Paolo Ferrero Per una Costituente dei beni comuni

Intervista a Paolo Ferrero
Tonino Bucci
Qual è il giudizio sull'accordo tra Confindustria e sindacati confederali?
Penso che vada preso sul serio il quotidiano di Confindustria, il Sole 24
ore, che da un giudizio entusiastico dell'accordo. L'accordo sposta il
baricentro della contrattazione sulle posizioni tenute dalla Cisl e dalla Uil
negli ultimi anni. Per la Cgil non è una mediazione, ma un cambio di linea.
L'accordo indebolisce il contratto nazionale e quindi riduce la capacità dei
lavoratori di organizzarsi in una situazione di crisi, in cui i padroni
mettono i lavoratori in concorrenza gli uni contro gli altri. In secondo
luogo viene marginalizzato il referendum, finora lo strumento principale di
battaglia politica dal basso utilizzato dai lavoratori. Inoltre il criterio della
maggioranza sindacale necessaria per rendere valido un accordo
ingabbierà la Cgil anche nelle situazioni in cui non condividerà l'esito di un
negoziato. Insomma, un patto neocorporativo, che conferma l'impianto di
Cisl e Uil, mette al centro le organizzazioni sindacali e marginalizza la
partecipazione i lavoratori.
Ma per quale motivo la Fiat continua a lamentarsi?
La posizione della Fiat è ancora più estremistica e contiene persino
violazioni costituzionali. Questo accordo va in direzione della Fiat, ma non
include la sua posizione. Per questo Marchionne continua a dare battaglia.
Non è per nulla escluso che oltre al danno ci sarà pure la beffa: potrebbe
arrivare dal governo una legge che garantisca anche i diktat della Fiat.
C'è chi tira in ballo l'analogia con l'accordo del '93. Eppure quell'accordo contestabile su molti punti - perlomeno andava in direzione delle Rsu,
organi eletti dai lavoratori...
Qui c'è una rivalutazione delle Rsa che come sappiamo sono nominate dai
sindacati ma non elette dai lavoratori. E' passata la linea della Cisl che
mette la priorità sulle organizzazioni e non sulla partecipazione
democratica. L'accordo indebolisce la soggettività dei lavoratori e la loro
capacità di resistenza in una fase in cui il capitale finanziario gioca tutte le
sue carte sulla guerra tra i poveri.
Questo accordo la dice lunga sull'assenza di strategie industriali del
padronato italiano per reggere alla crisi della globalizzazione. Non credi?
Nulla di nuovo. Per ora è una Grecia al rallentatore. Il padronato italiano
non investe, la produttività è bassa - e non per responsabilità dei
lavoratori. Non c'è una politica industriale. E poi si scarica tutto sul lavoro.
Purtroppo questo accordo conferma i padroni nella validità della loro linea
che scarica tutto verso i piani bassi dell'edificio sociale.
Anche la riforma fiscale del governo riflette l'assenza di un piano
industriale per il paese. La manovra regala ai ceti sociali benestanti una
redistribuzione di ricchezza al contrario, dal basso verso l'alto. Ma non si
vede una risposta funzionale - neppure in termini capitalistici - per uscire
dalla crisi economica e produttiva dell'Italia. Non credi?
Il grosso dell'operazione è sul fisco e sul taglio dei trasferimenti agli enti
locali. Riduzione delle aliquote fiscali, a partire da quelle più alte, aumento
della tassazione indiretta - quella che pagano tutti allo stesso modo, ricchi
e poveri indifferentemente - e tagli agli enti locali con conseguente
aumento dei costi dei servizi: tutto questo combinato funziona come una
redistribuzione dal basso verso l'alto. Non solo: si tratta anche di una
manovra recessiva perché colpisce i consumi e, nella fattispecie, il potere
d'acquisto di lavoratori e pensionati. In fondo siamo di fronte a una
gestione neocorporativa che porta all'impoverimento del paese e dei
lavoratori.
Dici che a passi lenti ci avviciniamo allo scenario greco. La manovra
prevede in futuro il blocco degli stipendi nel pubblico impiego e
l'intervento sulle pensioni...
Speculazione internazionale permettendo, tutto accade al rallentatore ma
la direzione è quella. Questa manovra non ci fa uscire dalla crisi: c'è solo
la gestione degli interessi di parte, che vengono garantiti a spese
dell'intera società, ma senza alcuna prospettiva. Si mira al puro e
semplice mantenimento delle posizioni di rendita delle classi agiate. E' un
meccanismo di impoverimento del paese che erode, poco a poco, le
proprie basi.
Fin qui l'analisi. Ora veniamo alla proposta politica. Per fortuna non siamo
in un deserto. La società si muove. Ma come si può costruire
un'opposizione sociale che non rimanga confinata entro singoli temi e che
abbia, contemporaneamente, un'efficacia politica?
Siamo in una situazione aperta. Il successo del referendum sull'acqua ci
dice di un'importante maturazione sociale contro le privatizzazioni. Poi ci
sono movimenti radicali di lotta: la Val di Susa, ma non solo. L'autunno
scorso è stato tutto un susseguirsi di mobilitazioni. Dobbiamo provare a
unificare questi diversi movimenti perché l'avversario - che si protesti
contro la privatizzazione dell'acqua o contro la Tav o contro Marchionne è uno solo: il capitalismo finanziarizzato che si muove nell'alto dei cieli
bombardando chi vive in terra. Per questo abbiamo proposto di dar vita
ad una Costituente dei beni comuni - dall'acqua al lavoro al territorio aperta a partiti e movimenti, sul modello dei social forum. L'obiettivo è
quello di ottenere una legge nazionale che senza ambiguità e furbizie
affermi il carattere pubblico dell'acqua. Insomma, non si tratta solo di
organizzare un movimento che contenga tutte le lotte particolari, ma di
costruire anche una coscienza diffusa antiliberista, di costruire una
proposta di uscita dalla crisi contro il capitalismo finanziario. Lo scontro in
atto non si vince solo sul terreno sindacale, c'è bisogno anche di una
dimensione politica. La battaglia sindacale da sola non ce la fa. Nel paese
c'è una coscienza diffusa sul versante dei beni comuni e di alcune lotte
specifiche, c'è la resistenza della Fiom. Occorre connettere i movimenti,
costruendo una vera sinergia tra le diverse lotte. Occorre superare i
meccanismi di delega e costruire una soggettività, un movimento
antiliberista strutturato, in grado di far valere le sue ragioni.
Non c'è il rischio che questo movimento rimanga separato e non influisca
sul sistema politico?
Abbiamo visto con i referendum che non è così. Detto questo, di fronte
alla crisi organica delle destre, noi proponiamo l'unità delle forze di
sinistra e proponiamo a Sel di fare insieme il referendum contro la legge
30. Parallelamente proponiamo di iniziare subito la discussione sul
programma di alternativa. Una discussione che non rimanga confinata ai
soli partiti politici ma si apra ai movimenti, ai comitati, alle associazioni e
sindacati che in questi anni hanno fatto opposizione nel paese. La
discussione su quale programma cacciare Berlusconi non deve avvenire in
un luogo separato, ma deve vedere la partecipazione di tutte le
soggettività che hanno animato l'opposizione. Per questo proponiamo le
primarie sul programma. Occorre aprire la discussione e poi se vi sono
contrasti - sulla guerra o sulle privatizzazioni, per non fare che due
esempi - occorre dirimerli in un rapporto di massa. Occorre spostare la
discussione dal candidato premier a quella sul programma e sul profilo
dello schieramento che si deve opporre alle destre.
02/07/2011