Morire di crociera A margine del naufragio della nave Concordia, Anna Casella Paltrinieri, docente di Antropologia culturale e collaboratrice di Popoli, si interroga su ciò che questa tragedia ci dice sul rapporto fra natura e tecnica. C’è qualcosa nella vicenda del naufragio della nave Concordia che può essere detto, prima che si definiscano le responsabilità, gli errori e, forse, le viltà degli uomini. Osserviamo i volti dei naufraghi, coperte della Croce Rossa e sguardo appannato: coppie in viaggio di nozze, famiglie intere con bambini e nonni, coreani alla scoperta del Mediterraneo, pensionati americani e tedeschi. Sono parrucchieri, marescialli dei carabinieri in pensione, segretarie, turisti su d’età. Una crociera oggi non è un più un lusso. Anzi, è quasi alla portata di tutti. Magari diventa l’idea originale per un regalo di compleanno, per festeggiare le nozze d’oro, per convincere chi non si muoverebbe mai da casa. Una crociera nel Mediterraneo poi, è del tutto tranquilla: il «mare nostrum» è mare amico. Osserviamo le immagini delle cabine, dei saloni, delle sale da pranzo, delle piscine: un posto da favola, l’isola che non c’è, il palazzo del divertimento, dove si può passare il tempo a mangiare, giocare, ballare, la perfect life per la quale serve l’abito elegante. E dove al ballo si può incontrare anche il capitano. In divisa immacolata, come si conviene, e coi modi affabili del perfetto intrattenitore. La vita sulle navi riprende l’immagine di sfarzo e opulenza del tempo in cui le crociere erano il lusso dei nobili annoiati. Merito, certo, di chi lavora sotto la linea di galleggiamento, nelle sale macchina, nelle cucine, nelle stirerie, nelle cabine e contribuisce a rendere l’ozio più piacevole. Ma merito anche della tecnologia complessa e costosa, delle strumentazioni, dei sistemi di navigazione sofisticati, di internet, delle automatizzazioni. La tecnica era, per il filosofo Bacone, uno strumento di conquista: un modo per strappare alla natura i suoi segreti, per domarla, dominarla e sottometterla. E se la tecnica diventa sempre più adeguata, il dominio è totale. Quando tutto è sotto controllo c’è tempo per un altro giro di valzer, per un altro brindisi, per una fotografia. C’è tempo anche per salutare dall’alto del ponte coloro che rimangono sull’isola. Nella città galleggiante, mentre ci si diverte e si assaporano gusti esotici, si può essere sicuri che il mare non tradirà. Come è possibile pensarlo, proprio quando tutto è progettato per rendere bella, divertente, scanzonata la vita? Ma la tecnica ha dei limiti: nel momento in cui ci offre lo schema per dominare la natura ci allontana del tutto dalla sua comprensione. La natura ridiventa estranea. La tecnica, tutte le tecniche, anche le innocenti attrezzature che rendono più agevole l’ascesa in montagna, più divertente la discesa, più facile il cavalcare le onde, producono la tentazione dell’onnipotenza. Se tutto è diventato facile, facile diventa anche il confronto col mare. Agli altri, ai navigatori solitari, ai pescatori, la fatica e la resistenza. La sfida non è più tra l’uomo e il mare, resta invece tutta dentro il mondo artificiale, è al massimo tra l’uomo e la macchina. Finché le ancestrali, immutabili, granitiche, nude leggi della materia non si impongono. E allora, non resta che lanciare un messaggio su facebook, sperando di essere salvati. «My name is Rose, it’s Friday 13th and I’m one of the last survivors still onboard the sinking cruise liner off the coast of Italy. Pray for us to be rescued». Anna Casella Paltrinieri