gli ordines lungo e complesso, che si può così sintetizzare. Dal momento della nascita della repubblica, il potere era tutto nelle mani dei patrizi. Ogni patrizio aspirava ad accumulare nel tempo più magistrature possibile, a favorire l’ascesa di altri membri della propria gens e ad accrescere la propria gloria e quella della gens. Per ottenere il potere si ricorreva, soprattutto attraverso i matrimoni, alle alleanze tra più gentes, che permettevano di mettere insieme enormi masse di clienti-elettori e di avere quindi i voti necessari per ottenere una carica o per far passare una legge a cui si era interessati, controllando le assemblee. Nel corso del tempo però, molte gentes patrizie si erano ormai estinte, a causa delle guerre in Italia, ma anche perché continuavano a rifiutarsi di contrarre matrimoni con i plebei. I plebei, al contrario, acquistavano sempre maggior potere economico e ottenevano sempre più diritti. Il patriziato si rese conto di non poter mantenere il monopolio del potere. Quando le pressioni della plebe si fecero più forti, cercò di tenere sotto controllo l’allargamento della classe dirigente: appoggiò le famiglie plebee più ricche e influenti, garantendo i voti dei propri clienti per eleggere un loro esponente alle magistrature maggiori. Le famiglie plebee gratificate dalla promozione sociale contribuivano a loro volta con la massa dei propri clienti ad appoggiare l’elezione dei patrizi. Le spinte dal basso della plebe povera, di cui i plebei ricchi si facevano portavoce, non rischiavano così di sovvertire l’ordine dello stato. Quando le principali richieste della plebe vennero esaudite, patrizi e plebei ricchi si fusero in un unico gruppo detentore del potere, una nuova nobiltà, il cui carattere distintivo era la ricchezza e non la nascita. Erano considerate di rango senatorio le famiglie nobili (letteralmente “note”, famose) i cui componenti avevano ricoperto una magistratura, di rango consolare quelle famiglie che contavano almeno un parente console o per lo meno pretore. La repubblica da aristocratica, dominata dai nobili patrizi, si trasformò in oligarchica, “dominata da pochi” nuovi nobili, non più solo patrizi. Ben presto però anche la nuova nobiltà si chiuse nei suoi privilegi di classe dominante. Se tra il 367 e il 287 a.C., cioè dal momento in cui furono approvati i matrimoni misti fino al riconoscimento dei plebisciti come leggi, furono molti gli “uomini nuovi” (v. par. 4.4) che giunsero al potere, dopo la lex Hortensia la nuova nobiltà concesse sempre più raramente ai non nobili la possibilità di accedere alle magistrature. (V. box) Dal momento della completa conquista dell’Italia nel 270 a.C. per quasi un secolo e mezzo, tuttavia Roma, superati i conflitti sociali, visse un periodo di pacificazione sociale e di appoggio popolare alla politica della classe dirigente nobile. Persino lo stato di guerra permanente in cui Roma si venne a trovare all’esterno favorì la coesione interna, tanto che il periodo è stato definito età del consenso. Box Sempre solo nobili Sulla chiusura della nobiltà nei suoi privilegi le cifre non lasciano dubbi. Nel corso del III secolo a.C. sei famiglie da sole ottennero 83 volte il consolato o la dittatura, il 62% dei consoli era figlio di un console e la maggioranza del restante 38% era di famiglia consolare. 4.9 I poteri del senato in età repubblicana L’espressione dell’oligarchia era da sempre il senato, che era l’unica sede delle discussioni politiche. Infatti le altre assemblee (comizi centuriati e tributi) approvavano o respingevano le proposte di un magistrato, ma non potevano proporre o modificare nulla. Il magistrato che proponeva una legge trovava prima un accordo con le fazioni dell’oligarchia che detenevano i pacchetti di voti e poi usava tutta la propria influenza per condizionare le assemblee e ottenere l’approvazione della legge proposta. L’evoluzione del senato La costituzione del senato si andò modificando in conseguenza delle trasformazioni sociali. Con la fine della monarchia, il senato, ancora esclusivamente patrizio, perse quasi del tutto le funzioni che aveva in epoca regia: il potere di approvare le delibere delle assemblee popolari ormai era solo formale; l’interregnum, cioè il periodo in cui deteneva il potere in attesa dell’elezione dei consoli, si mantenne fino al IV secolo a.C., poi toccherà a un magistrato speciale convocare i comizi per eleggere i magistrati. Il senato manteneva però la sua funzione consultiva: prima di qualsiasi decisione i consoli, ma anche altri magistrati, erano soliti chiedere il parere del senato, il senatus consultum. Non c’era una legge che lo imponesse, né i magistrati erano tenuti a rispettare tale parere, ma l’auctoritas del senato, il potere che gli conferiva la tradizione, resero la funzione consultiva il mezzo con cui il senato, di fatto e non giuridicamente, governò la città e l’impero fino al I secolo a.C. Infatti, anche quando nel senato furono immessi i plebei che avevano ricoperto le magistrature, ormai aperte anche a loro, e il senato divenne espressione non più solo dei patrizi ma della nuova nobiltà mista di patrizi e plebei, il potere che gli derivava dalla sua autorità rimase intatto. L’auctoritas L’autorità del senato derivava da una serie di fattori: - il senato, come abbiamo già ribadito, era costituito dai più anziani, autorevoli e influenti capi delle gentes e delle familiae, che venivano rigorosamente selezionati, restavano in carica a vita e acquisivano una lunga esperienza di governo; - del senato facevano parte anche gli ex consoli e gli ex pretori (cui si aggiunsero col tempo altri ex magistrati), quindi personalità che avevano anch’essi esperienza di governo, con un patrimonio di capacità e di conoscenze accumulate sul campo, dall’amministrazione alla guerra alla politica estera; - tutte le magistrature erano temporanee, i senatori erano nominati a vita: un anno di carica era troppo breve perché i magistrati, soprattutto se giovani e inesperti, fossero in grado di svincolarsi da un potere duraturo nel tempo e consolidato; - i magistrati appartenevano alla stessa classe sociale dei senatori e nessuno di loro sarebbe andato contro gli interessi della propria classe; - anche perché i magistrati aspiravano ad essere rieletti, a fare carriera ricoprendo magistrature sempre più alte e, terminato il loro mandato, aspiravano a far parte del senato. Ma per ottenere un simile privilegio il loro operato doveva ottenere il giudizio favorevole dei censori, ovviamente nobili. È quindi facilmente comprensibile perché il senatus consultum, pur essendo solo un “consiglio” non vincolante, venisse sempre rispettato. Box lessicale Patres conscripti Quando furono ammessi in senato anche i plebei insigni, soprattutto cavalieri, essi furono definiti conscripti, “arruolati”. Quindi il senato venne ad essere costituito dai patres e dai conscripti. Dalla formula patres et conscripti si passò poi semplicemente a patres conscripti. 4.10 Da città-stato a stato federale: un’evoluzione incompleta Nonostante la sua evoluzione nel corso dei secoli, Roma non aveva ancora superato la sua costituzione di città-stato. L’attaccamento alla tradizione determinò però una grave sproporzione tra l’ampiezza del territorio controllato e l’arretratezza dell’economia romana, da una parte, e della politica dall’altra. Ancora nel III secolo a.C., mentre altre potenze mediterranee avevano un’economia sviluppata, quella romana restava fondata sull’agricoltura e il massimo delle aspirazioni consisteva nell’acquistare terre: anche il capitale accumulato con i commerci, veniva investito in proprietà fondiarie e non serviva ad incrementare la produzione e il commercio. Persino l’efficientissima rete stradale nasceva da esigenze militari e non da esigenze commerciali. La brevità e la rotazione delle cariche politiche, tipiche della città-stato e indispensabili ad evitare la concentrazione personale del potere, rendevano inefficiente l’amministrazione di un territorio sempre più vasto e con esigenze disparate, che richiedeva tempi lunghi di organizzazione e stabilità dei magistrati. 6. LE ISTITUZIONI NELL’ETÀ REPUBBLICANA 6.1 Le magistrature repubblicane Nel corso del tempo le magistrature si erano evolute e nel III secolo a.C. il quadro delle istituzioni repubblicane era completo. La consuetudine e poi la legge Villia Annalis del 180 a.C. fissarono il cursus honorum, cioè la sequenza di magistrature che si dovevano ricoprire prima di accedere al consolato, e l’età minima necessaria per accedervi. Per essere eletti alla magistratura di grado superiore occorreva che fossero trascorsi due anni dalla quella precedente. Per iniziare il cursus era indispensabile aver prestato servizio militare per almeno dieci anni nella cavalleria o nella prima classe di fanteria, riservate ai più ricchi. Tutte le magistrature duravano un anno, tranne la dittatura (6 mesi) e la censura (18 mesi). Le magistrature non erano mai retribuite. Alcune magistrature restarono fuori del percorso necessario per fare carriera politica. Non per questo erano meno importanti. a. Le magistrature del cursus honorum La questura I questori erano inizialmente due, ma aumentarono col tempo fino a quaranta (all’epoca di Cesare), in ragione dell’aumento del territorio da amministrare dopo le varie conquiste di Roma. Il loro compito era infatti quello di amministrare il denaro pubblico, incassare i tributi, pagare gli stipendi ai soldati e ai dipendenti statali. Ogni governatore delle province aveva a disposizione un questore che si occupava della cassa pubblica e spesso aveva così la possibilità di arricchirsi. Il primo questore plebeo fu eletto nel 409 a.C. L’età minima per accedervi era di 30 anni. L’edilità Il nome degli edili indica che originariamente essi erano addetti alla sorveglianza del tempio, aedis, di Cerere, il centro religioso della plebe romana. Col tempo il loro compito divenne quello di sovrintendere ai mercati e all’approvvigionamento della città, rifornendola di viveri, materie prime e beni necessari ad assicurarne l’efficienza; si occupavano degli spettacoli, della manutenzione di strade ed edifici, dell’ordine pubblico. Inizialmente l’edilità era riservata ai plebei, ma poi fu aperta anche ai patrizi. Gli edili erano quindi quattro: due plebei e due patrizi, detti curuli perché avevano diritto alla sella curulis, cioè uno speciale sgabello pieghevole in avorio, in marmo o in metallo, finemente lavorato (inserire immagine). L’edilità offriva l’opportunità di ingraziarsi il favore del popolo con l’organizzazione di giochi e le distribuzioni di grano. L’età minima, 31 anni. La pretura Era una delle cariche più antiche e si occupava originariamente di condurre inchieste giudiziarie. Amministrava la giustizia civile, in origine a Roma (praetor urbanus), dal 242 a.C., con la creazione del praetor peregrinus, anche fuori Roma. I pretori potevano promulgare regole giuridiche nuove adeguate ai tempi, senza abrogare le vecchie; presentavano proposte di legge all’approvazione delle assemblee. Col tempo ebbero incarichi militari e di governo simili a quelli dei consoli. Poteva accedervi solo chi avesse compiuto i 34 anni. Originariamente si chiamavano pretori i consoli. Il consolato Come nelle poleis greche, alla fase monarchica anche a Roma seguì, come abbiamo visto, la repubblica. I poteri del re, ad eccezione di quelli religiosi – che restarono al re esautorato di tutte le altre prerogative, il rex sacrificulus o rex sacrorum – vennero affidati a due consoli, che si possono considerare due re provvisori. Erano infatti accompagnati dai littori, guardie del corpo che portavano i simboli del potere regio, i fasci (v.sopra). La concentrazione nelle loro mani di tutti i poteri li rendeva diversi dagli arconti ateniesi, che sostituirono il re: ad ognuno degli arconti infatti era affidato un compito particolare (all’arconte polemarco, ad esempio, era affidato il comando militare, all’arconte re compiti religiosi ecc.) (v. Atene) , mentre i consoli, per l’anno in cui rimanevano in carica, godevano dell’imperium,che assommava il potere esecutivo (il compito di fare eseguire le deliberazioni delle assemblee e del senato, di amministrare la giustizia, di prendere gli auspici) e il supremo comando militare in guerra. I consoli, inoltre, non dovevano render conto dei propri atti al popolo, come accadeva ai magistrati ateniesi. Custodi della legalità repubblicana, potevano decapitare chi attentava alla repubblica. Ad essi spettava convocare il senato, convocare e presiedere le assemblee, proporre le leggi. Il loro potere aveva due sole limitazioni: il rapporto col senato, che abbiamo già visto (v. par. I poteri del senato in età repubblicana), e la presenza di un collega. Ognuno dei due magistrati aveva infatti il diritto di veto (l’intercessio, da intercedere, “frapporsi”) nei confronti dell’altro: in caso di disaccordo, per non paralizzare l’attività di governo, i consoli governavano o comandavano l’esercito a mesi o a giorni alterni (come accadrà nella famosa battaglia di Canne). Per accedere al consolato occorreva aver percorso l’intero cursus honorum e avere almeno 37 anni. b. La magistrature al di fuori del cursus honorum La censura I due censori, eletti a partire dal 443 a.C. tra i nobili ogni cinque anni (ma in carica solo per 18 mesi), aggiornavano le liste elettorali e militari effettuando nel Campo Marzio, ogni cinque anni, il censimento dei cittadini e dei patrimoni. Avevano l’incarico di giudicare la moralità degli individui e, dal 312 a.C., di redigere le liste dei senatori, valutando chi fosse degno di sedere in senato ed eleggendo nuovi senatori tra coloro che avessero rivestito le magistrature più importanti, in sostituzione di senatori morti o di quelli espulsi perché “censurati” per il loro comportamento morale. Si occupato anche dell’ager publicus e degli appalti. Età minima 44 anni. La dittatura Era una magistratura straordinaria che sospendeva le magistrature ordinarie per un massimo di sei mesi e solo in occasione di situazioni di emergenza. Il dittatore era un solo magistrato, un ex console, scelto dal senato e nominato dai consoli, con i pieni poteri, che restituiva al termine del suo mandato. Il tribunato della plebe I tribuni della plebe inizialmente erano espressione della plebe, come il consolato lo era dei patrizi. Erano due, ma col tempo il loro numero aumentò fino a dieci. Erano nominati dai concili tributi, avevano il diritto di veto con cui potevano bloccare le decisioni dei consoli e i lavori di un’assemblea che si accingesse a votare una legge lesiva per la plebe. Questa loro prerogativa ben presto fu sfruttata dalla nobiltà, che non aveva difficoltà a far eleggere tra i dieci tribuni almeno uno di sua fiducia, che bloccasse col suo veto iniziative politiche sgradite. I tribuni erano “sacrosanti”, cioè sacri e inviolabili, non potevano essere arrestati né condannati. Avevano il diritto di difendere sia la plebe nel suo insieme, sia singoli plebei, contro decisioni arbitrarie di un magistrato. All’inizio potevano convocare solo i concili tributi, cioè l’assemblea della plebe, in seguito acquisirono altri poteri, come quello di convocare i comizi tributi (l’assemblea delle tribù) e persino il senato, e, dal 287 a.C., di promulgare delibere con valore di legge. Età minima 27 anni. Il tribunato militare Ogni tribuno militare comandava una coorte, cioè un battaglione di 600 soldati. Siccome l’età minima per accedervi era di soli 22 anni, il tribunato favoriva il giovane ambizioso che volesse intraprendere la carriera politica. TABELLA RIASSUNTIVA DELLE ISTITUZIONI REPUBBLICANE DI ROMA Istituzione Definizione Costituito da Scelta tribuni militari comandanti di una coorte magistrati 2 iniziali espressione 10 finali delle tribù e della plebe comizi tributi concili tributi (concilia plebis) 27 anni magistrati che indagano (quaero) comizi tributi 30 anni comizi tributi 31 anni. comizi centuriati 34 anni tribuni della plebe questori edili pretori patrizi e dal 409 a.C. anche plebei da 2 iniziali a 40 finali 4 magistrati 2 plebei e che si poi 2 patrizi occupano (curuli) edifici da prae-ire, praetor andare urbanus e innanzi dal 242 a.C. (inizialment praetor nell’esercito peregrinus ) (8 finali) Età Diritti, funzioni e compiti minim a 22 militari: comandare un battaglione di 600 anni soldati. consoli coloro che si consultano e deliberano (da consulere) re provvisori due patrizi e comizi dal 367 a.C. centuriati un patrizio e un plebeo 37 anni censori magistrati che censiscono dal 443 a.C. comizi 2 patrizi centuriati 44 anni dittatore magistrato che prescrive (dictat) 1 magistrato straordinari o (ex console) scelto dal senato e nominato dai consoli sacrosanti intercessio sulle decisioni dei consoli lesive degli interessi della plebe difendere la plebe convocare i concili tributi, poi anche i comizi tributi e il senato legislative: dal 287 a.C. promulgare delibere con valore di legge. amministrative e giudiziarie amministrare denaro pubblico, incassare i tributi, pagare gli stipendi ai soldati e ai dipendenti statali, accompagnare un governatore provinciale. sovrintendere a: mercati, approvvigionamento della città, spettacoli, manutenzione di strade ed edifici, ordine pubblico. originariamente condurre inchieste giudiziarie. Giudiziarie: amministrava la giustizia civile, a Roma (praetor urbanus), fuori Roma dal 242 a.C. (praetor peregrinus) I Legislative: promulgare regole giuridiche adeguate ai tempi; presentare proposte di legge all’approvazione delle assemblee. Poi militari ed esecutive simili a quelli dei consoli. Imperium: accompagnati da littori a. potere esecutivo: fare eseguire le deliberazioni delle assemblee e del senato, amministrare la giustizia, prendere gli auspici b.supremo comando militare convocare il senato, convocare e presiedere le assemblee, legislative: proporre le leggi. intercessio custodi della legalità repubblicana: supremo controllo pubblico (esclusa religione), decapitare chi attentava alla repubblica effettuare ogni cinque anni il censimento dei cittadini e dei patrimoni, giudicare la moralità degli individui, dal 312 a.C. redigere le liste dei senatori, occuparsi dell’ager publicus e degli appalti. pieni poteri per 6 mesi, con sospensione di tutte le magistrature ordinarie in situazioni di emergenza. Le assemblee repubblicane Le assemblee dei cittadini che in età repubblicana sostituirono gli antichi comizi curiati di età regia, ormai privi di importanza, erano riservate ai maschi adulti con diritto di cittadinanza. I loro poteri avevano notevoli limitazioni: non potevano assumere iniziative autonome, potevano approvare o respingere le proposte dei magistrati ma non discuterle né modificarle, le loro deliberazioni, per essere vincolanti, dovevano essere approvate dal senato, erano composte da tutti i cittadini romani, ma essi erano sparsi per tutta la penisola, anche in zone molto lontane da Roma, e per votare avrebbero dovuto recarsi in città, con gravi disagi. Di fatto quindi gran parte dei cittadini era esclusa dal diritto di voto. TABELLA RIASSUNTIVA DELLE ASSEMBLEE REPUBBLICANE Istituzione Definizione Costituito da assemblea 300 patres senato ristretta conscripti, degli patrizi e dal “anziani” 367 a.C. plebei, ex consoli, ex pretori, dal 287 a.C. ex magistrati minori comitatus 193 centurie comizi di patrizi e centuriati maximus: assemblea plebei: del popolo 1 classe di diviso in cavalieri + 5 classi in classi di censo base al + 1classe di censo proletari (capite censi) Con a capo princeps senatus Scelta eletto a vita dai consoli e dal 312 a.C. dai censori Funzioni unica sede delle discussioni politiche, auctoritas, consultiva: esprimere pareri in politica interna ed estera, con senatus consultum; approvare proposte di legge dei consoli consoli o pretori proprietari terrieri (reddito fondiario -dal 310 a.C. reddito in denaro) elettive: eleggere consoli, censori e pretori, legislative: approvare o respingere proposte di legge dei magistrati, decidere pace-guerra, giudiziarie: condannare a morte, militari: fornire 18 centurie di cavalieri (Icl), 120 di fanteria pesante (80 I, 20 II e III cl), 20 leggera (IVcl), 30 di arcieri e frombolieri (Vcl), 5 di falegnami ecc.(VIcl). elettive: eleggere questori e edili curuli e tribuni militari giudiziarie: nella maggior parte dei processi religiose: alcune funzioni legislative: delibere (plebis scita) con valore di legge dal 287 (Lex Hortensia) Giudiziarie: crimini passibili di punizioni pecuniarie Elettive: eleggere edili plebis e tribuni della plebe religiose: solo alcune funzioni comizi tributi assemblea di tribù (distretti territoriali) patrizi e plebei divisi per domicilio in 35 tribù consoli concili tributi (concilia plebis) assemblea della plebe plebei delle 35 tribuni della tribù plebe comizi curiati assemblea delle 30 curiae:10 per tribù membri maschi di 10 gentes per curia