Ci sono tre categorie al mondo: i vivi, i morti e i marittimi”. Questo vecchio adagio la dice lunga su come in un mondo interconnesso come non mai, dove il 90% delle merci e dei beni che costellano la nostra quotidianità (oggetti di casa, il cemento per costruirla o per asfaltare la strada, il carburante della nostra auto, ecc...) si sono mossi attraverso il pianeta grazie al commercio via mare, ebbene ancora oggi che i marittimi fungono da vera e propria cinghia di trasmissione della famigerata globalizzazione, pesa su questa comunità di circa 1.300.000 persone una cappa di inconsapevolezza e indifferenza. La vita del marittimo è contraddistinita da 3 caratteristiche fondamentali. L’isolamento: per mesi si vive lontani dalle famiglie, in una comunità innaturale come è quella di un equipaggio di un cargo, solo maschile nel 99% dei casi, ai margini anche quando la nave attracca in porto. Il precariato: il marittimo è precario per natura, il contratto dura quello che dura, perciò spesso i marittimi allungano la permanenza a bordo il più possibile e poi sei disoccupato, hai uno stipendio solo quando navighi e un secondo contratto non è mai garantito, tranne forse alcune compagnie che tendono a fidelizzare i propri marittimi, almeno gli ufficiali. La protezione in caso di problemi sul lavoro dipende dalla sorte: se hai abbastanza coraggio da rivolgerti al sindacato, se hai abbastanza fortuna di entrare in contatto con il sindacato, se hai abbastanza fortuna di rimanere in contatto con il sindacato (la nave va…). La diversità: vivere a bordo ti rende distante fisicamente non solo dalla famiglia e dagli effetti più cari, ma anche dalla comunità degli umani, dalla normalità della vita a terra. Navigare significa passare attraverso la paura di morire, la necessaria convivenza con una realtà quotidiana che è totalmente appiattita sul luogo di lavoro (quanti di noi vivrebbero 5/6 mesi in ufficio o in fabbrica, giorno e notte, senza aver la possibilità di uscire per mettere il becco fuori dalla porta dello stabilimento?) e che è composta da nostri colleghi, sconosciuti prima dell’inizio dell’imbarco, che non abbiamo ovviamente scelto noi e che spesso non parlano la nostra lingua madre perché sono di nazionalità altra. Un discorso a parte andrebbe fatto per le navi da crociera, senza però considerare questi lavoratori dei marittimi privilegiati o “a 5 stelle”: veramente la loro caratteristica principale è il lavoro e poi lavoro e poi ancora lavoro (anche 16 ore di lavoro al giorno, 7 giorni su 7, per mesi). Inoltre, anche la loro sicurezza lavorativa è fragile, come dimostra la vicenda della nave da crociera Delphin, praticamente abbandonata dall’armatore in porto a Venezia lo scorso ottobre con 230 persone di equipaggio (senza 4 o 5 mensilità di stipendio, sono tutti comunque rientrati a casa grazie all’aiuto del sindacato Itf: ora la nave è sotto sequestro giudiziario). Proprio Venezia (2° porto commerciale italiano e 1° da crociera) si è fatta efficacemente carico di questa complessa realtà: nel 2011 la “Stella Maris’ Friends Onlus” festeggia i suoi primi 10 anni di vita, durante i quali, insieme ai cappellani del porto e alla Fondazione Mariport, si è presa cura degli oltre 200.000 marittimi che ogni anno passano in città, dando loro la possibilità di comunicare con i propri cari e di “vivere la città” anche solo per poche ore. Il buon lavoro fatto ha avuto risonanza anche all’estero tanto da essere compreso nelle pratiche di welfare di eccellenza a livello globale e diventare così un piccolo modello che riesce a coniugare l’assistenza ai marittimi delle navi da carico con quella delle navi da crociera (vedi la citata Delphin). Tutto questo non sarebbe potuto accadere se in questi anni le isituzioni portuali (Autorità portuale, Capitaneria, imprese, ecc.) e cittadine, in primis il Comune di Venezia, non avessero sostenuto l’opera della “Stella Maris’ Friends”, dandole la possibilità di crescere e prendersi cura di questo patrimonio di umanità rappresentato dai marittimi di tutto il mondo.