parte_prima disturbi del comportamento a scuola

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Parte prima
I disturbi del comportamento in classe: definizioni e
caratteristiche.
Mauro Mario Coppa
Antonella Melchiorri
Silvia Vignini
(Gruppo G.A.I.D.A., Ancona)
Il bambino con Disturbo Oppositivo Provocatorio
La caratteristica fondamentale del Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP)
consiste in una modalità ricorrente di comportamento negativistico, provocatorio,
disobbediente, ed ostile nei confronti delle figure dotate di autorità che persiste per
almeno 6 mesi ed è caratterizzato dall’insorgenza di almeno uno dei seguenti
comportamenti: perdita di controllo, litigi con gli adulti, opposizione attiva o rifiuto di
rispettare richieste o regole degli adulti, azioni deliberate che danno fastidio agli altri,
accusare gli altri dei propri sbagli o del proprio cattivo comportamento, essere
suscettibile o facilmente infastidito dagli altri, essere collerico e risentirsi, o essere
dispettoso o vendicativo (DSM IV).
Le manifestazioni di disturbo possono essere presenti nell’ambiente familiare, ma
non manifestarsi a scuola o nella comunità, sono tipicamente più evidenti nelle
interazioni con gli adulti o i coetanei che il soggetto conosce bene e possono quindi non
manifestarsi durante l’esame clinico.
Le manifestazioni e i disturbi associati variano in funzione dell’età del soggetto e
della gravità del Disturbo Oppositivo Provocatorio; ha maggiore prevalenza nei maschi
rispetto alle femmine in epoca prepuberale, mentre le percentuali sembrano essere uguali
dopo la pubertà con sintomi simili in entrambi i generi. Il DOP si fa di solito evidente
prima dei 18 anni di età e di solito non più tardi dell’adolescenza; con un esordio
tipicamente graduale e di solito avviene nel corso dei mesi o di anni, ha maggiore
prevalenza nelle famiglie in cui l’accudimento del bambino è turbato da un susseguirsi di
diverse persone preposte all’accudimento stesso, o in famiglie in cui sono comuni
pratiche educative rigide, incoerenti, o distratte. Il DOP sembra essere più comune nelle
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famiglie in cui almeno uno dei genitori ha una storia di Disturbo dell’Umore, Disturbo
della
Condotta,
Disturbo
Oppositivo
Provocatorio,
Disturbo
da
deficit
dell’Attenzione/Operatività, Disturbo Antisociale di Personalità, o Disturbo Correlato a
Sostanze. Inoltre, alcuni studi suggeriscono che madri con Disturbo Depressivo hanno
maggiori probabilità di avere bambini con comportamento oppositivo ed è più comune
nelle famiglie in cui vi è un grave disaccordo coniugale.
Sembra opportuno sottolineare che il comportamento oppositivo è una tipica
caratteristica di certi stadi di sviluppo (per es. la prima fanciullezza e l’adolescenza); una
diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio dovrebbe essere presa in considerazione
solo se i comportamenti si manifestano più frequentemente e hanno conseguenze più
gravi rispetto a quelli tipicamente osservati in altri soggetti e che portano ad una
significativa compromissione del funzionamento sociale, scolastico e lavorativo.
Il bambino con Disturbo della condotta
La prevalenza del Disturbo della Condotta sembra essersi accresciuta negli ultimi
decenni e può essere maggiormente osservata negli ambienti urbani piuttosto che in
quelli rurali. Le percentuali variano ampliamente a seconda della natura della
popolazione campionata e dei metodi di valutazione, studi condotti sulla popolazione
generale riportano percentuali che variano da meno dell’1% a più del 10%. I tassi di
prevalenza sono maggiori tra gli uomini che tra le donne, l’esordio del Disturbo della
Condotta può verificarsi anche in età prescolare, ma i primi sintomi significativi
emergono nel periodo tra la media infanzia e la media adolescenza.
La caratteristica fondamentale del Disturbo della Condotta è una modalità di
comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri, le norme o
le regole della società appropriate all’età vengono violate. Questi comportamenti si
inseriscono in quattro gruppi fondamentali: condotta aggressiva che causa o minaccia
danni fisici ad altre persone o ad animali, condotta non aggressiva che causa perdita o
danneggiamento della proprietà, frode furto, e gravi violazioni di regole.
Per diagnosticare il Disturbo della Condotta devono essere stati presenti, durante i
12 mesi precedenti, almeno tre comportamenti caratteristici con almeno un
comportamento presente nei sei mesi precedenti e l’anomalia del comportamento deve
portare alla compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale,
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scolastico, o lavorativo (DSM-IV). Il disturbo della Condotta può essere diagnosticato in
soggetti che hanno più di 18 anni ma solo se non vengono soddisfatti i criteri del
Disturbo Antisociale di Personalità, inoltre va sottolineato che i soggetti con Disturbo
della Condotta tendono a minimizzare i propri problemi di condotta.
I bambini o gli adolescenti con questo disturbo spesso innescano comportamenti
aggressivi e reagiscono aggressivamente contro gli altri; possono mostrare un
comportamento prepotente, minaccioso, o intimidatorio; dare inizio frequentemente a
colluttazioni fisiche; usare un arma che può causare seri danni fisici; essere fisicamente
crudeli con le persone o con gli animali; rubare affrontando la vittima ( ad esempio
scippo ed estorsione, rapina a mano armata), oppure forzare un’altra persona all’attività
sessuale (stupro, violenza).
Sono stati stabiliti due sottotipi di Disturbo della Condotta a seconda dell’età
all’esordio del disturbo: Tipo con Esordio nella Fanciullezza e Tipo con Esordio
nell’Adolescenza (DSM-IV). Questi due sottotipi si differenziano in base alla natura dei
problemi di condotta, al decorso durante lo sviluppo, dalla prognosi e dalla distribuzione
tra i generi. Entrambi i sottotipi possono manifestarsi in forma lieve, moderata o grave.
Nei Disturbi della Condotta ancora non si sa con certezza che parte realmente
giochino l’ereditarietà e i fattori organici, ma sta di fatto che di fronte a situazioni
familiari frustranti, i bambini possono reagire nei modi più diversi; comportamenti
aggressivi e oppositivi, difficili da gestire anche in psicoterapia.
Le valutazioni da studi su gemelli e su soggetti adottati mostrano che il Disturbo
della Condotta ha componenti sia genetiche che ambientali. Il rischio di Disturbo della
Condotta è aumentato nei bambini con un genitore biologico o adottivo con Disturbo
Antisociale di Personalità o con un fratello con Disturbo della Condotta. Il disturbo
sembra anche essere più comune nei figli di genitori biologici con dipendenza da alcol,
Disturbi dell’Umore o Schizofrenia, o di genitori biologici che hanno una storia di
Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività o di Disturbo della Condotta.
Il bambino con Deficit di Attenzione e di Iperattività
Nell’ambito del sempre più crescente interesse per i Disturbi di Attenzione con
Iperattività (DDAI), una delle nuove frontiere sembra essere quello della diagnosi e
dell’intervento precoce. Data la grande variabilità del comportamento dei bambini in età
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prescolare è molto difficile fare una diagnosi precoce, la maggior parte delle ricerche
nell’ambito del DDAI ha coinvolto i bambini dai 7 anni in su, mentre sono rimaste scarse
le conoscenze e gli strumenti per la validazione dei bambini della scuola dell’infanzia
(Riello, Re, Cornoldi, 2005).
La scuola costituisce un osservatorio privilegiato del comportamento quotidiano del
bambino in situazioni non sempre facili dal punto di vista emotivo, cognitivo e sociale.
L’insegnate grazie alla sua esperienza e al fatto che trascorre molto tempo con il bambino
può riconoscere elementi di problematicità che potranno costruire il punto di partenza per
un approfondimento diagnostico e l’implementazione di adeguate procedure di aiuto.
Questa scala non può essere considerata un vero strumento diagnostico ma soltanto un
primo aiuto per un percorso da avviare con il bambino.
Nei soggetti con Deficit di Attenzione e Iperattività la compresenza trasversale è
particolarmente elevata. Si parla di comorbilità trasversale quando nello stesso soggetto
si manifestano due o più disturbi contemporaneamente; mentre si parla di comorbilità
longitudinale quando i disturbi compaiono in successione. Almeno 2/3 dei bambini con
DDAI presentano un disturbo psicopatologico associato e tale comorbilità può
influenzare la fenomenologia, la gravità, la prognosi e il trattamento; le associazioni più
frequenti sono quelle con i disturbi della condotta esternalizzate (oppositivo provocatorio
e della condotte) e internalizzate (ansia, disturbo bipolare e depressione) (Masi,
Millepiedi, Pizzica, 2005). In età evolutiva i disturbi che hanno maggiore compresenza
con il DDAI sono i seguenti: disturbi di apprendimento; problematiche associate
all’autostima; disturbo oppositivi provocatorio; disturbo della condotta; ansia; autismo ad
alto funzionamento; disturbo di Tourette (Cornoldi, Molin, Marcon, 2004).
Munir e colleghi stimano una percentuale di compresenza DDAI e Disturbo della
Condotta pari a 36%, e al 59% per il Disturbo Oppositivo Provocatorio. Nel Disturbo
della Condotta si assiste ad una modalità di comportamento ripetitiva e persistente che
viola i diritti fondamentali degli altri oppure norme e regole condivise dalla società. Il
comportamento dei bambini con questo disturbo è caratterizzato da aggressività,
prepotenza e distruttività, collera, ira, sfida e ipersensibilità.
Nel caso di comorbilità con il DDAI c’è un’esacerbazione dei sintomi; i bambini
sono più aggressivi, più ansiosi, hanno una minore autostima e sono più a rischio di
sviluppare depressione, hanno relazioni povere con il gruppo dei pari e più spesso
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risultano fra i bambini rifiutati, hanno più problemi scolastici e comportamenti
antisociali.
Un altro disturbo associato al DDAI è quello di Tourette che fa parte dei disturbi da
tic ed è caratterizzato da movimenti e/o vocalizzazioni improvvisi, rapidi, ricorrenti,
aritmici, stereotipati e involontari. Circa il 40-50% dei soggetti con disturbo di Tourette
manifesta anche sintomi di iperattività e disattenzione; in molti casi i sintomi del disturbo
da deficit di attenzione e iperattività precedono di alcuni anni la comparsa dei tic. I
soggetti sono più aggressivi, reagiscono in maniera sproporzionata alle provocazioni,
mostrano di avere scarsa autostima, un’immagine negativa si sé, sono irritabili,
scarsamente tolleranti alle frustrazioni e presentano deficit di inibizione e problemi
cognitivi.
Anche la depressione, considerata piuttosto rara nei bambini, è un’altra tra le
sindromi associata al disturbo da deficit attentivo e iperattività. Attualmente si stima
un’incidenza della depressione in età scolare di circa il 2%, più della metà potrebbe
interessare il gruppo DDAI. La sintomatologia nei bambini mostra un’accentuazione
dell’irritabilità e delle lamentele relative allo stato fisico, le caratteristiche principali sono
umore depresso e perdita di interesse per quasi tutte le attività, per un periodo di almeno
di due settimane, ma nei bambini è più facile riscontrare umore irritabile o instabile
piuttosto che triste e abbattuto. I bambini con questo tipo di comorbilità presentano con
più frequenza la “triade cognitiva” caratterizzata da visione negativa di sé, del mondo e
del futuro.
I disturbi d’ansia sono i più frequentemente diagnosticati nei bambini in età scolare
e quello ad esordio infantile è i disturbo d’ansia da separazione. Esso è caratterizzato da
un’ansia eccessiva riguardante la separazione da casa o da coloro a cui il soggetto è
attaccato. La percentuale nella popolazione normale è stimata attorno al 4%, tra i bambini
con DDAI sale al 25%. I bambini con questo disturbo hanno difficoltà all’ora di andare a
letto, presentano risvegli notturni frequenti, incubi, fobie, paura a stare da soli, riluttanza
nell’andare
a
scuola,
lamentano
ripetutamente
malesseri
fisici
ed
eccessiva
preoccupazione riguardo a eventi spiacevoli o imprevisti come incidenti, malattie e morti.
Le line guida per la diagnosi e la terapia farmacologica del DDAI, pubblicata dalla
Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, hanno fornito un
aggiornamento delle conoscenze sul disturbo, delle possibili cause sulle diverse
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manifestazioni comportamentali, nonché le raccomandazioni basate sull’evidenza, per la
diagnosi, la gestione e il trattamento (Cavolina, Sanna, Ancilletta, 2005).
Alcuni autori hanno individuato nel DDAI un fattore di rischio per la messa in atto
di comportamenti prevaricanti in classe. Al fine di analizzare le aree di sovrapposizione e
le aree indipendenti fra ragazzi con DDAI e alunni coinvolti nel bullismo è stata condotta
una ricerca su un campione di 703 soggetti. I risultati hanno confermato che il DDAI
incrementa il rischio di rendersi autori di prevaricazioni a scuola, individuando nella
componente impulsiva del DDAI il fattore correlato alla componente prepotente
(Caravita, Fabio, 2006).
Le condotte aggressive
Negli ultimi quarant’anni si è assistito a un enorme sviluppo della conoscenza e
delle strategie di intervento sul disadattamento sociale dei bambini. La ricerca ha
evidenziato l’importanza delle relazioni positive fra coetanei come contesto di
socializzazione e sviluppo emozionale e ha contribuito a definire la vulnerabilità dei
bambini rifiutati dai coetanei, infatti, molti studenti con difficoltà hanno scarse abilità
sociali e non sono accettati dai pari. La presenza in classe di alunni con problemi di
comportamento aggressivi e distruttivi può incidere in maniera molto negativa sia sulla
didattica che sulla qualità del clima sociale. Studi sulla vita sociale di studenti
normodotati mostrano che il rifiuto da parte dei pari e i deficit nelle abilità sociali sono
associati a successivi problemi di adattamento.
Nel corso di tutta la loro carriera scolastica, i ragazzi costruiscono la propria identità
e il proprio status attraverso le interazioni sociali e le relazioni con i pari. Già nella scuola
dell’infanzia i bambini sviluppano strutture sociali di gruppi distinti e sono selettivi
nell’affiliarsi ai pari. Tale selettività si mantiene nel corso degli anni via via che il
ragazzo crea e modifica la sua identità, i suoi comportamenti e i suoi valori tramite le
affiliazioni e i ruoli sociali. I conflitti interpersonali nella scuola sono i riflesso di
dinamiche sociali naturali che emergono quando gli studenti cercano di salvaguardare o
migliorare la loro posizione sociale e i confini del loro gruppo dei pari.
I bambini che da piccoli sono molto aggressivi, durante l’adolescenza e l’età adulta
tendono ad essere rifiutati dai pari ed hanno una maggiore probabilità di sviluppare
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problemi di adattamento. I ragazzi aggressivi e distruttivi possono suscitare nel loro
ambiente risposte che mantengono il loro comportamento, attraverso queste interazioni il
ragazzo con comportamento antisociale tende a affiliarsi con pari che ricambiano il suo
comportamento, che sono cioè al loro volta aggressivi o fanno da complemento ad essi,
vale a dire essere dei seguaci o delle vittime.
Nella struttura sociale i ragazzi aggressivi e distruttivi possono quindi rivestire una
varietà di ruoli; alcuni possono essere dei bulli che esercitano un’influenza considerevole
sulla struttura sociale della classe, altri possono essere seguaci che si guadagnano il
favore dei compagni più di rilievo comportandosi in modo aggressivo e distruttivo, altri
ancora possono fare la parte della vittima e mostrare comportamenti aggressivi e
distruttivi in risposta alle provocazioni dei pari o perché sono privi delle abilità sociali
necessarie per soddisfare i propri bisogni con modalità socialmente competenti.
Anche se il comportamento aggressivo e distruttivo è associato allo status di rifiuto,
non tutti i ragazzi aggressivi e distruttivi però hanno una bassa posizione sociale, anzi le
ricerche dimostrano che in alcune classi occupano una posizione di rilevo nella struttura
sociale e vengono percepiti, sia dai pari che dagli insegnanti, come persone popolari, ciò
dimostra che lo status di uno studente può dipendere in parte dalle norme e dai valori
presenti nel contesto dei pari. Questi dati invitano alla prudenza nel concludere che il
rifiuto dei pari sia l’unico fattore che determina lo sviluppo di psicopatologie e a dubitare
dell’utilità dello status di rifiuto come indice predittore di successivi disturbi. Quando si
considerano gli effetti dello status di rifiuto occorre tenere presente anche se ci sono altri
fattori che contribuiscono alle difficoltà di adattamento.
Se gli effetti evolutivi di un amicizia saranno positivi o negativi dipende sia dalla
qualità della relazione che dalle caratteristiche dell’amico. Giordano e coll. Sostengono
che a volte la mancanza di attaccamenti sociali abbia una funzione protettiva perché in
alcune situazioni il fatto di trovarsi con un compagno aggressivo può suscitare
comportamenti aggressivi anche in un ragazzo di per se non aggressivo, inoltre, nei
contesti in cui il comportamento aggressivo è associato alla popolarità è possibile che i
ragazzi prima diligenti, studiosi e cooperativi inizino a manifestare comportamenti
problema per farsi accettare dai pari antisociali.
Gli studi condotti in questo settore hanno evidenziato l’importanza delle relazioni
positive fra coetanei in quanto contesto di socializzazione e sviluppo emozionale ed
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hanno contribuito a definire la vulnerabilità dei bambini rifiutati dai coetanei; il rifiuto
cronico dei coetanei provoca sofferenze e danni duraturi, l’amicizia ha un importanza
fondamentale per i bambini nel periodo della scuola elementare (Bierman, 2005).
A questa età pensano e parlano continuamente delle persone che piacciono o non
piacciono e si preoccupano di come vengono trattati dagli latri. Accade che alcuni non
riescono ad ottenere l’accettazione dei
loro coetanei e per questo crescono nella
solitudine e nell’isolamento, quando poi diventano adolescenti e poi adulti molti di loro
continuano a provare insicurezza e difficoltà relazionali con gli altri e soffrono di
depressione e altri disturbi psichiatrici. Il perché alcuni bambini rifiutano alcuni coetanei
può essere rintracciato nel loro comportamento antisociale: irritano, disturbano, non si
comportano in modo amichevole. È importante sottolineare che il rifiuto è un processo di
gruppo e non una caratteristica individuale. Rifiuto e vittimizzazione sono il riflesso di
atteggiamenti e comportamenti che i coetanei riservano ad alcuni bambini, il contesto e le
dinamiche del gruppo dei coetanei danno al processo di rifiuto un contributo importante.
È nelle scuole elementari che i bambini devono imparare ad adattarsi, conformarsi,
a misurarsi con una varietà di complessi contesti di gruppo. Negli anni della scuola
elementare i bambini partecipano a interazioni positive più ricche e strutturate in gruppi
di coetanei e la loro capacità di comportarsi da amici si evolve, le interazioni iniziano a
coprire periodi di tempo sempre più lunghi ed emergono amicizie sempre più stabili.
Dagli studi effettuati risulta che i bambini rifiutati rispetto a quelli ignorati tendono
ad avere più problemi di comportamento, sofferenze psicologiche e difficoltà di
adattamento,
molti
bambini
rifiutati
presentano
anche
un’alta
frequenza
di
comportamento disadattivo in classe, disattenzione e isolamento ostile autoimposto. Gli
studi in campo evolutivo hanno evidenziato che la condizione del bambino ignorato è
meno stabile nel tempo rispetto a quella del bambino rifiutato (Farmer, 2001).
Uno studio particolarmente importante è stato condotto da Coie e Kupersmind in
cui vengono illustrate le differenze tra le traiettorie evolutive dei bambini rifiutati e quelle
dei bambini ignorati. Da questo studio emerge che a differenza dei bambini ignorati, i
bambini rifiutati che si guadagnano rapidamente l’antipatia nei nuovi gruppi, hanno
deficit di abilità sociali e problemi di controllo comportamentale che rendevano loro
difficile avviare o mantenere relazioni positive con i coetanei. Le differenza fra i bambini
rifiutati e bambini ignorati indicano che essere simpatici ai coetanei
non è
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semplicemente l’opposto dell’essere antipatici, e che servono abilità diverse per essere
accettati e per evitare il rifiuto.
Sembra opportuno sottolineare che la principale fonte di sostegno sociale ed
emozionale nei primi anni di vita del bambino è rappresentata dai genitori; si è osservato
infatti che i bambini a più alto rischio per lo sviluppo di problemi implicanti aggressività,
depressione sono quelli le cui madri da poco separate soffrono di depressione cronica
(Forgatch, 1987). Studi successivi hanno dimostrato che quando la madre soffre di
depressione cronica sono i bambini più piccoli che risentono maggiormente del rischio;
spiegazione rintracciabile nel modo in cui la madre gestisce i confronti di tipo
disciplinare con i figlio. Più la madre è sottoposta a tensioni più il comportamento
antisociale del bimbo è influenzato dalle scadenti abitudini delle madri in fatto di
disciplina. Questo sfaldamento nel comportamento materno di controllo della disciplina
mette in moto un processo in cui i bambini imparano i comportamenti antisociali dalle
interazioni con i membri della famiglia. Gli effetti di questo processo vengono
generalizzati alla scuola e alla comunità e provocano delle reazioni piuttosto prevedibili
nell’ambiente sociale. Come sostiene Patterson, i bambini antisociali vengono rifiutati dal
loro gruppo di coetanei, i loro comportamenti disubbidienti e coercitivi all’interno della
classe li conducono a dedicare un tempo significativamente minore alle attività
scolastiche e anche a non riuscire a portare a termine i compiti assegnati per casa. Questi
insuccessi portano i bambini a sperimentare frequentemente stati d’animo depressivi e
bassa autostima. È possibile intervenire sia mirando a ridurre la depressione della madre
e/o aumentando il livello generale di abilità di esse nell’imporre la disciplina ai propri
figli.
Concludendo si può dire che il trattamento delle relazioni problematiche fra
coetanei devono tener conto di tutta la gamma di fattori personali e delle dinamiche
relazionali di gruppo che contribuiscono ai processi di rifiuto, gli interventi devono tener
conto del ruolo del gruppo dei pari, trattando il rifiuto dei coetanei come un processo
interpersonale e non come una caratteristica personale; gli interventi dovrebbero
considerare le abilità utili a costruire le amicizie, dovrebbero sviluppare l’accettazione
dei compagni sia a scuola che fuori.
Questi dati confermano la necessità di sviluppare interventi sociali a favore di
studenti aggressivi e distruttivi che prendono in considerazione il loro particolare
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contesto sociale. Per sviluppare interventi completi ed efficaci, che soddisfano i bisogni
dei singoli studenti occorre considerare tre aspetti: gli obbiettivi; migliorare la loro
accettazione da parte dei pari, aiutarli a sviluppare amicizie e promuovere il loro concetto
di Sé; l’integrazione e l’adeguamento; modificare sia il comportamento dello studente
che il contesto sociale in maniera che entrambi supportino gli effetti positivi
dell’intervento e l’organizzazione; vale a dire proporre interventi individualizzati e a
largo raggio.
Bulli e prepotenti in classe
Le prime ricerche sistematiche sul fenomeno del bullismo a scuola, realizzate in diverse
città italiane, hanno messo in evidenza una sua elevata e costante diffusione sul territorio
nazionale con delle differenze in rapporto al contesto geografico, all’età dei soggetti e al
genere sessuale (Bacchini, Fusco, Occhinegro, 1999). Il bullismo si manifesta attraverso atti
di prepotenza e vessazioni da parte di alcuni alunni a spese di altri ed è un fenomeno ben
noto in molte scuole.
Il tema del bullismo costituisce, attualmente, uno degli elementi che maggiormente
catalizza l’attenzione degli insegnanti, psicologi e quanti si occupano di problematiche
scolastiche. Si tratta di un fenomeno particolarmente preoccupante perchè in grado di
compromettere in maniera significativa il funzionamento di una classe, inoltre, nelle sue
manifestazioni più gravi, costituisce un ponte tra i comportamenti problematici ed alcuni
comportamenti devianti esterni ad essa.
Con il termine bullismo si vuole indicare l’esposizione ripetuta e continuativa nel tempo
di uno studente ad azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni; per parlare
di bullismo è necessario che ci sia un’asimmetria nella relazione, occorre cioè che lo
studente esposto alle azioni offensive sia in grave difficoltà nel difendersi e si trovi in una
situazione di impotenza nei confronti di chi lo molesta(Fedeli, 2005).
Un elemento interessante del bullismo è costituita dalla sua progressiva riduzione
all’aumentare con l’età, con il passaggio dalla scuola elementare alla media e poi alle
superiori ma, se diminuiscono gli atti di bullismo, questi aumentano nella loro gravità.
Una possibile spiegazione alla riduzione del fenomeno può essere imputata all’esclusione
dei soggetti più aggressivi dal circuito scolastico, è anche possibile che con l’età le vittime
sviluppino maggior abilità assertive e di autodifesa che le rendono meno esposte alle
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prepotenze dei compagni, inoltre, crescendo il ragazzo sviluppa delle reti di amicizia più
articolate. È possibile ipotizzare anche una riduzione apparente del fenomeno, legata al fatto
che i ragazzi più grandi sono meno propensi a denunciare gli atti di bullismo subiti, inoltre
un ragazzo adolescente può nascondere più facilmente ai genitori i segni dell’aggressione
subita rispetto ad un bambino dell’elementari (Fedeli, 2004-2005).
Per quanto riguarda le caratteristiche della vittima in genere si tratta di ragazzi più ansiosi
e insicuri della media, sono spesso sensibili e calmi, se vengono attaccati da altri studenti in
genere reagiscono piangendo e chiudendosi in se stessi. Le vittime soffrono di una scarsa
autostima ed hanno un opinione negativa di sé, si considerano fallite, stupide e poco
attraenti, vivono a scuola una condizione di solitudine e non hanno un buon amico in classe
(Olweus,1996). Esiste anche un tipo di vittima provocatrice caratterizzata da due modelli
reattivi; quello ansioso proprio della vittima e quello aggressivo proprio del bullo, pertanto
anche se subisce prepotenze dai compagni mostra uno stile di interazione istigatorio e
reagisce con aggressività; questo tipo di alunni sono irritabili, caratterizzati da difficoltà di
autocontrollo e da atteggiamenti provocatori e iper-reattivi verso gli attacchi da parte dei
pari(Molin, Zambianchi, 2005).
Sono stati condotti degli studi in riferimento sulla predisposizione genetica in riferimento
a quei casi di bullismo in cui il disturbo si manifesta precocemente ed è costante nel tempo,
è pervasivo rispetto a diversi contesti, e nel caso in cui sono presenti altri disturbi in
comorbilità, come i disturbi da dipendenza, il DDAI, i disturbi dell’umore ecc, e quando vi
è una storia familiare di comportamenti aggressivi o chiaramente devianti (Fedeli, 2005). I
dati finora raccolti consentono di affermare che esiste una interazione far la predisposizione
genetica a manifestare difficoltà di autoregaolaziuone comportamentale da un lato e , alcuni
fattori ambientali negativi in grado di favorire il comportamento aggressivo, dall’altro lato.
Esistono inoltre numerosi fattori ambientali che possono favorire l’insorgenza o il
mantenimento dei disturbi della condotta, in particolare si ritiene che questi fattori agiscano
come elementi scatenati del disturbo in soggetti che presentano qualche forma di
predisposizione organica e/o genetica. I fattori di rischi ambientali e familiari possono
essere raggruppati in tre grandi categorie:
(a)condizioni
di svantaggio socio-economico ad
esempio bassi livelli di reddito, quartieri con un tasso di criminalità elevato ecc.;
(b)
clima
familiare caratterizzato da conflittualità coniugale, assenza di supporto quando la famiglia è
in difficoltà, presenza
di problematiche
psicopatologiche
in uno dei genitori
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ecc.(c)interazioni bambino-adulto, presenza di eccessivo autoritarismo, incoerenza
educativa, insensibilità emotiva nei confronti del bambino ecc.
Questi fattori presentano delle correlazioni altamente significative con il Disturbo della
condotta e, in maniera meno importante, con il Disturbo Oppositivo-Provocatorio. Spesso è
stata riscontrata una forte associazione tra i disturbi della condotta e le cosiddette funzioni
esecutive. Con questo termine si intende una serie di abilità particolarmente complesse tra
cui mantenere l’attenzione sul compito, formulare gli obiettivi comportamentali, pianificare
il proprio comportamento e anticipare le possibili conseguenze delle proprie azioni, inibire
comportamenti
impulsivi
e
non
funzionali
all’obiettivo,
modificare
il
proprio
comportamento quando non permette di raggiungere gli obiettivi desiderati.
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In questa prima parte, è stato definito ed individuato il nucleo centrale della tematica che
verrà ampiamente analizzata ed approfondita nei successivi articoli che verranno pubblicati
sulle pagine di questa rivista. Riteniamo utile avere fornito informazioni essenziali e
descritto aspetti clinicamente significativi delle problematiche maggiori e più complesse che
si riscontrano all’interno della classe, pensando in particolare ai docenti, che riteniamo in
grossa difficoltà di fronte a situazioni spesso molto difficili da fronteggiare, ai quali
cerchiamo di offrire non ricette o strategie vincenti “chiavi in mano”, ma un contributo
prima di tutto operativo per capire e gestire al meglio i bambini e le loro difficoltà
Nel secondo articolo, verranno analizzate le funzioni ed i significati dei comportamenti
problematici attraverso due “griglie” interpretative di tipo teorico-metodologico, quella
sistemico relazionale, e quella cognitivo comportamentale, entrambe utili per “leggere” le
complesse situazioni di disagio che si manifestano nel contesto scolastico
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