1° Schema: L’equità di genere. Nella società occidentale, l'emergere della riflessione sulla categoria di genere ha rappresentato una autentica rivoluzione nelle relazioni sociali. Perché ha favorito non solo l'emancipazione della donna in relazione all’uomo, ma anche perché ha rivolto l'attenzione su un sistema di dominazione che si è imposto per secoli come egemonico: il patriarcato. Questo sistema di potere ha beneficiato una cultura antropocentrica, con linguaggi androformi, strutture e pratiche patriarcali e anti-femministe (Boff-Muraro, 2004, 50). Il patriarcato è una struttura di potere che si è imposto tra il 3500 e il 2500 a.C. Prima, le società erano rette dal matriarcato, che regolamentò le relazioni sociali fin dal 30.000 a.C. Il matriarcato, da un'economia di sussistenza agricola, ha sviluppato la sua cosmologia a partire dalla centralità della generazione, la produzione, la diffusione e conservazione della vita, la fertilità della terra, la sopravvivenza della razza umana. Il rapporto delle donne con la vita le associava al potere della fertilità della terra: è per questo che il matriarcato è fortemente correlato al sistema agricolo di sussistenza, vincolandosi alla fertilità della terra e alla fecondità femminile: "Numerosi riti testimoniano l’influenza determinante della magia erotica sull’agricoltura: la nudità, le orge, le gocce di latte materno versato sui campi. E così si pongono le basi dell’identificazione della donna-madre con la donna-terra e dell'idea di una maternità naturale" (Tubert, 1996, 90). La promiscuità sessuale e l’insufficiente conoscenza sulla paternità biologica, la possibilità di molteplici partner sessuali durante il suo periodo riproduttivo, sopravvalutarono il ruolo femminile nella generazione, arrivando a considerare la donna l’unica responsabile della riproduzione umana. Gli dèi che esprimevano la cultura matriarcale erano identificati con le dee madri e la figura femminile, la cui rappresentazione antropomorfa (statuette e reperti archeologici) metteva in risalto gli organi riproduttivi: seno, ventre, pube e pelvi facevano parte del circolo magico della fertilità. La centralità della figura femminile ha fornito una concezione armonica delle relazioni sociali e naturali: l'essere umano era inteso come parte di un sistema più ampio di relazioni e dipendenze, che includeva il cosmo e la natura intera. Sembra che la grande frattura tra matriarcato e patriarcato, intorno al 3000 a.C., sia stata originata da massicce invasioni di popoli indoeuropei provenienti dall'Europa dell'est. Nella regione del Volga, fin dal V millennio, c’era "una società patriarcale di guerrieri, interessata più alla caccia e alla guerra come attività economica di depredazione che all’agricoltura, e che si espanse fino ad arrivare, nel II millennio, ad occupare tutta l'Europa danubiana, il Medio Oriente e la regione dell'Egeo. Elamiti, Casiti, Parti, Medi, Persiani, Achei, Dori, Etruschi adoravano divinità maschili, combattenti e frequentemente stupratori, e la Grande Dea appariva solo come mera consorte o decadeva a mostro, rappresentata come Gorgone, Furia, Arpia, Moira, Medusa" (Rangoni, 2005, 64). Il patriarcato accentuava la forza, il dominio, il primato, la superiorità, il confronto, la competitività, il controllo del territorio e la violenza. La relazione tra cacciatori starebbe all'origine della parentela umana: la loro cooperazione, la solidarietà e la distribuzione delle prede avrebbe favorito l’alleanza del gruppo ed il sorgere di relazioni strutturate (Tubert, 1996, 81). Il patriarcato si identifica con la figura del maschio, propone divinità maschili, introduce gerarchie divine, sociali e politiche che regolano le relazioni, e, soprattutto, si traduce in dominio degli uomini sulle donne e dell’essere umano sulla natura. Si tratta di una autentica dittatura maschile, che si basa su una mentalità e pratica conflittuali. La struttura familiare del patriarcato si basa sulla parentela maschile, nel potere paterno. Le figlie sono barattate per le nuore e poco a poco le donne sono ridotte a beni appartenenti agli uomini: sono comprate e vendute come proprietà legittime del marito. La loro sessualità è rigidamente controllata e il padre sostituisce la madre nel potere creativo, così come le divinità maschili sostituiscono le dee madri nell’immaginario religioso. In questa visione riduttiva, la donna era considerata solo per la sua funzione riproduttiva e confinata dentro la casa come schiava per soddisfare le necessità maschili. La legittimazione di questa posizione si valeva di ipotetici e falsi criteri fisici, come l’inferiorità fisica e intellettuale della donna rispetto all’uomo. Le antiche dee, simbolo di indipendenza sessuale e di fertilità, potevano essere pericolose come miti civilizzatori, perché la sessualità non controllata minacciava l'ordine stabilito: dovevano essere addomesticate. In seguito, il cristianesimo trasformerà l'addomesticamento sessuale delle donne in autentica rinuncia: della loro sessualità, attraverso la verginità; e della loro volontà, attraverso l'accettazione di virtù come l'obbedienza, l'umiltà e la sofferenza. Così, non solo il corpo della donna è controllato, ma anche la sua mente, la sua libertà, tutto il suo essere. A questo punto, la donna è già ridotta a schiava del maschio. Alcuni elementi possono aver contribuito all'avvento del patriarcato, come l'aumento della popolazione e la conseguente richiesta di maggior alimento. Poco a poco, la donna è sempre più isolata dentro la casa, mentre gli uomini si dedicano ad attività agricole e produttive. E’ stato probabilmente il primo passo per la sua sottomissione. "Il prestigio dell'uomo aumentò con la sua capacità di coltivare grandi estensioni di terra e di produrre alimento in quantità non solo necessaria, ma anche in eccedenza, che poteva essere utilizzato come merce di scambio" (Rangoni, 2005, 73). Perdendo la possibilità di apprendere l’indispensabile per la sua indipendenza, la donna passò a dipendere totalmente dall’uomo: il padre, i fratelli e, poi, il marito: finì per diventare proprietà dei maschi, mercanzia, bene di scambio. Così, le donne delle classi superiori erano date in moglie per sanzionare alleanze politiche e contratti; mentre le donne povere servivano come prostitute, essendo vendute per pagare i debiti e soddisfare i bisogni sessuali degli uomini. In questo senso si deve interpretare la pratica violenta dello stupro, come affermazione della sovranità e del dominio dell'altro sesso. Presente in quasi tutti i miti, legittimava la violenza sessuale del padre, dei fratelli e dei maschi, come espressione di controllo e proprietà sulle donne. La riflessione sulla categoria di genere, introdotta negli anni '80 del secolo scorso dal movimento femminista, lavora su questi concetti, per superare il dualismo maschile femminile in favore di un rapporto equità. Parlare di genere è "parlare a partire da un particolare modo di essere nel mondo, fondato, da un lato, nel carattere biologico del nostro essere, e dall'altro, nella cultura, nella ideologia e nella religione di questo carattere biologico" (Gebara, 2002, 91-92). Il genere è una categoria culturalmente, sociologicamente e simbolicamente costruita: a partire dalle differenze biologiche, cerca di definire ciò che è proprio dell'essere uomo e donna, maschile e femminile e quali siano le funzioni sociali che definiscono le relazioni tra di loro. Il genere determina i ruoli sociali e classifica determinate attività come maschili o femminili, e le classifica e avvalora in maniera differente. Questa categoria, relativa a determinata cultura, produce una propria simbologia rappresentativa, stabilisce norme relative a comportamenti, riproduce modelli e funzioni, e proporziona identità specifiche. Non esiste una riflessione omogenea sul genere: ci sono diverse scuole di pensiero che sostengono posizioni diverse (Boff-Muraro, 2002, 20-23). La prima corrente sostiene l'idea che la differenza tra uomo e donna è originariamente biologica, e che tale realtà condiziona per sempre la relazione tra i sessi. La seconda corrente afferma, al contrario, che le differenze di personalità, ruoli e potere sono il risultato di condizionamenti sociali. Non si nasce uomo o donna: l'identificazione sessuale, psicologica e sociale con uno o con l'altro è una costruzione sociale, un processo di modellazione e configurazione. La terza linea si pone al centro delle precedenti, riconoscendo una certa dipendenza dalla natura fisiologica, come anche dal condizionamento sociale e culturale, essendo difficile determinare ciò che è derivato da uno e/o dall'altro. L'interazione socio-culturale è determinante per lo sviluppo futuro delle caratteristiche genetiche e biologiche. Anche i conflitti possono originarsi dalla mancanza di armonizzazione tra i due fattori. Riteniamo che le differenze sono nell'ordine della reciprocità e della complementarietà. Questo tipo di considerazioni ha portato un enorme contributo alla riflessione sull’emergenza dell’altro, in questo caso, l'altro "donna", con la sua personalità, desideri, speranze, diritti: in una parola, con la sua soggettività specifica che pretende di essere riconosciuta e valorizzata. Per il lavoro di Gruppo: 1. Che cosa ci colpisce nel testo che abbiamo letto, quali le sue novità? 2. Cerchiamo di definire, assieme, quali sono le differenze tra uomo e donna, e quali i pregiudizi che la società ha dell’uno e dell’altra. 3. Le differenze tra uomo e donna sono reali, ma da queste differenze si stabilisce la supremazia di uno sull’altra. Come si esprime, concretamente, questa supremazia?