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CRESCENZIO SEPE
Napoli
Quali priorità per l’emergenza educativa?
1. «Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità
di persona, hanno il diritto inalienabile a un’educazione che risponda al proprio fine,
convenga alla propria indole, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del
loro paese e insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli al fine di
garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere
la formazione della persona umana in vista del suo fine ultimo e nello stesso tempo
per il bene delle società, delle quali l’uomo è membro e nelle quali, divenuto adulto,
avrà mansioni da svolgere»1.
Questa bella citazione è ripresa dalla Dichiarazione conciliare sull’educazione
cristiana, Gravissimus educationis, approvata il 28 ottobre 1965 dai Padri del Concilio
ecumenico Vaticano II. Grazie anche a questo documento, la tradizionale attenzione
della Chiesa cattolica all’educazione in generale,
ed all’educazione cristiana in
particolare, è diventata un’esigenza di rinnovamento della chiesa intera, richiamando
l’attenzione di ogni fedele e di ogni persona di buona volontà sull’«estrema
importanza dell’educazione (Gravissimus educationis) nella vita dell’uomo» e sulla «sua
incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo»2.
Negli anni postconciliari, la chiesa ha continuato a sottolineare la necessità di
ritornare sistematicamente a riflettere sui fini, sui metodi, sui contenuti, sui
responsabili dell’educazione, come già la Gravissimus educationis aveva del resto
proposto. Sottraendosi ben volentieri alle facili analisi di maniera, anche Benedetto
XVI si è fatto interprete della grave crisi pedagogica e sociale che sta frattanto
CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione conciliare sull’educazione cristiana Gravissimus
educationis, 28 ottobre 1965, n. 1, in Enchiridion Vaticanum/1, n. 822.
2 Ivi, introduzione, in Enchiridion Vaticanum/1, n. 819.
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C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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attraversando particolarmente l’Italia in questi ultimi anni. Infatti, già durante il
Convegno della Diocesi di Roma nel 2007, intitolato Gesù è il Signore. Educare alla fede,
alla sequela, alla testimonianza3, il Papa osservò che «si parla di una grande “emergenza
educativa”, della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove
generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che
coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si
prefigge scopi educativi»4.
Queste parole – che nella sostanza sono state abbondantemente riprese e
rilanciate in altri territori europei e non solo – richiamano l’attenzione ancora una
volta sulla priorità che i cristiani sono tenuti a dare all’ambito educativo, chiamati
come sono a testimoniare al mondo e per il mondo la Verità che è Gesù Cristo, via e
metodo da seguire per ogni rinnovamento formativo ed educativo. È proprio su tale
aspetto che la pedagogia di orientamento cristiano insiste per il rilancio della
responsabilità educativa anche nelle nostre società postmoderne e tecnologicamente
avanzate. La comunità cristiana, come ogni altra comunità anche civile, è dunque
invitata oggi, con ancora più forza, trattandosi ormai di “emergenza” e quindi anche
di “sfida”, ad offrire il suo contributo al più ampio dibattito locale, nazionale e
internazionale. Il termine “emergenza” richiama alla mente quello di stato di
pericolo grave, che domanda soccorso… immediato! Ad un’emergenza, insomma,
deve far fronte subito, prontamente un riparo, una soluzione, una difesa, ovvero una
terapia straordinaria negli intenti e nelle risorse…
2. Bisogna, purtroppo, riconoscere che gli agenti attualmente interessati all’azione
educativa non sempre condividono scopi, finalità, obiettivi propri della dottrina
pedagogica cristiana, né tampoco si muovono sullo stesso piano dei principi teorici,
in particolare sui presupposti personalistici che qualificano l’orientamento cristiano.
Anzi sovente, le prospettive antropologiche sono diverse, tanto diverse che
rischiano addirittura di smarrire la concretezza della persona umana, l’uomo e donna
Cf. Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza, Diocesi di Roma, Programma
pastorale 2007-2008, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2007.
4 BENEDETTO XVI, La famiglia ha una responsabilità primaria nell’educazione e nella formazione della fede,
Discorso al Convegno della Diocesi di Roma, 11 giugno 2007, in ID., Insegnamenti, III/1 (2007),
Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 1069-1078, qui p. 1071.
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C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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qui ed ora, che è sicuramente il valore assoluto ed imprescindibile di ogni azione
educativa5.
Ecco perché il compito di educare diventa oggi “coraggio di educare”, nel senso
che il modo di rapportarsi alle nuove generazioni, come ad ogni età della vita nella
prospettiva dell’educazione degli adulti, deve ritornare ad essere propositivo,
dialogico, valoriale6. Non è possibile, in altri termini, voler educare senza proporre il
tema della Verità dell’essere umano e della dignità della persona che merita impegno
e progettualità per essere accompagnata verso un’età matura e consapevole. Così, il
piano relazionale non può prescindere da una chiara visione, direi personologica,
dell’esistenza umana. Ma se l’antropologia, il grande orizzonte ideale sull’essere
umano, è la cenerentola della nostra cultura, a sua volta bacata dal nichilismo, non
meraviglia il conseguente disimpegno di fronte alle indicazioni ed alle scelte valoriali
che i soggetti in formazione attendono dal contesto in cui è stato dato loro di vivere
ed esistere. I nostri giovani, lo constatiamo, sono spesso disorientati poiché non
hanno modelli di vita credibili da parte degli adulti del loro contesto, e vengono
spesso posti sui troni effimeri del successo a portata di mano e di tasca, quasi
diventando essi stessi modelli, archetipi proponibili a se stessi e agli altri. Il senso
dell’imitazione dell’effimero, del relativo, del virtuale, del “tutto e subito”, pone i
nostri giovani in un contesto di immaginaria e momentanea sicurezza che vorrebbe
renderli in qualche modo autonomi anche da se stessi. È proprio la domanda
esistenziale che non emerge più, quella che riguarda il perché del nostro stare al
mondo, quella che s’interroga circa il senso del vivere e sul fine ultimo dell’esistenza.
O forse non si sa più suscitare questa domanda da parte di noi educatori.
Probabilmente ciò accade perché la nostra società – come ha sostenuto qualche
studioso – è orfana della figura paterna e se, nel frattempo piange la “morte dei
padri”, sta pericolosamente accompagnando lentamente verso l’ultima dimora anche
Il cristianesimo ha offerto un contributo essenziale al concetto di persona come poi elaborato
in Occidente. In merito, a solo titolo esemplificativo sul piano della storia delle idee teologiche, cf.
A. MILANO, Persona in teologia. Alle origini del significato di persona nel cristianesimo antico, EDB, Roma
19962; C. SEPE, Persona e storia. Per una teologia della persona, Paoline, Cinisello Balsamo 1990; N.
GALANTINO, Sulla via della persona. La riflessione sull’uomo: storia, epistemologia, figure e percorsi, San Paolo,
Cinisello Balsamo 2006.
6 Cf. A. BRIGUGLIA-G. SAVAGNONE, Il coraggio di educare. Costruire il dialogo educativo con le nuove
generazioni, Elledici, Torino (Leumann) 2009.
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C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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le madri, che purtroppo riescono sempre meno ad essere le uniche responsabili della
crescita umana, sociale, professionale dei figli generati.
Indicare così la situazione educativa delle nostre società ultra-avanzate sembra
metterci quasi al riparo dal trovare eventuali soluzioni. Di fronte alla morte
paventata, infatti, non c’è soluzione… Se la nostra società piange la “morte dei
padri”, non potranno più esserci padri che possano prendere sul serio la sfida
educativa? E quali madri sapranno ritrovare il loro “genio femminile” per condurre
gradualmente i nati alla maturità affettiva e sociale? Purtroppo, questo è il
“prodotto” a cui potrebbe condurci una mentalità radicalmente relativista che
impone un limite alle scelte educative, anzi impone perfino l’astensione da qualsiasi
scelta, quasi a voler far scorrere la vita di ogni nuovo venuto al mondo in un
turbinìo di certezze effimere, che apparentemente rasserenano sull’autonomia
individuale, ma non favoriscono nei soggetti in cammino educativo la maturazione
di una scelta libera, illuminata da principi morali stringenti, né avviano ad esercitare
la propria volontà nel rispetto della legge naturale e delle leggi dello Stato. Di questo
passo si realizza il relativismo etico, sociale, comportamentale, che apre anche al
relativismo educativo. Senza accorgercene, anzi, il relativismo potrebbe esser ormai
«diventato una sorta di dogma»7.
Una “verità” diffusa, dunque, questa del relativismo, che è diventata in breve
tempo perfino mentalità e codice etico. Come risvolto pragmatico di tale visione
della vita può essere utile prendere a prestito un’espressione sempre più frequente
che si ripete perfino ad inizio di discorso, che diventa quasi una presa di posizione di
fronte alla vita e ai compiti che essa impone con disinvolto disimpegno… Tale
parola è: NIENTE… Rievocare quest’espressione, ormai comune sulle labbra dei
nostri giovani e non, significa esemplificare il modo con il quale ci si relaziona altri,
come si pensano gli affetti, quale giudizio abbiamo dei nostri pensieri: niente! Un
termine che appare come un riflesso, quasi un corrispettivo esistenziale di quella
“metafora” (o anche “paradosso”) che va sotto il nome di “pensiero debole” 8.
BENEDETTO XVI, La famiglia ha una responsabilità primaria nell’educazione e nella formazione della fede,
cit., p. 1071.
8 Il manifesto di tale corrente filosofica, molto in voga tra gli anni ’80 e ’90 del XX secolo, si
trova nel volume: G. VATTIMO-P.A. ROVATTI (curr.), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 19908.
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C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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E vi sono anche contesti particolarmente fragili che quasi giustificano questo
nichilismo pratico, che giustificano quindi l’immobilismo della famiglia e delle altre
soggettività educative, la disperazione, l’isolamento. Educare invece è per-mettere di
migliorare, direi, perfezionare, far raggiungere la meta di perfezione in umanità a cui
ogni essere umano è chiamato. Ma spesso anche nelle nostre realtà socioeconomiche meridionali, laddove antichi valori tendono comunque a resistere, tale
prospettiva sembra diventare perfino utopia. Educare diventa così un’impresa
impossibile, quindi non realizzabile. In alcuni quartieri di Napoli occorrerebbero
nuovi presidi educativi, nel senso che occorrerebbe testimoniare sinergicamente, a
chi si crede immobile, disperato, isolato che è ancora possibile ri-alzare la testa e
provare a camminare con le proprie gambe di carne e, soprattutto, con i propri ideali
di umanità e di dignità.
Ma per fare quanto auspicato, le riflessioni teoriche o speculative devono poter
diventare concretezza, progettazione, strategia, operatività, azione capillare
quotidiana. Urge una mobilitazione sociale, culturale, e, per quanto ci riguarda come
Chiesa, anche pastorale, per far fronte a quest’emergenza, che deve diventare per noi
ordinaria sfida e quindi programmazione, pianificazione, organizzazione. La sfida
educativa c’è ed è una realtà ben sentita tra noi. È perfino cruenta in alcune
manifestazioni estreme di violenza, soprattutto quelle inflitte ai più deboli. Tuttavia,
non basta contrastare i casi singoli. Contrastare, per esempio, i fenomeni di
bullismo, dentro e fuori le aule scolastiche. esclusivamente e prevalentemente
combattendo i gesti violenti, significa eludere la vera soluzione del problema, che
evidentemente chiede interventi sinergici di medio e lungo periodo a parte delle
diverse agenzie educative, sia per prevenire, ma anche per comprendere le
motivazioni che portano talvolta i giovani – e non solo – a ricorrere a gesti di
gratuita, immotivata, efferata violenza. Uno studioso osservava, a proposito del
contributo pedagogico di Antonio Rosmini Serbati, che il Roveretano aveva ben
compreso che il disorientamento dei giovani dei sui tempi era conseguenza di un
disagio molto più ampio che aveva radici proprio nello smarrimento della verità
oggettiva. A quel tempo la dissoluzione dei valori rappresentava il vero pericolo per
l’educazione, come avviene anche ai nostri giorni laddove si diffonde sempre di più
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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un clima di sfiducia nei confronti di ogni azione, programma, o prospettiva
pedagogica9.
A quest’esponente autorevole della cultura cattolica del XIX secolo si riconosce,
da parte degli specialisti, anche il merito di aver sottolineato che il fondamento
dell’educazione è la verità, nel senso che essa deve essere fondata su solidi
fondamenti filosofici e non può essere ridotta a schematismi, metodologia o a
tecnica. Il fine ultimo dell’educazione, quindi, sta nel perseguire il perfezionamento
della natura umana10. L’educazione deve anche poter intervenire per migliorare
comportamenti, atteggiamenti, abitudini, ri-orientando l’agire delle persone verso
altri fini. Proprio nella certezza di ri-motivare le nuove generazioni al rispetto delle
regole, all’amore per i valori veri della vita, ho qualche anno fa proposto a tutte le
parrocchie dell’archidiocesi di riporre le armi, di rimettere ai piedi degli altari delle
chiese di Napoli qualunque strumento o arma che potesse colpire, ledere o eliminare
un altro, o essere di minaccia al bene comune.
Il degrado, purtroppo, è talvolta così incancrenito che perfino la vita umana è
ritenuta, in alcuni ambienti, superflua e gestibile. Ma, sul piano socio-culturale, vi
sono situazioni drammatiche quanto il degrado e che concernono due opposti
modelli educativi: il permissivismo e l’autoritarismo. Entrambi producono effetti
nefasti, perché mortificano il senso stesso dell’azione educativa che si basa
necessariamente sulla relazione e sul dialogo11. Infatti, alla base di un rapporto
educativo ci deve essere la capacità e la disponibilità all’incontro e all’accettazione
dell’altro: «Ascoltare! – invita Aldo Masullo – Parlare è facile, ascoltare è difficile.
Spesso le nostre parole servono a impedire che gli altri parlino»12.
3. Un altro rappresentante della cultura cattolica del XX secolo, il filosofo francese
Jacques Maritain, nel tentativo di fissare i fini propri del processo educativo della
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, “Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3): testimoni del
grande «sì» di Dio all’uomo, Nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il IV Congegno ecclesiale
nazionale, n. 12.
10 Cf. P. SPERANZA, Eclissi dell’educazione. La sfida educativa nel pensiero di Rosmini, Libreria editrice
vaticana, Città del Vaticano 2008, p. 19.
11 L. VERDONE, Emergenza educativa in un mondo che cambia, Paoline, Milano 2009, pp. 82-83.
12 C. SEPE, Dialoghi con la città, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2008, p. 57.
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C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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società a lui contemporanea, definiva l’educazione «un’arte particolarmente
difficile»13. Proprio in rapporto alle nuove tecnologie o alle scoperte delle scienze, il
filosofo di Tolosa, a cui il Vaticano II affidò il “Messaggio agli intellettuali”,
auspicava un’interazione, una collaborazione per migliorare l’educazione, che per
sua natura appartiene «alla sfera della morale e della scienza pratica», poiché ritiene
che essa sia «un’arte morale (o piuttosto una sapienza pratica in cui è incorporata
una determinata arte). Ora ogni arte è una spinta dinamica verso un oggetto da
realizzare che è lo scopo dell’arte stessa. Non c’è arte senza finalità; la vitalità stessa
dell’arte consiste nell’energia con cui tende al suo fine senza fermarsi a nessuno
stadio intermedio»14. Tale posizione non è casuale. Infatti, vi sono alcuni errori
concernenti l’educazione, che quel filosofo mette in luce per evitare sbagli e,
soprattutto, per far emergere l’importanza del fondamento antropologico in questo
delicato settore delle attività umane. La domanda alla quale siamo anche noi
obbligati ancora a rispondere, quando intendiamo impegnarci nella sfide educativa, è
dunque la seguente: che cos’è, o meglio: chi è l’essere umano?
In altri termini, senza una corretta visione antropologica è quasi impossibile
assumere responsabilità educative, o prospettare fini alle azioni formative.
Antropologia e pedagogia devono interagire perché ciascuna persona, nel suo
sviluppo psico-affettivo, possa essere aiutata a perfezionare se stessa. Non è un caso
che in Italia la riflessione cattolica abbia già da qualche anno fermato l’attenzione
sulla questione antropologica, l’analisi della quale ha portato a registrare diversi allarmi, o
sfide, o anche emergenze, di ordine sociale, culturale, bioetico, ambientale…. Ora ha
dovuto registrare anche la questione educativa. È sempre la persona umana in questione,
nel senso che il pericolo intravisto e denunciato – grazie al lavoro di studio del
Progetto culturale orientato in senso cristiano, della Conferenza Episcopale Italiana
– concerne proprio la perdita del fondamento (Grund) del pensare già sul piano
teoretico e metafisico dopo l’avvento del pragmatismo, del sociologismo, del
volontarismo, del materialismo, del nichilismo… Di tale stato delle cose è convinta
anche la Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università
della Conferenza episcopale italiana, quando sostiene che «l’educazione oggi sarebbe
13
14
J. MARITAIN, Filosofia dell’educazione, a cura di G. Galeazzi, La Scuola, Brescia 2001, p. 61.
Ibidem.
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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impossibile perché ancor prima sarebbe stata impensabile. Se il significato della
realtà (apprehensio entis) è negato all’uomo nel senso che su di essa non può
pronunciare un giudizio veritativo, allora diventa impossibile anche l’educazione. Il
tratto distintivo della postmodernità, infatti, il congedo da ogni fondamento e, al
limite, dall’idea stessa di persona, di umanesimo, di educazione»15. Insomma, il
sistema pedagogico è probabilmente in crisi più che mai perché le nostre società,
smarrendo i paradigmi antropologici di riferimento, ed eclissando i valori antropici
di riferimento, hanno smarrito i fini propri dell’educazione, soprattutto in rapporto
alla formazione della personalità dei piccoli, dei giovanissimi e dei giovani.
La chiesa italiana, per testimoniare la sua presenza anche in questo settore, come
accennavo ha, dalla metà degli anni Novanta del secolo XX, elaborato e proposto
un Progetto culturale orientato in senso cristiano. Proprio all’interno delle iniziative
organizzate dal Progetto, la questione antropologica, come sostiene il cardinale
Camillo Ruini, «è destinata ad accompagnarci e a diventare sempre più acuta e
persuasiva nel secolo appena iniziato. L’uomo stesso, nella sua esistenza biologica
come nella coscienza di se stesso, è infatti messo sempre più profondamente in
questione. Trova così una conferma anche quella che, fin dall’inizio, è
l’intenzionalità primaria del Progetto Culturale, rivolto a mettere in rapporto la fede
cristiana anzitutto con l’antropologia, considerata struttura portante e passaggio
obbligato dell’approccio alla cultura del nostro tempo»16.
Si comprende pertanto perché, dopo le riflessioni generali e gli orientamenti del
documento programmatico dell’episcopato italiano per il primo decennio del 2000 –
documento che reca un titolo sintomatico: Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia
–, a cui abbiamo fatto eco come vescovi del Sud nel Convegno partenopeo da me
stesso voluto, ora è il momento di progettare la stessa azione ecclesiale in
prospettiva educativa, così da evitare che l’emergenza individuata rimanga solo un
allarme al quale non segua, come invece deve seguire, una reale azione d’intervento.
L’attenzione dei vescovi si è concentrata ulteriormente su un’altra analisi che
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, UFFICIO PER L’EDUCAZIONE, LA SCUOLA E
– SERVIZIO NAZIONALE PER IL PROGETTO CULTURALE, Le sfide dell’educazione. La
costruzione dell’identità, EDB, Bologna 2007, Vol. II, p. 9.
16 C. RUINI, Prolusione, in SERVIZIO NAZIONALE PER IL PROGETTO CULTURALE (ed.), Il futuro
dell’uomo. Fede cristiana e antropologia, IV Forum del Progetto culturale, EDB, Bologna 2001.
15
L’UNIVERSITÀ
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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concerne lo stato di salute del rapporto cultura-Vangelo, e che ha evidenti risvolti
pedagogici, nel senso che l’ansia dell’episcopato è quella di “mettersi in ascolto della
cultura” del nostro tempo, non senza ammettere che, nel passare dei secoli,
l’inculturazione del messaggio evangelico è diventata sempre più difficile nelle nostre
terre di antica tradizione cristiana. Tale constatazione ha altresì portato a un
ripensamento delle strategie pastorali e soprattutto ha imposto la sperimentazione di
nuove modalità di comunicazione educativa, a cui la chiesa diocesana partenopea
guarda con fervida inventiva e attività. Un lavoro, dunque, “formativo” che chiede
una particolare competenza e soprattutto uno spirito di collaborazione tra le diverse
componenti, le strutture e le persone della vita ecclesiale e civile.
4. Cultura, antropologia, educazione, nell’ottica proposta, devono interagire per
creare davvero una nuova società, rinnovare i modelli pedagogici, fecondare con
strategie originali il nostro stanco contesto, procedere quasi ad una “nuova
evangelizzazione” delle nostre terre. Benedetto XVI sostiene che «in concreto,
perché l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia accolta e vissuta e si
trasmetta da una generazione all’altra, una questione fondamentale e decisiva è
quella dell’educazione della persona. Occorre preoccuparsi della formazione della
sua intelligenza, senza trascurare quelle della sua libertà e capacità di amare» 17. Il
cristianesimo, dunque, si sente parte attiva di tale processo di rinnovamento,
soprattutto perché la fede non è mai qualcosa di inerme, di lontano dalle ansie della
città degli uomini; anzi, anche nei processi educativi, bisogna ribadirlo, con
Giovanni Paolo II il “grande pontefice”, che «una fede che non diventa cultura è
una fede non pienamente accolta, non pienamente pensata, non fedelmente
vissuta»18.
L’impegno di confronto e di dialogo, che è il principale scopo del Progetto culturale
della CEI, ha una visibilità concreta nei Forum annuali, che hanno il precipuo scopo
di discutere ed evidenziare le principali tendenze culturali delle società italiana ed
BENEDETTO XVI, Discorso al IV Convegno ecclesiale nazionale, Verona, 19 ottobre 2006.
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti del Convegno Nazionale del Movimento
ecclesiale di impegno culturale Fede e cultura elevano il lavoro di salvezza cristiana, 16 gennaio 1982, in
ID., Insegnamenti, V/1 (1982), Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1983, pp. 129-134, qui p.
131, n. 2.
17
18
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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europee. Dopo diverse riflessioni, non meraviglia il fatto che negli anni l’analisi è
passata dallo studio del rapporto fede-cultura, a quello fede cristiana-antropologia,
fino al rapporto chiesa-educazione, come ha evidenziato il IX Forum, svoltosi a
Roma il 27 e 28 marzo 2009, che si è soffermato precisamente sull’argomento che
oggi c’interessa, quello dell’emergenza educativa nella società italiana. Il cardinale
Ruini, nel corso della sua prolusione, ha sottolineato, tra l’altro, la necessità di
ricomprendere l’educazione «nelle sue dimensioni globali, non limitata alla scuola o
alla famiglia, ma coinvolgente la società intera». Anche nel recente rapporto
sull’emergenza educativa, curato dal Comitato per il progetto culturale della Cei, si
afferma che «la discussione sull’educazione e sulla scuola è spesso stata ridotta ad un
terreno di battaglia per tecnici e funzionari o per specialisti di tecnologie
informatiche. La valenza educativa e culturale delle istituzioni formative è passata
spesso in secondo piano, come se questa fosse marginale o solo funzionale ad
interessi e sistemi sociali»19.
Sì, sarebbe troppo facile limitare l’analisi dei problemi educativi esclusivamente
alle tecnologie ed agli strateghi, come vediamo problematicamente nel delicato
campo della scuola. Essa, negli ultimi decenni, è stata sempre di più caricata di
compiti che non le sono propri, fino ad assumere il linguaggio dell’impresa e
dell’azienda (sistema di crediti e debiti, controllo di qualità, mangement…).
Frattanto, le nostre famiglie si sono abituate purtroppo a delegare il compito
formativo alla sola istituzione scolastica, confondendo sovente i settori di
competenza e le responsabilità. Certo, la scuola concorre alle finalità educative
generali della società, ma essa da sola non può essere la panacea miracolosa dei
problemi che affliggono oggi l’azione di educazione e di formazione delle giovani
generazioni. Spesso anzi sono proprio i nuclei familiari che non riescono a gestire le
situazioni e perdono di vista la propria titolarità educativa originaria, a volte
eclissando il vero fine dell’educazione, a vantaggio di permissivismo, sregolatezza,
isolamento sotto il nome di autostima, indipendenza, autonomia.
19
Cf. La sfida educativa, a cura del Comitato per il progetto culturale della Cei, Laterza, Roma-Bari
2009.
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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Spesso nelle famiglie si sente parlare una voce sì umana, ma che proviene da uno
schermo televisivo o informatico… Diventa sempre più raro l’incontro tu-a-tu tra
volti, in famiglia; difficilmente, guardandosi negli occhi, padri e madri, padri e figli,
padri, madri e figli dialogano, discutono, progettano, scelgono, orientano il futuro. Il
silenzio è indifferenza, nel senso che lo smarrimento dei ruoli ha comportato
l’indisponibilità nei genitori ad essere testimoni di vita, ad indicare sentieri, a
presentare regole, mentre nei figli si palesa sempre di più intolleranza all’ascolto,
indisponibilità ai valori, rifiuto della realtà e conseguente rifugio nel virtuale, in
mondi “due” ed in “seconde” vite. Ma i giovani comunque attendono… non
sfuggono… chiedono di essere aiutati… ma spesso gli adulti non rispondono, non
propongono, non testimoniano, non si ri-appropriano del proprio compito e, di
conseguenza, non indirizzano e non controllano lo stesso sistema educativo
scolastico.
Gli adulti, soprattutto se genitori o adulti con compiti formativi ed educativi,
devono saper nuovamente riprendere il ruolo che a loro spetta, senza per forza
individuare le cause del fallimento educativo in una qualche ragione arcana, o
imputabile a chi sa quale complesso di trame… La responsabilità educativa
ricomincia da noi adulti, con la necessaria riscoperta del nostro ruolo genitoriale e,
soprattutto, della responsabilità paterno-materna nei confronti di ogni nato, anche
non è nostro figlio biologico.
5. Se si vuole realmente rispondere alla sfida educativa, che sicuramente ci terrà
impegnati nei prossimi decenni, ogni componente delle nostre società deve perciò
ripensare al proprio ruolo, alle singole responsabilità, alle specifiche finalità
istituzionali e non… Le soluzioni alla grave emergenza educativa non potranno
essere pertinenza esclusiva delle responsabilità dello Stato e dei suoi organi
istituzionali. Così come non esiste uno “stato etico”, essendo la moralità affidata ad
ogni coscienza libera illuminata dallo splendore della verità morale, così non ci
possiamo aspettare una “pedagogia di Stato”.
Un recente volume, dedicato proprio a La sfida educativa, curato dal medesimo
Comitato per il progetto culturale, ha messo in rilievo che, già nel 2007, il 61% delle
famiglie (e il 46% degli imprenditori) considerava sicuramente l’educazione come la
prima emergenza nazionale e che un altro 35% la considerava tra le prime
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
12
emergenze20. Se questi sono i numeri, sul piano qualitativo l’attuale pontefice
sottolinea come occorra ammettere che si «tratta di un’emergenza inevitabile: in una
società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo […]
in una simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso
parlare di verità, lo si considera “autoritario”, e si finisce per dubitare della bontà
della vita […] e della validità dei rapporti e degli impegni che costituiscono la vita»21.
Verità, bontà della vita, impegni stabili, validità dei rapporti: ecco altrettante
esigenze ed auspici, a cui però, le nostre società oppongono oggettiva difficoltà,
talvolta incapacità, di trasmettere i valori che realmente contano per l’esistenza
individuale e sociale. In questo contesto, mi piace evidenziare un’altra criticità che
concerne la comunicazione e l’educazione alla fede, che oggi più che mai non risulta
un’impresa facile per quella veneranda “soggettività educativa” che è la comunità
ecclesiale. In quanto comunità educante, la chiesa si sente direttamente interrogata
da questo stato di cose, anzi le chiese particolari – i volti materni e paterni della
chiesa in uno specifico territorio e in un tempo determinato - devono analizzare le
cause, ipotizzare strategie di intervento, realizzare progetti concreti di rinnovamento.
Essa infatti ha lo scopo di educare alla fede: «Educare alla fede, alla sequela e alla
testimonianza vuol dire aiutare i nostri fratelli, o meglio aiutarci scambievolmente,
ad entrare in un rapporto vivo con Cristo e con il Padre. È questo, fin dall’inizio, il
compito fondamentale della chiesa, come comunità dei credenti, dei discepoli e degli
amici di Gesù»22.
Nelle
nostre
società,
profondamente
interessate
sia
dai
processi
di
secolarizzazione, come da etiche relativiste, o, in campo religioso, dall’indifferenza,
se non manca l’impegno pastorale a realizzare nel concreto proposte di riforma e di
rinnovamento in questi processi educativi, occorre qualificare e formare coloro che
esercitano in concreto l’azione educativa della comunità credente Alludo ai ministri
ordinati e istituiti. Alludo alla rilevanza e alla presenza cristiana del laicato cattolico,
che va posto sempre di più nella dimensione della testimonianza, ovvero del
coinvolgimento attivo nel riferimento di fede, disponibili, se occorresse, anche a
Cf. La sfida educativa, cit.
BENEDETTO XVI, La famiglia ha una responsabilità primaria nell’educazione e nella formazione della
fede, cit., p. 1071.
22 Ibidem.
20
21
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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dare la propria vita. I cristiani infatti sono, più degli altri, chiamati a costruire un
mondo migliore, quello annunciato da Cristo e posto nelle mani dei credenti, veri
testimoni di pace e di vita.
Tuttavia, educare non può significare trasmettere semplicemente “cose”,
“abilità”, “attitudini”, perfino dottrine, fino a dimenticare in un certo modo il valore
fondante di ogni “cosa”, ossia il valore della persona. Insomma, la mission dei sistemi
educativi, delle famiglie, della scuola, della comunità credente non può più essere
quella di insegnare a fare piuttosto che ad essere. I giovani, nonostante mostrino
interesse per la loro felicità, trovano, come risposta alle loro richieste, un “mercato”
di offerte, si riducono brutalmente all’offerta di oggetti di consumo, o gratificazioni
effimere che appagano desideri immediati ma non rispondono ai bisogni profondi
dell’essere umano, anzi spengono talvolta il desiderio genuino della relazione io-tu,
della risposta di senso, dell’inquietudine della ricerca del proprio specifico ruolo
nella vita…
Dal canto loro, genitori e insegnanti restano spesso in stato di confusione e
abdicano, forse non sempre volentieri, ai loro compiti e i loro ruoli o missioni,
riducendosi al sostegno economico e all’accompagnamento silente dei giovani, fino
a lasciarli permanere nelle loro situazioni o, per timore di invadere la sfera personale
e intima di coloro che, pure, il Creatore ha loro affidato,
si autoesonerano
dall’indicare una strada, suggerire una soluzione, prospettare un percorso, offrire
libere alternative, soprattutto testimoniare esistenze riuscite e credenze religiose
realizzate… Così a ben vedere, ancora una volta il relativismo pedagogico
indebolisce proprio l’idea di persona, come accade ovviamente in campo morale e
sociale. Eppure, lo scopo essenziale dell’educazione, anche cristianamente intesa, è
precisamente «la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza
e di dare il proprio contributo al bene della comunità»23. In questa precisa
dimensione educativa, che ben considera la sollecitudine per la persona umana e la
sua formazione, che devono essere decisi anche i “no” «a forme deboli e deviate di
amore e alle contraffazioni della libertà»24.
23
24
Ivi, p. 1072.
BENEDETTO XVI, Discorso al IV Convegno ecclesiale nazionale, cit., n. 19.
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
14
È precisamente in questo senso che bisogna combattere gli eccessi proposti oggi
sia dal modello permissivo che da quello autoritario, perché dal punto di vista
pedagogico occorre saper manifestare e motivare non soltanto gli orientamenti
positivi, ma anche i divieti imposti. I divieti, infatti, aiutano a crescere e, se ben
motivati ed argomentati nel dialogo educativo, non producono frustrazione né in
senso depressivo-distruttivo (il divieto assoluto dell’autoritarismo), né in senso
narcisistico-trionfale (il concedere tutto del permissivismo). Se si vogliono
responsabilizzare i giovani, bisogna concedere loro la possibilità di entrare in dialogo
con le posizioni degli adulti, anche con i loro “no” perché essi comprendano,
accettino, condividano, scelgano argomentatamente. «Bisogna tornare ad avere la
forza di dire di no, anche se questo è accolto male, sapendo che i giovani cercano
negli adulti, più o meno consapevolmente, modelli di riferimento, stimoli per
superarsi, ma anche norme e segnali di limite»25.
In ogni caso, l’oggettiva complessità delle nostre situazioni socio-culturali ed il
degrado economico di larghi strati della popolazione, colpiti dall’onda lunga di una
globalizzazione non ben governata, non può scoraggiare l’impegno educativo, che
invece deve essere incentivato meglio, in quanto deve aiutare una nuova cultura di
relazione, di dialogo, di condivisione, che sarà anche nuova cultura di vita associata
ed anche economica e politica. Per questo è auspicabile che un piano di lavoro a
lunga scadenza possa perseguire almeno due precipue finalità: sviluppare negli
operatori competenze di analisi e modelli di intervento formativi, finalizzati al
miglioramento delle competenze sociali e civiche dei più giovani; aiutare a far
maturare modelli di intervento formativi fondati sullo sviluppo della motivazione/rimotivazione dei più giovani, osando rilanciare in loro il senso della scoperta del
senso della vita. Infatti, non basta che un comportamento sia intrinsecamente
motivato a scoprire e vivere i valori-base dell’esistenza perché sia percepito
interessante;
occorre anche che sia sperimentato come frutto di una scelta
autonoma e non frutto di controlli fiscali o giuridici o di ricompense esteriori. La
ricompensa primaria di questo tipo di comportamento da indurre, infatti, è costituita
dall’esperienza di sentirsi felici piuttosto da quella di sentirsi efficaci sul piano
quantitativo.
25
L. VERDONE, Emergenza educativa in un mondo che cambia, cit., p. 82.
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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6. Tali prospettive possono riguardare ogni società, soprattutto possono
interessare una comunità come quella partenopea, che vive, sia nella città che
nell’hinterland, quotidianamente l’emergenza educativa, che si addiziona ancora più
crudelmente che altrove, all’emergenza sociale, ambientale, economica… Tutto,
infatti, ma proprio tutto concorre, purtroppo, a sbiadire i colori naturali della nostra
Napoli, sostituendoli con le vernici tossiche del degrado, della camorra, del
disordine sociale, oppure avvelenandole per secoli e per millenni con le condotte
illegali assurte a modelli di vita riuscita…
Dire Napoli, da molti, troppi anni, ha significato dire emergenza. Non può essere
sempre così. Nell’emergenza si può, tutt’al più, tamponare, correre ai ripari. Ma
ormai si deve anche insinuare cambiamento su tempi medi e lunghi. Una parola
come “emergenza”, peraltro, tra noi corre il rischio di essere mal compresa, perché
indica una situazione alla quale bisogna porre ripari immediati, magari con mezzi
straordinari e supplendo a figure istituzionali e mezzi che non riescono più a gestire
l’ordinario. Certo, qui da noi si è ricorso spesso soltanto a provvisori rimedi, a
“commissariamenti” temporanei, senza proporre politiche educative alternative,
attuando progetti a lunga scadenza, realizzando servizi efficienti, puntando sulle
persone come risorse più importanti delle risorse economiche… Agire sull’onda
delle emergenze è come se si soccorresse un malato caricandolo sull’ambulanze e
prestandogli il primo soccorso, ma senza mettere in essere la rete integrata
territoriale per le dovute cure, i dovuti rimedi, le giuste terapie, soprattutto quelle
preventive che evitano la recidiva! È facile, troppo facile, gridare all’emergenza e
lasciare poi che si abbatta su Napoli e sul Meridione, ogni improperio, ogni
nefandezza, ogni negatività… Napoli deve essere ripensata come a una comunità di
persone che merita progettazione educativa e pastorale di grande respiro, che non
sia formata al “tirare a campare”, ma a sognare in grande, progettare, amare…,
lavorare, pensare, educare e co-educarsi. Il ruolo di questa nostra metropoli non può
essere ridotto solo a caleidoscopio dei mali che affliggono la società italiana intera.
Non è tollerabile far riferimento a Napoli come un crogiuolo di nefandezze, di
scelleratezze, di brutalità e lasciare che le cose continuino a rimanere così, senza
progettualità educativa e senza antidoti formativi… Ma è anche vero che non vi è
progetto senza analisi conoscitiva, non vi è analisi senza grandi orientamenti ideali,
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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non vi sono grandi orientamenti se non si ridà spazio alla moralità e all’orizzonte
personale. E probabilmente la depressione induce alla disperazione, come alla
negazione del futuro, o, Dio non voglia, al furto della speranza, sebbene la speranza
sia “ultima a morire”26. Dire speranza, afferma il filosofo Masullo, non vuol dire
«un sogno, ma un progetto, un traguardo da raggiungere, la risposta a una sfida
vitale che ci viene posta dalle circostanze». Riferendosi direttamente a Napoli dice:
«Noi siamo nati in questa città, viviamo in questa città, abbiamo avuto in sorte di
affrontare le difficoltà che caratterizzano questa città. Ciò si deve trasformare in un
atteggiamento attivo, concreto, differenziato a seconda del nostro ruolo nella vita
collettiva»27.
Come può, dunque, la nostra Napoli, il nostro Sud, recuperare nei diversi
contesti, ambienti, comunità, le opportune occasioni di educazione e formazione?
Come si può, insieme e coordinatamente, progettare un rinnovamento sociale che
riparta della sfera educativa e formativa? Quali priorità identificheremo per l’attuale
emergenza educativa?
Domande, quante domande! Rispondere nell’immediato e senza ponderazione, ci
farebbe correre il rischio di indicare soltanto delle esemplificazioni pratiche, con il
pericolo di banalizzare una riflessione che, invece, vuole restare e dev’essere
analitico-speculativa, ma senza mai perdere l’aderenza alla realtà. In concreto, le
azioni educative da mettere in atto dovranno favorire l’incontro, il dialogo e la
condivisione. È necessario oggi più che mai auspicare un rapido passaggio dalla
pedagogia dell’emergenza alla pedagogia del progetto di vita, nella convinzione che
«l’educazione aiuta il soggetto a costruire il suo mondo e ad allargare il suo
orizzonte»28. In questo senso, occorre far interagire più piani nell’azione educativa,
prospettando per Napoli almeno quelle che mi sembrano alcune
priorità per
rispondere adeguatamente alla sfida educativa.
 Educare ai valori propri della famiglia stabile e feconda
Cf. C. SEPE, Non rubate la speranza, Mondadori, Milano 2007.
C. SEPE, Dialoghi con la città, cit., p. 57.
28 B. LONERGAN, Sull’educazione. Le lezioni di Cincinnati del 1959 sulla «Filosofia dell’educazione», ed. it
a cura di N. Spaccapelo-S. Muratore, Città nuova, Roma 1999, p. 159.
26
27
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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Nonostante i vertiginosi mutamenti che hanno interessato la società occidentale,
tra i riferimenti indispensabili in campo educativo vi è la famiglia eterosessuale,
stabile e feconda, poiché in essa è possibile, oltre a generare e custodire la vita,
apprendere gli elementi essenziali, fondamentali dell’esistenza. La famiglia – secondo
il decimo rapporto sulla famiglia in Italia, curato dal Cisf nel 2006 – resta “molto
importante” per la nostra gente e rappresenta, per il 93% degli italiani, il punto di
riferimento imprescindibile. Certo, anche nel Meridione d’Italia, il concetto di
famiglia ha subito molti cambiamenti, anzi si è modificata anche la tipologia dei
nuclei familiari.
Il “fenomeno della pluralizzazione” delle figure parentali e della cosiddette
famiglie allargate ha non poco inciso sulle dinamiche educative, come sulla
fisionomia stessa del “nucleo familiare tradizionale”, snaturandone l’identità e
modificandone anche il senso. Lo stesso giusto concetto di autonomia dei
componenti si è trasformato talvolta in esasperazione di indipendenza dei coniugi
tra loro nonché tra loro e gli stessi figli. Così il nucleo familiare, trasformandosi, il
più delle volte si presenta sfaldato, addirittura non si ricompone neanche nei
momenti tipici (come il pranzo, le feste, le ricorrenze…)29. La famiglia, al contrario,
deve ritornare ad essere il luogo dove figure adulte e realizzate, vincolate dall’amore
fecondo e dalla relazione gratuita, testimoniano e insegnano il valore della sobrietà,
dell’affetto maturo, della sessualità responsabilmente esercitata, della fecondità non
soltanto biologica, della condivisione e della relazione, invitando i giovani non a
chiudersi a riccio, ma ad aprirsi ai contesti sociali e culturali. In questo senso, la
famiglia si ri-appropria del compito educativo, nel senso che essa attiva una catena
di mutamenti educativi, oggi da rivitalizzare per proporre un progetto di vita che si
caratterizzi per opzioni di vita libere e responsabili. Tutto questo, in estrema sintesi,
si traduce sul piano socio-politico in rinnovate politiche di sostegno alle famiglie che
devono essere messe in condizione di essere comunità di persone libere, aperte alla
vita che Iddio vorrà dare, partecipi dello sviluppo della società e dell’economia e
anche della vita e della missione della Chiesa.
29
Cf. L. VERDONE, Emergenza educativa in un mondo che cambia, cit., pp. 124-125.
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
18
 Educare in prospettiva interculturale
Da quanto detto, risulta evidente che le trasformazioni morfologiche e socioculturali, che hanno interessato negli ultimi anni la famiglia italiana, hanno inciso
molto sulla dimensione esistenziale delle singole persone, giovani e non. Così tali
cambiamenti hanno modificato anche la visione della società italiana, che in qualche
occasione è stata perfino definita razzista, xenofoba, autoritaria, inospitale o non
accogliente.
Certo, potrebbe risultare utopico o pericoloso, dopo gli efferati atti di terrorismo
di matrice integralista islamica, prospettare una società che si educa a diventare
multiculturale o interculturale, oltre che multietnica. In merito, occorre una
riflessione di ordine statistico per incominciare a capire le vere dimensioni del
problema. Si ricordi che il numero di cittadini stranieri residenti in Italia è passato –
come si legge nel rapporto Istat del 2009 – da 1.356.590 del 2002 a 3.432.651 del
2008. Questo fenomeno dell’immigrazione porta di per sé l’incontro con persone di
religioni, culture, etnia e tradizioni altre e ciò impone di riflettere ed escogitare nuovi
modelli di convivenza, che non si limitino a suggerire, come avveniva in età
moderna, la “tolleranza”. Infatti, educare in prospettiva interculturale è la vera sfida
del presente e del futuro che impone necessariamente un ripensamento delle nostre
relazioni educative anche all’interno della comunità ecclesiale e della stessa
programmazione scolastica30. L’educazione alle differenze non solo è necessaria, ma
oggi è più che vitale. Identità e differenza sono i due valori portanti che fondano
ogni pedagogia della relazione, senza la quale non sarà possibile educare al progetto
di vita rispettoso dell’altro in quanto persona con la sua dignità, al di là della sua
lingua e della sua fede.
Così, se l’ospitalità è un dovere, l’accoglienza è un valore che s’impara a vivere
grazie ad azioni educative orientate all’accettazione dell’altro. In questo senso,
accogliere significa, come ricordava una delle parole più care alla tradizione
occidentale moderna, “riconoscersi nella fraternità”. Fraternità è più che
In merito, cf. G. VICO, L’educazione interculturale: frontiere educativa del prossimo millennio, in La
scuola nella società multietnica. Lineamenti di pedagogia interculturale, La Scuola, Brescia 1994, pp. 31-42.
30
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
19
eguaglianza. Non significa affatto abdicare alla propria identità, quanto invece
sperimentare la condivisione perché esponenti della medesima umanità, quindi
fratelli non di sangue ma di consesso e dunque inevitabilmente solidali. Napoli,
come già dicevo in un’altra occasione, può diventare un “laboratorio educativo
interculturale” che forma alle relazioni vere nella convivialità delle differenze 31,
perché già ha nella sua genetica storico-culturale il senso dell’accoglienza e
dell’ospitalità, della fraternità con il diverso e perfino con il nemico.
 Educare alla solidarietà
Tale prospettiva educativa non può che essere interrelata a quella interculturale,
poiché la solidarietà, anche in ottica cristiana, è una conquista individuale e sociale,
che richiede una continua operosità formativa. Solidarietà come filantropia,
altruismo, ma anche come donazione e come gratuità senza tornaconti, nel senso
cristiano del termine. L’atto di solidarietà, diremmo l’atto di “farsi prossimo”. non
deve appagare eventuali carenze affettive di chi solidarizza con l’altro, ma deve
invece costruire un clima di amore, contesti di condivisione e di relazione affettiva
autentica.
Per questo motivo, nella nostra società partenopea, già naturalmente aperta
all’accoglienza, bisogna prevenire ogni eventuale recrudescenza di egoistica
esclusione dell’altro e insistere sugli aspetti di apertura e accettazione già ben radicati
nella nostra cultura. Tuttavia, la solidarietà deve diventare progetto educativo, anche
ispirandosi al valore della carità cristiana. Se Dio è amore, anzi agàpe, il modello è
quello della donazione, della oblatività, della generosità, dello spendersi per gli altri,
del soffrire se occorre per il vantaggio collettivo. In particolare, si registrano,
purtroppo anche tra i nostri giovani, atti di violenza gratuita, soprattutto in contesto
scolastico, a volte ripetuti atti di bullismo. Questo fenomeno interessa, sotto diversi
aspetti, molti ragazzi sia della scuola secondaria di primo grado che quelli della
secondaria di secondo grado. Esso denota, insieme ad altri fattori (come
l’indifferenza alle domande di senso, la mancanza di certezze, le forme di
31
Cf. C. SEPE, Dialoghi con la città, cit., p. 41.
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
20
dipendenza), un’evidente negazione dei valori di solidarietà e di accoglienza e nega i
diritti e la dignità della persona umana. Per questo, educare alla solidarietà può
essere un’utile priorità educativa, dal punto di vista teorico-formativo e praticooperativo, proprio per rispondere alle attuali esigenze di ridurre drasticamente
fenomeni di violenza gratuita ed efferata.
Sia sul piano teorico-formativo, sia su quello socio-culturale, l’educazione alla
solidarietà deve essere comunque fondata sul principio-persona, per aprirsi poi ai
settori familiare, sociale, politico, economico, scolastico, mass mediale, ecologico,
etico, bioetico, religioso. Dunque, propongo un vero e proprio progetto
pedagogico-culturale che mobiliti tutti. Solidarietà (carità) non va intesa come
«“pietosa infermiera” che cura le patologie della società, ma rimedio per rimuovere
le cause, anzi per prevenirle»32. Tanto può fare una cultura ispirata alla solidarietà
che altro fine non ha se non quello di far disseminare e rafforzare in tutti il senso
della responsabilità. «Non si tratta semplicemente di coltivare “un sentimento di
vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone”, ma di
un intervento attivo e perseverante, di un’azione sono solo individuale, ma
comunitaria, e che opera sulle strutture sociali, le quali a loro volta possono
determinare una mentalità e un costume»33.
 Educare alla cittadinanza attiva
L’emergenza educativa è correlata, da un lato, al disagio diffuso che caratterizza la
condizione giovanile nelle società occidentali e che si manifesta nelle forme più
disparate. Ma essa è anche correlata, dall’altro lato, alla crisi che vivono gli adulti nel
testimoniare e nell’insegnare i valori fondamentali della vita, o nel prendere iniziative
per indicare alle nuove generazioni l’importanza per la scelta di un progetto di vita
da costruire giorno per giorno. Ovviamente gli adulti sono chiamati anche a
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Nota pastorale Con il dono della carità dentro la storia, 26
maggio 1996, in III CONVEGNO ECCLESIALE DI PALERMO, Il Vangelo della carità per un nuova società
in Italia, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1996, pp. 215-252, qui p. 222, n. 9.
33 COMMISSIONE ECCLESIALE GIUSTIZIA E PACE, Nota pastorale Uomini di culture diverse: dal
conflitto alla solidarietà, 25 maggio 1990, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana/4, nn. 22352275, qui n. 2257.
32
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
21
modificare l’attuale realtà di debolezza etica, educativa, sociale, dal momento che
l’emergenza educativa è un allarme ben più ampio che richiede, come è stato già
evidenziato, un’analisi più attenta e profonda.
Infatti, uno degli aspetti che deve essere tenuto in considerazione concerne
l’impegno, l’educazione e la formazione alla cittadinanza ed a condotte sociali
corrette. In questo senso, anche la scuola è chiamata a dare un suo contributo
specifico, ovvero a indirizzare gli sforzi organizzativi, metodologici e didattici
intorno ai valori fondamentali che riguardano la sfera antropologica, etica e
culturale, che possono ben costituire come l’anima dei Piani di offerta formativa. La
crisi valoriale, quasi effetto perverso del citato “pensiero debole”, si manifesta
concretamente nella “debolezza etica”, che spesso si traduce in indifferenza. Per
evitare che i giovani si astengano dall’impegno sociale e gli adulti si disinteressino
alle responsabilità, occorre incoraggiare un’educazione alla cittadinanza attiva, per
superare il nichilismo comportamentale e morale che si manifesta in modo esplicito
nel disimpegno sociale.
Superare il disimpegno, l’indifferenza, il relativismo anche in campo sociale,
significa responsabilizzare e sensibilizzare giovani e adulti all’impegno attivo per la
Città, per la nostra Città la quale, prima di essere un sistema urbanistico e un insieme
geografico, è una con-costruzione di persone, di ceti e di ruoli umani.
Quest’impegno non può riguardare solo le autorità istituzionali, ma riguarda tutti i
cittadini, i quali dovrebbero in prima persona, anche sollecitati dalle istituzioni
parrocchiali – veri e propri presidi educativi sul territorio diocesano - attivarsi per
una “solidarietà sociale giornaliera”. Quindi, impegnarsi per la cittadinanza attiva e
vivere la solidarietà rappresentano un binomio inscindibile per ridare forza e vitalità
ai valori riscoperti e testimoniati.
 Educare alla riforma del pensiero
Un ultimo aspetto che potrebbe essere spunto di riflessione per recuperare
l’emergenza educativa nella nostra città, e più ampiamente nel nostro Meridione,
riguarda proprio il sistema scolastico, sia quello promosso e finanziato dallo Stato,
sia quello non statale, promosso e finanziato da altri enti e istituzioni come quelle
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
22
cattoliche. L’Italia è stata interessata negli ultimi anni dal bisogno di riformare
strutture, infrastrutture, apparati… che ormai si ritengono desueti, pesanti,
ridondanti e perciò sono riformati e ri-organizzati. Anche la scuola italiana ha subito
diversi tentativi di riforma, la più recente è ormai in dirittura di arrivo, ma in realtà
non c’è stata mai un’effettiva, reale e radicale trasformazione della realtà dei fatti,
oltre che una trasformazione dei documenti e degli indirizzi scritti34. Il
rinnovamento ideale, oltre a riguardare gli aspetti organizzativi e contenutistici,
dovrebbe essere finalizzato alle strategie di comunicazione didattica, alla relazione e
al dialogo educativo tra insegnanti e alunni e, più ampiamente, tra famiglia e sistema
educativo, oppure tra territorio e istituzioni scolastiche. Insomma, si dovrebbe
insistere maggiormente sull’autorevolezza degli educatori per poter proporre
contenuti forti e credibili. A ben vedere, infatti, si tratta di rispondere a quella che
Edgar Morin ha chiamato la sfida delle sfide e riguarda, prim’ancora che la riforma
delle istituzioni scolastiche, la «riforma del pensiero che consentirebbe il pieno
impegno dell’intelligenza per rispondere a queste sfide». Insomma, «si tratta di una
riforma non programmatica ma paradigmatica, che concerne la nostra attitudine a
organizzare la conoscenza»35.
Dunque, la vera riforma dell’insegnamento è riforma del pensiero, finalizzata alla
realizzazione di quello che lo studioso chiama “insegnamento educativo” e che ogni
istituzione libera, sia statale che non statale, dovrebbe far propria. Tale prospettiva
interroga ciascun educatore sullo stato di salute dei saperi e soprattutto sulle sfide,
come quella educativa, che ormai contraddistinguono la nostra epoca. Per questo
motivo, Morin propone una radicale riforma del pensiero e dell’insegnamento per
rendere realmente fattibile sul piano della conoscenza la risposte a queste sfide. Ma
sarebbe impossibile e impensabile un’operazione di tal genere senza la scuola e la
riorganizzazione dei saperi, che ormai vanno ripensati in ottica multidisciplinare. La
riforma dell’educazione e dell’insegnamento oggi va considerata alla luce del pensiero
complesso, proprio per superare un errore ripetuto spesso nella storia della scuola, che
è quello che ritiene che occorra prima imparare e poi pensare, mentre bisogna usare
In merito, cf. a puro titolo esemplificativo A SANDULLI, Il sistema nazionale di istruzione, il
Mulino, Bologna 2003.
35 E. MORIN, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, R. Cortina, Milano
2000, p. 13.
34
C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?
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un altro modello di insegnamento, che consiste nel «pensare come imparare e in
questo modo imparare a pensare»36.
7. Le riflessioni offerte rimangono solo linee di un più ampio approfondimento e
di articolato studio. Certo la situazione della nostra società impone una riflessione
sinergica che ovviamente deve contare sul contributo di più specialisti e deve
coinvolgere tutte le componenti. È ovvio che la comunità cristiana si senta chiamata
direttamente in causa e che voglia offrire la propria collaborazione per uscire dal
vortice della debolezza educativa. Attraverso le parrocchie, i movimenti, gli
insegnanti, le famiglie propone un modello credibile di responsabilità educativa.
Ma è soprattutto sulla famiglia che bisogna puntare perché essa è il luogo
privilegiato di socializzazione e di testimonianza. È qui che si apprende e si
concretizza la bellezza del progetto di vita: gli adulti lo portano avanti, i giovani
cominciano a costruirlo insieme ai propri genitori…
Così realmente si realizza quanto Martin Buber affermava: «Educare significa fare
che una selezione del mondo agisca su di una persona attraverso un’altra persona»37.
R. STERNBERG, Stili di pensiero. Differenze individuali nell’apprendimento e nella soluzione di problemi,
Erickson, Trento 1998, p. 23.
37 M. BUBER, Il principio dialogico e altri scritti, San Paolo, Roma 1994, p. 248.
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C. SEPE, Napoli. Quali priorità per l’emergenza educativa?