L`astronomia

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Università degli Studi di Macerata
Corso di Elementi di Fisica - A.A. 2015/16
Prof. Manlio Bellesi
L’ASTRONOMIA
Dacché la terra ebbe degli uomini,
il cielo ebbe degli ammiratori.
L’ammirazione congiunta alla necessità
cagionò i progressi dell’Astronomia.
(Giacomo Leopardi, Storia dell’Astronomia, 1815)
L’Astronomia è sicuramente la più antica scienza cui l’uomo si sia dedicato: tutti i popoli
hanno avuto una particolare attenzione ai fenomeni celesti. Il sorgere e il tramontare del Sole, il
moto e le fasi della Luna, il moto dei pianeti, eclissi, comete, stelle cadenti, ecc. hanno da sempre
destato curiosità, ma anche paura e soggezione.
L’Astronomia, dal greco  (astro) e  (legge), è la scienza che studia le
posizioni relative, il moto, la struttura e l'evoluzione degli astri. Studia soprattutto: i pianeti e i loro
satelliti; il Sole; il mezzo interplanetario; le stelle; le nebulose; la Galassia; le galassie.
Diverse discipline concorrono oggi allo studio dell'Universo.
 L'Astronomia di posizione o Astrometria (è la più antica)
 La Meccanica Celeste
(insieme costituiscono l'Astronomia fondamentale o classica).
A partire dalla seconda metà del XIX secolo, con l'applicazione della fotografia, della
spettroscopia e della fotometria è nata l’Astronomia Moderna, nella quale possiamo distinguere:
 L’Astrofisica (il cui oggetto è lo studio della fisica e dell'evoluzione degli oggetti
dell'Universo). Si distingue spesso in: Astrofisica delle alte energie (studio
dell'irraggiamento , X e ultravioletto) e Astrofisica delle basse energie (irraggiamento
nel visibile, infrarosso e radio). Un'altra distinzione viene fatta tra la Cosmogonia  che
studia la formazione e l'evoluzione dei corpi celesti particolari (stelle, pianeti, galassie,
ecc.)  e la Cosmologia, che tenta di spiegare la formazione e l'evoluzione dell'Universo
considerato nella sua totalità.
 L’Astrochimica (si interessa della chimica extraterrestre)
 L’Esobiologia, o Astrobiologia, che studia la possibilità di vita nel cosmo.
Poiché l’astronomia è una scienza fondata sull'osservazione, non deve meravigliare che il
progresso tecnologico comporti l’apertura di nuove problematiche in precedenza sconosciute e
addirittura insospettate. Per esempio la radioastronomia, tutta l’astronomia spaziale e certe
astronomie “particellari” ancor più recenti sono nate proprio perché si sono realizzati nuovi
strumenti che hanno accresciuto le nostre capacità di osservazione.
Grazie a queste nuove possibilità l’umanità ha potuto aprire nuove “finestre osservative” sul
cosmo, che si sono affiancate alla “finestra ottica” dello spettro elettromagnetico[i], per millenni
unica possibilità di studio dei fenomeni celesti. L'atmosfera terrestre è infatti opaca rispetto alla
maggior parte delle radiazioni elettromagnetiche incidenti dal cosmo, tranne che in due regioni
spettrali: l’intervallo ottico, da circa 4000 Å a circa 8000 Å di lunghezza d'onda (1 Å = 10-10 m), e
l’intervallo radio, da poco più di 1 mm a qualche decina di metri di lunghezza d'onda. Le piccole
lunghezze d'onda (UV, X, ) subiscono un forte assorbimento a causa dello strato di ozono
atmosferico, mentre nelle lunghezze d'onda maggiori dell'intervallo radio tutta la radiazione
incidente viene riflessa nello spazio dalla ionosfera terrestre. Tra l’intervallo ottico e quello radio
l’assorbimento è prodotto dai numerosi composti molecolari presenti nell'atmosfera terrestre
[i]
Tutta la materia emette radiazioni elettromagnetiche. Possiamo immaginare queste radiazioni come onde (pensiamo
a quelle generate da un sasso lanciato in uno stagno perfettamente calmo) che vengono emesse da una sorgente. Nel
vuoto esse viaggiano tutte alla velocità della luce c=3108 m/s (in effetti anche la luce è un tipo di radiazione
elettromagnetica) e sono caratterizzate da due quantità: la lunghezza d’onda , che misura la distanza tra due creste
dell’onda, e la frequenza  che misura quante volte in un secondo l’onda oscilla. Risulta c = . A seconda della
lunghezza d’onda (o della frequenza) le onde elettromagnetiche vengono classificate in onde radio (lunghezze d’onda
dal centimetro in su), microonde, luce visibile, raggi ultravioletti, raggi X e raggi .
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(principalmente H2O e CO2), che permettono alla radiazione di giungere fino al suolo solo per
alcune limitate finestre infrarosse.
Figura 1.1 - Spettro elettromagnetico e trasparenza dell’atmosfera terrestre
L’occhio umano, per motivi di adattamento biochimico, ha una sensibilità limitata
all'intervallo ottico dello spettro, ed è naturale che per tanto tempo l’uomo abbia utilizzato solo la
luce visibile per ricevere messaggi dall'Universo. Verso la metà del XX secolo è nata la
radioastronomia, ossia viene sfruttato anche l’intervallo radio; mentre in epoca ancora più recente,
con l’aprirsi dell'era spaziale dopo il 1957, l’astronomia ha potuto esaminare il cielo in tutte le
regioni dello spettro elettromagnetico. Sono così nate l’astronomia dell’infrarosso, quella dei raggi
X e quella dei raggi : esse hanno ripreso temi e metodi dall’astronomia ottica.
1.1 Modelli geocentrico e eliocentrico
Tra i primi problemi che gli astronomi si sono trovati ad affrontare c’è stato quello di
spiegare il movimento dei pianeti, che anche a un osservatore casuale risulta evidentemente diverso
da quello delle stelle (che è un moto uniforme da est verso ovest).
Figura 1.2[ii] - Traiettoria
apparente di Marte in cielo fra
il 10 maggio ed il 10 novembre 1971.
[ii]
Figura tratta dall’articolo di Piero Tempesti: Storia della misura dell’Unità Astronomica comparso per la prima volta
sulla vecchia rivista COELUM Anno XLIX Volume XLVIII n. 9-10 settembre-ottobre 1979 e Anno XLIX Volume
XLIX n. 11-12 novembre dicembre 1979. Lo stesso articolo è stato pubblicato in 7 puntate sulla nuova rivista
COELUM nn. 29, 30, 31, 33, 35, 36, 37.
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In figura 1.2 è riportata la traiettoria apparente di Marte in
cielo fra il 10 maggio ed il 10 novembre 1971 e cioè attorno
all’epoca dell’opposizione (il punto in cui un pianeta esterno arriva
più vicino alla Terra), che si verificò il 10 agosto. Come si vede, il
12 luglio il pianeta fu in stazione, cioè fermo, poi apparve muoversi di moto retrogrado (da est verso ovest) fino al 12 settembre,
epoca della seconda grande stazione, ed infine riprese il moto diretto (da ovest verso est).
La presenza di questi “cappi” mal si conciliava con l’idea
greca di moti circolari uniformi attorno alla Terra.
Vennero introdotti complessi sistemi di sfere concentriche
(Platone, Eudosso, Aristotele) in cui un corpo celeste si trova Figura 1.3 – Il sistema delle sfere
inserito in un sistema di due o tre sfere legate tra loro da vincoli di concentriche
rotazione: una sfera interna, sulla quale è fissato il corpo celeste,
ruota su se stessa attorno un asse vincolato alla seconda sfera, la quale a sua volta ha l'asse di
rotazione vincolato alla terza sfera, più esterna.
Descrizioni altrettanto complesse facevano uso di epicicli (Eràclide Pontico, Ipparco,
Tolomeo), deferenti e quant’altro fosse necessario per mantenere la Terra al centro dell’Universo.
La teoria degli epicicli prevede per un pianeta interno, come ad esempio Venere, che il Sole ruoti
attorno alla Terra e Venere, a sua volta, ruoti attorno al Sole. Venere quindi esegue un piccolo
"ciclo" che si trova su un'orbita più grande. Il termine ίepì) in greco significa "sopra". Per un
pianeta esterno, come ad esempio Marte, le cose si complicano: il pianeta ruota attorno ad un centro
C con lo stesso periodo di rotazione del Sole attorno alla Terra e, nello stesso tempo, il centro C
ruota attorno alla Terra con lo stesso periodo di rotazione di Marte attorno al Sole.
Figura 1.4 - La teoria degli epicicli per un pianeta interno Figura 1.5 – La teoria degli epicicli per un pianeta esterno
come Venere.
come Marte.
Solo la teoria copernicana riuscì a risolvere questo problema. Ciò avvenne nel 1543, con la
pubblicazione e la diffusione dell'opera De Revolutionibus Orbium Coelestium. L'autore riprendeva
in sostanza una vecchia idea di Aristarco, che può essere sintetizzata nel seguente modo:
1. la Terra compie una rotazione attorno al proprio asse da ovest a est in circa ventiquattro ore;
2. la Terra non si trova al centro dell'Universo, ma solo dell'orbita lunare, e compie un giro
attorno al Sole nel corso di un anno;
3. i pianeti, come la Terra, ruotano attorno al Sole, che occupa il centro dell'universo.
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La concezione eliocentrica, che con opportune correzioni ci appare oggi del tutto naturale,
era stata accantonata per quasi venti secoli dagli studiosi perché appariva attaccabile sia dal punto di
vista strettamente fisico, sia da quello metafisico. Fisicamente, l'ipotesi che la Terra orbitasse
attorno al Sole veniva scartata per i seguenti motivi:
a) innanzi tutto sembrava contraddire il senso comune, che prevedeva in una tale eventualità
effetti catastrofici quali crollo di edifici, caduta degli oggetti non più lungo la verticale,
eccetera;
b) in secondo luogo, poiché l'angolo sotto cui le stelle vengono viste da un osservatore posto
sulla Terra dipende dalla posizione della stessa, si dovrebbero osservare variazioni nel
corso dell'anno nella posizione apparente delle stelle nella volta celeste. È questo il
fenomeno della parallasse, di cui si parlerà più avanti (paragrafo 2.1.1) e che viene usato
per misurare la distanza delle stella. Ovviamente non si poteva sapere che a causa delle
enormi distanze delle stelle queste variazioni sono talmente piccole da risultare
inosservabili ad occhio nudo.
Figura 1.6 - Posizioni di un pianeta esterno (o
superiore) proiettate sulla sfera delle stelle, viste dalla
Terra.
Figura 1.7 - Posizioni di un pianeta interno (o inferiore)
proiettate sulla sfera delle stelle, viste dalla Terra.
Se a queste obiezioni si potevano in qualche modo contrapporre argomentazioni scientifiche,
ben poco poteva essere fatto se gli attacchi avevano fondamenti di tipo metafisico o teologico. La
concezione aristotelica, che aveva distinto in modo inequivocabile l'universo in due mondi separati
 quello sublunare e quello celeste  era difficilmente attaccabile senza scontrarsi anche con la
Chiesa, che nel frattempo aveva fatto sua questa concezione (si pensi a Giordano Bruno,
condannato al rogo nel 1600 per le sue idee  ancora oggi così moderne).
Ponendo la Terra sullo stesso piano degli altri corpi celesti, l’idea copernicana le faceva
perdere quella posizione privilegiata che secoli di dispute filosofiche le avevano attribuito. Non
devono quindi sorprendere i dubbi e le titubanze di Copernico: doveva passare ancora più di un
secolo perché le sue idee fossero accettate dalla comunità scientifica, e sappiamo che ancora nel
XVIII secolo tra i sostenitori delle due teorie si accendevano dispute accanite.
Con Copernico erano state gettate le basi della moderna astronomia, ma per arrivare ad una
descrizione di tipo quantitativo del moto dei corpi celesti dovevano passare ancora molti decenni.
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Un ruolo fondamentale ebbero in questo senso i dati di continue osservazioni della volta celeste,
raccolti e catalogati per più di trenta anni dal matematico ed astronomo danese Tycho Brahe (1546–
1601). Sulla base delle proprie osservazioni egli propose una teoria che si collocava a metà strada
tra la tolemaica (geocentrica) e la copernicana (eliocentrica).
Secondo Tycho, infatti, mentre
pianeti come Mercurio e Venere
ruotavano attorno al Sole, altri come
Giove, Marte, Saturno ed il Sole
stesso orbitavano attorno alla Terra.
Questa strana teoria, comunque, non
fece proseliti né tra i sostenitori della
concezione tolemaica né tra quelli
della teoria copernicana e per questo
venne presto abbandonata.
1.2 Le leggi di Keplero e la legge
di Newton
Una svolta decisiva in favore
della teoria copernicana fu la
pubblicazione dei lavori di Johannes
Kepler (Keplero) (1571–1630).
Già allievo di Tycho Brahe,
egli continuò anche dopo la morte del
maestro il lavoro di raccolta di dati
Figura 1.8 - Il sistema copernicano
Figura 1.9 – Prima legge di Keplero
relativi al moto dei corpi del Sistema Solare. Analizzando poi con intelligenza le precise
osservazioni di Tycho, nonché le proprie, giunse a formulare quelle leggi ormai universalmente
note come le leggi di Keplero.
Prima legge: Le traiettorie descritte dai pianeti attorno al Sole sono ellissi di
cui il Sole occupa uno dei fuochi.
Si noti che la distanza di un pianeta dal corpo centrale non è costante. Lo stesso Keplero
chiamò perielio (dal greco  = intorno e Hς = Sole) il punto di minima distanza e afelio (
= lontano) quello di massima distanza.
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Figura 1.10 – Seconda legge di Keplero
Seconda legge: Il raggio vettore che congiunge il Sole con un pianeta
descrive aree uguali in tempi uguali.
Da questa legge consegue che la velocità con cui i pianeti orbitano attorno al Sole non è
uniforme, ma risulta inversamente proporzionale alla radice quadrata della loro distanza dal Sole.
Infatti se le aree in figura 1.10 sono uguali e vengono descritte dal raggio vettore in tempi
uguali ne consegue che il tratto di orbita AA’ è minore del tratto BB’ per cui la velocità in AA’ è
minore di quella in BB’.
Terza legge: I quadrati dei periodi di rivoluzione sono proporzionali ai cubi
dei semiassi maggiori delle rispettive orbite.
(0.1)
T2
= costante
a3
Questa terza legge è di una categoria diversa rispetto alle altre due, perché non è riferita ad
un solo pianeta, ma mette in relazione i pianeti tra loro. Con la scoperta di queste leggi l'astronomia
compiva un gigantesco passo in avanti, e poteva dirsi risolto l’antichissimo problema del calcolo
della posizione di un pianeta nella sua orbita, in un qualsiasi istante.
Keplero aveva enunciato le sue leggi senza inquadrarle in una teoria più generale, ma
Newton formulò una legge dalla quale quelle di Keplero discendono come casi particolari.
Avvalendosi del principio d'inerzia di Galileo (primo principio della Dinamica) e di una
brillante intuizione di Hooke (che gli aveva suggerito di studiare il moto dei pianeti dividendolo in
due parti: una prima parte rappresentata dal moto inerziale lungo la tangente alla traiettoria, la
seconda rappresentata da un moto accelerato in direzione del Sole), Newton scoprì quale fosse il
significato fisico delle leggi di Keplero.
In primo luogo, dal momento che il moto dei pianeti non è rettilineo ed uniforme, deve
esserci una forza diretta verso il Sole che regola, ma non causa il moto. Newton accertò che tale
forza segue la legge dell'inverso del quadrato della distanza. Seguiamo i punti salienti del suo
ragionamento:
a) tutti i corpi cadono in prossimità della superficie terrestre con un'accelerazione g = 9,8 m/s2;
b) la causa che fa cadere un corpo (si narra che Newton giungesse a queste conclusioni vedendo
cadere una mela da un albero) non viene meno, qualunque sia l'altezza a cui il corpo è posto. Se
così non fosse, dovrebbe esistere una determinata quota al di sopra della quale i corpi cessano di
cadere e di pesare;
c) anche la Luna deve perciò avere un peso e deve in qualche modo “cadere”[iii] sulla Terra; questo
significa che la presenza della Terra regola il moto orbitale della Luna.
[iii]
Potremmo dire che la Luna non cade affatto. Ma se sulla Luna non agisse alcuna forza, essa proseguirebbe in linea
retta, mentre invece viaggia lungo una traiettoria circolare, cosicché in realtà cade rispetto alla posizione in cui si
troverebbe se non vi fosse nessuna forza.
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Da ciò Newton formulò la legge della gravitazione universale, che possiamo enunciare
come segue:
due corpi di masse m1 ed m2 esercitano l'uno sull'altro una forza, diretta
lungo la loro congiungente, che è direttamente proporzionale al prodotto
delle masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra i
loro centri.
In formula:
m m
(0.2)
F=G 1 2 2
r
La costante G è nota come costante di gravitazione universale ed assume nel Sistema
Internazionale il valore
G = 6,6710-11 m3/kgs2.
È importante capire quali estrapolazioni avesse dovuto compiere Newton per giungere allo
straordinario risultato che la gravità segue la legge secondo cui l'intensità della forza F varia con
l'inverso del quadrato della distanza.
In primo luogo il risultato corretto ottenuto per il sistema Terra-Luna non autorizzava a
pensare che esso potesse essere altrettanto corretto in altri sistemi con caratteristiche totalmente
diverse da quello preso in esame. Newton suppose questo nel 1666 e solo in tempi relativamente
recenti si è potuto verificare (studiando sistemi di stelle doppie) che ovunque nell'Universo la
gravità varia come 1/r2 (almeno nell'ambito di precisione delle nostre misure).
In secondo luogo sorgeva il problema, non secondario, che il calcolo delle distanze usate per
rapportare tra loro g e aC,L (l’accelerazione centripeta della Luna) veniva eseguito partendo dal
centro della Terra. Per poter giustificare questo calcolo Newton dovette letteralmente inventarsi
quegli strumenti matematici (il calcolo infinitesimale) che gli permisero poi di dimostrare che, se
due corpi sferici esercitano l'uno verso l'altro una forza che varia come 1/r2, allora si può supporre
che tutta la massa di ciascun corpo sia concentrata nel centro del corpo stesso (il centro di massa).
Ma non è tutto. Fino a quel momento, infatti, era opinione corrente che il moto dei pianeti si
svolgesse attorno ad un punto coincidente con il centro del corpo centrale (il Sole) ritenuto
immobile. Newton superò questa concezione applicando al moto planetario la sua terza legge del
moto, il principio di azione e reazione. Affermò infatti che le azioni dei corpi che attraggono e che
sono attratti sono sempre reciproche ed uguali: perciò, se ci sono due corpi, nessuno dei due può
trovarsi in quiete, ed entrambi orbitano attorno a un centro comune (che è il centro di massa del
sistema).
Dopo aver stabilito, con la sua legge, i parametri dai quali dipendeva la forza che si esercita
tra tutti i corpi dell'Universo, Newton si chiese anche quale fosse la natura della gravità.
«Fin qui ho spiegato i fenomeni del cielo e del nostro mare mediante la forza di gravità, ma
non ho mai fissato la causa della gravità. Questa forza nasce interamente da qualche causa, che
penetra fino al centro del Sole e dei pianeti […] e opera […] in relazione alla quantità di materia
solida. La sua azione si estende per ogni dove ad immense distanze, sempre decrescendo in
proporzione inversa al quadrato delle distanze. La gravità verso il Sole è composta dalla gravità
verso le singole particelle del Sole […]. In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni
la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi. [hypotheses non fingo]
Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi; e nella filosofia
sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia
meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni e sono rese generali
per induzione. In tal modo divennero note l’impenetrabilità, la mobilità e l’impulso dei corpi, le
leggi del moto e la gravità. Ed è sufficiente che la gravità esista di fatto, agisca secondo le leggi da
noi esposte, e spieghi tutti i movimenti dei corpi celesti e del nostro mare.».
Con queste parole Newton chiudeva la seconda edizione dei Principia, portando a termine
una delle più grandi rivoluzioni del pensiero umano.
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1.3 Cenni di astrodinamica
È doveroso enunciare alcune conseguenze della legge della gravitazione Universale. Dalla
(0.2) segue che se A è un corpo di massa M, B un corpo di massa m, r la distanza tra i centri di A e
B, B è attratto da A con un forza
M m
F=G 2 .
r
Dal secondo principio della Dinamica abbiamo:
Mm
;
m a= G
r2
ossia tutti i corpi cadono verso A con la stessa accelerazione, indipendentemente dalla loro massa.
In ogni punto dello spazio che circonda A è possibile quindi definire un vettore g (accelerazione
M
gravitazionale) che è diretto verso il centro di A e che ha modulo g = G 2 . Sulla superficie della
r
Terra (r = RT = raggio della Terra) g = 9,8 m/s2.
Una grandezza utile in molti calcoli è l’energia potenziale gravitazionale, cioè l’energia che
bisogna spendere per portare il corpo B all’infinito. L’espressione per l’energia potenziale è:
M m
U = G
r
la presenza del segno “” fa sì che l’energia potenziale sia sempre negativa.
Si consideri ora che il corpo B di massa m si muova di moto circolare uniforme con velocità
v intorno al corpo A. L’accelerazione centripeta di B altro non è che l’accelerazione gravitazionale.
Si ha quindi:
aC = g
v2
M
=G 2
r
r
v=
GM
.
r
Il corpo B ha un’energia cinetica:
2
1
1 
M 
1 Mm
1
EC = mv 2 = m  G
= U .
 = G
2
2 
r 
2
r
2
L’energia totale E posseduta dal corpo B, data dalla somma dell’energia cinetica e
dell’energia potenziale gravitazionale, è:
1
1
1 Mm
E = EC +U =  U +U = U =  G
< 0.
2
2
2
r
Si può in generale dimostrare che tutti i corpi che descrivono un’orbita chiusa (ellittica)
intorno ad A hanno energia totale negativa. Si osservi anche che in questo caso risulta:
2EC + U = 0,
caso particolare di un teorema fondamentale per la Meccanica, ovvero il teorema del viriale.
Esistono anche orbite non chiuse: E = 0 corrisponde a un’orbita parabolica, mentre E > 0
fornisce un’orbita iperbolica.
Consideriamo ora un corpo di massa M e raggio R. Se dalla sua superficie viene lanciato un
razzo di massa m alla velocità v0, esso possiede inizialmente un’energia totale:
1
Mm
E0 = EC,0 +U 0 = mv02 - G
.
2
R
Per la conservazione dell’energia meccanica in ogni istante risulta: E = E0 , cioè:
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1
Mm 1
Mm
m v02  G
= m v2  G
2
R
2
r
Man mano che il razzo si allontana dalla superficie del corpo, l’energia potenziale aumenta e quella
cinetica diminuisce. Se il razzo è stato lanciato con una velocità iniziale vf tale che possa
raggiungere una distanza infinita (1/r = 0) con velocità nulla, possiamo ricavare vf:
1
Mm
m v2f  G
= 0,
2
R
da cui
vf =
2GM
R
La grandezza vf è detta velocità di fuga: alla superficie della Terra si ha vf = 11,2 km/s.
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