09Dispensa

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Modulo 9: L’offerta in un mercato perfettamente concorrenziale
9.1. L’obiettivo dell’impresa “che offre”
È tempo di riepiloghi, perché questo modulo chiuderà la Lezione 3. Fin qui, abbiamo svelato
il segreto della giusta scelta dei fattori da parte di una impresa che pretende di produrre una
certa quantità di output in maniera efficiente. Quello che affronteremo in questo modulo è il
passaggio dalla scelta ottima dell’impresa alla determinazione dell’offerta di mercato, ovvero
il modo in cui le imprese reagiscono ai segnali che il mercato invia attraverso i prezzi.
Sappiamo per esperienza e per intuizione che all’aumentare di un prezzo di mercato,
l’imprenditore è interessato a vendere maggiori quantità del bene che produce o del servizio
che eroga. L’analisi dei costi che abbiamo appena chiuso, ci aiuterà a comprendere in maniera
più compiuta e approfondita questa intuizione.
Iniziamo la trattazione ponendoci il seguente quesito: “Ok, abbiamo capito che un’impresa,
se conosce la struttura dei propri costi, è in grado di produrre in maniera efficiente, dati i
prezzi dei fattori. Ma quanti beni (prodotti in maniera efficiente) deciderà poi di portare sul
mercato per la vendita?”. Vediamo come poter sviluppare questa considerazione. Dalla
Lezione 2 sappiamo che all’interno del mercato dei beni agiscono delle forze che scaturiscono
dal desiderio di soddisfare bisogni da parte dei consumatori e che appunto si cristallizzano
nella legge di domanda. Brutalmente, questa legge si manifesta in una curva inclinata
negativamente, in un sistema in cui in ascissa è riportata la quantità del bene e in ordinata il
suo prezzo. Per le imprese possono essere fatte considerazioni simili. Fino ad ora è stato così.
Inoltre è ragionevole pensare che l’impresa, per elaborare la sua offerta, dovrà raggiungere
anch’essa un obiettivo. Questo obiettivo è la massimizzazione del profitto. Analiticamente, il
profitto, che chiameremo Π(q), è definito come la differenza tra i ricavi totali e i costi totali:
q   RT q  CT q 
(9.1)
Dei costi totali abbiamo ampiamente detto. I ricavi totali sono invece definiti dal prodotto tra
la quantità venduta e il prezzo di vendita, dunque in formula:
RT q  p  q
(9.2)
In base a come sono state formalizzate, le grandezze in questione dipendono
“funzionalmente” dalla quantità prodotta (di un ipotetico bene). In effetti, maggiore è la
quantità di beni che sono venduti ad un dato prezzo di mercato, maggiore sarà il ricavo che
l’impresa percepisce.
2
Ragioniamo ora sulla (9.2). Dobbiamo ancora scendere nel particolare delle dinamiche dei
prezzi all’interno di un mercato (NB, lo faremo nella prossima Lezione) ma, conosciamo bene
le caratteristiche della domanda, elemento che possiamo sfruttare per proseguire il nostro
ragionamento. Infatti, se una impresa deve decidere quanto offrire sul mercato, è ipotizzabile
che inizierà col chiedersi quanto domandano i consumatori. Ma se pensiamo alle dimensioni
di un mercato nella sua interezza, non esiste impresa talmente grande da poter pensare di
soddisfare l’intera domanda di mercato. 1 Per comprendere ciò facciamo un esempio e
pensiamo al più grande produttore del formaggio che più di ogni altro preferiamo. Per quanto
possa disporre di impianti industriali operanti in tutta Italia, in cui operano centinaia di
migliaia di lavoratori e di una sterminata mandria di mucche che all’uopo offrono il loro latte,
possiamo ben dire che non sarà mai in grado di soddisfare certo l’intera domanda di latticini
richiesta dai consumatori italiani. Se ci guardiamo attorno, all’interno di un supermercato, i
banchi frigo pullulano di formaggi “praticamente uguali al nostro preferito” ma offerti da “un
gran numero di produttori”. La morale della favola è che ogni impresa, nelle sue decisioni di
offerta non si confronterà con l’intera domanda di mercato, ma con una parte di essa. Come
vedremo, questo non dipende necessariamente dalle dimensioni della singola impresa, quanto
dal numero complessivo di imprese che operano all’interno del medesimo mercato. Queste
considerazioni aprono direttamente la strada al fondamentale tema della concorrenza perfetta.
9.2. Mercati perfettamente concorrenziali
Anche “concorrenza”, come ci è capitato in molti altri casi, è un termine che fa parte del
nostro linguaggio di tutti i giorni. Quanto ne sappiamo in proposito? A naso, è qualcosa che
ha a che fare con la libertà di entrare in una sana competizione con altri soggetti. Se non si
violano le regole del gioco, la competizione contribuisce certamente al progresso generale,
visto che stimola le parti in causa a migliorarsi. Dunque un tema certamente rilevante.
Talmente rilevante che in Italia, così come in molti altri paesi del mondo, esiste la cosiddetta
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (http://www.agcm.it/).
Fino ad ora, a parte nozioni che derivano dalla cultura generale, non abbiamo detto molto.
Visto che vogliamo diventare degli economisti cerchiamo di essere più rigorosi. Come sarà
chiaro più avanti, la concorrenza perfetta rappresenta una pietra di paragone per giudicare le
dinamiche di altri tipi di mercati. In quanto tale si configura come una sorta di situazione
ideale verso cui tendere. Approfondiamo quindi, in prima battuta, le condizioni necessarie per
cui possa parlarsi di mercato concorrenziale, per affrontare in seguito le implicazioni sulle
decisioni di offerta dell’impresa. Un mercato perfettamente concorrenziale è connotato dalle
seguenti caratteristiche:
1
In realtà una situazione simile esiste, ma la affronteremo più avanti; quindi non anticipiamo nulla.
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






Bene omogeneo. Tutte le imprese vendono un bene identico. I consumatori
considerano uguali, e quindi indistinguibili, i prodotti delle varie imprese;
Informazione perfetta. I venditori e gli acquirenti dispongono di tutte le
conoscenze rilevanti sul mercato, tra cui il prezzo e la qualità del prodotto;
Le imprese sono price taker. Questa è una caratteristica cruciale e dobbiamo
tenerla seriamente a mente. Ci dice che i soggetti, all’interno del mercato, non sono
in grado di influenzare con le loro scelte il livello del prezzo del bene. Il prezzo è
unicamente fissato dal mercato, dunque i venditori (ma anche gli acquirenti) lo
prendono come dato;
Assenza di costi di transazione. Ne acquirenti ne venditori devono sostenere
aggravi di costo per entrare a far parte del mercato;
Assenza di esternalità. Dobbiamo attendere la Lezione 6 per sapere bene cosa sia
una esternalità e cosa rappresenta in termini economici. Per il momento diciamo
che in base a questo presupposto le imprese sostengono per intero i costi associati
al processo produttivo, senza in altri termini, “scaricare” parte di essi, verso altri
soggetti all’esterno;
Libertà di entrata e uscita. Le imprese possono entrare e uscire rapidamente dal
mercato senza dover sostenere particolari costi. questa condizione può
alternativamente essere posta come l’assenza di barriere all’entrata e all’uscita;
Perfetta divisibilità dell’output. Le imprese possono produrre e i consumatori
acquistare una piccola frazione di una unità di output, e pertanto si ha sempre una
variazione della quantità domandata o offerta in conseguenza di una variazione di
prezzo. Questo presupposto tecnico serve ad evitare i problemi causati da variazioni
discrete e consistenti della domanda o dell’offerta in seguito a modeste variazioni
di prezzo.
Alcuni autori specificano come sia necessario inserire tra i presupposti di un mercato
concorrenziale la presenza di un gran numero di venditori e acquirenti. In effetti la presenza di
molti competitor non consente alla singola impresa di fissare un prezzo di vendita.2
Questo ultimo aspetto, ovvero il fatto che le imprese siano price taker, è il presupposto che
al momento più ci interessa. In effetti, ricordando le considerazioni fatte in precedenza,
possiamo osservare che se l’impresa prende come dato il prezzo di mercato, senza poterne
influenzare il livello, a questo prezzo l’impresa potrà vendere ogni quantitativo di bene.
Questo equivale a dire che la domanda che fronteggia la singola impresa in condizioni di
concorrenza perfetta, è orizzontale. Agevoliamo la comprensione del discorso con un grafico
2
Carlton e Perloff (1997).
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(Figura 9.1) in cui è posta a confronto la domanda di mercato, così come l’abbiamo derivata
nel Modulo 6 e la domanda che fronteggia la singola impresa concorrenziale.
Figura 9.1: Curva di domanda di mercato e curva di domanda relativa alla singola impresa concorrenziale
p
p
p1
p2
pM
D
D
q1
q2
q
q1
q2
q
Dalla Figura 9.1/destra notiamo che se il prezzo di mercato (pM) è dato, l’impresa, che non
può influenzarlo, vende ogni quantità di bene prodotto (q1,q2,…) a quel prezzo. E il ricavo che
riceve da ogni unità di bene è costantemente pari al prezzo. Facciamo un esempio pratico; se
il prezzo di mercato delle mele è 2€:




Ricavo della 1a mela: 2€ × 1 mela = 2€
Ricavo della 2a mela: 2€ × 1 mela = 2€
Ricavo della 3a mela: 2€ × 1 mela = 2€
…
Questo equivale a dire che la domanda che fronteggia la singola impresa concorrenziale (D) è
rappresentata graficamente, come anticipato, da un retta orizzontale, parallela all’asse delle
ascisse, in corrispondenza del valore assunto dal prezzo di mercato. Infine, si osservi che il
ricavo che l’impresa ottiene, dato che il prezzo è fisso, dipende direttamente dalla quantità che
produce. Da quanto ci dice la (9.1), geometricamente, il profitto è rappresentato dall’area del
rettangolo che ha per altezza il prezzo di mercato e per base la quantità venduta.
9.3. La massimizzazione del profitto e l’offerta di breve periodo
Abbiamo ora tutti gli strumenti per analizzare i dettagli della strategia di massimizzazione del
profitto, unendo le conoscenze acquisite sui ricavi e sui costi di una impresa in regime di
concorrenza perfetta. Questo perché se, come abbiamo detto, l’impresa concorrenziale può
vendere ogni quantitativo del bene prodotto al prezzo di mercato, il profitto e la sua
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massimizzazione dipenderanno strettamente dai costi di produzione. Iniziamo dunque a
ragionare sulla situazione rappresentata in Figura 9.2/sinistra. Ipotizziamo che l’impresa
“trovi” sul mercato un prezzo pari a pM e inizi a valutare quanto poter produrre. Se produce
una quantità q1 il ricavo totale sarà dato dalla somma delle aree in rosso e in verde che per
costruzione rappresentano, rispettivamente, il costo totale e il profitto.3
Figura 9.2: Condizione di massimizzazione del profitto.
C,p
C,p
CM
CM
Cm
Cm
pM
D
q1
q
pM
D
q1
q2 qE
q
Osserviamo cosa accade se l’impresa decide di espandere la produzione fino a q2. Come
evidente dal grafico alla destra, dato che l’area che lo identifica è maggiore, il profitto sarà
maggiore. Questo fatto è motivato, dal punto di vista economico, dalla struttura dei costi
dell’impresa. In particolare, come è facile intuire, l’impresa può incrementare il profitto
finché il costo di produzione dell’ultima unità di prodotto venduta (il costo marginale) è
inferiore al prezzo. Osservando la Figura 9.2/destra si capisce come questa condizione
continui ad essere verificata fino alla quantità qE, punto in corrispondenza del quale l’ultima
unità prodotta garantisce un ricavo esattamente uguale al costo, ovvero:
q E  p M  Cm
(9.3)
Sappiamo da situazioni simili, che l’espressione (9.3) descrive una condizione di equilibrio,
dalla quale cioè non c’è incentivo (questa volta da parte del’impresa) a spostarsi. Produrre una
unità in meno significa rinunciare ad una fetta di profitto, dato che risulterà essere pM  Cm ;
mentre una unità in più comporta una perdita, dato che pM  Cm . In base a ciò possiamo
Si noti che in base alla definizione data di costo totale in equazione (8.3) – Modulo 8, può esser ricavato che
esso è uguale al prodotto tra il costo medio per la quantità prodotta quindi, geometricamente, dall’area del
rettangolo evidenziato.
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dunque concludere che la (9.3) stabilisce la condizione di massimizzazione del profitto da
parte dell’impresa.
Vediamo ora cosa accade se il pM cresce, ad esempio fino a p'M (Figura 9.3/sinistra). 4
L’area che conosciamo ci dice che grazie a ciò, a livello di output qE l’impresa vedrà
aumentare il proprio profitto rispetto a prima, ma non si troverà più in una posizione di
equilibrio. Infatti espandere la produzione fino a raggiungere di nuovo la condizione di
uguaglianza tra prezzo e costo marginale ( q'E ) conduce ad un profitto ancora maggiore.
Situazione diametralmente opposta qualora si verifichi una riduzione del prezzo. In questo
caso, la condizione di massimizzazione del profitto prevede una riduzione della quantità.
Esiste un limite a questa fase discendente? Per rispondere a questa domanda poniamoci subito
nella posizione limite del prezzo ad un livello tale da eguagliare il costo medio minimo ( p' 'M ),
come evidenziato in Figura 9.3/destra. Sappiamo dall’analisi dei costi, ed è peraltro
confermato dal grafico, che in corrispondenza del suo valore minimo, il costo medio eguaglia
il costo marginale, dunque produrre la quantità q' 'E pone l’azienda in una posizione di
equilibrio. Si noti tuttavia come la quantità prodotta q' 'E comporta un profitto nullo, poiché, il
ricavo totale è esattamente uguale al costo totale. Per questa ragione, al punto A si attribuisce
la definizione di punto di pareggio. Se il prezzo scende ancora, l’impresa realizzerà
addirittura profitti negativi, ovvero delle perdite. In effetti, ipotizziamo che il prezzo
raggiunga il livello p' ' 'M . La condizione di uguaglianza tra prezzo e costo marginale avviene
in un punto in cui il prezzo è inferiore al costo medio. Dunque se l’impresa vende la quantità
q' ' 'E realizzerà delle perdite. Come deve comportarsi dunque se versa in una situazione
simile? È possibile che desideri continuare a produrre nonostante sia in perdita?
Sorprendentemente la risposta è affermativa. La spiegazione è che, dal momento in cui
l’impresa fronteggia una congiuntura in cui realizza delle perdite, la strategia da adottare non
sarà più finalizzata alla massimizzazione del profitto, bensì, specularmente, alla
minimizzazione delle perdite. Ora notiamo che ponendoci in una ottica di breve periodo, se la
produzione fosse pari a zero, l’impresa eviterebbe di sostenere i costi variabili ma dovrebbe
comunque sostenere i costi fissi.5 Ricordando che i costi totali comprendono tanto i fissi che i
variabili, all’impresa conviene dunque continuare a produrre almeno fino a quando il ricavo
che ne percepisce copre i costi variabili e consente di compensare parte dei costi fissi. Questo
atteggiamento ha un senso se si pensa, ad esempio, alla volontà di rimanere in attività
nell’attesa di migliori condizioni di mercato che possano riflettersi in un aumento del prezzo.
Se ciò non dovesse verificarsi e il prezzo scende fino a consentire di coprire i soli costi
Ricordiamo che siamo in concorrenza perfetta: l’impresa è price taker; dunque se si verifica una circostanza
simile è dovuta a motivazioni esterne ai comportamenti assunti dalla singola impresa.
5
Cfr. Definizione 8.1 – Modulo 8, pag. 2.
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variabili, l’impresa raggiunge un punto limite. Ipotizziamo che ciò avvenga in corrispondenza
del punto B in Figura 9.3/destra.6 Oltre quel punto, l’impresa non sarà neanche in grado di
coprire nemmeno i costi variabili per intero, dunque la strategia di minimizzazione delle
perdite obbliga ad interrompere la produzione. Per questo motivo, il punto B prende il nome
di punto di chiusura.
Figura 9.3: Domanda di mercato e curva di domanda relativa alla singola impresa concorrenziale. Variazioni del
prezzo di mercato
C,p
C,p
CM
CM
Cm
Cm
p’M
pM
A
p’’M
p’’’M
D
B
qE q’E
q’’’E q’’E
q
Seguendo questo ragionamento, è possibile dunque derivare la seguente regola di chiusura:
quando il prezzo diminuisce a tal punto che il ricavo totale è minore del costo variabile,
ovvero quando il prezzo è minore del costo variabile unitario, l’impresa minimizza le perdite
interrompendo la produzione.
Tutto quanto è stato affermato dal momento in cui, associando struttura dei costi e prezzo
di mercato, abbiamo derivato le decisioni di produzione della singola impresa in relazione al
mercato, è che l’impresa tende ad aumentare la produzione all’aumentare del prezzo di
mercato e viceversa a ridurla nel momento in cui il prezzo di mercato scende. Si configura
dunque una chiara relazione diretta tra le due variabili. Questa relazione altro non definisce
che l’offerta della singola impresa in condizione di concorrenza perfetta. Inoltre, data la
regola osservata in equazione (9.3) possiamo dire che la curva del costo marginale
dell’impresa corrisponde esattamente alla curva di offerta della stessa, definendo, per ogni
livello di prezzo, quanto la singola impresa è disposta ad offrire sul mercato. A questo punto,
forti di quanto abbiamo appreso dal Modulo 6, possiamo inoltre definire la curva di offerta
del mercato, ricavandola da una somma orizzontale dell’offerta delle singole imprese,
operazione che equivale a sommare la quantità offerta da ciascuna impresa in un mercato
perfettamente concorrenziale, per ogni livello di prezzo (Figura 9.4). Si osservi, in Figura
6
Possiamo pensare a questo punto come al punto di incontro tra la curva di costo marginale e una curva di costo
medio che comprenda solo i costi variabili, come era stato accennato nel Modulo 8. Si tratta dunque di un costo
medio variabile (ma non è necessario introdurre nuovi concetti).
8
9.4/destra, come seppur il prezzo di mercato p’’’ definisca il limite di chiusura per la singola
impresa concorrenziale sulle scelte della quale ci siamo concentrati, ciò non esclude che altre
imprese, grazie alla loro struttura di costi, possano al contrario essere disposte ad offrire beni
sul mercato anche a prezzi inferiori. Per questo motivo la curva di offerta di mercato, oltre ad
essere più schiacciata rispetto alla curva di offerta singola, definisce quantità di prodotto
positive anche in relazione a livelli di prezzo inferiori al prezzo di chiusura della singola
impresa che è stata oggetto della nostra disquisizione. Osserviamo infine, che sulla curva di
offerta, in quanto strumento analitico che definisce, per ogni livello di prezzo, la disponibilità
dell’impresa ad offrire, può essere valutato in analogia con il consumatore, il surplus del
produttore.
Figura 9.4: Offerta della singola impresa concorrenziale e offerta di mercato. Il breve periodo
p
p
p’
p’
M
p
p’’
pM’’’
M
p
p’’
pM’’’
M
M
q’’’ q’’ q q’
q
q3
q2 q0 q1
q
Definizione 9.1: Si definisce surplus del produttore la differenza tra quanto un produttore
effettivamente ottiene dalla vendita di un bene e la sua disponibilità alla vendita.
In questo caso, geometricamente, il surplus del produttore può essere quantificato dall’area
sottesa al prezzo di mercato e sopra la curva di offerta (Figura 9.5/sinistra).
9.4. Equilibrio e offerta nel lungo periodo
Concludiamo il Modulo 9 e la Lezione 3, con un ultimo argomento che chiarisce ancor di più
le dinamiche di offerta nei mercati perfettamente concorrenziali e getta un ponte con la
lezione successiva. Già nel corso dei paragrafi precedenti abbiamo appreso di come l’attività
del produrre sia fortemente condizionata nei suoi “equilibri” dall’arco temporale entro il quale
essa si sviluppa. Le considerazioni circa la natura dei costi e la relazione che queste grandezze
hanno con il breve e lungo periodo ci inducono a affermare che per l’impresa, se rivolgiamo
lo sguardo al lungo periodo, tutti i costi sono variabili, poiché abbiamo visto che è un tempo
tanto ampio da permettere al produttore di variare anche quei fattori che nel breve
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consideriamo fissi. Se dunque la situazione è di questo tipo, l’impresa non può produrre in
perdita, poiché teoricamente non ha costi fissi da recuperare, o meglio, anche i costi fissi
“sono variabili”. Sembra un controsenso ma in realtà è il senso profondo del lungo periodo.
Dunque il punto di pareggio che abbiamo identificato in precedenza, rappresenta, il limite
ultimo oltre il quale se il prezzo scende, l’impresa ottimizza la sua attività cessando la
produzione. Di conseguenza è ipotizzabile che in una situazione tale, operino in un mercato
concorrenziale imprese per cui le strutture di costo consentano profitti positivi o al limite nulli.
Come sottolineato, tuttavia, “tendiamo” al lungo periodo, ovvero una situazione in cui le
imprese possono variare, senza costi di aggiustamento, le proprie strutture produttive. Dunque,
se ci troviamo all’interno di un mercato in cui alcune imprese realizzano profitti positivi, è
ipotizzabile che altre imprese, data l’assenza di barriere all’entrata, fiutino l’opportunità e si
immettano nel mercato. Questo, determinerà una espansione della quantità offerta per ogni
livello di prezzo e tenderà a spingere verso il basso il prezzo di mercato (nella prossima
Lezione vedremo perché), con il risultato che chi produceva in parità è costretto ad uscire dal
mercato e chi realizzava profitti postivi vedrà ridurre i propri margini, fino, al limite, ad
annullarsi e a rendere dunque non più conveniente l’ingresso a nuove imprese. È evidente
come, in condizione di equilibrio, siano operanti nel mercato imprese che presentano la
medesima struttura di costi. Dunque, le dinamiche che “conducono” al lungo periodo, fanno
in modo che il prezzo di mercato tende a raggiungere il punto critico in cui imprese che
presentano le stesse strutture di costo realizzano unicamente profitti normali, cioè nulli.7 Se il
prezzo scende al di sotto di tale punto, le imprese abbandonano il mercato fino a quando il
prezzo non torna ad eguagliare il costo medio minimo. Se tale prezzo sale ulteriormente,
l’ingresso nell’industria di nuove imprese spinge il prezzo di mercato verso il basso, fino a
raggiungere il prezzo di equilibrio di lungo periodo.
Definizione 9.2: Se un mercato è costituita da imprese concorrenziali che hanno curve di
costo identiche e possono entrare e uscire liberamente, la condizione di equilibrio nel lungo
periodo, riprendendo la (9.3) è estesa a:
pM  Cm  C M
(9.4)
che come sappiamo è soddisfatta se CM è al suo livello minimo (min CM).
Come sarà la curva di offerta di lungo periodo? In maniera non difforme dal breve periodo,
la curva di offerta di lungo periodo è derivata dalla somma delle singole offerte delle singole
In effetti in condizione di profitti nulli, si dice che l’impresa realizza profitti normali. In base a questa
definizione le grandezze positive che abbiamo fin qui chiamato profitti sono più precisamente definiti
extraprofitti.
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imprese. Tuttavia c’è una sostanziale differenza. In effetti si noti che nel lungo periodo, per
quello che abbiamo detto, per ogni prezzo inferiore a pM  min CM l’offerta sarà pari a zero.
Valori superiori comportano i meccanismi di aggiustamento che abbiamo appena descritto, i
quali fanno in modo che nel lungo periodo il prezzo non può permanere al lungo al di sopra di
pM  min CM .
Figura 9.5: Surplus del produttore e offerta di lungo periodo
p
p
O2
pM
pM
q
O1
q
Questo dunque è l’unico prezzo al quale le imprese offrono sul mercato i propri prodotti. La
curva di offerta di lungo periodo di un mercato perfettamente concorrenziale è dunque
rappresenta da una retta orizzontale, parallela all’asse delle ascisse (O1), in corrispondenza
del pM = min CM.
Questo tuttavia non esclude che ci siano delle distinzioni; ovvero che anche nel lungo
periodo vi siano settori per cui la curva di offerta di lungo periodo presenta inclinazione
positiva (O2). Innanzitutto possono determinarsi differenze di costo dovute alla presenza di
diverse abilità organizzative o per la presenza di fattori della produzione, specie le materie
prime, che possono avere qualità diversa tra una impresa e l’altra. Questo fa in modo che vi
siano diversi livelli di pareggio, dunque una pluralità di prezzi di mercato compatibili con
l’equilibrio di lungo periodo.8
8
Fischer, Dornbusch e Schmalensee (1996)
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