Welfare, donna, lavoro, natalità

DONNE E FAMIGLIE (Relazione introduttiva di Marisa Pasina a nome delle donne SDI).
Milano 23 giugno 2007 Circolo della Stampa
Uno virgola due. Questa è la media dei figli per ogni coppia.
Rosy Bindi alla Conferenza Nazionale sulla famiglia di Firenze del mese scorso affermava che ”La
specificità italiana ormai non è tanto la ‘bassa fecondità’ ma la ‘persistente bassa fecondità’ che va
avanti da vent’anni…. Nei prossimi decenni si avrà un crollo della popolazione in età lavorativa
maggiore rispetto agli altri Paesi. Da qui al 2040, in particolare, avremo 7 milioni di anziani in più e
7 milioni di persone in età lavorativa in meno”. E il presidente della Repubblica Ciampi,
celebrando un otto marzo qualche anno fa, disse che “Una società senza culle è una società che
non ha fiducia nel futuro”.
Tutto vero. Ma perché succede? Le donne italiane sono troppo egoiste, troppo impegnate nel
lavoro?
Abbiamo visto spezzoni di alcune interviste fatte da Silvia Ferreri “una giovane donna coraggiosa
e testarda”, come l’ha definita Miriam Mafai nella prefazione del libro che spiega le difficoltà
affrontate nel produrre il documentario di cui abbiamo visto una sintesi, nato da una ricerca per
capire e cercare le risposte alle domande sopra formulate.
E direi che qualche risposta l’ha trovata: “Il primo figlio te lo fanno pure passare” dice M. Grazia
“al secondo ti fanno vedere i sorci verdi… il terzo dovresti essere pazza a pensarci” “Non avrò un
altro figlio – testimonia Giovanna – perché nella mia azienda un figlio è considerato un errore di
percorso, il secondo un errore fatale” E Costanza “piangevo mentre andavo a firmare un foglio in
cui dichiaravo di licenziarmi di mia spontanea volontà” e così via.
Come si fa a fare figli se non si ha un futuro da offrirgli?
Come si fa a fare figli se nel momento in cui le spese familiari aumentano si teme di perdere il
lavoro e, dunque una parte del reddito necessario in un momento così delicato?
Ma è giusto per le donne dover rinunciare ad una parte di vita: o lavoro o maternità?
Perché nel nostro Paese che sta attraversando un perdurante periodo di crisi politico istituzionale
invece di investire su tutte le potenzialità a disposizione ci si permette di fare a meno di una parte
consistente di esse, o, quanto meno, non la si fa esprimere nella loro completezza? Perché la politica
(o meglio, i partiti, compresi quelli di sinistra, riformisti) non sono attenti a questi problemi e non si
muovono per cercare soluzioni? Per un insano sentimento di autoconservazione, senza capire di
avvicinarsi, forse, sempre più ad un punto di non ritorno, come il montante sentimento diffuso di
antipolitica e il crescente distacco e sfiducia in chi ci governa testimoniano? Eppure le donne, come
giustamente sottolinea l’UDI che ha promosso una raccolta di firme per l’iniziativa di legge
popolare di Democrazia paritaria – 50 e 50 in tutti i posti dove si decide - proprio perché i Partiti in
Italia non hanno avuto la capacità di gestire autonomamente il riequilibrio di rappresentanza, le
donne, dicevo, non sono mai state “il problema” neanche quando hanno “chiesto” alla Politica diritti
per le donne perché, comunque, sono stati diritti e conquiste per tutta la società.
Anche oggi bisogna pensare a nuovi modelli di vita al passo con il mutare della società in tutti i
campi della vita. Si è cambiata l’organizzazione del lavoro perché la società cambiata ci ha messo
davanti a questo problema, ma si fa fatica ad accettare (e qualcuno proprio non vuole accettare) che
la stessa società ci ha già messo davanti anche al mutamento di quello che qualcuno si ostina a
chiamare l’immutato istituto della famiglia.
Noi, invece, di questo cambiamento abbiamo preso atto e, laicamente, parliamo di famiglie:
tradizionali, allargate, eterosessuali e omosessuali, cioè di tutte quelle realtà dove ci siano
sentimenti di affetto, rispetto e solidarietà.
La premessa di questa iniziativa “Le donne si fanno avanti” è, forse, ambizioso, ma non è una botta
di pazzia, è reale. Quando c’è un momento di crisi le donne hanno sempre dimostrato di esserci e di
impegnarsi: solo per rimanere agli ultimi secoli, così è stato nel Risorgimento, nella Resistenza,
nelle grandi battaglie per i diritti civili. E hanno anche dimostrato di saper superare divisioni per
arrivare ad uno scopo comune. Nel nostro piccolo questo noi vogliamo fare cercando anche di dare
una sana scossa al nostro Partito che non può permettersi ulteriori momenti di attesa e una base di
discussione concreta a un governo che continuiamo a pensare navigare troppo a vista e che, invece,
dovrebbe darsi finalmente una rotta ben definita..
Parlare delle donne e dei loro problemi è parlare dei problemi della società.
Parlare delle donne nel lavoro, all’interno delle famiglie, nella vita dei partiti, dei sindacati, delle
istituzioni vuol dire affrontare il tema della discriminazione e dell’esclusione sociale delle donne
che è di una tale vastità e così profondamente sentito da chi ha vissuto il femminismo che nel
trattarlo si rischia di cadere nel generico e nel “già visto, già detto” ma poiché questa ingiustizia non
è ancora stata superata e pesa sulle coscienze di tutti noi che crediamo nel socialismo come
portatore di giustizia, proprio noi dobbiamo continuare ad offrire al 3° millennio il contributo delle
nostre idee, che la storia non ha smentito, sforzandoci di declinarle alla realtà di oggi.
La composizione per genere del nostro Parlamento rivela quanto sia anomalo il caso italiano, ma,
allo stesso tempo, ci chiarisce subito il perché alcuni dei temi su cui ho posto le domande all’inizio
non siano affrontati. Già del 1848 le operaie statunitensi nella grande manifestazione di New York e
nel 1910 le socialiste dell’ISW erano consapevoli che solo i diritti politici (oggi diremmo di
cittadinanza) esercitati autonomamente e non per delega, potevano garantire i loro interessi. Più
donne nel legislativo significa più attenzione al lavoro, alla conciliazione tra lavoro e famiglia, alle
pari opportunità per tutti, ai bilanci con ottica di genere.
Già, la conciliazione. E’ un bisogno reale, eppure, nonostante da anni sia stata approvata una legge
apposita – la n. 53 – il tema della conciliazione è sempre meno menzionato, sempre più visibile nei
dati, sempre più sollecitato dall’Unione Europea, ma nei fatti lasciato in secondo piano. Sempre la
Bindi nella Conferenza di Firenze, diceva che per farla funzionare “occorre eliminare alcune rigidità
(quali, come?) per lasciare che il lavoratore e la lavoratrice spendano i congedi parentali in maniera
più flessibile nell’arco del tempo, secondo le loro reali esigenze”.
Forse è necessario anche qualcosa di più. Un processo culturale più complessivo su cui nessuno si
sta impegnando seriamente per “insegnare” e far prendere coscienza a tutti, a partire dalle giovani
generazioni, adulti nel secolo appena iniziato, che la società reale non è più (se mai lo è stata) quella
delle vignette del Corrierino dei piccoli, che esiste una grande necessità di creare le condizioni per
potenziare le funzioni e il ruolo delle donne nelle diverse società del mondo e che per ottenere
questo è necessario che tutte e tutti compiano azioni che permettano di eliminare gli ostacoli che
durante i secoli hanno reso difficile la partecipazione delle donne avendo la convinzione di fondo
che il loro ruolo si riducesse unicamente alla riproduzione e ai lavori domestici, visto che ancora
oggi si sente anche qualche compagno che pensa di poter offrire la soluzione alla crisi economica e
di posti di lavoro lasciando a casa le donne perché in fondo “ogni posto occupato da una donna è
uno in meno per un uomo”.
L’Europa ha ben presente che se si vuole raggiungere l’obiettivo del tasso di occupazione
femminile del 60% entro il 2010 queste misure vanno messe con urgenza all’ordine del giorno
dell’agenda pubblica e applicate con determinazione. Purtroppo da noi non esiste una visione
condivisa di un modello di relazioni nuove all’interno delle famiglie e di un rapporto innovativo fra
famiglia e lavoro.
La conciliazione in ottica europea è un elemento di innovazione del sistema produttivo e del tessuto
sociale attraverso un sistema integrato di politiche organizzative d’impresa, di politiche formative,
di politiche sociali (welfare) e di politiche del territorio rispondenti ai reali bisogni di donne e
uomini.
“Nel XXI secolo crolleranno i Paesi che non investiranno sulla conoscenza e sulla formazione
continua. Il ruolo delle donne diventerà sempre più importante. Dove saranno di casa, nei prossimi
anni, nei prossimi decenni il successo e la crescita? In quei Paesi che sapranno investire nei propri
cittadini. Perché il capitale umano è sempre più importante; perchè non basta possedere petrolio e
materie prima per prosperare; perchè le persone e non le risorse o le macchine determinano già, ma
lo faranno sempre di più la nostra ricchezza. Questa è la mia visione dell’umanità: le persone sono
importanti” Questa è una delle affermazioni fatte da Gary Becker, premio Nobel 1982, docente
all’Università di Chicago, l’economista più citato al mondo, al Festival dell’Economia di Trento del
mese scorso. Becker ha delineato il passaggio verso quella che ha definito la “terza ondata della
rivoluzione industriale” nella quale alle donne toccherà un ruolo decisivo”.. aggiungendo che “il
capitale umano è un potente motore di crescita e quei Paesi con scarsi investimenti in capitale
umano sono destinati a soccombere nella competizione economica…certo sono necessari altri
cambiamenti ….mercati del lavoro flessibili, facilitazioni da garantire a chi avvia nuove attività
imprenditoriali, ma il fattore più importante sempre più sarà legato a come i Paesi tratteranno la
propria cittadinanza, permettendo a tutti di partecipare in modo moderno alla vita della società”.
E se lo dice un premio Nobel di tale portata non vedo perché non dovremmo spenderci con tutte le
nostre forze per aumentare la partecipazione femminile in tutti i campi, a partire dal mercato del
lavoro, della ricerca.
Nella tavola rotonda che seguirà vedremo il confronto diretto dei vari punti di vista in merito alle
difficoltà legate all’entrare e al permanere nel mondo del lavoro per le donne, specie se hanno figli
e famiglia, intanto a noi pare che, quanto meno, serva più attenzione:
•
alla “centralità del tempo” e alla flessibilità della sua organizzazione;
•
alle politiche di conciliazione tra lavoro e vita familiare per donne e uomini come politiche
di sistema, quindi con appositi stanziamenti economici ben individuati, che contemplino interventi
per la famiglia;
•
alle politiche di coordinamento dei tempi della città, ponendosi come obiettivo che lo
sviluppo economico e sociale sia in armonia con il benessere delle persone (donne e uomini) e delle
famiglie
•
al superamento del modello italiano di “welfare mediterraneo”, cioè scaricato sulle famiglie
e perciò sulle donne sia che siano all’interno di una famiglia tradizionale, che allargata, o single.
Ripensare l’intero modello di Welfare è un altro tema attuale che viene spesso affiancato a quello
della pressione fiscale. C’è chi, Oscar Giannino, invoca l’abbattimento delle imposte come un
sistema per far entrare meno soldi nelle casse pubbliche e, di conseguenza, ridurre i servizi per
modificare l’intero rapporto tra la società e lo Stato,cambiando il sistema di Welfare, l’economia,
la libertà… concludendo che “ogni soldo in meno allo Stato è uno in più all’economia privata che
decide come spenderlo o investirlo”
E chi, invece, parlando del modello di welfare nordico , decisamente il più però, che a favore delle
donne, afferma che bisogna proporre un nuovo contratto sociale ai cittadini centrato su un tasso di
occupazione femminile elevato, investimenti nei giovani, flessibilità del lavoro combinata ad un
sistema di protezione sociale elevata e servizi pubblici di qualità. Un programma di Lisbona non
solo indicato, ma accompagnato da una reale volontà politica che i cittadini percepiscano come
vera. Pierre Cahuc (Sciausc), sempre al Festival dell’economia di Trento sottolineava che solo “Il
senso civico si configura come un elemento chiave per l’adozione del modello di Flexicurity in un
Paese. Riforme del mercato del lavoro sono quasi impossibili senza una più ampia politica che
incida sul comportamento civico che a sua volta diventa molto difficile da modificare quanto è più
alto il grado di corporativismo esistente in un paese… Importante è, dunque, ideare politiche
sociali che sostengano atteggiamenti positivi” continuando “Nei Paesi scandinavi si pagano alte
tasse ma tutto ciò è accettato perché i cittadini danesi sanno che da esse trarranno un ritorno utile e
perchè riconoscono alle istituzioni un elevato grado di affidabilità; il grado, cioè, di ‘civismo’ di un
Paese rispecchia anche il livello di fiducia che i cittadini hanno nelle istituzioni. Certo è, per tornare
all’Italia, - continuava - che non è di grande aiuto per la crescita di un diffuso senso civico in un
Paese che un ex capo di governo dichiari che è giusto evadere le tasse”.
Il senso civico: ricominciare anche a parlare di regole certe e rispettate da tutti, cosa che non vale
solo, logicamente per il Welfare. Un po’ quanto invocava anche il nostro assessore Grancini
parlando del problema sicurezza, accoglienza, integrazione.
Quale la ricetta migliore? Su quale ci vogliamo spendere?
Tornando al tema odierno, come donne pensiamo che il nuovo sistema di Welfare che ci serve
debba tener presente, da subito un incremento dei servizi:
•
l’incremento di strutture per l’infanzia (non solo di custodia, ma di educazione) più
economiche e flessibili conformemente agli obiettivi di Barcellona che prevedono entro il 2010 la
copertura di almeno il 90% del bisogno;
•
l’incremento di servizi che rispondano alle esigenze della popolazione anziana e delle
persone non autosufficienti.
Nel lavoro: il part time e i lavori precari sono a prevalenza femminili: Anche nella ricca Lombardia,
la precarizzazione riguarda prevalentemente la componente femminile della forza lavoro. Ciò
significa minore reddito e minore certezza di reddito, minore indipendenza ed autonomia ed un
ancor più incerto futuro previdenziale; altro che fare figli! Tutto ciò nonostante la presenza di una
forza lavoro femminile più scolarizzata e professionalizzata. Con una struttura produttiva italiana
che non è in grado o non vuole assorbire e pagare personale qualificato o, come dice Becker
“investire sul capitale umano”, la discriminazione delle donne è doppia perché esse sono
considerate inaffidabili e costose in quanto potenzialmente in grado di essere madri.
Occorrono pertanto proposte e modifiche legislative per azioni a favore dell’incremento e della
stabilizzazione del lavoro femminile approfittando delle norme inserite in finanziaria:
•
per il riconoscimento anche economico di carriera e della professionalità;
•
per l’estensione a tutte le tipologie di lavoro di forme di tutela per la maternità (soprattutto
per la maternità a rischio)
•
per l’introduzione di forme di sostegno al reddito nei periodi di non lavoro e all’accesso al
credito.
Per favorire il lavoro femminile vi sono alcune proposte sul tavolo:
1.
La proposta avanzata da Alberto Alesina e Andrea Ichino che consiste nel far pagare agli
uomini un’imposta maggiore a quella delle donne a parità di reddito percepito. In tal caso è stato
giudicato da esperti molto incerto l’impatto di aliquote differenziate sull’offerta di lavoro
complessiva;
2.
La proposta del Quoziente familiare, con già alcune proposte di legge presentate, che
prevede la definizione fiscale dell’unità familiare, è una imposta applicata in Francia e, salvo alcune
differenze in Germani a e USA. Probabilmente in Italia indurrebbe l’effetto di scoraggiare la
partecipazione lavorativa femminile;
3.
Il Credito d’Imposta per i familiari a carico, la proposta avanzata da Tito Boeri e Daniela del
Boca, sull’esempio del Working Family Tax Credit e del Child Tax Credit inglesi, su cui non mi
dilungo perché verrà meglio illustrata dalla prof.ssa Del Boca, pare a noi più rispondente
all’esigenza di promuovere una proposta che tenga conto sia del contesto lavorativo delle donne in
Italia che dell’ambito familiare, non aprendo, però, il discorso solo alla famiglia, in cui si svolge
l’attività di cura e alla cui definizione, visto che è ancora in embrione, vorremmo contribuire La
proposta si interroga sulle diversità delle condizioni femminili in ordine alla struttura familiare e si
propone di intervenire a risolvere il circolo vizioso bassa partecipazione lavorativa, bassa natalità.
Questo aspetto sarà poi oggetto della successiva tavola rotonda e dunque mi limito all’enunciazione.
Mi permetto solo di sottoporre alla prof.ssa Del Boca una riflessione di Chiara Saraceno che
riconosce la bontà della proposta del credito d’imposta che, afferma, “… è uno strumento in varie
forme utilizzato per incentivare al lavoro persone altrimenti a rischio di entrare nel novero dei
beneficiari di assistenza sociale. Ma può benissimo essere utilizzato per riconoscere il costo della
cura per le lavoratrici, anche se limitatamente a quelle a reddito più basso. Unita all’ampliamento
dell’offerta di servizi per la prima infanzia e a una riduzione del loro costo soprattutto per chi ha un
reddito modesto (oggi basta essere occupati in due per pagare la tariffa piena) avrebbe un potente
effetto di sostegno all’occupazione delle donne che fanno più fatica, e hanno meno convenienze a
rimanere nel mercato del lavoro.” Fin qui mi pare che l’analisi coincida e aggiunge “Certo la cosa
ha un costo. Ma molte ricerche empiriche hanno mostrato che il lavoro femminile aumenta la
domanda di lavoro, quindi anche la base imponibile. Inoltre, se ci si muovesse in questa direzione si
potrebbe affrontare anche la questione dell’età pensionabile delle donne perché l’equiparazione
dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini dovrebbe avvenire con una combinazione di
strumenti: crediti d’imposta, crediti pensionistici, servizi. E in questo tipo di interventi che dovrebbe
essere investito il risparmio derivante dall’innalzamento dell’età pensionistica delle donne” e qui
differisce la sua proposta “Sono meno d’accordo, invece, sulla proposta di Boeri e Del Boca di
utilizzare il fondo per la non autosufficienza, sia perché è una voce che non si sa se sarà in bilancio
anche negli anni prossimi, sia perché la questione della non autosufficienza è altrettanto grave di
quella della cura e dei più piccoli. Richiederebbe più, non meno risorse”
Parlando di lavoro femminile va inoltre tutelata anche l’imprenditorialità e la libera professione
femminile, poiché forti motivazioni ed adeguata preparazione non sono sempre sufficienti a
superare alcuni ostacoli che si frappongono all’espletamento dell’attività delle imprenditrici. Le
difficoltà più comuni sono il reperimento del capitale, l’accesso al credito, l’acquisizione dei clienti,
la mancanza di servizi efficaci.
Una efficace azione di controllo, oltre che di organizzazione del lavoro (per un lavoro qualitativo e
non quantitativo), per la parità salariale senza costringere a guardare con interesse il “test di
Londra” quello che il PSE ha organizzato come una giornata di azione contro l’ineguaglianza
salariale tra i due sessi il 22 febbraio. Perché una donna deve lavorare dal gennaio 2006 fino al 22
febbraio 2007 per guadagnare l’equivalente del salario che un uomo avrà guadagnato nel solo anno
2006?
Abbiamo posto la discussione le nostre riflessioni e tante domande cui, logicamente, non
pretendiamo di avere le risposte – altrimenti penso che governeremmo il mondo -, ma sulle quali
possiamo assicurare vogliamo delle risposte, degli impegni e delle azioni positive (e saremo delle
spine nel fianco, il fiato sul collo che non si allontana, le ombre sempre dietro, con azioni, con
ulteriori suggerimenti) dalla politica a partire dal nostro partito, a livello regionale e nazionale.
Per terminare brevi accenni a temi che saranno oggetto di successive iniziative ma che non
possiamo non citare parlando di donne e anche di famiglie.
Non possiamo dimenticare
le nuove schiave che vivono il massimo dell’esclusione: sono le straniere costrette a prostituirsi o ai
lavori più umili;
le donne che subiscono violenza in famiglia, fenomeno vergognoso di cui noi dobbiamo essere
consapevoli, visto che gli attori sono soprattutto uomini italiani anche di cultura medioalta.Dobbiamo attivarci perché il vergognoso fenomeno della violenza sulle donne e sui bambini sia
sradicato nel tempo non tanto con nuove leggi quanto piuttosto con l’applicazione delle norme
esistenti e la certezza della pena, senza attendere di arrivare alla tragedia per intervenire.
Fare una campagna di “pubblicità-progresso” per costruire nell’opinione pubblica una cultura di
condanna delle violenza e dell’estrema violenza. Garantire la continuità del lavoro dei centri
antiviolenza.
Inserire nelle nuove norme per la cittadinanza l’obbligo per chi la richiede o comunque l’ha ottenuta
di rispettare rigorosamente non solo la Costituzione italiana, ma anche le nostre leggi, compreso il
diritto di famiglia, separando la dimensione dell’etica laica, pubblica, dalla dimensione della libertà
religiosa, che è privata.
L’Unione Europea ha dichiarato il 2010 “Anno Europeo contro la povertà” e il 2007 “Anno
Europeo delle Pari Opportunità per tutti” e con la “Carta europea per la parità tra uomo e donna
nella vita locale” e la “Roadmap per la parità tra donne e uomini 2006-2010” della Commissione
delle Comunità Europee, ha indicato un percorso per la nuova Europa Sociale. Percorso strutturato
nel documento di Delors e Rasmussen a Oporto:
UNA NUOVA EUROPA SOCIALE
Che si faccia carico delle discriminazioni e delle discriminazioni multiple per impedire l’esclusione