“SI SALPA” di Mario Serantoni* *architetto, velista e skipper La navigazione comincia molto prima di quando la nave lascia il porto e il tempo precedente all’uscita è sempre carico di rituali che oscillano tra il sentimento e l’esperienza. Abbiamo visto che le navi, tutte, per qualsiasi lavoro siano destinate, hanno riportati ben evidenti i segni che chiedono aiuto e conforto agli dei e hanno creato una parte alta sul davanti della nave, la prua, fatta apposta per ospitarli. La prua è però anche alta perché fende le onde, dice costantemente “io ci sono e voglio navigare” a tutte le avversità che Eolo, Nettuno e dopo altri dei hanno sempre mandato incontro a tutte le navi e il timoniere teneva davanti alla prua un’isola lontana, una montagna che compariva dall’orizzonte, il sole o una stella. Qualcuno, prima della partenza, controllava lo scafo rimettendo straccetti imbevuti di catrame tra le assi, ricuciva la vela dove consumata o rotta, attorcigliava le cime, ammucchiava il carico per disporlo correttamente nella stiva. Il carico più pesante stava più in basso possibile, ma se doveva essere consegnato e sbarcato per primo era un problema; alla possibilità di imbarcare del carico erano sacrificate tutte le altre comodità, tranne i viveri per l’equipaggio che erano il vero motore della nave, anche quando non remavano e il nostro Paolo, forse non esperto navigatore, ma saggio, lo sapeva (Atti 27, 33-34). Il comandante doveva sapere quindi, prima di partire, quanta gente da sfamare avrebbe avuto a bordo e per quanto tempo. La durata del viaggio era l’aspetto più problematico tanto non è vero che la navigazione avveniva soprattutto a remi che garantivano, tranne con mare molto agitato, una velocità costante. Per essere certi della possibilità di effettuare la navigazione in sicurezza ci si limitava a navigare nella buona stagione che, in Mediterraneo, a seconda delle zone va da Aprile a Settembre e qui, nel viaggio di Paolo si parte un po’ troppo tardi e finisce di fatto con un naufragio. Non c’erano carte nautiche e tanto meno strumenti che indicassero la posizione e nemmeno la direzione, ma è vero che chi navigava il Mediterraneo conosceva le rotte e la loro lunghezza e sapeva regolare la posizione osservando l’altezza del sole, della luna e di molte stelle di cui si conosceva già la posizione. Atti 27, 20 ci dice però che causa il brutto tempo non si vedevano più gli astri principali, sole e stelle e quindi il comandante stimava molto approssimativamente la posizione. Dalla fine del 1500 cominciano le grandi navigazioni e che ritornava riportava soprattutto un disegno, carta geografica imprecisa, di quello che aveva visto e nello stesso periodo il tedesco Mercatore aveva insegnato a disegnare le carte in modo che le rotte potessero essere tracciate sempre, e seguite, come un angolo rispetto al Nord, che la bussola magnetica già dal 1200 circa era in grado di indicare. Poi appunto sole stelle servivano a dire dove uno fosse. Recentissimamente è stato inventato un sistema artificiale di stelle finte che è in grado di trasmettere ad un ricevitore che è a bordo la posizione esattissima della nave e risolve tutti i problemi di rotte, anzi, ormai lo usiamo anche in automobile per sapere quale strada seguire e quale percorso scegliere. In più le carte, tutte le mappe geografiche son ormai perfette nella descrizione dei mari, delle coste e di tutti i pericoli nascosti e quindi la difficoltà della navigazione è legata ormai solo alle questioni metereologiche e anche quelle ormai sono precisissime. A quel tempo non potevi portarti oggetti personali, ma qualche amuleto tutti l’avevano perché il mare era davvero considerato pericoloso, il luogo di tutte le disgrazie possibili immaginabili, forse quello che oggi noi riserviamo al cosmo e alla fantascienza. I Greci avevano un vecchio proverbio di circa 700 anni prima di Paolo che recita: “al mondo ci sono tre tipi di uomini, i vivi, i morti e quelli che vanno per mare” e gli Ebrei, nel loro immaginario ultimo, avevano eliminato il mare. Poi si parte, forse alla mattina presto, ancora notte, per sfruttare la brezza che solitamente di notte va dalla terra verso il mare. Osservate attentamente, quando è bel tempo, nella stagione migliore, il sole scalda differentemente lungo le coste la terra e l’acqua per cui durante la giornata, dalla tarda mattinata al pomeriggio inoltrato, la brezza viene dal mare verso la terra ed è facile rientrare. Quando la notte diventa profonda succede il contrario, il vento, leggero, va dalla terra al mare ed è facile lasciare il porto. Osservate e dite da che parte viene il vento di giorno (in spiaggia è facile capirlo) e di notte (è meglio guardare qualche segnale alto perché le case fanno qualche scherzo) e guardate come cambia il moto ondoso. Di giorno da noi è Scirocco (viene da Sud Est) e increspa bene il mare arrivando a fare le ochette nel pieno pomeriggio (piccole onde che frangono facendo un po’ di schiuma) e le barche a vela navigano bene, ma di notte diventa Ponente (ovest) e il mare attaccato alla riva è piatto. La burrasca che fa naufragare Paolo è un’altra cosa, probabilmente visto che il brutto tempo dura molti giorni, è la prima grossa perturbazione di fine estate inizio autunno e il racconto è molto verosimile ed è anche molto corretta la tecnica di sopravvivenza che consente a tutto l’equipaggio di porsi in salvo. I marinai calano in mare una cordina con un peso per misurare la profondità dell’acqua, lo scandaglio, e capiscono che si stanno avvicinando a riva, riducono le vele e agiscono sul carico e frenano la corsa della nave verso riva; veramente dei bravi marinai! Un naufragio simile viene descritto nel libro V dell’Eneide che racconta dei Troiani in fuga, che vengono sorpresi da una forte burrasca e anche loro la fuggono col vento in poppa per naufragare in Sicilia dove incontrano il re di Segesta, Alceste, che gli accoglie. Enea, più o meno alla prima ricorrenza della morte del padre Anchise, decide di organizzare un rituale funebre con giochi e tra questi spicca la prima regata tra quattro navi che usano come boa da girare uno scoglio. Potrebbe sembrare lontana dalla nostra storia la questione della regata, ma in verità, proprio perché inserita in una storia di navigazione complessa e fatta per una scopo preciso, ci fa capire come la tecnica dell’andar per mare è parte intrinseca di una cultura vastissima dove però l’elemento della precarietà di chi naviga è una consapevolezza costante in tutte le epoche. Vogliamo avere però una visione positiva dell’andar per mare pensando che sono di più le navi arrivate, le once di olio e i barili di grano consegnati, assieme ai prigionieri e, se vogliamo immaginare meglio il nostro viaggio, guardiamo ad un bel mosaico del porto romano di Ostia antica che raffigura una nave da carico che naviga a vela con una bella vela quadra con l’albero sostenuto a prua e a poppa, un bel timone laterale e davanti proprio il faro del porto.